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scrittrice, glottoteta e curatrice editoriale statunitense Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Marion Zimmer Bradley (1930 – 1999), scrittrice e glottoteta statunitense. Ha inoltre utilizzato gli pseudonimi Miriam Gardner, Lee Chapman, Morgan Ives, e John Dexter.
PARLA MORGANA: Il popolo di Avalon porta i suoi crucci, grandi e piccoli, alla sua Signora. Stamane i druidi sono venuti a dirmi che c'è stata una frana nel passaggio che dal loro Tempio conduce alla stanza che contiene la Pietra Omphalos e non sanno come ripararlo. Sono rimasti in pochi, ora, e quasi tutti sono vecchi; molti di coloro che avrebbero potuto rinnovare l'Ordine sono stati uccisi nelle guerre con i sassoni o hanno seguito i monaci che accudiscono la cappella cristiana che si trova sull'altra Avalon.
Nel tuono c'era qualcosa di innaturale.
Donal non avrebbe saputo esprimerlo in modo diverso: Qualcosa di innaturale. Era piena estate nelle montagne chiamate gli Hellers, e in quella stagione non si prevedevano tempeste, a parte le tormente di neve che velavano le cime lontane, al di sopra della zona degli alberi; solo nelle colline ai loro piedi, qualche raro e violento temporale percuoteva le valli, lasciando sulla scia dei suoi lampi molti tronchi spezzati e talvolta un incendio.
Volavamo più veloci della notte.
Quando la Croce del Sud era atterrata su Darkover, sul campo di atterraggio di New Chicago era ancora buio, e io, non appena sceso dall'astronave, mi ero subito imbarcato sull'aereo navetta che doveva portarmi a Thendara. Ora, volando verso la linea dell'alba, l'aria davanti all'aereo cominciava a rischiararsi alle prime luci dell'aurora.
[Marion Zimmer Bradley, La Spada di Aldones, traduzione di Riccardo Valla, Tea, 1994]
Damon Ridenow cavalcava attraverso un territorio purificato.
Per gran parte dell'anno, il grande altopiano delle Colline di Kilghard era rimasto sotto l'influenza malefica degli uomini-felini. Le messi intristivano nei campi, sotto l'oscurità innaturale che cancellava la luce del sole; la povera gente della zona stava rintanata nelle case, senza osare avventurarsi nella campagna devastata.
Uno scalpiccio di sandali sul pavimento di pietra distolse l'attenzione di Rajasta, Sacerdote della Luce, dalla pergamena srotolata sulle sue ginocchia. Di solito a quell'ora la biblioteca del Tempio era deserta, e Rajasta aveva finito per considerare un suo personale privilegio poter studiare lì ogni giorno indisturbato. Corrugò appena la fronte – non d'irritazione, che la collera non gli era concessa –, ma in segno di fastidio per il disturbo arrecato alla sua concentrazione.
PARLA MORGANA: Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute. Ma credo che saranno i cristiani a narrare l'ultima storia. Il mondo della Magia si allontana sempre di più dal mondo dove regna il Cristo. Non ho nulla contro di lui, ma solo contro i suoi preti che negano il potere della Grande Dea oppure l'avvolgono nella veste azzurra della Signora di Nazareth e affermano che era vergine. Ma che cosa può sapere una vergine delle sofferenze dell'umanità?
Herm Aldaran si svegliò di soprassalto, madido di sudore e con il cuore che gli martellava nel petto. Boccheggiando in cerca d'aria, con la testa che gli pulsava, lottò per liberarsi delle coperte. Rimase seduto, battendo le palpebre nella luce fioca proveniente dal soggiorno del piccolo appartamento. Un saporaccio di ferro gli impastava la bocca riarsa e i piedi sembravano elementi estranei, scollegati dal suo corpo. Sull'ampio petto la camicia da notte era fradicia di sudore, ma una manica era ancora abbastanza asciutta perché vi si potesse asciugare la fronte. Si alzò, la stanza prese a roteare e lui fu quasi costretto a sedersi di nuovo.
