cantautrice e polistrumentista italiana (1995-) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Francesca Michielin (1995 – vivente), cantautrice e polistrumentista italiana.
Citazioni in ordine temporale.
Spesso l'errore che si fa con le donne è rifiutare che abbiano la loro complessità come ce l'hanno gli uomini. Le donne possono anche parlare di femminismo e andare alle sfilate di Moschino. Dipende come si usa il privilegio di essere una donna che può andarci.[1]
La mia fragilità c'è, ma crescendo diventa un'arma. [...] La fragilità è la risposta. Ti senti fragile? Porta la tua fragilità. Ti senti forte, la tua forza, sexy, la tua sensualità. Non c'è una regola, conta portare se stessi. Il lavoro è capire chi siamo.[2]
[Gaffe, rivolta a Colapesce Dimartino nel 2023] Ho visto che nel vostro album c'è un duetto pazzesco con Ivan Graziani: com'è stato lavorare con lui?[3]
Dalla conferenza stampa di presentazione dell'album Cani sciolti; citato in Claudio Cabona, rockol.it, 20 febbraio 2023.
[...] chi fa musica pop non deve perdersi a parlare solo di se stesso, deve dare dei messaggi perché la musica può aiutare e salvare. E lo si capisce interagendo con il proprio pubblico per cui una canzone può essere qualche cosa a cui attaccarsi nei momenti di profonda difficoltà. I cantautori, ma anche gli interpreti, non devono dimenticare il ruolo che hanno. Non dobbiamo solo compiacere. A volte un'artista deve anche stare sul cazzo. Certo, si possono scrivere pezzi per baciarsi e ballare, anche io li ho realizzati, ma non ci devono essere solo quelli. Bisogna scrivere anche per trasmettere qualche cosa di più, per scuotere.
[...] i numeri dell'industria musicale spiegano chiaramente come le donne occupino meno posizioni e ricevano meno supporto. Alla base di tutto c'è della misoginia, un problema di meritocrazia e un lungo e profondo tema culturale per cui l'uomo è visto come "più rassicurante e autorevole". È lo stesso motivo per cui vediamo poche donne direttrici d'orchestra.
[...] non ha senso andare in chiesa, ma poi essere razzisti e non pensare che se Gesù fosse stato un migrante sarebbe stato respinto come lo sono tanti oggi. E tutto questo ragionamento lo faccio da credente.
Da un intervento al Festival dell'Economia di Trento; citato in ilfattoquotidiano.it, 24 maggio 2024.
Dopo il Covid ho provato un senso di sopraffazione perché in qualche modo dovevamo recuperare il tempo perso. Mi sembra che anche in musica sia così: c'è ansia e foga di fare tante cose, di non perdersi nulla, escono tante canzoni ma durano poco e molte non se lo meritano. Bisogna allenarsi alla lentezza e prendersi il proprio tempo perché le cose belle resistono.
Penso che ogni artista debba essere libero di esprimere anche il suo lato non politically correct, ma non posso fare a meno di chiedermi a chi sto parlando, per chi faccio le canzoni e quindi cresce sempre più in me la voglia di raccontare qualcosa affinché possa essere utile. La vita non è una lista di successi ma quello che vivi ogni giorno, un artista deve quindi raccontare tutto, anche le proprie cadute e le proprie debolezze.
Sto entrando nel mondo degli adulti e vedere ai concerti bambini che cantano le mie canzoni è strano, mi sento molto responsabile nei loro confronti anche se mi chiedo quanto sia giusto visto che non salvo delle vite.
[Sui Red Hot Chili Peppers] Li conobbi con "By the Way", la svolta pop. Andando a ritroso scoprii il loro rock funkadelico che all'inizio mi turbava ma in cui imparai a vedere la loro storia, i loro travagli. E anche nell'ultimo "The Getaway" vedo dei 50enni davanti all'Oceano che fanno il bilancio della vita. Coerenti.[4]
Alla fine l'unica cosa importante oggi è entrare in contatto con le persone, ascoltarsi, capirsi.[5]
C'è una ricerca esagerata della velocità nella nostra società, ma comunichiamo sempre peggio. È più facile fraintenderci. Oggi possiamo prendere un biglietto e andare dove vogliamo. Comunicando con tutti istantaneamente. Eppure abbiamo qualcosa che abbiamo perso. Mi sono chiesta che cosa non voglio perdere. La risposta è il senso di appartenenza. Non solo parlarsi ma anche sentirsi, essere in connessione.[5]
E più semplice scontrarsi, elencare le differenze, usarle per allontanarsi. Credo, però, non ci sia specchio migliore se non nell'altro. Le differenze sono ancora belle. Secondo me, quando non sai bene da che parte andare il contrasto e il confronto – che hanno la stessa radice – vanno in collisione per evidenziare il concetto dell'identità. Se non ti fai "contaminare", non sei completa.
