imprenditore italiano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Gian Carlo Minardi (1947 – vivente), imprenditore italiano.
[«Nella sua lunga carriera qual è il ricordo più bello che ha?»] Credo che sia il 5 aprile del 1985, quando alle 9:30, era un venerdì, si è acceso il semaforo verde e in quel momento lì ho detto: "Sono in Formula 1", perché la macchina è partita dai box. Quella è una sensazione che rimane unica.[1]
Elio De Angelis è uno dei più grandi piloti che l'automobilismo italiano abbia prodotto sul finire degli anni '70 e i primi anni '80. [...] Un ragazzo eccezionale per signorilità, educazione e simpatia. Appena s'imbatteva in un pianoforte non c'era stanchezza o lunga giornata in pista che gli impedisse di suonare con sorprendente maestria.[2]
[Su Mauro Forghieri] Era prima di tutto un amico e poi è stato un grande del Novecento, quello che ha vinto più titoli negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta fino agli anni Novanta. Era un un grande tecnico, ma anche un grande personaggio come uomo e soprattutto come amico. [...] Era l'ultimo dei grandi che costruiva tutto, dal telaio al motore: era il babbo del dodici cilindri. È un personaggio di un'altra epoca che oggi non esiste più.[3]
[Su Enzo Ferrari] Era un personaggio molto duro, che ha fatto del motorsport la sua vita, indole che condivido. Anch'io ho fatto del paddock la mia vita, il paddock è la mia seconda famiglia.[4]
In F1 è fondamentale avere un'auto vincente. Una casa non la costruisci partendo dal tetto, ma dalle fondamenta.[5]
[Su Ayrton Senna] Io l'ho conosciuto nel 1982, quando ancora non era nessuno e girava in Formula Ford, una specie della nostra Formula 4 attuale, ma ancora più rustica. Ayrton correva in Inghilterra in quel periodo e il mio pilota di allora, Paolo Barilla [...] mi disse di andare a vedere questo ragazzo. Senna frequentava molto Parma perché, allora, era il centro del mondo per i kart. [...] Insomma, andai a vedere Ayrton Senna prima in Inghilterra e poi a Hockenheim in Germania e scoprii un ragazzo che aveva sei marce in più rispetto a tutti gli altri. Un talento abbagliante. A Hockenheim lo invitai a cena e gli offrii un contratto da professionista per correre con la Minardi, lui mi ringraziò tantissimo — ero il primo a fargli questo tipo di offerta — ma disse che aveva già pianificato tutto il suo futuro: doveva diventare campione di Formula 1 nel 1988. [«E infatti ha vinto proprio in quell'anno il suo primo titolo mondiale»] In seguito ci siamo sentiti e frequentati spesso. Non ho mai lavorato con lui come pilota, ma ho avuto momenti molto belli da consigliere: quasi da fratello maggiore. L'ultimo purtroppo è stato il sabato sera prima dell'incidente a Imola. Mi diceva sempre che, dopo la vittoria del quinto titolo mondiale — per pareggiare il record di allora di Fangio —, sarebbe venuto a correre da noi per far diventare grande la Minardi.[4]
[«Che differenza vede tra la sua Formula 1 e quella di oggi?»] Oggi c'è più competitività che permette anche alle scuderie minori di lottare per buone posizioni. Non comprendo quelle persone che criticano la Formula 1 attuale. Ai miei tempi il distacco tra i team più forti e quelli più deboli era di quattro-cinque secondi, oggi in meno di tre ci sono 20 monoposto su un circuito di 5,3 chilometri e 15 curve. Alla competitività vengono però meno i sorpassi e contano di più le strategie, gli ingegneri e le abilità dei piloti.[6]
Sono sempre stato molto attento ai risultati dei giovanissimi, grazie anche all'aiuto di validi collaboratori [...] Uno di questo era proprio un ex Minardi, Adrian Campos. Dopo avermi segnalato Mark Gené, che corse con noi per due stagioni, mi portò all'attenzione Fernando. Iniziai quindi a seguirlo e rimasi subito folgorato. Era chiaro che aveva qualcosa in più. [...] Tradizionalmente il mio team metteva in palio per i piloti che vincevano i campionati [formativi] più importati un test. Quell'anno [1999] fu chiamato quindi anche Fernando in Spagna insieme ad altri piloti. Nonostante la pioggia, Alonso fece vedere cose che non avevo mai visto in un debuttante. Giocava con la macchina, tant'è che al terzo passaggio aveva già segnato il miglior riscontro cronometrico, dimostrandosi di un secondo e mezzo più veloce di ogni altro tester. A quel punto capii che avevo a che fare con qualcuno che era diverso da tutti gli altri piloti.[7]
Pur con possibilità economiche molto ridotte rispetto ai colossi, Gian Carlo ha funzionato perché ha saputo interpretare, come nessuno al mondo, lo spirito della Formula 1 raggruppando tutto sotto un unico box. E per tutto intendo la simpatia e l'ospitalità, la scoperta dei talenti e i risultati. In Gian Carlo traspariva la passione al di là di qualsiasi tipo di ritorno di carattere economico. Reincarnava perfettamente la Romagna grazie alla sua genuinità e alla sua passione. Trovare oggi una figura così, con questo spessore umano, è impensabile, perché oggi comandano esclusivamente tecnologia e soldi, per ospitalità e passione è meglio passare più avanti o guardare indietro e proprio per questo Minardi era una mosca bianca. [...] E poi non dimentichiamo il lato squisitamente sportivo. [«In che senso?»] Beh, i piloti più forti sono tutti passati da lui, tranne Senna. Che gli aveva promesso che avrebbe chiuso la carriera con Gian Carlo. Evidentemente Minardi non è stato solo una brava persona, ma anche un grandissimo talent scout. (Ezio Zermiani)