teologo e aforista italiano (1927-1996) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Sergio Quinzio (1927 – 1996), saggista e teologo italiano.
[Su Giovanni Paolo II] [...] continua a oscillare tra intransigenti affermazioni di fede e affermazioni generalmente umanistiche che possono andare più o meno bene per tutti.[1]
Dio si è eclissato perché fra noi e Lui si è interposto il nostro Ego, ormai onnipotente, ma già domani ciò che si è frapposto potrebbe ritirarsi, e potrebbe così riaprirsi il dialogo dell'uomo con il Dio realmente esistente fuori di lui. (dall'introduzione a Martin Buber, L'eclissi di Dio)
Dio che si è offerto a noi, che aspetta da noi la salvezza, è un Dio che dovremmo perfettamente amare, ma ci ha reso troppo stanchi, delusi, infelici per poterlo fare. (da La sconfitta di Dio, Adelphi, Milano, 1992)
Essere in «buona fede» consiste nel non pensare. (da Aforismi)
L'abolizione della violenza a qualunque prezzo non è un ideale cristiano, e non è vero che il violento abbia sempre torto nei confronti dell'ipocrita che finge di non vedere l'ingiustizia che scatena la violenza. (da La speranza nell'Apocalisse, Paoline, Milano, 2002, pp. 111-12)
L'amore evangelico per i nemici non ha nessuna parentela con l'utopia nonviolenta che spera di stabilire la pace, di dissuadere gli empi non contrastandoli. (da La fede sepolta, Adelphi, Milano, 1997, pp. 65-66)
L'ateismo risulta, alla fine, una specie di variazione interna al tema di Dio. Sembra che per difendersi dall'idea di Dio non resti che una sola arma, forse oggi vincente: rifiutarsi di pensare. Se si pensa, anche contro di Lui, si è già caduti nella trappola.[2]
La bellezza è qualcosa di indotto, di secondario, persino di tardivo, di fittizio, alla fine addirittura di vizioso. (da Aforismi, Astolfo, anno I, n. 3, settembre-dicembre 1994)
La fede cristiana "serve" ancora per alimentare i movimenti di volontariato, ma sembra consumarsi in questa sua funzione. Non c'è più un vero discorso sulla fede, divenuta largamente incredibile all'uomo del nostro tempo. La sua luce giunge ancora fino a noi, ma come, fra le nuvole, la luce di una stella lontana ormai precipitata. Già domani potremmo non vederla più, la tenebra potrebbe essere assoluta.[3]
La verità di un uomo non è tale che dinanzi alla sua morte. Così anche la storia. (da L'esilio e la gloria – In forma di parole, Gianni Scalia, Bologna, 1998)
Ma anche 'sta maggioranza, poi... Confesso che io non credo nella democrazia: prova ne sia che non ho mai votato. Penso che l'unica possibilità di convivenza sia quella che nasce da una cultura comune. E quando questo criterio del consenso della maggioranza viene radicalizzato, quando non c'è più nessun riferimento a un ambito sia pure minimo di necessità, allora resto perplesso.[4]
Quando l'essere umano è sentito come qualcosa di scomponibile e sostituibile nelle sue parti, è già inesorabilmente ridotto a cosa e ogni cosa ha necessariamente il suo prezzo e il suo mercato. (da I magazzini dell'orrore, La Stampa, 10 gennaio 1988)
Quel che va sotto il nome di «democrazia» (ben oltre il significato dottrinario del termine) è il tentativo di sostituire alla sostanza la forma, all'autorità il meccanismo, al rischio il controllo, alla persona la struttura. Un prodotto dell'«era della macchina». (da Religione e futuro, Realtà nuova, Firenze, 1962, p. 96)
Questo lo diceva il Tao: "L'imperatore non fa mai leggi, perché se emanasse una norma vorrebbe dire che qualcosa non va". Ogni legge in qualche modo è la spia di una condizione imperfetta: l'ideale sarebbe non averne bisogno.[4]