Il ruolo dell'artista è anche, a volte, quello di disorientare [i propri fan]. La cosa importante è dare sempre un senso alla ricerca e alla sperimentazione.[6]
Sono una grande appassionata di timbri musicali e mi affascina l'aspetto dello spazio sonoro, lo spettro che uno strumento può dare.[7]
Faccio volontariato da quanto avevo 12 anni. Mi affascina il tema delle migrazioni, così come la filiera etica. Non sono cose che posto sui social, però nei testi cerco sempre di inserire certi argomenti perché il ruolo dell'artista è questo: esporsi.[7]
La musica serve quanto i medicinali, quanto il cibo: cura e nutre in un'altra maniera.[8]
[Su Fabri Fibra] Ha un rapporto distaccato con la fama. Sa mettersi in discussione, non è "sborone", a differenza di molti suoi colleghi.[8]
Viviamo in un paese in cui si confonde la spontaneità con la preparazione. [«Spiegati meglio»] Se sei preparato, non sei spontaneo. C'è questa cosa un po' alla Boris, "a cazzo di cane", anche nella vita vera. E invece non è così. Prima di arrivare sul palco bisogna prepararsi molto.[9]
Penso di essere stata molto fortunata nel mio percorso, perché ho avuto un sacco di opportunità.[9]
Sognavo di fare questo lavoro, ma volevo fare la bassista e vivere di musica in giro per il mondo. Quando un fonico del mio coro gospel mi ha iscritto a X Factor l'ho presa come un'esperienza, senza particolari aspettative. Poi quando ho vinto, ho provato la classica sindrome dell'impostore, l'insicurezza di chi pensa di non meritarsi il successo che ha. Per non farmi travolgere da quel successo ho lavorato con lentezza, facendo un passo alla volta. E ho detto tantissimi no. [«La sindrome dell’impostore come l'hai superata?»] Cercando di accettare la mia sensibilità e la mia fragilità e di farne la mia forza, usando queste insicurezze come uno stimolo per studiare, migliorarmi e così sentirmi più serena.[10]
La musica pop è comunicazione, un linguaggio universale che arriva alla gente in mille modi diversi, persino con gli abiti. Penso ai Queen, che hanno dettato legge anche nell'ambito del costume, ai Beatles. Parlare con il look non esclude di farlo anche con la musica e viceversa. Io mi vesto per esprimere parti di me, e questo mi fa stare bene e mi dà una femminilità nuova, autentica. Però è vero che dovunque, incluso nella musica, vige un doppio standard: se sei donna, è più frequente che si parli di una scollatura sexy o delle tue gambe, se sei uomo ci si concentra sulle tue canzoni.[10]
Chi fa il mio mestiere è fortunato, ha una voce che può essere ascoltata. La mia filosofia di vita è sempre stata quella di utilizzarla al meglio, di usare la mia voce per dare voce e coprire degli spazi. Il tema dello spazio è fondamentale anche nella mia musica. Allo stesso tempo, però, credo che qualunque azione o messaggio si decida di trasmettere, questo debba essere libero e consapevole, nulla può minare la libertà di un artista nell'esprimersi, ma anche nel non farlo. Io non condivido chi chiede agli artisti di "schierarsi" per forza. Sono contro la "politicizzazione" della sua figura. Non si può chiedere a un artista di fare quello che non fanno i politici. È giusto e bello creare nuovi spazi di confronto con la propria voce, ma non bisogna avere paura di rimanere quello che si è: una persona che fa musica.[11]
[«Lei è vegana?»] Vegetariana imperfetta. Cioè di mio non consumo carne né pesce. Ma se sono ospite e me li trovo davanti, li mangio. Come capita quando vado a pranzo da mia nonna: se mi prepara l'arrosto non mi sogno di sprecare la mia porzione.[12]
[«Ha raccontato che in alcuni momenti si è fatta aiutare da uno psicologo, che non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto»] Se ti rompi una gamba vai dall'ortopedico? Se senti che qualcosa non va, è giusto farsi aiutare. Si deve parlare di salute mentale. [...] La depressione esiste anche da giovani. Non c'è solo la salute fisica, se uno va dallo psicologo non è matto. Non vanno confusi i ruoli delle persone. Ci sono le amiche, i genitori: ma non posso parlare con mia madre di certe cose.[13]
Ho un po' questa cosa da quando ho iniziato a scrivere, sono una persona che tende a rendere tutto quello che compone cinematografico. Forse anche perché mi piace la classica musica che ascolti nei viaggi, quella che ti fa proprio immaginare ciò che ascolti. Trovo che adesso si tende a fare musica più per macro concetti, quasi a spot, invece a me piace quella un po' più discorsiva, un po' più immaginosa.[14]
[Su Carmen Consoli] Lei per me rappresenta la cantautrice dissidente, il cane sciolto. È come se lei riuscisse sempre a portare la sua cifra stilistica, non è attenta alle mode, non strizza l'occhio a nessuno. Ha una serenità nel modo di vedere le cose davvero bella.[15]
