critico cinematografico, critico letterario e giornalista italiano (1909-1976) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Pietro Bianchi (1909 – 1976), critico cinematografico, critico letterario e giornalista italiano.
[Su Domenica d'agosto]Amidei ed Emmer non han mancato certamente di coraggio con il loro film [...]. Si trattava, nella sfera delle pellicole sentimentali, dagli sviluppi convenzionali, previsti [...] di costruire un racconto che [...] si potesse giovare delle "scoperte" di Rossellini, Castellani, De Sica. La nostra attenzione infatti [...] deve indirizzarsi [...] alla qualità generale dell'opera più che a episodi particolari [...]. Domenica d'agosto, pur così difettosa, è pellicola girata anche per un'altra ragione: la spontaneità. Il gran difetto di tanti film intellettuali è infatti la noia, della quale in cotesto film non v'è traccia.[1]
Anatolio Litvak è un regista che proviene da qualche città bassa dell'Europa centrale: che s'è fatta una buona fama dirigendo a Parigi Mayerling con Boyer e la Darrieux e l'Equipaggio con Annabella; e che, sentita a tempo l'aria infida, si è rifugiato a Hollywood, dove ha finito per far brutti film e per sposare la difficile e bruttina come donna, ma simpatica come attrice, Miriam Hopkins.[2]
È il film Stasera ho vinto anch'io che raccomandiamo senza nessuna esitazione ai lettori (ma non alle lettrici) di questo stimato giornale. Se Dio vuole, per una volta tanto siamo sfuggiti per merito di due Roberti, il regista che si chiama Wise e il protagonista che si nomina Ryan, all'ossessione dei colori rosa e azzurro, caratteristici da un po' di tempo di Hollywood.[3]
[Su Due lettere anonime] È [...] inutile aggiungere che il film è estremamente ben fatto, che certe note di cronaca vi sono colte con occhio acuto, che gli attori con quei personaggi, alquanto evanescenti, fan quel che possono e sono bravi. Una lode a parte merita Clara Calamai che c'è ritornata nelle vesti che ci aveva rivelato Ossessione [...]. Chiusa in una interpretazione difficile, in un personaggio che agisce senza chiarezza, essa riesce a riempire con la sua forza di illusione le parti in cui compare [...].[4]
È stata un'ottima idea quella di ricordarsi, come han fatto gli autori del film italiano La peccatrice, di quella parte non spregevole (anzi in qualche caso assai grata al ricordo) della nostra vecchia produzione, che si ispirava al verismo degli scrittori del mezzogiorno Verga e Capuana. Dopo tanti mediocri racconti di casi che vivevano soltanto nella luce dell'astrazione e della praticità, il racconto tolto da una tranche de vie offriva più di una probabilità favorevole. In un clima italiano di scale meridionali, di piazzette e porti di paese, Paola Barbara porta una dolente umanità di donna colpita nel centro della sua vita morale.[5]
[Su Tormento] È un dramma popolare che piacerà imensamente in periferia [...]. È interpretato da Nazzari e da Yvonne Sanson. La famosa attrice fa sforzi eroici [...] per mettere un po' di verosimiglianza in un polpettone che ci è apparso fantastico come un romanzo di Jules Verne [...].[6]
È una vecchia osservazione che gli attori di varietà riescono meglio nel cinema che i loro colleghi della prosa. È chiaro il perché. Meno legati a una illustre tradizione oratoria, più spontanei, più "mimi" (anche Chaplin viene dal varietà) i Macario, i Totò, i Fabrizi non sentono alcuna soggezione dalla macchina da presa. Aldo Fabrizi ha fatto con il film Avanti c'è posto un ottimo ingresso nel cinema. Se gli taglieranno sempre parti come questa, se si accontenterà di parti non da protagonista (l'esempio di Riento è, nella stessa pellicola, parlante), se si modererà un poco, Fabrizi è sicuro di una popolarità solida e continua. Ma questo piccolo film si raccomanda per altre qualità. L'unione di due sceneggiatori di avanguardia, Zavattini e Tellini, e di un vecchio direttore artistico come Bonnard, ha dato un frutto piccolo sì, ma molto saporoso. [...] Il merito di questo piccolo film è di essere una storia "vera", non della verità oggettiva che non esiste; pieno invece