filosofo e pedagogista italiano (1875-1944) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Giovanni Gentile (1875 – 1944), filosofo italiano.
Gli uomini che ragionano sempre non fanno la storia.[1]
Il martirio di Giordano Bruno ha un significato speciale nella storia della cultura, poiché non fu conflitto di coscienze individuali diverse; ma necessaria conseguenza del progresso dello spirito umano, che Bruno impersonò al cadere del Cinquecento, quando si chiudeva col Rinascimento tutta la vecchia storia della civiltà d'Europa: del progresso dello spirito, che giunse in lui ad avvertire per la prima volta, e quindi a sorpassare, la contraddizione, che fin dal Medio Evo lo dilaniava, tra sé e sé medesimo: tra spirito che crede, e professa di non intendere, e spirito che intende, e professa di intendere, cioè farsi da sé la verità sua.[2]
Il presupposto individualistico è la base del giusnaturalismo e del conseguente contrattualismo: ossia di tutto il pensiero liberale moderno prima di Hegel. Il diritto naturale è infatti il diritto dell'individuo di fronte allo Stato: un diritto che lo Stato deve riconoscere perché preesistente come condizione della sua esistenza; almeno come attributo dei soggetti individuali che dello Stato sono la materia necessaria.[3]
La filosofia non è erudizione. Molte sono le materie insegnate nelle scuole medie che sono per loro natura dominate dalla tendenza a riuscire un semplice corredo del cervello. Troppi già sono i dati, i ragguagli d'ogni sorta, di cui si pretende rimpinzare le menti, nell'età del più vigoroso sviluppo, quando più esse hanno bisogno d'aria e di libertà. E la filosofia, trattata essa stessa come un certo numero di questioni, di cui convenga informarsi e di molte nozioni da appropriarsi, è una nuova causa di malattìa che si aggiunge alle altre; laddove essa dovrebbe essere una medicina o un corroborante, onde si conservi o riacquisti il vigore della mente e tutte le materie di stadio possano quindi valere di vital nutrimento. La filosofia dev'essere, sia pure inizialmente, costituzione della personalità: quella che ordinariamente si dice educazione morale, ma che non può darci il vero carattere, il vero uomo, se non si suggella colla coscienza che l'uomo deve avere di se stesso, della sua dignità e del suo posto nel mondo, della sua natura e del suo conseguente destino.[4]
La filosofia non è una o più conoscenze, ma è pensiero; non è contenuto, ma forma del sapere. E quando della stessa forma del sapere s'è fatto un contenuto, non solo non si è appresa la filosofia, ma si è finito per mettersi in condizione di non più capire in che la filosofia possa consistere.[4]
La scuola dev'essere laica, perché di sua natura essa è laica. [...] Un insegnamento laico nella scuola elementare è un assurdo: soltanto la scuola media, aperta alla filosofia, può aspirare a quella piú alta laicità. [...] Dove il concetto non può entrare, perché suppone un'attitudine filosofica che non è del popolo e non è dei bambini, il mito è tutta la verità. Stia il popolo-bambino contento a un insegnamento esoterico. Lo spirito di verità verrà dopo, con gli anni, se potrà venire. [...] L'istruzione morale della scuola elementare dovrebbe (o dovrà essere) schiettamente religiosa e, se o in quanto cattolica, affidata alla Chiesa.[5]
La sola realtà solida, che mi sia dato affermare, e con la quale deve perciò legarsi ogni realtà che io possa pensare, è quella stessa che pensa; la quale si realizza, ed è così una realtà, soltanto nell'atto che si pensa.[6]