Quando ho vinto X Factor, mi sono dovuta confrontare per la prima volta con l'immagine dell'artista pop e in quel momento mi sono detta "ma perché non posso essere solo voce, piuttosto che corpo che si espone?" A un certo punto ero convita che la bellezza fosse veramente riuscire a passare inosservata, essere talmente invisibile così nessuno mi avrebbe notata. Mi vergognavo. A 17 anni feci il grandissimo errore di fare una ricerca su di me su Internet e scoprii che alla domanda "secondo voi Francesca Michielin è bella" apparvero tutti commenti negativi "non è bella", "ha i denti un po' storti", "non è snella". Rimasi pietrificata e provai una sensazione fortissima di disagio. Se potessi fare qualcosa per la me di allora, mi abbraccerei e mi direi che "la bellezza è un percorso che fai con te stesso, dove il giudizio degli altri va silenziato e anche quello che noi diamo su noi stessi", è difficilissimo, ma bisogna provarci.[16]
Anche io forse a quattordici o quindici anni avrei rinunciato a un anno della mia vita per sentirmi accettata. La pensavo così perché non c'era rappresentazione pluralistica della bellezza, quello che i social, nel bene e nel male, ci hanno regalato. Bisogna riconoscere che ci hanno fatto vedere che siamo tutti diversi. In alcuni casi possono aver creato problemi, ma ci hanno anche aiutato, perché hanno permesso di parlare di ogni corpo come valido.[16]
Le scuole medie sono state un periodo un po' particolare per tutti. Molti decidono di uniformarsi agli altri. Io però non ci riuscivo. Volevo capire che persona diventare. E sentivo per esempio il bisogno di esprimermi con un certo modo di vestire. Erano gli anni di Girlfriend di Avril Lavigne e a me piaceva indossare gonne scozzesi con le catene. Alcuni compagni di classe dicevano che mi vestivo con le tovaglie da picnic. Ora rido all'epoca ci rimanevo male.[17]
L'impatto più forte l'ho avuto con Adele. Ricordo qualcuno che nella discografia disse: "se vuoi fare pop devi essere magra". Adele ha spostato questo paradigma inutile.[17]
[«Sul blog che tiene [...] scrive di palloncini rossi che si faceva scappare da bambina. Che cosa sono?»] I sogni che mi lasciavo sfuggire. Crescendo, me li immaginavo di notte sul soffitto, fermi. Sono la consapevolezza che crescere fa paura, poi arriva il giorno che li lasci volare via, perché crescere è anche essere felici di diventare.
Cantare così presto è stato bello, ma complesso. Hai 16 anni, ma non ti è perdonato nulla, perché comunque fai un lavoro. Intanto, prendevo treni da sola, studiavo di notte, con voti alti ma più bassi di prima, vedevo poco gli amici. E la musica non si fa in orari definiti, non è che stacchi a una certa ora e studi.
[«[...] leggo nel suo blog: "Per fare musica bisogna essere musica, cioè vivere"»] Bisogna stare attenti, infatti. Se lavori e basta, è come mangiare al fast food da solo. Produci tre sentimenti in serie al giorno. Io ho imparato a prendermi anche mesi con un tempo diverso ed è un serbatoio per vivere meglio i periodi di frenesia.
[...] "ora", l'"adesso" è tutto quello che hai, tutto quello di cui ti devi preoccupare.
[«I sogni stropicciati del suo blog cosa sono?»] Sono quelli che, come i calzini, si stropicciano se li lasci nel cassetto per paura.
Dall'intervista di Lavinia Farnese a Vanity Fair Italia nº 29, 2017; citato in vanityfair.it, 22 luglio 2017.
Dopo un 2016 da boato sono tornata a casa. Di colpo, il vuoto: di adrenalina, di desideri, di idee. Era evidentemente un capolinea, la fine di un capitolo. Non ero più un'adolescente, e neanche una giovane donna. Mi sono spaventata: e adesso come mi rimetto in gioco? Che cosa scrivo? Come mi risiedo al pianoforte? [«Che cosa si è risposta?»] Che era sbagliata la domanda. Mi sono rivista nelle esibizioni: buone, ma sempre come fossi prigioniera di una perfezione da raggiungere, come se qualcosa mi tenesse legata. Allora mi sono detta: hai 22 anni, smettila di girare intorno alle cose. Basta storie eteree, prenderla larga nell'universo. Di' esattamente quello che c'è da dire. Verità contro vanità: stupisci te stessa, prima di volere stupire gli altri, fai qualcosa che non ti aspetti prima di qualcosa che non si aspettano. E basta chiederti: che cosa faccio oggi? Come lo faccio? Chiediti piuttosto perché fai quello che fai.
[«Che cosa conta per lei oggi?»] Essere vera nel lavoro. Smettere di guardare alla musica come fossi sempre "la provinciale rimandata a settembre", e di portare la croce della "veneta senza il fascino del cantautore genovese, romano, napoletano". Ho accettato la mia terra per quello che mi ha dato e soprattutto per quello che non mi ha dato. [«Tipo?»] Bassano del Grappa non ha il mare, ma vallate pigre. E i Colli Euganei non sono l'Etna o il Vesuvio, ma vulcani estinti. A scuola eravamo un po' tutti montanari, culturalmente ci sottostimiamo. Non me ne vergogno più.
Se mai dovessi sposarmi non lo direi a nessuno e non metterei nemmeno la fede ma... no. Sono giovane, non ho voglia di ansie, di qualcuno al fianco che non capisce: i tempi, i cambi di programma, la mancanza di attenzione. È un gesto di altruismo. E soli si sta bene. Anche se non si può dire.
