Jorge Mario Pedro Vargas Llosa (1936 – vivente), scrittore, giornalista, drammaturgo e politico peruviano naturalizzato spagnolo.
Berlusconi, per esempio, è un personaggio caricaturale, un buffone da commedia dell'arte. Io sono un liberale di destra ma non mi sento certo rappresentato da uno come lui, semmai potevo identificarmi nella destra della Thatcher.[1]
Dobbiamo affrontare i Matteo Salvini dei nostri giorni con la convinzione che non sono altro che il prolungamento di una tradizione oscurantista che ha riempito di sangue e cadaveri la storia dell’Occidente e sono stati il nemico più acerrimo della cultura della libertà, dei diritti umani, della democrazia, che non avrebbero potuto prosperare e diffondersi nel mondo se i Torquemada, gli Hitler e i Mussolini avessero vinto la guerra contro gli Alleati.[2]
Il catalanismo è come il richiamo della tribù. Un mondo chimerico, inventato. Io ho vissuto qui cinque anni, alla fine della dittatura. Sono stati i migliori della mia vita. Barcellona era la città più aperta del mondo: cosmopolita, meticcia, curiosa. Gli spagnoli venivano qui per sentirsi in Europa. Giovedì dimostrerete che la Catalogna non è l'incubo anacronistico sognato dai separatisti![3]
Il popolo di Lampedusa ha saputo curare gli immigrati, li ha sfamati mostrando all'Europa intera, l'atteggiamento da avere a chi chiede asilo, invece di pensare che queste persone siano lì per rubare lavoro. È umanità povera quella dei Lampedusani. E merita di ricevere un riconoscimento attraverso un premio solenne. È un atteggiamento esemplare che deve essere mostrato al mondo.[4]
[Riferendosi alla cultura occidentale] Il suo merito più significativo, quello che, forse, costituisce un «unicum» nell'ampio ventaglio delle culture mondiali e che le ha consentito più volte di risorgere dalle proprie rovine quando pareva condannata a morte certa, è stata la capacità di fare autocritica.[5]
La democrazia è un evento che, solitamente, provoca sbadigli nei paesi in cui esiste uno stato di diritto e i cittadini godono di libertà di movimento e d'espressione e d'un sistema giudiziario al quale potersi rivolgere in caso d'aggressione.[5]
La giovane tedesca [Carola Rackete, capitana della nave Sea-Watch 3] ha violato una legge stupida e crudele, secondo le migliori tradizioni dell’Occidente democratico e liberale, agli antipodi delle quali c’è proprio ciò che la Lega e il suo leader, Matteo Salvini, rappresentano: non il rispetto della legalità, ma una caricatura faziosa e razzista dello Stato di diritto. E sono proprio lui e i suoi seguaci (troppo numerosi, tra l’altro, e non solo in Italia, ma in quasi tutta l’Europa) che incarnano i comportamenti selvaggi e la barbarie di cui accusano i migranti. [2]
L'invasione dell'Ucraina è intollerabile, è un abuso imperialista. Dobbiamo protestare e opporci, perché siamo tutti minacciati se il piano di Putin avrà successo.[6]
[Riferendosi a Il pesce nell'acqua del 1993] Quando traduci i fatti in parole, li modifichi: inevitabile. Il narratore ha libertà assoluta quando scrive. È un suo diritto. La fiction, appunto.[7]
[Sostenendo il Nobel per la Pace a Lampedusa] Questo popolo ha dato un esempio di comprensione e di solidarietà umana ad un'Europa dove ancora ci sono molti pregiudizi nei confronti dell'immigrazione e di quello che rappresenta.[8]
Molti governi hanno utilizzato la pandemia per limitare la libertà e tutto questo è inaccettabile, perché è un processo irreversibile. ... Dobbiamo accettare le restrizioni che i medici stabiliscono, però credo che l'accettazione delle restrizioni sia pericolosissima per il futuro della democrazia e della libertà.[9]
...non avremmo mai immaginato che gli Stati Uniti potessero arrivare a una discesa tale da farsi governare da uno come Trump, è una cosa incomprensibile. Trump è una persona mediocre e senza cultura, un povero disgraziato, un grullo che ha governato in modo indecoroso.[9]
Le Case d'Angolo di Fëdor Dostoevskij, Corriere della sera, 18 luglio 2010
Fëdor Dostoevskij visse in tante case e in tanti luoghi diversi – non si fermò mai per più di tre anni nello stesso posto – ed ebbe sempre l'ossessione di avere appartamenti ad angolo, con le finestre affacciate sulle due strade e vicino a una chiesa, in modo da poter ascoltare le campane, una musica che acquietava il suo spirito.