Amavo Colin MacLaren? È una domanda strana, ma immagino che sorga spontanea a chi conosce le nostre vicende e le ha a cuore. Certamente è stato l'unica costante della mia vita, ed è sopravvissuto ai cambiamenti di lavoro, di residenza e anche al mio amato Peter.
Il mio primo incontro con Colin avvenne quando ero poco più che adolescente; affrontavo per la prima volta da sola un mondo che dagli anni Sessanta ha subito tali e tanti cambiamenti da fare apparire quell'epoca come un paese straniero a un giovane di oggi. Era un mondo in cui le donne sapevano qual era il loro posto e vi restavano, nella maggior parte dei casi; un mondo in cui il progresso era inevitabile e ogni cambiamento era considerato con ottimismo.
La targa sulla porta, in piccole lettere dorate, diceva JAMES C. MELFORD, DIRETTORE. La ragazza quasi graziosa alla reception sorrise, premette un tasto e mormorò: «Signor Melford? Può ricevere il signor Cannon per qualche minuto?» Ascoltò per un istante, poi il viso le si illuminò di un nuovo sorriso, appena più cordiale del precedente, mentre annunciava: «Si sieda, signor Cannon. Il signor Melford sarà da lei tra un momento».
Sugli Hellers infuriava la tempesta: i lampi squarciavano ininterrottamente il cielo, il rombo del tuono echeggiava lungo le valli. Di tanto in tanto, fra le nubi spinte dal vento, comparivano macchie sfilacciate di cielo livido, ancora illuminate dagli ultimi raggi del sole rosso ed enorme; vicino alle cime appuntite dei più alti picchi, affiorava momentaneamente una falce di luna azzurrina.
Quel frammento di luce fisso nel cielo sembrava lì da lungo tempo.
Dane Marsh – in calzoni corti e con una camicia sbottonata sul torace abbronzato – se ne stava sdraiato sulla prua della Seadrift e guardava quel punto luminoso immobile. Il riflesso del sole sull'ala di un aereo pensò. Un segno di vita, il primo da giorni. Di vita umana, cioè... Però siamo fuori dalle rotte aeree abituali e lontani da quelle marittime. L'ultima nave l'ho vista diciannove giorni fa, una petroliera.
Si chiese se quello fosse davvero un jet.
Dagli alti picchi sopra di noi giunse il grido di un grosso rapace.
Mi voltai verso Andy, immerso fino alle ginocchia nell'acqua gelida accanto a me. «Ecco la tua aquila; probabilmente ha sentito l'odore del coguaro che abbiamo ucciso ieri.» Cominciai a riavvolgere la lenza, sapendo già quale sarebbe stata la prossima mossa di mio fratello. «Prendi la macchina fotografica, cercheremo di scattare una fotografia.»
«No, Rellin!»
Il grido lacerò il silenzio, e mi svegliai.
Mi sollevai a sedere, sbattei le palpebre e il dolore mi trafisse il cervello con la stessa violenza del grido. Mi sembrò che la mia testa fosse diventata enorme e se ne stesse posata in precario equilibrio sulle spalle. Mi affrettai a riappoggiare l'ingombrante appendice sul cuscino, poi socchiusi gli occhi.
Anonima Distruttori non era il suo vero nome, e quegli uomini non la chiamavano così, quando ne parlavano ad alta voce. Ma il soprannome corrispondeva alla verità, e quegli uomini non potevano fare a meno di pensarlo, mentre passavano da un ascensore all'altro, nel lungo tragitto fino al piano più alto del grattacielo.
Gli uomini erano due: uno alto e uno basso di statura, ed entrambi avevano quel tipo di faccia che si guarda e si dimentica immediatamente. La faccia che dovrebbe avere ogni buon poliziotto, detective privato e agente segreto. I prodigi della chirurgia estetica venivano in genere utilizzati per rendere belle le persone; ma un osservatore attento avrebbe capito che il bisturi era stato usato anche su quei volti, per togliervi ogni traccia di individualità.