Satta vuole di più, cerca una fede che non può stare nel solco millenario della religione tradizionale. La stessa fede, certo, ma non riducibile senza residui a come è stata fin qui pensata e vissuta. Questo lo avvicina ai grandi autori russi nutriti in profondità dalla fede ortodossa – Gogol', Dostoevskij, Solov'ëv, Rozanov – che invano si è tentato di riportare interamente alla tradizione ecclesiastica. In realtà, essi, e anche Satta, hanno domande troppo terribili per i pastori e per i teologi. (da Cercava una fede di là dalla religione tradizionale, Prospettive libri, giugno-luglio 1981, p. 19)
Se l'amore cristiano si distingue non solo, e nettamente, dall'amore predicato da tradizioni religiose lontane [...] ma dallo stesso amore veterotestamentario, perché la morte del Messia scuote dalle fondamenta l'antico edificio, si distingue anche dall'amore concepito dai moderni solidarismi e dalle moderne filantropie, che hanno tuttavia origini confusamente cristiane. Se ne distingue proprio perché l'amore cristiano è, nella conformità alla croce, consapevole di dover scendere nella morte. (da La fede sepolta, Adelphi, Milano, 1997, pp. 66-67)
Si sente comunemente parlare di mito biblico, e persino di mito cristico; ma questo significa non percepire la lontananza e la drammatica opposizione fra il mito che è protologico, e la fede, che è invece escatologica, e quindi rivolta al futuro e non al passato. (da Mysterium iniquitatis, Adelphi, Milano, 1995)
[...] un confronto con i contenuti fondamentali della fede cristiana, così come sono rivelati nelle Sacre Scritture, risulta impossibile, per l'ovvio motivo che, misurata con il metro della sola ragione, la fede non può non risultare follia, proprio come, misurata con il metro della sola fede, è la ragione a risultare folle.[5]
È accaduto nella piccola storia dei «testimoni» quello che è accaduto nella grande storia della Chiesa, o delle chiese, dove non sono mai mancati, a ogni generazione, gli annunciatori del Cristo giudice ormai alle porte.
Il regno che aspettano è un regno terrestre, dove i salvati – e cioè gli stessi «testimoni» – vivranno per sempre al cospetto di un Dio una vita liberata da morte, vecchiaia, malattia, ingiustizie, sofferenze. Da quella perfetta realtà finale ci separa lo spaventoso bagno di sangue dell'Apocalisse, che annienterà i nemici di Dio.
I «testimoni» danno un giudizio assolutamente negativo, e tipicamente «settario», su tutto ciò che non è la loro «setta». Tutte le chiese, e anzitutto la Chiesa cattolica, sono sataniche, e anche la politica e l'economia del mondo intero non sono che potenze al servizio di Satana. Tuttavia, i «testimoni» sono dei lealisti che pur disinteressandosi in base alle loro convinzioni di tutto ciò che è mondo, obbediscono scrupolosamente a tutte le leggi – in particolare quelle fiscali – che non giudichino in contrasto con quella che ritengono la legge di Dio.
[Sulla Società Torre di Guardia] L'efficientismo americano di questa struttura, unito all'impegno del volontariato, ha creato un formidabile sistema missionario – o propagandistico, se si preferisce – che si serve dei più moderni mass-media e che diffonde in più di duecento Paesi del mondo libri e opuscoli stampati a decine e a centinaia di milioni di copie, sebbene gli aderenti al movimento non raggiungano complessivamente i tre milioni (centotrentamila in Italia).
[Sui Testimoni di Geova] Hanno una base organizzativa poderosa e tecniche all'americana che sconcertano. Sono accusati di avere troppa gerarchia, anche. In Usa, ci sono 12 anziani che comandano tutti.
La massa di soldi che gestiscono mi pare poderosa. Hanno radio e tv in moltissimi paesi. Stampano e regalano quantità industriali di Bibbie in ogni lingua. Possibile che sia tutto basato su lavoro volontario e donazioni?