[Fëdor Dostoevskij] La sua stessa vedova o qualcuno in visita riuscì a fermare l'orologio dello scrittoio nello stesso istante della sua morte: le otto e trentotto della sera. L'orologio è ancora lì, centotrent'anni dopo, a segnare l'ora funesta. Lo seppellirono nel cimitero Tichvin, del monastero di Aleksandr Nevskij, alla periferia di San Pietroburgo. È un luogo ameno, e la tomba di Dostoevskij, circondata di alberi e fiori, con una bella statua che riflette fedelmente i suoi lineamenti austeri e il suo sguardo profondo e febbrile, confina con quelle di altri esponenti del genio creativo russo: Rimskij-Korsakov, Aleksandr Borodin, Modest Musorgskij, Il'ic Cajkovskij, Glinka.
L'ultima volta che vidi Gergiev, a Salisburgo, aveva i capelli lunghi e una barba di diversi giorni; oggi ha i capelli corti e si rade, ma mentre dirige l'orchestra continua a essere un posseduto, che va sempre oltre la partitura, un essere sotterraneo, connesso con le profondità inquietanti dell'abisso umano, capace di trasformare un concerto o un' opera in una cerimonia geniale e agghiacciante.
Correre di mattina lungo il molo di Baranco, quando l'umidità della notte impregna ancora l'aria e rende i marciapiedi scivolosi e lucidi, è un buon modo per cominciare la giornata. Il cielo è grigio, anche d'estate, perché il sole non compare sul quartiere prima delle dieci, e la foschia rende impreciso il limite delle cose, il profilo dei gabbiani, il pellicano che attraversa in volo la linea frantumata della scogliera. Il mare ha un aspetto plumbeo, verde scuro, fumante, adirato, con macchie di spuma e onde che avanzano sempre alla stessa distanza verso la spiaggia. Talvolta una barchetta di pescatori si dimena fra le scosse; talaltra una raffica di vento scosta le nuvole e compaiono in lontananza La Punta e le isole terrose di San Lorenzo e del Frontón. È un paesaggio bello, a patto di fissare lo sguardo sugli elementi e gli uccelli. Perché quanto ha fatto l'uomo, invece, è brutto.
Citazioni
Neppure l'amicizia viene prima della rivoluzione per un rivoluzionario. [...] La prima cosa è la rivoluzione. Poi, tutto il resto. (p. 70)
Hai mai conosciuto quegli uomini che in vecchiaia scoprono il sesso e la religione? Diventano ansiosi, ardenti, instancabili. (p. 167)
L'autentico rivoluzionario è logico e freddo, non un sentimentale. (p. 177)
In questa società ci sono certe regole, certi pregiudizi e tutto quello che non vi si adatta sembra anormale, un delitto o una malattia. (p. 196)
Per effimero che sia, un romanzo è qualcosa, mentre lo sconforto non è niente.
La città e i cani
"Quattro," disse il Giaguaro. Al chiarore incerto che il globo di luce diffondeva nel locale, attraverso le poche sfaccettature di vetro non ancora coperte di sudiciume, le espressioni dei visi si rilassano: il pericolo era passato per tutti, salvo che per Porfirio Cava. I dadi erano immobili, bianchi contro il suolo sporco, e segnavano tre e uno. "Quattro," ripeté il Giaguaro. "Chi è?" "Io," mormorò Cava. "Avevo detto quattro." "Muoviti," replicò il Giaguaro. "Lo sai, la seconda a sinistra."