[...] mi sono iscritta al liceo classico per Hercules [...] Ero una patita. Amavo tutti questi tempietti greci, le colonne con i capitelli ionici. Primo giorno di ginnasio. L'insegnante di latino: "Perché siete qui?". Mica potevo dirgli: colpa di Hercules. Risposi: per avere una certa forma mentis. "Ottimo". E iniziammo con le declinazioni.
Intervista di Patrizio Ruviglioni, vice.com, 26 marzo 2020.
A sei anni cantavo nel coro parrocchiale, a nove ho iniziato a studiare il pianoforte. A dodici gli ho affiancato il basso elettrico, perché mi annoiavo. Amavo i Red Hot Chili Peppers e il basso mi distingueva. Le ragazze studiavano canto o chitarra. Differenziarmi, tra l'altro, mi aiutò con l'autostima: prima ero una nerd impresentabile, presa in giro dai compagni.
Essendo cresciuta con interpreti dalle voci assurde, tipo Celine Dion, io – che ascoltavo jazz e avevo un timbro scuro – mi sentivo fuori posto. Con Amy capii che potevo cantare anch'io [...]
Papà ha una collezione di dischi progressive, mamma della Motown Records, mio fratello più grande viene dal grunge. Io sono rockettara, metallara, ho amato il crossover e il funk rock. In prima superiore ho scoperto For Emma, Forever Ago dei Bon Iver, che mi ha cambiato la vita. Poi [...] sono arrivata all'indie italiano: Maria Antonietta, Dente, Brunori. E poi Lucio Battisti, che per la sua attualità resta il massimo del pop.
Bassano è un posto multietnico, che mi ha resa ciò che sono. Io sono cresciuta nella comunità ghanese del posto, ho avuto fratelli in affido dal Senegal e facevo il ramadan coi miei amici musulmani. Ma nello spettacolo ho sofferto il pregiudizio per cui, se sei veneta, bestemmi, ti ubriachi e sei "fredda". Sono luoghi comuni, siamo solidali anche fra culture diverse.
Della trap apprezzo il minimalismo delle basi, le progressioni armoniche, l'uso dell'autotune. [...] I pezzi pop di solito sono iper-prodotti, con soluzioni che secondo me neanche servono. Io cercavo una direzione moderna, e quindi ho pensato alla trap, dove si lavora per sintesi.
Bisogna far capire alle bambine come lo ero io che la bassista esiste, è una professione: non è una roba da maschi. Credo che le quote rose siano un concetto sbagliato in sé: una persona deve stare dove merita, indipendentemente dal sesso. Però a livello formativo servono. Quando vedo line-up con tre donne piuttosto che dieci... non posso credere che non ci fossero dieci artiste valide da inserire.
Degli esordi mi rimane la centralità di comunicare, la necessità di farmi capire. Non è detto che una canzone debba piacere davvero a tutti, ma posso partire da un qualcosa di "mio" e riempirla di significati, appunto, trasversali. Per il resto, odio le etichette, l'omogeneità. Da piccola chiedevo a mio fratello: "Secondo te si può fare un album di dieci tracce di altrettanti generi diversi?". Devo muovermi: se mi chiudessero in un genere solo, morirei.
Intervista di Mario Manca, vanityfair.it, 27 agosto 2020.
[«Lei è un "cuore impavido"?»] Sì, sono un cuore coraggioso. Anche perché, se ci pensa, cuore e coraggio hanno la stessa radice etimologica. [«In cosa si manifesta il coraggio?»] Nel fare delle scelte anche scomode che ti mettano di fronte alla tua fragilità, non stare sempre nella tua comfort zone e mettere gli altri al primo posto. Devo ricordarmi che faccio musica per gli altri, perché arrivino dei messaggi [...]. Sono molto fortunata perché ho l'occasione di suonare per gli altri ed è per questo che penso di essere impavida, così come sono impavide le persone che lavorano con me.
[«Che bambina era?»] Abbastanza arrogante e un po' strafottente. Ero nel mio mondo magico che capivo solo io, ero una bambina ermetica, molto riflessiva, pensierosa, rintanata nella lettura e nella musica: sentivo che non tutti mi capivano. Anche le amicizie più solide le ho strette tardi.
[«C'è stato un momento che ha segnato il suo ingresso nella realtà?»] Quando ho iniziato a studiare pianoforte in quarta elementare non riuscivo a suonare in pubblico e saltavo i saggi di fine anno: mi sentivo un po' sfigata per questo. Alle medie, il professore mi chiese di accompagnare l'orchestra della scuola al pianoforte e lì mi sono sentita come di fronte a un bivio: espormi oppure rimanere dov'ero. Ho accettato e questa cosa mi ha aperta al mondo, la musica è bella perché la puoi condividere e non la tieni solo per te.
[«Quanto è importante superare i limiti, per lei?»] La gente della mia generazione ha questo compito: fossilizzarsi su un'idea o uno stile non è sempre una cosa giusta da fare. Avere dei punti fissi è importante, ma sapersi mettere in ascolto è un atto di grande maturità, secondo me.