Paul Harrell si destò, confuso e ancora semiaddormentato, con la convinzione di uscire da un'intera serie di incubi. Gli facevano male tutti i muscoli, nessuno eccettuato, e aveva un mal di testa monumentale. Ricordava vagamente un uomo con la sua stessa faccia e la sua stessa voce, che gli chiedeva:
«Maledizione, chi sei? Il diavolo?»
Barron radunò coscienziosamente tutto il suo equipaggiamento, le uniformi di ricambio, i ricordi dei pianeti dove era stato assegnato, e li infilò in una sacca di tela pesante. Tirò la lampo, strinse le cinghie, e per darsi un'aria decisa, quando ebbe terminato, disse a voce alta, senza parlare a nessuno in particolare: «Benissimo; anche questa è fatta. Adesso, possono andarsene al diavolo tutti quanti!»
Esili fili di nebbia grigia si rincorrevano in strada; sembrava che le nubi poggiassero sulla sommità delle Twin Peaks, e la torre della TV, simile a un imponente gigante che avanzava a grandi falcate come Orione, immerso nella foschia fino alle ginocchia, troneggiava sulle colline di San Francisco. Tracce di vapore bianco si infiltravano a tradimento nel giardino, un piccolo quadrato di prato costeggiato da foglie appuntite, verdi e grigie, di erbe aromatiche. Un limone, con i fiori dal profumo pungente e i frutti gialli annidati tra le lucide foglie verde scuro, cresceva addossato a un muro, e la mescolanza di aromi dolci e medicamentosi di fiori ed erbe entrava dalla finestra insieme alla nebbia.
Quando i cavalieri giunsero al passo che portava giù verso Thendara, poterono spaziare con lo sguardo oltre la vecchia città, fino allo spazioporto terrestre. Enorme ed esteso, sgradevole e bizzarro ai loro occhi, si tendeva sotto di loro come una strana vegetazione. E tutto intorno lo cingevano, come una scabbia, gli edifici ammassati della Città Commerciale, sorta tra la vecchia Thendara e lo spazioporto.
Leonie Hastur era morta.
La vecchia Sapiente che il popolo chiamava "la Strega dei Comyn" — la Guardiana della Torre di Arilinn, una lettrice del pensiero addestrata in tutti i poteri della scienza delle matrici di Darkover — era morta com'era sempre vissuta: sola, chiusa negli ultimi piani della sua Torre, e neppure la sua apprendista, Janine Leynier di Storn, avrebbe saputo dire il momento esatto in cui la morte era entrata tranquillamente nell'alto edificio bianco e se l'era portata via, per condurla forse in uno di quei mondi spirituali dove Leonie sapeva muoversi con la stessa familiarità con cui si muoveva nel giardino-serra dei suoi appartamenti.
Era la patria dei miei antenati.
Ma adesso sapevo che non sarebbe mai stata la mia patria.
Mi dolevano gli occhi mentre guardavo l'orizzonte dove sprofondava il sole... uno strano sole giallo e non rosso come dev'essere un sole, un sole abbagliante che mi feriva gli occhi. Ma ora, per un momento, poco prima del crepuscolo divenne all'improvviso rosso ed enorme, tramontando dietro il lago in un fulgore cremisi che mi riempiva il cuore di nostalgia... Rimasi a guardare fino a quando gli ultimi bagliori cremisi scomparvero, e sulla distesa del lago, pallida e argentea, la luna solitaria della Terra apparve in un'esile falce elegante.
Cameron Fenton cominciava a innervosirsi. La stanza era bianchissima e asettica come quella di un ospedale, e c'era un vago ma pungente odore di disinfettanti e medicinali. I preparativi erano snervanti. Cameron non si aspettava che fosse proprio così... la stanza candida e sterile, i camici bianchi, il letto alto e rigido da ospedale. Il Dr. Garnock gli volgeva le spalle, e Fenton guardava con disagio verso la porta.
Avrebbe potuto alzarsi e andarsene in qualunque momento.