di quella coerenza psicologica, di quella puntuale osservazione dei piccoli fatti, delle verità ambientali che sono necessarissime in questi piccoli racconti fatti di niente. È curioso che Bonnard a contatto con due scrittori intellettuali e di un vecchio lupo del varietà abbia fornito il miglior film della sua lunga carriera. Curioso, ma fino a un certo punto. Infatti si è dimenticato troppo, nell'industria cinematografica, che l'ingegno vale più dei quattrini; che due ragazzi di buona fede, come Checchi e la piccola Adriana Benetti, contano più, al fisico e al metafisico, dei divi prestanti con testa vuota. In fondo, a pensarci bene, questa dovrebbe essere la nostra strada cinematografica.[7]
I nostri lettori sono certi almeno di una cosa nei nostri riguardi: che adoriamo il film "giallo". Ma il film "giallo" dev'essere bello, dev'essere intelligente, scoppiettante di trovate e di humor. Senza essere un capolavoro, Situazione pericolosa risponde a molte di queste esigenze. C'è la grande città con tutti i suoi segreti dai cinemini per coppie clandestine alle biblioteche, dai quartieri popolari ai night clubs.[8]
Il terrore corre sul filo è firmato dal responsabile de La fossa dei serpenti, il lituano Anatolio Litvak. Ne è protagonista Barbara Stanwyck, l'unica "vecchia" di Hollywood che non ci faccia rimpiangere le attrici più giovani, al fisico e al morale.[9]
In una settimana ricca di delusioni cinematografiche, scegliamo di intrattenerci sul film Fuga a due voci perché si presta meglio degli altri ad un discorsetto basato su idee generali. È noto che il cinema è in questo momento il dominatore assoluto del divertimento collettivo. Ha assorbito generi un tempo trionfanti come la letteratura popolare ed il romanzo di appendice (a riprova basti notare che un grande giornale di Roma ha iniziato un racconto in continuazione non a firma di questo o di quello, ma addirittura di Enrico Pea, uno degli scrittori più difficili e meno popolari della letteratura contemporanea); ha ereditato, anche, il cinema, il pubblico che una volta andava al teatro di prosa, cosicché quest'ultimo, malgrado gli arrischiati tentativi di alcuni teorici, è ormai un teatro per pochi.[10]
L'ultimo film di BlasettiLa cena delle beffe si presta a considerazioni di vario genere. Prima di tutto sembra ormai assodato che Blasetti riesce meglio nei film in costume che in quelli in panni moderni. Si vede che la sua anima male si adatta alla squallida vita borghese.[11]
Pieni di assurde speranze (perché sapevamo il film vecchio, perché la stagione trionfante della grande estate mediterranea non è favorevole ai film, e perché non ci fidavamo del regista) siamo andati a vedere Le cinque schiave, film americano che contava fra gli interpreti due nostre preferenze cinematografiche, Bette Davis e Humphrey Bogart. Ci è andata male, peggio per noi. In mano a un eccellente regista francese il film avrebbe potuto essere una di quelle tranches de vie che fanno epoca nella storia cinematografica.[12]
[Su Luce nelle tenebre] Quante sono le commedie, i film, i romanzi che trattan di ciechi che ricuperano la vista negli ultimi minuti? Legioni! In questo nuovissimo film di Mario Mattoli l'ingegnere Alberto (Fosco Giachetti) si innamora di Clara (Clara Calamai) che ha una sorella, Marina (Alida Valli). Clara è una ragazza leggera. Mentre l'ingegnere è nel Turkestan per rilievi minerari Clara fugge con un violinista dalla faccia di gangster. Ma l'Amore veglia. Perché la sorella Marina, che è innamorata cotta dell' eventuale cognato, approfitta della cecità sopravvenuta di costui (ad opera di certi felloni) per mettersi al posto della sorella.[13]
[Su Biraghin] Tra le molte cose che c'erano antipatiche una volta in Italia annoveravamo la commedia "Biraghin" e l'attrice Lilia Silvi. L'ironico destino, ha voluto che si unisssero insieme. Il tutto appartiene a quella vecchia Italia, che si sperava non diciamo affossata per sempre, ma insomma messa un pochettino da canto. E invece quest'Italia ritorna.[14]
↑ Da Candido, 11 giugno 1950; citato in Domenica d'agosto, cinematografo.it.