poeta italiano (1569-1625) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Giovan Battista Marino (1569 – 1625), poeta e scrittore italiano.
Dunque è morto il Costanzo? or chi più vostro | fia duce, o sacri ingegni? e chi v'addita | d'onor la via, se col suo piè partita | virtù sen riede al sempiterno chiostro? | Voi, che a dolervi, o muse, al dolor nostro | comun lamento e proprio danno invita, | spargete, estinto lui che vi diè vita, | per gl'occhi pianto e per le penne inchiostro. | E tu, tante tue glorie in breve speco | rinchiuse in un con l'onorata salma, | sospira, o Mondo impoverito e cieco. | Sol morte lieta di sì chiara palma. | trionfi intanto e goda, e godan seco | la Terra che ha le membra, | e 'l Ciel ch' ha l'alma. (da Sonetto in morte di Angelo di Costanzo[1])
Fuggo i paterni tetti, e i patrii lidi, | ma con tremante pié, mi lascio a tergo | passo, e con questi, che di pianto aspergo, | per voi rimiro amati colli, e fidi. || I tuoi, si vuole il Ciel, vezzi omicidi | Sirena disleal, dal cor dispergo; | e caro men, ma più securo albergo | pellegrino ricerco, ov'io m'annidi.[3]
La vera regola, cor mio bello, è saper rompere le regole a tempo e luogo, accomodandosi al costume corrente ed al gusto del secolo.[4]
O de la bionda spica | provida tesoriera, | che, de l'ardente sfera | sotto la sferza aprica, | a l'usata fatica | guidi la negra schiera, | fu sì sovr'ogni antica | mano la mano amica, | che ti die' forma vera, | diligente e leggiera, | che non so s'io ti dica | od atomo o formica.[5]
Io chiamo te, per cui si volge e move
la più benigna e mansueta sfera,
santa madre d'Amor, figlia di Giove,
bella dea d'Amatunta e di Citera;
te, la cui stella, ond'ogni grazia piove,
dela notte e del giorno è messaggiera;
te, lo cui raggio lucido e fecondo
serena il cielo ed innamora il mondo,
tu dar puoi sola altrui godere in terra
di pacifico stato ozio sereno.
Citazioni
Città senza signor, senza governo, | cade qual mole suol senza sostegno. (canto XVI, 67ª ottava)
O già del'Arno, or dela Senna onore, Maria, piuch'altra invitta e generosa, donna non già, ma nova dea d'amore, che vinta col tuo giglio hai la sua rosa e del gallico Marte il fiero core domar sapesti e trionfarne sposa, nate colà su le castalie sponde prendi queste d'onor novelle fronde.[6] (canto XI, 1ª ottava)
[...] un tavoliero estrano, | che di fin oro ha la cornice e'l resto | tutto d'avorio e d'ebeno è contesto. | Sessantaquattro case in forma quadra | inquartate per dritto e per traverso | dispon per otto vie serie leggiadra | ed otto ne contien per ciascun verso. | Ciascuna casa in ordine si squadra | di spazio egual, ma di color diverso, | ch'alternamente a bianco e brun distinto | qual tergo di dragon tutto è dipinto. | Scambievolmente al bianco quadro il nero | succede e varia il campo in ogni parte. (canto XV, ottave 119-121)
Un'altra anco di più, che 'l pregio ha tolto d'ogni rara eccellenza a tutte queste, aggregata ve n'è, non è già molto, e sempre di sua man la spoglia e veste. Celia s'appella[7], e ben del Ciel nel volto porta la luce e la beltà celeste; ed oltre ancor, che come il Cielo è bella, ha l'armonia del Ciel ne la favella. (canto XVII, 68ª ottava)
Amori
O tronchi innamorati,
o sassi che seguite
questa fera canora,
ch'agguaglia i cigni e gli angeli innamora,
ah fuggite, fuggite:
voi prendete da lei sensi animati;
ella in se stessa poi
prende la qualità che toglie a voi,
e sorda e dura, ahi lasso,
diviene ai preghi un tronco, ai pianti un sasso.
La strage degli innocenti
L'iniquo Re delle Tartaree grotte
Prevedendo 'l suo mal s'affligge e rode:
Quindi esce fuor dalla perpetua notte
Furia crudele a insospettir Erode.
Egli, che nel suo cuor stima interrotte
Le quieti al regnar, di ciò non gode,
Ma per opporsi alla crudel fortuna
I Satrapi a consiglio alfin raduna.
Eccolo, in vero, il grande corruttore del secolo così di costumi, come del gusto; quegli sulla cui testa pesa la gran macchia, o, meglio, quella gran malattia dello spirito conosciuta sotto il nome di seicentismo. Eppure [...] il Marino è stato spesso vittima della calunnia; i suoi difetti sono stati esagerati, quanto i suoi pregi negletti; e le sue opere, che pur sono moltissime, non furon tutte né lette, né studiate, sì che non di rado gli è attribuita cosa al tutto indegna di lui. (Camillo Antona Traversi)
Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero, alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come delle bibliche narrazioni. (Terenzio Mamiani)
Il Borromini in architettura, il Bernini in scultura, Pietro da Cortona in pittura, il cavalier Marini[8] in poesia, sono peste del gusto. Peste ch'ha appestato un gran numero di artisti. Non v'è male, da cui non si possa trarre del bene. È bene veder quelle loro opere e abbominarle. Servono per sapere quel che non si deve fare. Vanno riguardate come i delinquenti che soffrono le pene delle loro iniquità per istruzione de' ragionevoli. (Francesco Milizia)
L'Adamo dell'Andreini [...] la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza del suo Lucifero. (Terenzio Mamiani)
La vera – e, forse, la sola – colpa del Marino è di esser nato in un secolo, in che l'arte, respirando la vita artefatta delle corti, non era, e non poteva essere, il prodotto spontaneo e immediato di un popolo non servo e adulatore; il frutto di menti sane, nodrite a forti e grandi ideali sì civili, sì religiosi. Non vivendo più di pensiero – che sarebbe stato assurdo con la Spagna in casa, col Concilio di Trento e la santificazione di un numero infinito di frati – era pur mestieri sbalordire[9] le genti con un lusso inevitabile di tropi e traslati; con le metafore — vere maschere del pensiero – le antitesi, i giochetti e il romor delle parole. (Camillo Antona Traversi)
Mentre tanti e sì ben meritati onori rendevansi in ogni parte al Chiabrera, non eran minori quelli che tributavansi a Giambatista Marini, che si dee a ragione considerare come il più contagioso corrompitor del buon gusto in Italia. (Girolamo Tiraboschi)
Quegli che alla scoperta uscì a dimostrarsi riformatore della poesia volgare, fu Giambatista Marini napoletano, che, sebbene a bella posta nato sembrasse a sostener di essa i diritti, fu nondimeno il principale che, avvisandosi di alzarla ancor più in aito, venne a darle la spinta, onde miseramente cadesse. (Ireneo Affò)
↑ Citato in Giovanni Bernardino Tafuri, Vita di Angelo di Costanzo in prefazione a Angelo di Costanzo, Istoria del regno di Napoli, Volume 1, Società Tipografica dei Classici Italiani, Milano, 1805.