Sono nati da un nucleo di calvinisti radicali fuggiti in America per poter mantenere le loro posizioni estremiste. Ma sono meno peggio di tante altre sette. Lo voglio ribadire: sono onesti, non rubano, e portono avanti, sia pure con rozzezza, delle idee che sono patrimonio di tutti.
Indicibile, ebraicamente, non è ciò che sta per sua natura al di là, ciò che è alto, sublime – ma piuttosto ciò che è assolutamente quotidiano, come la vita e la morte.
L'etica abolisce ipocritamente la sofferenza, negando che sia male.
Veramente reale è, grecamente, solo l'eterno.
Bisogna porre al centro dell'annuncio cristiano il supremo mistero del suo fallimento.
Ci si può rassegnare alla disperazione, ma anche ci si può disperare della rassegnazione.
La disperazione è più grande della giustizia.
Mettere la consolazione al posto del dolore è opera più grande della creazione che ha messo l'essere al posto del nulla.
Neppure Dio avrebbe avuto la forza d'iniziare la strada che va da bereshit all'amen se l'avesse conosciuta.
Si deve credere nei segni, per rischioso che sia, e se non vediamo segni nella nostra vita allora vuol dire che per noi Dio non c'è.
Tutto ciò che accade è voluto, o almeno permesso, da Dio, dunque tutto è in definitiva bene. Questa è la più sottile tentazione del credente. Il non credente elude lo scandalo del male togliendo il riferimento al perfetto bene; e il credente fa la stessa cosa giustificando tutto come opera di Dio. Giusto, e disperante, sarebbe tener fermo, insieme, che il mondo è orribile e che il Dio onnipotente che l'ha creato è perfettamente buono.
Voler soffrire per chi si ama è una sublimità che nasce dall'eccesso del male, dal trionfo del dolore e della morte.
Volere il regno è un segno di debolezza e d'incapacità di vivere. Se non fossimo deboli e incapaci non avremmo bisogno di essere salvati.
Certo non la pietà, non l'umiltà, non l'ingenuità, non la debolezza possono salvarci, ma forse il disporsi con orrore a povere, sconfitte e disperate cose come queste.
Come le molte e complicate leggi in politica, così i molti e complicati libri sono segni indiscutibili di decadenza.
Dove non ci sono domande è inutile mettere risposte, ma è inutile anche farsi domande quando non si ha più nessuna speranza di pervenire a vere risposte.
Il nichilismo è inseparabile da un grande amore per la vita, perché un grande amore per la vita è inseparabile da una più che disperata delusione.
Il nichilismo l'abbiamo già alle spalle, di fronte abbiamo il nulla.
La forza capace di dire parole vere è la stessa che è necessaria per tacere, per non parlare troppo, per non analizzare interminabilmente, per spezzare il cerchio.
Non è più una lingua quella parlata da chi la considera come il prodotto di una convenzione.
Per salvarci dalla cultura dovremo finalmente avere accesso alla natura: nuovi cieli e nuova terra.
↑ Da Venditori di almanacchi, Corriere della Sera, 2 gennaio 1994.
↑ Da Ma il vero credente è proprio l'ateo, Corriere della Sera, 7 marzo 1995.
↑ Da Religione, rifugio psicologico in quest'epoca priva di fede, Corriere della Sera, 4 gennaio 1994.
1 2 Da Sergio Quinzio, Gustavo Zagrebelsky, Democrazia e Apocalisse, a cura di Maurizio assalto, La Stampa, 28 maggio 1995, p. 21.
↑ Da Il metro della logica non misura la fede, Corriere della Sera, 19 dicembre 1995.
Sergio Quinzio, Dalla gola del leone, Adelphi, Milano, 1993.
Sergio Quinzio, La croce e il nulla, Adelphi.
Sergio Quinzio, Radici ebraiche del moderno, Adelphi, Milano, 1990.