giornalista e scrittrice italiana Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Natalia Aspesi (1929 – vivente), giornalista e scrittrice italiana.
Citazioni in ordine temporale.
Romeo Gigli, 37 anni, definito con affetto, per la sua scontrosa mancanza di esibizionismo, timida mammola. Le sue modelle predilette, bambine sui quattordici anni che ostentano sperdimento, fragilità e mal curata scoliosi, non sembrano più uscire, nell’arruffio dei loro panni attorcigliati attorno allo scheletrino, da un tentativo di brutalizzazione, ma piuttosto avviarsi nei loro scialletti cadaverici e negli stivaletti da ergastolana, verso il patibolo: abbigliate come Luisa Sanfelice in carcere, gonna lunga e rigonfia sui fianchi, di tela di lana, color umida cella, oppure simili ad Anna Bolena, spogliata di ori e rasi e rivestita da un mortificante eppure eccitante abitino nero incollato sul piatto corpicino, il collo pronto alla decapitazione che sbuca da un minuscolo volant di pizzo nero.[1] Il nuovo astro della mortificazione, che piace sia alle giovanissime miliardarie cui è antipatica la haute couture sia alle fotografe di mezza età magari culone ma ansiose di intellettualizzarsi almeno con il vestito, ha avuto molto successo anche disegnando la collezione Callaghan.[2]
[Su Giuseppe Pino] Girovago, solitario, chiuso in sé, senza amore per il denaro e per tutto quello che può rappresentare, Pino dice di amare il suo lavoro per il piacere che gli procura: non gli interessa il guadagno, ma fare solo ciò che gli piace. Però è convinto che prima o poi arriverà anche il denaro, magari molto, ma sempre facendo solo quello che gli dà gioia: come il ritratto del compositore John Cage, spettinato e dissennato; o quello dello stilista Giorgio Armani, stanco e con la barba lunga, tra le dita un grosso ago per cucire; o del sovrintendente di Brera Carlo Bertelli che si tiene la testa tra le mani sotto una grande Madonna circondata da Santi; o del pittore Roy Lichtenstein, che si affaccia da dietro un suo grande quadro e sembra una dama stupefatta e ansiosa; o del vecchio miliardario americano Malcom Forbes, vestito da motociclista, seduto con potere sul casco, davanti alla sua possente moto, come fosse una poltrona presidenziale, un ombrello tenuto aperto da una provvida mano sopra la sua testa, per proteggerlo regalmente dalla pioggia.[3]
Nei processi per stupro c'è sempre un ragionevole, o irragionevole dubbio, attorno alla figura della vittima. È vero che da anni ormai, ma neanche poi tanti, non c'è più avvocato difensore dei presunti violentatori, che chiami la donna accusatrice imputata, con un lapsus davvero rivelatore, o la descriva come massima seduttrice di poveri giovani, Messalina che dopo aver goduto dell'amplesso, insistentemente preteso, si vendica e inventa una inesistente violenza. [...] per affrontarlo una donna deve avere molto coraggio, che la versione della vittima sia ritenuta poco credibile, se non porta sul corpo i segni di una violenza selvaggia. Per anni, la sola violentata commiserata, è stata quella che, come Maria Goretti, nell'incontro sfortunato con un maniaco omicida, pur di salvare l'onore, e possibilmente la verginità, si lasciava sgozzare o strangolare, rassettandosi le vesti, come le martiri cristiane più scriteriate.[4]
Busi ha umiliato chi si aspettava di vederlo vestito di rosa e con un lavoro all'uncinetto tra le mani, comportandosi come un fiero gentiluomo, un intellettuale offeso, uno scrittore integro, senza padrini o protettori.[5][6]
Dopo tanti manuali, e galatei, trattati e saggi sulle donne e le loro infelicità, incontinenze, sogni, errori, sconfitte, prevaricazioni, vite da manager e da casalinga, ugualmente frustrate al lavandino o alla scrivania, quello di Busi è forse il primo, dopo quello vecchio di quasi cinque secoli di Castiglione, che pare davvero conoscere le donne, spronandole a non essere più solo delle liberte, ma delle donne libere.[7]
Di notte [Aldo Busi] leggeva, studiava, scriveva: «Alla Siemens di Monaco facevo il magazziniere e raccoglievo l'immondizia, mi davano due ore di libertà e io mi chiudevo nel cesso a studiare: la mia cultura nasce dagli odori delle deiezioni». Così Busi ha imparato perfettamente inglese, francese, tedesco, tanto da diventare interprete anche di quel venditore di collant, il grasso Lometto di Vita standard di un venditore provvisorio di collant, che già nell'85 prefigurava l'ascesa di personaggi berlusconiani e bossiani. Finalmente, a 28 anni prende a Firenze il diploma di puericultrice, e nell'81, a 33, si laurea a Verona in lingue e letterature straniere con una tesi sul poeta americano John Ashbery, anche lì un dispetto, perché in tanti tra gli intellettuali d'epoca non sapevano chi fosse.[8]
