Theodor Kröger (1891 – 1958), scrittore tedesco.
- La Siberia...
È un concetto d'una gravità fatale quasi inconcepibile, che nella sua potenza schiacciante si presenta a noi più attuale che mai.[1]
- [Siberia] Non v'è paese che conosca alture più vaste o più profonde di abissi dell'anima umana. L'eternità della sapienza incomprensibile vi toglie ogni limite anche alla natura, che senza freno dona e uccide, sia alla magica luce delle ardenti "notti bianche", sia nella perduta oscurità di furiose tormente di neve.[1]
L'acceleratore della piccola vettura sportiva rifiuta di affondar più profondo entro le viscere del motore. Con tutta la forza infusa da una esasperata energia umana la vettura è lanciata a una corsa folle. Palpitando impercettibilmente, la lancetta del contachilometri indica lo sforzo supremo della materia febbricitante.
Cavalli impennati, grida e bestemmie umane, pali telegrafici che sfilano a pazzesca velocità, alberi, case, prati, boschi. Lasciandosi dietro una lunga scia di polvere, la vettura divora i chilometri.
Né le curve, né le buche della strada frenano la velocità insensata dalla macchina. È il diavolo che viaggia verso l'inferno!
Citazioni
- Una di queste porte si apre, stridendo sui cardini arrugginiti; una mano mi spinge verso le larghe fauci spalancate d'una notte che mi guata immota. La porta geme; ricade un pesante chiavistello.
E m'ingoia un negro nulla, senza fine e senza speranza.
In qualche parte si sente gocciolare; una stilla dopo l'altra cade. Così esse misurano qui il tempo fino alla morte, fino alla liberazione. (p. 24-25)
- Le mie dita, passando e ripassando sugli occhi, constatano che sono spalancati. Eppure non vedono nulla, nulla... I nervi ottici sono tesi fino al limite del possibile, tanto che le orbite mi dolgono sordamente. I miei occhi... non vedono. Sono dunque cieco?... È mai possibile che questo frenetico sforzo di voler vedere qualcosa tutt'a un tratto m'abbia portato alla cecità? È possibile? (p. 25)
- Questa casamatta è d'una vastità inconcepibile. Spazio e distanza si annegano, si annullano in essa, e con la certezza di trovarmi in un ambiente vasto m'invade un senso di grande calma e benessere. Già lo spazio è quasi diventato un concetto costante. Respiro profondamente. (p. 26)
- La casamatta inconcepibilmente vasta sarebbe uno stabbio?! Una gabbia?!
Il concetto di limitazione dello spazio mi mette un vero orgasmo che aumenta fino alla frenesia. Aria, aria... Mi sento soffocare. Ho scoperto che lo spazio in cui mi trovo non può misurar più di due metri quadrati. (p. 28)
- Sole, caldo, smagliante sole... Rigogliosi prati estivi, fiori multicolori, aria mite... Io cammino e cammino, e tanta bellezza non ha fine... Il mondo è vasto... Note, care immagini. (p. 28)
- Il destino e la mia buona stella m'han sempre favorito, una sorte prodiga e benigna m'ha sempre sorriso. (p. 34)
- Arrivo nel gran cortile, custodito da alte mura grige. Nel centro ci sono molti prigionieri. Alcuni in uniforme di detenuto, altri in abiti borghesi. Facce tese. Che cosa attende questi uomini? Su tutti quanti pesa la spaventosa Siberia. Fuori ulula il vento, che esala la frescura del mare prossimo. (p. 46)
- "Siberia!"
Quel nome non si profferisce che a bassa voce. (p. 46)
- Aspettare? È il più grande ed efficace metodo educativo in un penitenziario. Bisogna aver imparato ad aspettare, per saperlo sopportar per anni. Chi non l'ha imparato, muore. (p. 57)
- È la realtà!
Sono in Siberia... Rivedrò questa smisurata terra coi suoi segreti, le sue bellezze, le sue ricchezze, questa terra, la cui storia oggi ancora è inesplorata come le incommensurabili regioni entro i suoi confini, come i fiabeschi tesori che il suo suolo nasconde.
Dalle ignote steppe e foreste di questa terra, un potente e irresistibile fiume di popoli nuovi e di nuove forze si è riversato nel corso dei secoli sulla Russia e su tutta l'Europa. (p. 65)
- 1 2 in presentazione a Il villaggio sepolto nell'oblio.
- Theodor Kröger, Il villaggio sepolto nell'oblio (Das Vergessene Dorf), traduzione di Alessandra Scalero, Omnibus, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1967.