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scrittore, poeta e critico letterario statunitense (1819-1891) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Herman Melville (1819 – 1891), scrittore, poeta e critico letterario statunitense.
Sono un uomo piuttosto anziano. La natura della mia professione, negli ultimi trent'anni, mi ha portato ad aver contatti fuor del comune con ciò che direbbesi un interessante ed alquanto singolare genere di individui, dei quali fino ad ora, ch'io sappia, nulla è stato scritto: mi riferisco ai copisti legali, ovvero scrivani.[5]
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che m'accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c'è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l'altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l'oceano.
Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa — non importa ch'io vi dica quanti — avendo poco o punto denaro in tasca e niente che particolarmente m'interessasse a terra, pensai di mettermi a navigare per un po', e di vedere così la parte acquea del mondo. Faccio in questo modo, io, per cacciar la malinconia e regolare la circolazione. Ogniqualvolta mi accorgo di mettere il muso; ogniqualvolta giunge sull'anima mia un umido e piovoso novembre; ogniqualvolta mi sorprendo fermo, senza volerlo, dinanzi alle agenzie di pompe funebri o pronto a far da coda a ogni funerale che incontro; e specialmente ogniqualvolta l'umor nero mi invade a tal punto che soltanto un saldo principio morale può trattenermi dall'andare per le vie col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente — allora reputo sia giunto per me il momento di prendere al più presto il mare. Questo è il sostituto che io trovo a pistola e pallottola. Con un ghirigoro filosofico Catone si getta sulla spada; io, quietamente, mi imbarco. Non c'è niente di straordinario in questo. Basterebbe che lo conoscessero appena un poco, e quasi tutti gli uomini, una volta o l'altra, ciascuno a suo modo, si accorgerebbero di nutrire per l'oceano su per giù gli stessi sentimenti miei.
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
[Herman Melville, Moby Dick, introduzione, traduzione e note a cura di Pina Sergi, Rizzoli, Milano, 2004. ISBN 88-17-00329-8]
Nell'anno 1799, il capitano Amasa Delano, di Duxbury nel Massachusetts, capitano d'una grossa nave per la caccia alle foche e per il commercio in genere, getto l'ancora, con un carico di notevole valore, nel porto di S. Maria, una piccola isola deserta alla estremità meridionale della lunga costa del Cile, per rifornirsi d'acqua.[9]
Disse allora il traghettatore: "Non sostiamo,
Senza sospetto potremmo sprofondare:
Le isole non son che sogno vano,
Non sono terraferma a cui approdare
Ma trappole errabonde e vanno invano
Per le acque senza fine, con l'inganno:
Diconsi Vaganti, al largo gira, andiamo,
Molti viandanti pria di te vi hanno
Trovato triste morte o grande danno;
Mai più fece ritorno da quel lido
Chi vi ha posato piede
Vagare sempre deve, nel dubbio infido.
Oscure, tetre, come avello arcano
Che all'infinito sol carogna brama,
al vertice dimora il gufo insano,
Che con l'oscuro canto sempre trama
Ansiose fughe di gioiosi uccelli,
Gemono sol fantasmi in quegli avelli".
Pensate a venticinque cumuli di cenere, scaricati qui e là in un campo alla periferia della città. Immaginate che alcuni siano giganteschi come montagne e che il campo sia il mare: avrete così l'idea esatta delle Encantadas, o isole Incantate. Un arcipelago di vulcani spenti, piuttosto che di isole, più o meno come apparirebbe il mondo dopo una conflagrazione punitiva.
Sei mesi in alto mare! Sì, com'è vero che son vivo, sei mesi senza veder terra; sei mesi trascorsi a inseguire il capodoglio sotto il cocente sole dell'equatore, tormentati dall'onda lunga del Pacifico – il cielo sopra, il mare tutt'intorno e null'altro![10]
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