Non si deve trovar posto per tutti. [...] La riforma tende proprio a questo, a ridurre la popolazione scolastica.[8]
Questo, per me, è fascismo. È quel fascismo che può affermare con giusto orgoglio: io non sono partito, ma sono l'Italia. È il fascismo che può e deve chiamare a raccolta per ogni impresa nazionale tutti gl'Italiani: anche quelli dell'antimanifesto. I quali, se risponderanno all'appello, non verranno [...] per fare dell'antifascismo: verranno, almeno nell'Enciclopedia, a portare il contributo della loro competenza: a far della matematica o della chimica o della fisica, e insomma della scienza.[9]
Secondo il contrattualismo, lo Stato va concepito semplice mezzo della realizzazione della libertà, ossia della stessa realtà spirituale che sola restava in conseguenza del giusnaturalismo: la realtà dell'individuo, che, non essendo universale e trovandosi perciò a dover esistere insieme con quella degli altri individui, riconosce la necessità di un accordo, in cui il limite reciproco della sconfinata libertà naturale renda compossibile l'armonica convivenza dei diversi individui. L'accordo nasce dall'adesione della volontà individuale; e intanto quindi c'è, in quanto questa volontà lo vuole.[10]
Tradurre, in verità, è la condizione d'ogni pensare e d'ogni apprendere.[11]
[Riferendosi all'attualismo] Una filosofia come questa può parere che con anima giacobina neghi il passato, poiché non si lascia nulla alle spalle e ci orienta verso il futuro. Ma può anche parere che neghi il futuro, poiché la realtà per lei è atto, e l'atto è il presente da cui non si passa al futuro; quel presente, in confronto del quale, come in confronto con Dio per la vecchia teologia, il futuro è esso stesso un passato.[12]
Unico, vero, concreto, completo maestro dell'uomo è lo Spirito universale.[13]
Agli altri infatti non si può comandare che servendoli. (p. 39)
Ma quello che diciamo praticamente morale, non è altro da quello che teoricamente diciamo filosofia. La distinzione deriva, a nostro modo di vedere, dal concepire astrattamente il bene, che è oggetto della morale, e la verità, che è oggetto della filosofia [...]. (p. 44)
Anche la filosofia del Bruno presupponeva e svolgeva il concetto dell'immanenza del divino nella natura e nell'uomo; e intanto non negava il principio speculativo della teologia cristiana, della trascendenza di Dio. (p. 302)
Giordano Bruno è la conchiusione logica di tutto il Rinascimento, benché abbia dovuto attendere più di due secoli che fosse apprezzato il suo valore. (p. 300)
Il suo Dio è il Dio del filosofo, la natura di Spinoza, da lui stesso definita: Deus in rebus. La distinzione dei due lumi, della natura umana e della grazia superinfusa, della ragione e della fede, della filosofia e della teologia era antica; e può dirsi uno dei luoghi comuni della Scolastica. Ma in Bruno, che scalza la trascendenza su cui si fondava quella filosofia medievale che poteva servire la teologia; in Galileo, che distrugge il geocentrismo così congruo con le imperfette idee teistiche e teologiche che il Cristianesimo aveva ereditate dal Vecchio Testamento e dalla filosofia aristotelica, la distinzione acquista valore profondamente diverso; e delle due verità, l'una della ragione e l'altra della fede, Bruno filosofo ne riconosce una sola, la prima.
Certo, dal tempo del Bossuet, che affermava, essere la scienza della tradizione la vera scienza ecclesiastica e anche dal tempo degli scandali che suscitavano le ardite negazioni della scuola di Tubinga, siamo molto lontani.
