Giuseppe Giannini (1964 – vivente), dirigente sportivo, allenatore di calcio ed ex calciatore italiano.
Citazioni in ordine temporale.
La prima volta che abbiamo giocato assieme a Trigoria Francesco [Totti] avrà avuto 15 anni e io ventisette. C'è voluto un secondo per capire che quel ragazzino fosse di un altro pianeta. Aveva colpi geniali e una faccia tosta tipica di tutti i talenti, con in più quella romanità sbruffona e un po' irriverente che nel tempo è stato capace di gestire al meglio.[1]
Per me Boniperti stravedeva e offrì 21 miliardi di vecchie lire al presidente Dino Viola per portarmi alla Juventus. Tornassi indietro? Rifarei la stessa scelta d'amore verso la Roma.[1]
[Su Francesco Totti] Lo reputo il più grande giocatore italiano di tutti i tempi. I numero sono incancellabili, rimangono e parlano chiaro.[2]
[Su Renato Portaluppi] A volte non era molto lucido, ma non voglio infierire. Ho giocato 16 anni alla Roma, credo sia stato l'unico calciatore che ho visto, nella mia carriera giallorossa, arrivare ubriaco all'allenamento mattutino. In queste occasioni Liedholm lo faceva prendere e portare al riparo da occhi indiscreti.[3]
[Sul derby di Roma] Se dovessi scegliere una parola, direi passione. E carattere, se non ce l'hai, non è facile sopravvivere. Io non volevo mancare mai. Ho visto tanti calciatori bruciarsi da queste parti. Gente che in allenamento faceva il fenomeno e poi entrava all'Olimpico e non la strusciava mai. Penso ad Hassler, a Trigoria era meglio di Baggio, in partita evaporava. Poi, sfottò, che non può mancare. Vi racconto un aneddoto. Novembre 1992, segno alla Lazio. Ho voglia di esultare sotto la Nord, come Chinaglia, come Di Canio. Avevo fatto una scommessa con un amico laziale. Segno e parto, sta per cominciare il giro di gioia che mi porta verso la Nord. C'è uno che mi trattiene per i capelli, dove vai, mi dice. Era Tempestilli. Mi ha fermato sul più bello, ma lo avrei fatto, sì che lo avrei fatto.[4]
Dall'intervista di Giuseppe Falcao sul profilo ufficiale facebook.com; citato in Andrea Di Carlo, siamolaroma.it, 1º settembre 2020.
[Su Paulo Roberto Falcão] [...] aveva un debole per me come calciatore. Io avevo il posto fisso accanto al suo. Sull'aereo, a tavola. Magari capitava che lui fosse già seduto a tavola a mangiare, mi vedeva arrivare da lontano e mi faceva segno di mettermi vicino a lui. [«È vera la storia [...] che sull'aereo per Torino (Ottobre 1984) ti disse che dovevi giocare tu al posto suo?»] Tutto vero. Eravamo sull'aereo e il giorno dopo avremmo giocato contro la Juve. Paulo seduto vicino a me mi fa: "Sei pronto per domani? Perché io non sto bene, molto probabilmente non gioco, ho un problema. Se ti capita durante la partita inserisciti, perché sei bravo." E feci gol. Il mio primo con la Roma in Serie A.
[«È difficile essere Capitano della squadra che ami, nella città dove sei nato?»] Se ti soffermi a pensare a chi l'ha indossata pesa tanto. Prima di me c'era stato Agostino [Di Bartolomei], quindi mi portavo dentro una responsabilità importante. Con gli anni credo sia diventato ancora peggio. Perché c'è stato Totti, De Rossi. Chi la indossa credo debba avere uno spessore caratteriale per poterla reggere.
[«La gente è ancora legatissima a quegli anni. Alla Roma tua, di Rudi Völler. Secondo te perché?»] Perché credo che pur non essendo super a livello di calciatori, c'era però attaccamento e la gente lo percepiva. Rappresentavamo la Roma, la romanità e lo spirito romanista. Davamo sempre tutto in campo ed alcune volte riuscivamo anche ad andare oltre le nostre possibilità.
Intervista di Andrea Sorrentino, roma.corriere.it, 28 marzo 2021.