Sono cresciuta nella città del ponte [Bassano del Grappa], e questo mi ha sempre messo in una prospettiva particolare. Viaggio da quando sono piccola, per lavoro ho vissuto in tante città diverse e ho sempre cercato di mettermi in ascolto e di uscire dalla mia cerchia di sicurezze. Credo che sia questo il mio stato di natura.
Intervista di Lavinia Farnese, vanityfair.it, 26 marzo 2021.
Conviviamo negli stereotipi che ci inculcano senza intenzione di cattiveria, nei limiti culturali di cui siamo tutti portatori sani, nel patriarcato che è un virus, il cui vaccino è dialogare, esprimersi liberamente, pure nella musica che quando si esprime senza limiti diventa un po' anche politica. [...] Donne sessualizzate da mattina a sera: ho amiche che, nel buio, accelerano il passo con le chiavi di casa in mezzo alle dita. Ti danno della puttana se indossi quel jeans così stretto, se metti una maglietta senza reggiseno, e anche il twerking è diventato porno, quando ha origini culturali in danze africane antichissime.
[«Perché gira tutto intorno al sesso?»] Bisognerebbe chiederlo a Freud. Forse perché è la cosa più naturale che viviamo ma non facciamo che reprimerla?
[Sulla nonna] [...] in veneto mi ripeteva: "Ascolta tutti, sorridi sempre e manda in mona", che significa sia spedire a quel paese qualcuno sia augurargli di vivere con più leggerezza. Farsi scivolare addosso le cose: conquista del secolo.
L'educazione alla diversità di una rockstar del profondo Veneto che pensa il femminismo al plurale
Intervista di Massimo Coppola, Domani, 9 aprile 2021, pp. 14-15.
A casa mia non ho mai percepito quella forma malsana e divisiva in cui la donna fa certe cose e l'uomo altre. Ho però avuto una formazione piuttosto rigida su alcune cose; l'educazione, non tirarsela mai, testa bassa e pedalare, avere sempre rispetto per gli altri in tutte le forme possibili. [...] Mi ricordo mio padre alle medie mi disse «Non me ne frega niente del voto che hai in pagella, per me è fondamentale che tu ti ricordi sempre che esistono anche gli altri».
L'educazione è tutto, soprattutto quella scolastica, proprio perché non tutti nascono in famiglie libere e aperte. [...] ho avuto la fortuna di vivere in un'isola felice veneta. La mia [...] era una scuola multietnica e multireligiosa, si faceva educazione sessuale nel modo giusto e gli insegnanti erano davvero open-minded. La scuola, a prescindere dalla provenienza e dal ceto, dovrebbe dare la possibilità di rielaborare con gli altri l'idea di sé; è il primo strumento per abbattere l'individualismo. Io in quarta superiore non riuscii a frequentare la scuola e studiando da sola mi sono resa conto che non era tanto quello che studiavo, era come lo studiavo in classe, con chi lo studiavo in classe, la cosa importante.
Io ho iniziato a fare volontariato l'estate dopo la terza media, a Parigi, per un progetto di distribuzione alimentare per le famiglie indigenti. [...] a 19 anni sarei dovuta andare in Mozambico ma il mio formatore mi disse di stare in Italia, nel foggiano, a Borgo Mezzanone dove ci sono i braccianti sfruttati. [...] Ho conosciuto realtà durissime, dalla prostituzione, ai braccianti, ai rom. Ho insegnato italiano, ho fatto formazione sanitaria e giuridica, abbiamo messo in piedi una ciclo-officina per i migranti, perché siano autonomi e non debbano pagare il caporale per raggiungere il posto di lavoro. La frustrazione più grande è sempre quella: dov'è lo stato? [...] Grazie ai migranti ho capito cosa fosse la dignità. Ho sempre in testa le immagini dell'incendio nel ghetto di Rignano del 2017. Morirono due migranti, molti altri non sono mai tornati, ed erano tutti miei studenti nel 2016. È stato il mio primo vero confronto con la morte. Mi ricordo queste persone che dopo ore e ore sotto il sole arrivavano profumate, con la camicia bianca, per fare lezione con me. Per me quello è il simbolo della dignità. [...] andavamo avanti finché non tramontava il sole [...]. Poi spesso mi invitavano a cena, volevano a tutti i costi offrirmi la cena! La dignità è anche questo. Sembra davvero che meno hai e più sei generoso.
[...] le donne devono occupare più ruoli di potere. Non per una questione meritocratica ma di semplice parità. Non credo che non ci siano tante donne quanti uomini in grado di fare la cosa X.
Non esiste il femminismo ma i femminismi [...]: non si può parlare in nome del femminismo. Puoi parlare a nome di quello che tu ritieni giusto fare. È un tema politico.
Intervista di Francesco Raiola, music.fanpage.it, 5 gennaio 2022.