Perché diavolo mi sono ficcato in questa storia?
Curiosità, si rispose. Curiosità, la solita vecchia storia.
A partire da questo giorno, io rinuncio al diritto di sposarmi se non come libera compagna. Nessun uomo mi legherà di catenas, e non vivrò nella casa di nessun uomo come barragana.
Giuro di essere pronta a difendermi con la forza se verrò attaccata con la forza, e di non rivolgermi a nessun uomo per chiedere protezione.
A partire da questo giorno, giuro che non sarò mai più conosciuta con il nome di un uomo, sia esso padre, tutore, amante o marito, ma semplicemente ed esclusivamente quale figlia di mia madre.
Il messaggero era una donna e indossava abiti darkovani, ma non era nativa di Darkover, e non era abituata a trovarsi nelle strade di Thendara all'approssimarsi della notte. Si muoveva con timore che scendesse il buio e, per rassicurarsi, continuava a ripetersi quello che le avevano insegnato: nessuno molestava le donne che camminavano in fretta, con l'aria di chi sa dove andare. Per evitare brutti incontri, bisognava non fermarsi, non rallentare mai il passo.
La Torre di Noth, di pietra, si ergeva solitaria, circondata da arbusti ormai morenti. La poca acqua che ancora restava nel fossato era coperta da un velo di schiuma stagnante, e un odore di morte si diffondeva nell'aria. La giovane attraversò di corsa il ponte levatoio, superò il cortile e il giardino e giunse così nella camera dell'Arcimaga: qui, dinanzi ai suoi occhi, l'anziana donna morì e il suo corpo si fece polvere. Mentre la fanciulla rimaneva immobile, sbigottita di fronte al prodigio, tutt'intorno a lei la Torre stessa si ridusse a un mucchio di polvere che venne spazzata via. Non rimase che il mantello bianco dell'Arcimaga...
Nella cappella di Castel Comyn regnava il silenzio; attorno a lei, solo i dipinti di Hastur, Cassilda e Camilla, ritratti nello stile antico: Camilla con le braccia piene dei frutti dell'estate; Cassilda con il fiorstellato in mano; Hastur, silenzioso e immobile di fronte alle due donne, indifferente quanto Gabriel sul suo feretro, davanti a lei. Il corpo era coperto da pesanti drappi di velluto nei colori degli Aillard, grigio e cremisi. Rohana in quel momento non riusciva a ricordare altro che gli abiti di seta degli stessi colori distesi sul suo letto da ragazza il giorno del loro matrimonio.
Romilda era talmente stanca da non riuscire a stare in piedi. Le scuderie erano buie: l'unica illuminazione era fornita da una lanterna accuratamente schermata che pendeva da una trave. Ma gli occhi del falco erano lucenti, indomiti e pieni di rabbia come sempre. No, si corresse la ragazza; non solo rabbia, ma terrore.
Ha paura. Non mi odia; è solo terrorizzato.
Hilary Castamir cavalcava a capo chino, il mantello strettamente avvolto attorno al corpo e il cappuccio calato a celarle il viso. Non si voltò per guardare un'ultima volta Arilinn.
Aveva fallito...
Mai dunque sarebbe stata conosciuta come Hilary di Arilinn, né sarebbe invecchiata servendo la più antica e prestigiosa delle Torri dei Sette Domini; Custode di Arilinn, riverita, idolatrata. Mai più, ora. Lei aveva fallito, fallito...
Col tramonto, un vento disteso si era levato dal mare. Era la stagione in cui i contadini bruciavano le stoppie nei campi, ma nel cielo, dal quale il vento aveva spazzato la bruma, splendeva bianca la Via Lattea. Il Merlino di Britannia sedeva sulla Rupe della Sentinella, in cima al Tor, con gli occhi fissi sulle stelle. Anche se dominava il suo sguardo, la magnificenza del firmamento non assorbiva tutta la sua attenzione, perché l'udito era intento a cogliere ogni suono proveniente dalla dimora della Somma Sacerdotessa, sul pendio sottostante.