Citazioni
E la stessa "Protesta" ormai accenna a finire una specie di religione naturale, che è filosofia, il cattolicesimo ha trionfato sempre, e sopravvive. Le contraddizioni non si risolvono infatti con la negazione d'uno dei due termini contraddittori, che hanno sempre entrambi la loro profonda e ineluttabile ragion d'essere, ma con l'affermazione e cioè con in realizzazione dell'unità superiore, in cui i contrarii coincidono. Nel cattolicesimo resta il problema senza la soluzione; i misteri hanno la soluzione, ma di qua dal problema: e in ciò consiste la loro fatale sconfitta, sul terreno religioso, di fronte ai cattolicesimo. (p. 46)
Inutile, perciò, e peggio che inutile, lamentare la poca religiosità o intimità del cattolicesimo. Il cattolicesimo è quale deve essere: la sua forza è appunto in quell'equilibrio che non si mantiene se non a spese della pietà, da una parte, come dell'organizzazione sociale dall'altra: dell'intimità così come dell'esteriorità, della libertà come dell'autorità. Non c'è che fare: bisogna piegare il capo. Ribellarsi è da bambini che ancora non sono capaci d'intendere la ferrea necessità della vita. (p. 46)
Il misticismo, l'intimità della religione, il metodo dell'immanenza con l'annesso prammatismo religioso, sarebbero a rigore, e l'abbiamo apertamente dimostrato a proposito del Laberthonierre, la negazione della trascendenza; cioè non del cattolicesmo post-tridentino, ma della stessa religione, in quanto tale. Una volta che noi possiamo trovar Dio soltanto in noi, e intenderle solo secondo le nostre esigenze vitali, la Chiesa, come tradizione liberatrice della Rivelazione, e, cioè la stessa Rivelazione e quindi la posizione estrinseca del divino allo spirito, è distrutta; e il, bisogno religioso non può essere più appagato altrimenti che con l'elaborazione razionale dell'oggetto, che si è trovato nello spirito; cioè con la filosofia che crea Dio. (p. 46)
Allora si ha un bel protestare, che la religione non si sa concepire se non come funzione sociale dello spirito, quasi coscienza dello spirito storico, che è vissuto come si dice, nella collettività. Una delle due: o questa società, questa chiesa, è la Chiesa che la ragione crea, o ricrea a se stessa con la sua filosofia; e allora dalla chiesa vera e propria della religione in realtà siamo usciti e restiamo nel razionalismo puro. O la chiesa è la chiesa di fatto, quella tale chiesa bene o male rappresentata da Pio X; e allora bisogna umilmente tacere quando Pio parla e ricordarsi che Dio, la verità non è dell'individuo ma della Chiesa. (p. 47)
Il Cristo giovanneo è un Cristo assolutamente diverso dal Cristo dei sinottici: sono due storie differenti, dice esplicito il von Hugel. Appunto, questa molteplicità di Cristi è la vera conclusione della veduta intellettualistica, astraente, frammentaria e atomista della storia storica: con la conseguenza che non solo in fine non si potrà dire che il vero Cristo sia quello della Chiesa, o poniamo, quello di Giovani, anzi che quello più antico dei sinottici; ma né anche, in verità che si sia un Cristo eterno, almeno per nos christologies. L'agnosticismo additato dall'Enciclica Pascendi salta fuori sempre, ostinatamente. (p. 58)
L'idea newmaniana di sviluppo è un'idea cattolica, se lo sviluppo s'intende come va inteso; per cui nel germe c'è già logicamente, e quindi necessariamente, tutta la realtà che ne deve scattar fuori; quella realtà che vi si può vedere a patto che non ci si contenti, come vuole il Loisy, del fenomeno e del telescopio ma si vada più addentro: non certo con la storia, bensì con la fede, o in generale col nostro spirito. In realtà dunque il Blondel ha ragione: cotesto Cristo della storia pura è assise geologique; non è germe. (p. 58)
Lo scolastico conosce Dio, il modernista lo ricrea in se stesso, ne ridesta immagine, che ha nel suo profondo, la ravviva, ne forma quasi o ne informa, tutto il proprio essere. Lo scolastico ignaro del tesoro che cela nel proprio animo, cerca Dio con l'occhio inquieto e smarrito fuori di sé, il modernista rientra in se stesso e si travaglia col volere operoso intorno al suo stesso sentimento, che gli può fare intendere il mondo. (p. 59)