La zia Julia e lo scribacchino
In quel tempo remoto, io ero molto giovane e vivevo con i miei nonni in una villa dai muri bianchi di Calle Ocharán, a Miraflores.[10]
La guerra della fine del mondo
L'uomo era alto e così magro che sembrava sempre di profilo. La sua pelle era scura, le ossa sporgenti e gli occhi ardevano di un fuoco perpetuo. Calzava sandali da pastore e la tunica viola che gli ricadeva sul volto rammentava l'abito di quei missionari che, di tanto in tanto, si recavano nei villaggi del sertão a battezzare folle di bambini e a sposare coppie irregolari. Era impossibile conoscerne l'età, la provenienza, la storia, ma c'era qualcosa nel suo aspetto quieto, nelle sue abitudini frugali, nella sua imperturbabile serietà che, prima ancora che cominciasse a dar consigli, attraeva la gente.
Pantaleón e le visitatrici
"Sveglia, Panta," dice Pochita. "Sono già le otto. Panta, Pantita". "Già le otto? Accidenti, che sonno ho," sbadiglia Pantita. "Mi hai cucito il gallone?" "Signorsì, tenente," si mette sull'attenti Pochita. "Oh, scusa, capitano. Finché non mi abituo continuerai a essere un tenentino, amore. Sì, fatto, è splendido. Ma alzati una buona volta. Il tuo appuntamento non è alle?" "Alle nove, sì," si insapona Pantita. "Dove ci manderanno, Pocha? Passami l'asciugamano, per favore. Tu dove credi, tesoro?" "Qui, a Lima," contempla il cielo grigio, i balconi, le macchine, i passanti Pochita. "Ah, mi viene l'acquolina in bocca: Lima, Lima, Lima". "Te lo sogni, Lima mai, che speranze," si guarda nello specchio, si annoda la cravatta Panta. "Se fosse almeno una città come Trujillo o Tacna, sarei già felice".
La città e i cani
"Continuerai a fare la vita di sempre?" chiese il Giaguaro. "Vuoi dire se continuerò a rubare?" Higueras il secco fece una smorfia. "Suppongo di sì. Sai perché? Perché il lupo perde il pelo ma non il vizio, come diceva il Culepe. Per ora, farò meglio ad andarmene da Lima." "Sono tuo amico," disse il Giaguaro. "Avvisami, se posso darti una mano." "Certo che puoi darmela," disse il secco. "Pagami da bere. Non ho più un soldo."
Pantaleón e le visitatrici
"La guarnigione di Pomata, hanno bisogno di un intendente," tira le tende, chiude a chiave gli armadi, riordina le scrivanie, prende una valigetta il colonnello López López. "Invece del Rio delle Amazzoni avrà il lago Titicaca". "E invece del caldo della foresta, il freddo degli altipiani delle Ande," apre la porta, lascia passare gli altri il generale Victoria.
"E invece delle visitatrici, lama e vigogne," si mette il chepì, spegne la luce, tende una mano il Tigre Collazos. "Lei è proprio un tipo strano, Pantoja. Sì, adesso può andare". "Brrrr, che freddo, che freddo!" rabbrividisce Pochita. "Dove sono i fiammiferi? Dov'è quella dannata candela? Com'è orribile vivere senza luce elettrica. Panta, sveglia, sono già le cinque. Non capisco perché devi andare di persona a controllare la colazione dei soldati, pignolo. È molto presto, muoio di freddo. Ahi, idiota, mi hai graffiata di nuovo con quel braccialetto. Perché non te lo togli di notte? Ti ho detto che sono le cinque, sveglia Panta".
↑ Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
Mario Vargas Llosa, La città e i cani (La ciudad y los perros), traduzione di Enrico Cicogna, Einaudi Tascabili, 1998. ISBN 8806147749
Mario Vargas Llosa, La guerra della fine del mondo (La guerra del fin del mundo), traduzione di Angelo Morino, Einaudi, Torino, 1983. ISBN 978-88-06-17736-2
Mario Vargas Llosa, Le Case d'Angolo di Fëdor Dostoevskij, traduzione di Francesca Buffo.
Mario Vargas Llosa, Pantaleón e le visitatrici (Pantaleón y las visitadoras), traduzione di Angelo Morino, Einaudi, Torino, 2001. ISBN 8806158481
Mario Vargas Llosa, Storia di Mayta (Historia de Mayta), traduzione di Angelo Morino, Rizzoli, Milano, 1985. ISBN 8817678805