Nel mondo della razza umana le maree del potere stanno cambiando. Per me le stagioni degli uomini arrivano e passano nell'arco di pochi istanti, ma a volte qualcosa in esse attrae la mia attenzione.
I mortali affermano che nel mondo dei Faerie non cambia mai nulla, ma non è così. Ci sono luoghi dove i mondi sono vicini fra loro come le pieghe di una coperta, e uno di essi è il luogo che gli uomini chiamano Avalon. Quando le madri della razza umana sono giunte per la prima volta in queste terre, il mio popolo, che non aveva mai avuto un corpo, si è dato una forma a loro somiglianza; esse hanno eretto le loro case su pali al limitare del lago e cacciato nelle paludi, e noi abbiamo camminato e giocato con loro, perché quello era il mattino del mondo.
I pensieri sono cose. Qualunque pensiero che agiti l'etere, muove tutti gli atomi e l'impronta di quel pensiero lascia una traccia eterna nel tessuto dell'universo. Tutto ciò che desideriamo con sincerità nel nostro cuore, si imprime nel tempo e nello spazio con tanta forza, che senza fallo si avvererà. Perciò, fratelli miei, fate attenzione a ciò che implorate, perché inevitabilmente lo avrete e non potrete sfuggirvi né con il tempo né per tutta l'eternità.
Da Il Libro delle Afflizioni Monastero di Nevarsin
Aveva seguito un sogno che lo aveva portato lì a morire. Cosciente per metà, giaceva sulle rocce e sul muschio sottile del crepaccio montano: nel suo stato di torpore, gli sembrava che la ragazza vista in quel sogno precedente gli stesse di fronte. Dovresti ridere, disse Andrew Carr al volto immaginario di lei. Se non fosse per te avrei ormai attraversato metà della galassia.
Non starei disteso qui mezzo morto su un grumo di polvere congelato, al limite del nulla.
La pioggia era caduta per tutto il giorno, ora battente, ora ridotta a sprazzi, ma senza cessare mai del tutto. Le donne avevano portato in casa le rocche e i fusi per filare accanto ai focolari, e i bambini stavano acquattati sotto i tetti sporgenti del cortile, e si avventuravano allo scoperto per pochi istanti tra un'acquata e l'altra per sguazzare nelle pozzanghere e lasciare tracce di fango all'interno dell'abitazione. Prima di sera, la più vecchia tra le donne sedute accanto al fuoco cominciava a pensare che sarebbe impazzita per le grida e gli spruzzi, per le cariche dei minuscoli eserciti, il fragore delle spade di legno sugli scudi di legno, i rumori dei giocattoli rotti e i litigi conseguenti, il passaggio di consegne da un comandante all'altro, le urla dei «morenti» e dei «feriti» che venivano esclusi dal gioco.
Quando mi svegliai, pensando di essere solo, ero sdraiato su un divano di pelle in una stanza bianca e spoglia con enormi finestre che alternavano vetri trasparenti a vetri opachi, dietro i quali il profilo delle montagne con le cime innevate diventava un'ombra pallida dai tenui riflessi metallici, glaciali.
La memoria e l'abitudine diedero un nome a tutto ciò che mi circondava: l'ufficio spoglio, il bagliore aranciato del grande sole, le montagne in lontananza. Ma dietro una lucida scrivania di vetro era seduto un uomo che mi guardava fissamente... e quell'uomo io non lo avevo mai visto prima.
Un vento freddo investiva le torce e trasformava le fiamme in code ardenti. La luce irosa brillava sulle acque buie dello stretto e sugli scudi dei legionari che attendevano sull'altra sponda. La Sacerdotessa tossiva per il fumo e la nebbia marina che le penetravano nelle narici e ascoltava i clangori del campo latino che echeggiavano attraverso le acque mentre il comandante romano arringava i suoi uomini. I druidi salmodiavano in risposta, invocando la collera dei cieli, e i tuoni squassavano l'aria.