Il motivo di questa vera filosofia è che l'oggetto dello spirito, la verità è lo spirito stesso: l'immanenza, secondo la terminologia modernistica. Questo è appunto il principio della moderna filosofia da Cartesio in qua: e il Blondel ha creduto di dover partire di lì per rinnovare nell'apologetica quello che Tommaso esaltava come il modus antiquorum doctorum. Il metodo già l'aveva additato Agostino e, per dir la verità, prima di tutti Plotino. (p. 59)
A chi opponesse, che la coscienza è pretesto al mondo per affermare diritti al proprio arbitrio e capriccio, rispondono: «Quale delle opere di Dio l'uomo non sa profanare? Per noi, educati al cattolicesimo, la coscienza resta l'apprensione individuale della legge naturale posta da Dio in tutte le cose create». Ma allora hanno ragione i protestanti, che vogliono l'autonomia della coscienza piena, senza restrizioni, e il giudizio privato guida ordinaria di tutta la vita religiosa? «No – dicono – per noi l'atto normale della vita religiosa è la educazione della coscienza individuale alla vita della Chiesa; attraverso l'adesione a questa, epperò la sommessione all'autorità, l'individuo e messo a parte di tutti i mezzi di Vita spirituale, di cui dispone la società religiosa: dottrina e sacramenti, e nell'obbedienza, ottiene la libertà vera. Ma la coscienza stessa resta sempre il soggetto obbediente: è per lei e per i suoi giudizi primi ed elementari che ha valore la nostra accettazione della Chiesa. Epperò non potrà essere mai consentita un'offesa a quelle sue prime esigenze. Insomma, il ricorso alla coscienza è il caso d'eccezione, di cui non è l'autorità stessa, che possa giudicare la legittimità, perché altrimenti sarebbe illusoria la possibilità di un tale appello supremo al tribunale della scienza. (p. 68)
Ora se un cattolicesimo potesse reggersi su questa dottrina, per conto mio, estraneo alla fede del Rinnovamento, mi sentirei praticamente obbligato a sostenerne la propaganda. Ma che dottrina è questa? Se l'ultima parola, quando l'autorità sia in conflitto con la coscienza, spetta alla coscienza, non è chiaro che l'ultima parola alla coscienza spetta sempre, anche quando pare che si obbedisca umilmente? La coscienza potrebbe dire a se stessa: «Qui non è il caso di conflitto e di appello» senza esaminare e giudicare in sede di cassazione? Nella autorità e bella obbedienza cotesta, in cui nessuna sentenza alla prima, per se stessa, senza la sanzione della coscienza, avrebbe vigore! L'eccezione, una volta ammessa, qui, come in tanti altri casi, è regola, magari non esplicita, ma sempre una regola. Infatti, dicono benissimo l'Alfieri e il Casati che l'obbedienza stessa suppone la coscienza che obbedisce come soggetto! Dunque non è possibile obbedienza che distrugga la coscienza. (p. 69)
Quanto al contenuto di questa coscienza individuale, che i direttori del Rinnovamento intendono mantenere, non si può essere neppure d'accordo con loro. Essi, cattolici, intendono collaborare con gli acattolici alla scienza; alla scienza intesa alla Loisy: studio positivo del fatto religioso considerato nel suo aspetto umano, ossia come stato di coscienza, con tutte le ripercussioni nella vita sociale; ricerca di una filosofia capace di valutare il fatto religioso come mediazione tra il finito e l'infinito. In questo studio e in questa ricerca il loro cattolicesimo non vale come verità, ma come esperienza vissuta. (p. 69)
Ma in questa pace lo spirito che ha raggiunto la coscienza della propria natura non ha più nulla da respingere da sé; ché tutto si concentra nell'atto suo. Tanto meno l'arte e la religione, che sono le sue forme assolute, conciliate e fuse nella somma di tutte, la filosofia. La quale non può essere se stessa senza scaldarsi agli entusiasmi della vita intima della verità e senza assoggettarsi umilmente alla divina legge di essa, sanzionata liberamente dalla ragione.