Ci ho molto ragionato su questa cosa, sul perché soprattutto il pubblico maschile ce l'abbia così tanto con una ragazza [come me] che parla di calcio, Formula 1, ma anche di assorbenti stessi, e penso che sia una questione di invidia inconscia che nasce dal fatto che alcune cose erano sempre viste come terreno loro. Io manco ce l'ho con queste persone perché sono meccanismi inconsci che hai fin da piccolissimo: pensa a quando si dice "professioni maschili", non è che è una professione è maschile ma spesso è solo che storicamente l'hanno sempre fatta gli uomini e quindi fa un po' strano se fatta da una donna e così se ne parla in un certo modo. Le shitstorm avvengono perché alcune persone si meravigliano, si rendono conto che un certo contesto sfugge dalla loro esperienza, dal loro controllo, per questo dà fastidio che io, donna, parli della Juve, della Ferrari e di tutto... Ma ripeto non gliene faccio una colpa perché sono cose a cui pian piano bisogna educarli, poi spesso sono commenti che arrivano da persone che hanno una certa età, per questo confido molto nelle nove generazioni.
[«Pensi di essere apprezzata e stimata quanto meriteresti?»] Spesso leggo "Francesca Michielin è troppo sottovalutata" e non so se prenderlo come un complimento o meno. Quando inizi molto giovane, fai cose di un certo tipo, è tosta imporsi, specie quando hai tante cose differenti da raccontare, non sei un'unica cosa, è sempre più difficile, secondo me, arrivare a tantissime persone. Penso a tanti artisti che mi piacciono e che sostanzialmente hanno fatto della loro nicchia una specie di vallata di gente che li segue. Secondo me, soprattutto quando sei una donna, il pubblico che si affeziona a te non ti molla facilmente e te lo dico io che non sono né sono mai stata una teen idol, però quello per ampliare il proprio pubblico è proprio un percorso molto lungo e in salita. So, però, che chi mi segue mia apprezza. Poi sai ci sono i classici preconcetti da abbattere perché sei una ragazza, ma questa cosa ci sarà sempre.
[«Possiamo dire che siete la generazione della precarietà musicale?»] Sì, tantissimo, anche il pubblico ha una cultura differente, non è tanto perché siamo persone che pensano alla musica in una maniera precaria, quanto perché il pubblico che usufruisce di questa musica ha un'idea molto usa e getta delle canzoni: metti le playlist, ti ascolti i singoli, raramente ascolti gli album, anche se sappiamo che si sta cercando di tornare a quel concetto più analogico della musica, pensa al vinile, ma viviamo un periodo storico difficile. Penso anche ad artisti come Beatrice Antolini che ascoltavo molto quando era più piccola e che a modo suo, anche se non faceva gli stessi numeri di un'artista come Elisa, aveva comunque il suo pubblico e sto prendendo proprio l'indie vero. Adesso è molto più difficile essere "indie", perché è come se ci fosse spazio per tutti, ma al contempo lo spazio di fruizione è molto stretto, quindi è difficilissimo. Secondo me il futuro sono i live, bisogna fare molti concerti.
Intervista di Elisabetta Moro, cosmopolitan.com, 21 novembre 2022.
[«Cosa non c'è più di quella Francesca di dieci anni fa e cosa, invece, è rimasto?»] Sono abbastanza introspettiva, mi piace usare l'aggettivo "umbratile". Però in passato ero quasi ermetica. [...] Nessuno riusciva a entrare del tutto nel mio mondo, il che può essere salvifico, ma negli anni ho imparato a condividere di più. La curiosità, invece, quella è sempre rimasta. A tratti anche lo stakanovismo e uno spirito di adattamento che mi porta a non bloccarmi davanti a cose nuove da fare, da imparare. Non sono mai stata una persona radicale, ma sempre idealista. Fin da piccola ho creduto in quell'attitudine inconsapevolmente rock 'n' roll di vedere le cose da più prospettive. Questo mi ha sempre salvata dal ridurmi a uno schema che mi definisse a tutti i costi.
Facendo il mio lavoro, ma vale anche in altri casi, hai un'esposizione abbastanza importante, sei sempre oggetto di critica e quindi diventi anche soggetto di autocritica. Inizi a dire "Sicuramente sono io il problema. Sicuramente io non vado bene". Perché è un mondo molto polarizzante, quindi o fai le cose bene o fai le cose male. E invece poi ci sono sempre mille sfumature e complessità da abbracciare. [...] Non dobbiamo vivere la vita come un esame da superare. C'è un po' questa cultura che bisogna distruggere i limiti, alzare l'asticella ed essere sempre più ambiziosi. Però questa cosa a volte ci fa distanziare dalla felicità, che non è quanto sei performante ma quanto riesci ad amare e lasciarti amare.
Desiderio, etimologicamente, è "de-sidera", essere lontani dalle stelle [...]. Ti mancano le stelle perché hai bisogno di loro. Spesso il termine desiderio acquisisce a livello sociale delle accezioni che possono essere sporche, negative, ma in realtà non è mai così. È puntare in alto, raggiungere un obiettivo elevato, nobile. [«Come donna desiderare è più difficile? Sembra sempre che vogliamo troppo, tutto»] È il rifiuto della complessità. Un uomo può fare tante cose, una donna se fa tante cose è negativamente ambiziosa e vuole troppo. C'è proprio un limite culturale. [...] Mi dicono "Ma quante cose vuoi fare? Ma sei sicura che ce la fai?". Poi mi chiedono "Ma quindi li vorrai i figli?", come se le cose dovessero escludersi a vicenda, come se non si potessero avere delle multipotenzialità come abbiamo tutti. La complessità fa paura, per questo le persone vengono discriminate in base all'orientamento sessuale e all'identità di genere.