La casa si chiamava Greyangels. Era stata costruita nell'ultimo periodo della dominazione coloniale e aggiunte successive erano state apportate alla sua struttura nei primi anni di vita della nuova nazione. Vecchi frutteti la circondavano ancora, traccia del suo passato di fattoria; gli alberi centenari avevano perso la capacità di fruttificare ma non quella di produrre un trionfo di fiori all'arrivo di ogni primavera. I giorni in cui la casa dominava su vaste distese di granoturco, campi di zucche e meli accuratamente potati erano terminati da tempo. Ormai restava solo l'edificio.
Il carrello di atterraggio era quasi l'ultima delle loro preoccupazioni, ma rendeva seriamente problematico l'entrare e l'uscire. La grande astronave giaceva inclinata in un angolo di quarantacinque gradi, con le scalette di uscita e gli scivoli che non arrivavano fino al terreno e gli sportelli che non portavano da nessuna parte. Non avevano ancora valutato tutti i danni, non del tutto, ma si stimava che metà degli alloggi dell'equipaggio e tre quarti delle sezioni per passeggeri fossero inabitabili.
La prima considerazione del giovane Larry Montray, nel mettere piede sul mondo di Darkover, fu che non sembrava affatto un pianeta straniero.
Nell'avviarsi verso la lunga scala mobile che portava a terra i passeggeri della grande astronave, Larry cominciò a provare una grande delusione. Darkover. Un mondo che era stato scoperto dall'uomo parecchi millenni prima, ai primordi della grande espansione coloniale, ma di cui, in seguito, si erano perse le tracce, finché non era stato riscoperto nei passati decenni.
Il temporale primaverile, piuttosto anomalo, infieriva sulla vecchia casa con violenza crescente, quasi intendesse partecipare a ciò che accadeva all'interno. I bagliori improvvisi dei fulmini colpivano le sagome nella stanza con un'intensità che ne metteva in risalto i contorni, come se dovessero illuminare la scena per il bisturi di un diabolico chirurgo.
Il potere della Sorgente aumentava intorno a lei, nonostante le spesse mura di pietra che lo avviluppavano. Era tardi, e la montagna sarebbe stata inondata dalla luce lunare se non si fosse scatenato il temporale estivo che stava salendo dal Watchman's Gap, la Gola del Guardiano.
Attie imprecò sottovoce e scosse le porte chiuse a chiave del sanatorio. Come osava Quentin avvicinarsi alla Sorgente e pensare che lei non se ne sarebbe accorta? Certo, poteva perdonargli molte cose, ma non questa. La Sorgente era sua.
«Guarda» esclamò Jaelle sporgendosi dal balcone, «credo che stia arrivando.»
Dama Rohana Ardais, il corpo e il passo appesantiti dalla gravidanza avanzata, si avvicinò alla figlia adottiva e si appoggiò alla balaustra, chinandosi per scrutare oltre le cime degli alberi, al di là della curva della strada che conduceva a Castel Ardais.
I pianeti sono fatti per essere lasciati.
È un vecchio detto degli Esploratori. Ma prima non ci avevo mai creduto, non avevo mai compreso veramente il suo significato.
«Mai più.» Non capisci mai cosa significhi davvero «mai.» È una parola che si usa un sacco di volte, ma significa... significa mai. MAI. Non in tutti i milioni di miliardi di trilioni di...
Calmati, maledizione!
Cominciò a piovere proprio quando la limousine delle pompe funebri uscì dal cimitero, e durante tutto il tragitto verso la città le gocce che si abbattevano con violenza sull'auto e il regolare fruscio dei tergicristalli punteggiarono le mie cupe riflessioni. Una settimana fa eravamo in quattro. Quattro Latimer. Mia madre – Janet Latimer –, fragile e spesso malata, per cui avevo rinunciato all'appassionante attività alla scuola d'arte ed ero tornata a casa a occuparmi di lei; la mamma era stata piena di vita e adorabile, e meritava tutte le attenzioni necessarie per risparmiare al suo cuore delicato ogni sforzo.
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