[Dopo il ritiro] Mi hanno messo nel dimenticatoio. Per una serie di circostanze sono stato allontanato, ho avuto esperienze positive e negative ma hanno pesato più quelle negative. Poi non ho mai avuto un agente o una batteria di procuratori alle spalle, così non è che pensano a me quando capita un lavoro. Vedo allenatori che vengono esonerati e dopo poche settimane trovano un altro incarico. Ma non piango, non è nella mia indole, è solo una constatazione. Quindi mi occupo di altre cose. [...] Per il resto faccio il tifoso. Della Roma, ovviamente.
Quella di Francesco [Totti] è la cosa a cui tengo di più. Sotto la mia ombra, o partendo da me, è cresciuto il più grande giocatore nella storia della Roma. Questo non me lo può togliere nessuno. Anche lui ha ammesso che sono stato un riferimento, io non lo sbandiero ma Francesco lo dice spesso, anche nei film e nelle interviste, e mi fa enormemente piacere, perché è la verità. Tra noi c'è una differenza di 12 anni, quindi è chiaro che lui dopo ha avuto altre amicizie e altri percorsi, ma in quel momento, quando si affacciava in prima squadra, per lui ero un faro, qualcosa di irraggiungibile. Vivere con me, stare in camera insieme e condividere tante cose, gli è servito. Il rapporto era intenso, ho già raccontato di quando prese la patente e sua mamma Fiorella era preoccupatissima perché lui voleva comprarsi una [Volkswagen] Golf, mica un fuoristrada. Lei mi telefonò chiedendomi di fargli cambiare idea, io le risposi: "A' Fiorè, tranquilla, calcola che la mia prima macchina è stata una Mercedes... Fagli comprare sta Golf che non c'è problema, lascialo tranquillo". C'era amicizia e confidenza, nata spontaneamente. Poi all'epoca Totti non era ancora Totti, era un ragazzo di talento come tanti altri nella Roma, anche se ne aveva più degli altri infatti poi è diventato un grandissimo del calcio.
[Sulla carriera di allenatore] Devo essere sincero: ho incontrato molti dilettanti. E quando un professionista incontra un dilettante, difficile che si capiscano. Con tutto il rispetto per i dilettanti per carità, anche io lo sono stato. Purtroppo, andando sempre allo scoperto, senza protezioni di sorta, ho spesso incontrato personaggi che cercano di farla franca alle spalle di chi ha sempre fatto il professionista. Ti chiamano, lì per lì va tutto bene poi quando bisogna rispettare gli impegni si defilano. E a quel punto tu che hai una carriera e una rispettabilità costruite per tutta una vita, o rinunci a essere quello che sei, sminuendoti, oppure non puoi fare altro che andare via. Ed è andata sempre così. Sulla mia strada ho incontrato purtroppo malavitosi, pazzi scatenati, persone inaffidabili di ogni genere. Poi per carità, anche io ho le mie colpe, ho sbagliato di sicuro qualche valutazione, delle persone e delle situazioni.
[...] posso dire che sono stato uno che si faceva rispettare in campo, non ero proprio uno scarso, e in un'epoca meravigliosa del calcio italiano. Sono bravi anche adesso i giocatori, ne vedo tanti eccellenti [...]. Ma noi eravamo veramente tanta roba, come qualità tecnica, anche se quando mi rivedo per caso in qualche vecchia partita noto soprattutto le cose sbagliate, e le giocate che avrei potuto fare diversamente. Per il pubblico invece, con gli anni la tua figura si appanna perché il calcio propone di continuo grandi talenti.
Il mio vero rimpianto è Roma-Lecce 2-3 del 1986, quando sfumò lo scudetto alla penultima giornata. Cosa accadde quel giorno? Che eravamo già cotti dalla settimana prima a Pisa, avevamo vinto in rimonta ma non c'era più brillantezza, troppo stanchi di testa e di gambe dopo la grande rincorsa alla Juventus, durata mesi. Sto ancora cercando di dare una spiegazione di quello che è successo poi: inizi, vai in vantaggio, poi sbraghi, sei cotto, non riesci a reagire. Pure se loro erano andati sul 2-1 dovevamo almeno pareggiare, se non vincere, invece non avemmo la forza.
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Prima dell'ottavo Re, Francesco Totti, alla Roma c'è stato il Principe, Giuseppe Giannini. "Peppe il bello", idolo della Curva Sud e soprattutto delle ragazzine degli anni '80-'90 che nella cameretta accanto al poster di Simon Le Bon appendevano quello di Giannini, e in tante sognavano di sposare il Principe giallorosso al pari del cantante dei Duran Duran. (Massimiliano Castellani)