Intervista di Francesco Raiola, music.fanpage.it, 22 febbraio 2023.
Non sono una persona che fa le cose a tavolino e forse sbaglio, perché chi ha successo, in questo momento, lo fa.
Ogni volta che faccio un disco penso che nel successivo dovrò fare tutt'altro, e non so dirti perché ma è sempre stato così. [...] sono stata sempre così nelle scelte, ogni volta che pubblico un album parte in me l'esigenza di alzare ancora di più l'asticella, a mio rischio e pericolo. Però secondo me, in ambito artistico, le scelte coraggiose non sono semplicemente manierismo, ma ha senso seguire questo istinto di provare a stupire e anche di disattendere il pubblico.
[...] da quando sono piccola mi succede questa cosa, ovvero che scrivo un pezzo – è successo anche con Vulcano e quelli che ho seguito in prima persona – e mi parte l'arrangiamento già in testa: sono in auto, per esempio, e penso all'orchestrazione degli archi. Dove non arriva la mia competenza – ho studiato composizione, ma non so suonare un arco – canto la linea e la mando al musicista, è una cosa che mi è sempre venuta facile quella della produzione e dell'arrangiamento, mi viene istintivo immaginare gli arrangiamenti, è una delle poche cose che in questo processo mi viene velocemente.
[...] non bisogna avere paura della propria cifra stilistica, ma deve essere una cosa da difendere sempre, anche se i tempi richiedono altro. Bisogna sempre ascoltare tutto, qual è la corrente, la wave, però non bisogna mai fermarsi e dire "non vado più di moda", perché chi fa musica non deve fare moda, deve tracciare un percorso e questo percorso è fatto anche di scelte coraggiose come magari questo disco sarà per molti.
Penso che siccome c'è sempre stato poco spazio per le donne, le donne stesse sono state involontariamente educate a pensare di dover sgomitare perché quel posto se non lo prendi tu lo prende un'altra. Invece non funziona così, non è che se Elodie è prima in radio e io sono quinta, lei mi sta togliendo un posto, non si deve ragionare così, mentre tanti discografici inculcano questo pensiero nelle artiste e succede anche ad alcuni fandom, che spesso sono frustrati nel vedere che X è lì e Y è là, ma non è che una è lì perché sta spodestando l'altra. È questo che deve cambiare nelle nostre teste, non esiste una quota femminile su dieci maschili.
Intervista di Tommaso Naccari, gqitalia.it, 31 marzo 2023.
È come se ci fossero delle tappe obbligate quando si fa questo mestiere. Soprattutto dal punto di vista della musica pop, ci si aspetta che si facciano sempre determinate cose. Io ho sempre creduto molto nel concreto: anche se faccio musica, sono una persona molto pragmatica e molto metodica. Credo che ogni tanto si facciano delle scelte per pura comunicazione, per pura enfasi [...]. Non credo in questa metodologia per me e per il mio pubblico, perché sono partita dai club super rock dove suonavo da sola la loop station [...] e da lì ho sempre creduto nella filosofia del passettino alla volta. Questo è anche il motivo per cui non ho mai fatto teatri prima [...], perché per me il palco teatrale è un luogo sacro, un luogo in cui vai quando hai una storia da raccontare veramente. Perché il teatro è una delle dimensioni più antiche dell'espressione artistica e quindi dev'essere fatto in un certo modo.
Di solito dicono che il nodo principale di una persona, cioè quello che la annoda di più, sia l'invidia. L'invidia si può sostituire al senso di stupore per ciò che non è come te. Non ho mai provato invidia nei confronti di colleghe, perché ho sempre coltivato quello che era il mio mood, anche a costo di vendere dischi meno di altri. La mia strada non era la competitività, volevo sempre tenere conto di ciò che mi fa stare bene.
C’è molta differenza tra l'applicazione, la mestieranza e quella che poi è la performatività. Se tu mi dici ti va di fare un programma? Io posso studiare giorno e notte, studio dizione, studio staging e dopo conduco al meglio di quello che riesco [...]. Faccio un podcast perché ho voglia di dire certe cose, lo faccio perché mi diverte, studio come migliorarmi. Mi piace scrivere, scrivo un romanzo, ci metto una vita perché volevo fosse un bel romanzo. Faccio tante cose, mi espongo, però poi non mi va che questo esporsi diventi sempre una cosa di successo numerico. Una volta una persona faceva bene tante cose ed era brava, oggi si è bravi solo per un algoritmo. Una volta ti esponevi perché avevi voglia di esporti, adesso lo fai perché hai un hype sui social. Io condanno fortemente questa performatività, che [...] sta distruggendo la musica pop che [...] aveva avuto un bel momento in cui mi sembrava ci fosse un fervore culturale; c'era l'ITpop, il rap fatto in un certo modo, il pop anche al femminile – passami questo termine orribile – fatto in un certo modo. Adesso è diventato tutto relazionato alla FIMI, lo streaming... A me affascina la voglia di fare le cose, tante cose, fatte bene, mettersi e studiare.