Benché «filosofo del fascismo», secondo la definizione che accompagnava abitualmente il suo nome, Gentile proteggeva l'autonomia della Normale dalle ingerenze di Carlo Scorza, responsabile dei Fasci giovanili, e cercava di tenere la politica lontana, per quanto possibile, dallo straordinario palazzo del Vasari che domina la piazza dei Cavalieri. (Sergio Romano)
Egli credeva – si direbbe – che spettasse alla realtà di modellarsi sul suo coerente e metafisico speculare e non viceversa. Passò dal liberalismo al fascismo – e vi rimase fedele fino alla morte – perché credette di veder realizzata, nella sua barbarie vichianamente generosa, la lezione morale di Francesco De Sanctis, cioè una riforma etico-religiosa del tradizionale carattere italiano, scettico e sorridente. (Giampiero Carocci)
Gentile fu un filosofo dedito ad un'impresa che, così possente, anch'essa da secoli non si vedeva: pensare, dar forma, organizzare, diffondere una filosofia italiana, cioè una filosofia per l'Italia, una filosofia dell'Italia, secondo una tradizione di pensiero politico che Gentile vedeva partire da Dante e arrivare a lui medesimo. (Marcello Pera)
Il Gentile aveva sempre scritto che non c'è posto per l'immediatezza, e che "tutto è mediazione". E sbagliava; perché, proprio lui, era il teorico dell'atto puro; atto puro significa che ogni atto è nuovo, spontaneo, dunque senza una mediazione che lo porta sulle mani già aperte. Questo suo atto puro era l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. (Giovanni Giraldi)
La Filosofia dell'arte, scritta nel 1931, è un punto cruciale nel pensiero del Gentile. Qui l'arte esiste soltanto se non è risolta nel pensiero pensante, cosa che d'altra parte non può non fare. Però se l'arte si risolve nel pensiero pensante è pensiero e non arte e come arte non esiste. L'arte si pone ma ponendosi si nega: è inafferrabile, si può vivere ma non pensare. Se si pensa muore. (Enzo Paci)
Originalità delle idee, e fedeltà alle proprie idee, han fatto di Giovanni Gentile il più filosofo dei filosofi dell'età nostra, talché, per trovare altro nome che possa stargli a fianco, in quanto a purezza, convien ricorrere a quello di Spinoza. (Renato Mucci)
Per suo merito la pedagogia italiana è giunta ad una profondità e semplicità di concetti alla quale altrove non si è ancora sollevata, e per suo precipuo merito non solo la scienza ma la pratica e la politica dell'educazione è ora in Italia tutta in rivolgimento e crescenza. Grande è infatti l'autorità di lui in ogni ordine di scuole, perché ha vissuto profondamente la vita della scuola e l'ama con ardore. (Benedetto Croce)
Se Gentile fu spesso il filosofo delle identificazioni, e soluzioni, meramente verbali, Croce fu sempre sollecito soprattutto della distinzione, ossia della chiarezza concettuale. (Eugenio Garin)
Si deve riconoscere che Gentile, con impegno e genialità speculativa, ha reso al Soggetto la sua dignità, che è la dignità dell'Atto; resta obliterata la dignità dell'Oggetto: questo usque recurrit. (Giovanni Giraldi)
↑ Da Il liberalismo di Cavour, in Che cosa è il fascismo, Vallecchi.
↑ Da I fondamenti della filosofia del diritto, Sansoni, Firenze, 1937, cap. VII, pp. 103-104.
1 2 Citato da Giovanni Gentile, Note e Notizie, in Giornale critico della filosofia italiana], 1920, p. 118.
↑ Discorso al Congresso nazionale della Fnism, Federazione nazionale insegnanti scuole medie, 1907, da Scuola e filosofia, R. Sandron, 1908; citato in Mario A. Manacorda, Scuola pubblica o privata?, Editori Riuniti, Roma, 1999, p. 36.
↑ Da Introduzione alla filosofia, "Il principio della filosofia attualistica". Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
↑ Da Il fascismo al governo della scuola (novembre '22-aprile '24), R. Sandron, 1924; citato in Mario A. Manacorda, Scuola pubblica o privata?, p. 39.
↑ Da L'Enciclopedia Italiana e il fascismo, lettera al direttore de "La Tribuna", 28 aprile 1926; citato in Angelo Guerraggio, Pietro Nastasi, Matematica in camicia nera, Bruno Mondadori, 2005, p. 91.
↑ Da I fondamenti della filosofia del diritto, Sansoni, Firenze, 1937, cap. VII, pp. 104-105.
↑ Da Frammenti di estetica e letteratura, R. Carabba, 1920; citato in George Steiner, After Babel, Oxford University Press, New York e Londra 1975, p. 251.
↑ Da Sistema di logica come teoria del conoscere, Giuseppe Laterza & Figli, Bari, 1922, p. 329; citato in Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza della Giulio Einaudi editore, Milano, 1989, vol. 3, p. 378.
↑ Citato in Sergei Hessen, Ideologia e autonomia dell'educazione e della pedagogia, Armando Armando Editore, Roma, 1962.
Giovanni Gentile, Discorsi di religione, Sansoni, Firenze, 1957.
Giovanni Gentile, Giordano Bruno, Vallecchi, 1925².
Giovanni Gentile, Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Sansoni, Firenze, 1962.