Seminario sulla gioventù allora era intitolato Il Monoclino e l'editore lesse quasi tutte le 500 pagine fitte, «stupefatto di trovarmi davanti ogni tanto, nella farragine indescrivibile di quella colata di parole, una pagina perfetta, magistrale». Era il 1965 e le pagine magistrali con tutto il resto furono pubblicate nel 1984, proprio dall'Adelphi, ma intanto erano passati 19 anni, e la vita si era accumulata, con tutto il suo patire, su quello che da grazioso giovinetto capace di rossore, concupito da commesse e professionisti, si era trasformato in un bell'uomo di 36 anni che ne aveva visti di ogni colore in mezzo mondo [...].[8]
[Sul film Pranzo di Ferragosto] [...] pieno di tenerezza, poesia e intelligenza, commovente e divertente.[9]
[...] se non è un Maestro, se non è azzerato dalla senilità, se si comporta come è sempre stato, solo con più anni, il vecchio, meglio il vecchietto, ha diritto a un solo aggettivo, appunto "arzillo". [...] Entrando nella vecchiaia, le persone qualsiasi non hanno diritto alla loro identità, ma a una comune condizione di antipatica sopravvivenza, l'arzillità.[10]
Trump non paga le tasse come tutti vorrebbero poter fare; Trump non è solo ricco, ma esibisce la sua ricchezza più dello stesso nostro finto ricco Briatore; Trump non si vergogna di avere i rubinetti similoro nei bagni del suo enorme aereo privato; Trump ha a New York il più orribile immenso appartamento che incubo umano possa realizzare e che pure aleggia nel desiderante immaginario popolare, una finta Versailles ma tutta d’oro, marmo e cristalli e colonne corinzio-barocche, finti Renoir, finte poltrone Luigi XIV; fontane zampillanti nei tanti saloni, persino un pianoforte a coda bianco tipo Liberace.[11]
Signore state in guardia, soprattutto se siete videogeniche e attorno ai 40. I maschi come sempre tramano contro di voi, e qualche ingenua ci è già cascata. All’erta, all’erta! Se per caso simpatizzate stoltamente per un partito o movimento o ancor peggio vi fate parte, oppure se un vicino di casa, un parente, il vostro salumaio, il compagno di università di vostra figlia, o addirittura un pezzo grosso della politica, vi stanno circuendo, lusingando, muratevi in casa, oppure fuggite in chador dove alle donne è proibito anche guidare la macchina. Che libertà! In ogni caso siate furbe e forti, lo siete sempre state nei secoli, per salvarvi. Sappiate dire fermamente di no con la scusa che essendo donne, non meritate simili onori né sareste in grado di esercitarli: parlamentare, governatore, sindaco, ministro, sottosegretario, addirittura premier o capo di Stato? No grazie, sbrigatevela da voi, uomini di potere, il casino è vostro...[12]
Chi se la prende con il Gay Pride, un solo giorno all'anno di festa vistosa in varie città, in realtà ha trovato il modo meno razzista di esprimere il suo rifiuto degli omosessuali: forse un po' se ne vergogna, e quindi si limita a esprimere il suo dissenso per quella che viene definita una carnevalata. In più può essere che l'idea che gli omosessuali non vivano nella vergogna e nella sofferenza, defilati e emarginati, ma siano talvolta allegrissimi, non gli piace per niente. Resta un mio problema: quello di non aver mai capito perché ancora oggi l'esistenza degli omosessuali crei problemi. Non penso per ragioni sessuali, visto che le coppie etero che non siano estremamente pie ed esclusivamente riproduttive a letto fanno più o meno le stesse cose e con il medesimo entusiasmo, quando c’è. Non voglio che mi accusino di essere una vecchia, anzi una vecchietta come giustamente e simpaticamente mi chiama il signor Gianluca, sporcacciona, tanto più che in queste due paginette si parla di cuore. Ma insomma, la vita è così e anche l'amore.[13]
Provo tale disgusto e sbigottimento per la condizione del nostro Paese che la mia unica consolazione è pensare:per fortuna quando ci sarà di nuovo il fascismo io non ci sarò.[14]
Io ho vissuto il fascismo in una famiglia modestissima e non so per quale ragione antifascista. Ricordo mia madre maestra elementare che ascoltava Radio Londra con una coperta in testa per non farsi sentire dai vicini. E alla cerimonia del sabato mi mandava con le scarpe marroni per rovinare la sfilata. Tutte stupidaggini che però fanno capire l’atmosfera che respiravo in casa.[14]
[Su Il Signore degli Anelli] [...] famosa saga fantasy, un po’ naziskin, scritta dal filologo inglese J.R. Tolkien che, data la sua passione per la mitologia celtica, entrerà certamente nelle scuole formigonbossiane della Lombardia come testo base di storia patria.[15]
Intervista di Giuseppe Fantasia, Huffingtonpost.it, 26 aprile 2020.
[«È vero che con l'avanzare dell'età si diventa più cattivi?»] È verissimo. Viviamo nell'ipocrisia da secoli. Il vecchietto buono è una vipera che in realtà vorrebbe vedere tutti morti attorno a sé tranne lui. Noi anziani siamo cattivi perché non abbiamo più vita. Siamo qua, ma senza vita. Dobbiamo essere anche buoni? È impossibile. La bontà dei vecchietti è un'invenzione. Facciamo finta, è ovvio, ma sotto sotto siamo crudelissimi.
Io non giudico nessuno della Lega, perché li considero la rovina del nostro Paese. Non li ascolto, non li sento, non mi importa di loro, però vinceranno sicuramente le prossime elezioni. A quel punto, spero di essere morta, sennò pazienza, tanto io sarò chiusa in casa. Sono molto triste, ma l'Italia vuole quello, non vuole la libertà, vuole essere comandata e così l'italiano che vuole sempre uno che risolva per tutti, non vuole preoccupazioni e vuole essere mantenuto... quindi va benissimo la Lega per gli italiani. Per me no, ma infatti io non conto.
L'unica cosa che oggi davvero mi interessa non riguarda me, perché ormai sono mezza andata, ma proprio il mio Paese: vorrei che la gente fosse libera e intelligente, che sapesse cosa dice, cosa fa, capisse. Seguendo Facebook — perché sì, sono su Facebook — vedo che la gente non sa niente, non ha letto nulla e mi chiedo cosa ha fatto la scuola. Che brutto non sapere nulla, fidarsi dei cretini che ci propinano stupidaggini. Chiunque mi conosce sa che io non ho studiato, non ho fatto neanche il liceo. Ho avuto comunque un'adolescenza in tempi in cui l'unico divertimento era leggere, per cui per me leggere è stata la fonte della vita e lo è tutt'ora. Leggere non i romanzetti, ma le cose che ti fanno capire cos'è l'umano o perché la storia è andata così, perché sono successe certe cose... secondo me è indispensabile, il resto non importa se non c'è cultura.
↑ Il riferimento è alla collezione autunno/inverno 1988-89, in passerella nel 1987.
↑ Da La Repubblica, 14 marzo 1987; citato in Andrea Batilla, La lingua perduta della moda, Il Post.it, 17 febbraio 2024.
↑ Da A caccia di attimi di "sincerità", in I grandi fotografi. Giuseppe Pino, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano, 1983, p. 6.
↑ Il commento fa riferimento all'udienza del 13 marzo 1990 presso il tribunale di Trento, ove Busi comparve imputato «per oscenità» in Sodomie in corpo 11. Busi si presentò in aula vestito di smoking nero, «perché questo è il mio ballo delle debuttanti».
↑ Dal quotidiano Repubblica, 14 marzo 1990; citato nella postfazione di Carmen Covito a: Aldo Busi, Sodomie in corpo 11, Oscar Mondadori, 1992.
↑ Da Chi rifiuta il gay pride rifiuta i gay. Soprattutto se allegri., rubrica Questioni di cuore, Il Venerdì, 6 ottobre 2017.
1 2 Da intervista di Simonetta Fiori, Natalia Aspesi "Per favore non fatemi gli auguri", la Repubblica, 23 giugno 2019, p. 36.
↑ N. Aspesi, "L'invasione degli hobbit", ne «La Repubblica», 11 maggio 2001, citato in: Claudio Bonvecchio, La filosofia del signore degli anelli. Mimesis Edizioni, 2019