Esce un pezzo e già i magazine di settore chiedono alle persone di commentare, chiedono un parere ancor prima della musica, semplificando. La cosa più importante è rivendicare la propria complessità, siamo sempre stati complessi nella ricerca della nostra identità. Non possiamo dopo questo momento storico essere radicali, binari e polarizzati. Io stessa mi rendo conto che a molte persone sto sul cazzo perché non capiscono cosa voglia fare. Ho avuto una discussione molto forte con un direttore artistico di un Festival, perché mi diceva che non capiva dove volessi andare: a volte ero una brava ragazza, a volte ero tutta in tiro, a volte ero molto pop, a volte più sperimentale. Per le donne è ancora più difficile, quasi che una donna debba essere rassicurante. [...] Io credo di non avere assolutamente voglia di trovare una sintesi. Questa sintesi per me è ascoltare quello che ho dentro senza reprimerlo.
«Metafore e stile unico. Non insegue facili hit»
Intervista di Andrea Laffranchi, Corriere della Sera, 14 luglio 2024, p. 35.
[Su Taylor Swift]
[«Il punto di forza?»] I testi. [...] Lei ha una capacità unica di usare metafore e giochi di parole, pur restando pop. [...] L'unico limite che può incontrare Swift è la necessità di essere pop, di doversi esprimere in modo semplificato. Ma sta già portando il pop a un livello di complessità più elevato: un giorno le diremo grazie.
Lei è uscita dal concetto della ricerca della hit. La ami non per un brano, ma perché ti piacciono il linguaggio e l'estetica che sono qualcosa di organico in cui tutto si lega. Ha creato una nicchia gigante, un universo in cui da fan ci puoi sguazzare dentro.
Lei incarna lo spirito del tempo, è quindi è un role model per la GenZ, ma allo stesso tempo ha una nostalgia che colpisce noi Millennials, generazione che non è nata con internet, i social, i cellulari. [...] In carriera lei ha raccontato le diverse fasi della vita, fregandosene della coerenza che a volte limita gli artisti, perché la coerenza non esiste nella vita di tutti noi.
Gli autori dei testi sono indicati nelle note o nelle informazioni degli album. Qualora tale indicazione sia assente, l'autore del testo è il cantante stesso.
Di20are
Etichetta: Sony Music, 2015, prodotto da Michele Canova Iorfida.
Nessun grado di separazione, | nessun tipo di esitazione, | non c'è più nessuna divisione tra di noi, | siamo una sola direzione in questo universo | che si muove, | non c'è nessun grado di separazione. (da Nessun grado di separazione[18], n. 1)
E guardavo il mondo da una porta | mai completamente aperta | e non da vicino. (da Nessun grado di separazione[18], n. 1)
2640
Etichetta: Sony Music, 2018, prodotto da Michele Canova Iorfida.
Queste cose vorrei dirtele all'orecchio | mentre urlano e mi spingono ad un concerto, | gridarle dentro un bosco, nel vento | per vedere se mi stai ascoltando. (da Io non abito al mare[19], n. 4)
Queste cose vorrei dirtele sopra la techno, | accartocciarle dentro un foglio e poi centrare un secchio, | stasera non mi trucco che sto anche meglio, | voglio vedere se mi stai ascoltando, | se mi stai ascoltando. (da Io non abito al mare[19], n. 4)
Citazioni in ordine temporale.
Alla fine i testi arrivano sempre, le parole di un disco che ti spingono la porta del cuore e la forzano di peso ma non riescono ad uscire, alla fine escono e ti travolgono. I testi arrivano sempre [...]. Se non vivi, nessun racconto si manifesta, ti viene a trovare, si presenta a te con gli occhiali da sole e ti rapisce. Al massimo ti metti a fare filosofie. Alla fine i testi li porta sempre il vento. Il vento. E perché non ci sia nebbia, c'è vento. Punto. Alla fine quando ti chiedi perché sei in un posto, perché ci sei finito, scopri che era tutto sotto i tuoi piedi e mentre camminavi la strada, come una linea di inchiostro simpatico, sarebbe stata leggibile solo dopo. Quando faccio un respiro profondo, scopro che sta andando tutto bene e che il rischio è il mio mestiere, come quando mio nonno artigiano rischiava di tagliarsi un dito mentre lavorava il legno. E quando mi chiedono ancora perché studio pianoforte jazz, che tanto "la musica la fai in altri modi", rispondo che sto imparando una cosa in questi tempi poco nota: l'armonia.[20]
Ai cuori selvatici non spaventano i tempi lunghi, i sogni ambiziosi, le settimane erranti, ai cuori selvaggi spaventano le cose più piccole di quanto sembrino.[21]
Spesso quando vinci nessuno capisce, perché non sempre è evidente quello che riesci a fare. Tu lo sai perché sai cos'eri prima e quanta strada hai percorso. Quindi che cosa conta? Il risultato o l'evoluzione?[22]
[...] è lunedì. E mi hanno chiamata ancora MICHELIN.[23]
Aufhebung è una delle mie parole preferite (e una delle poche parole tedesche che conosco). Significa sia "conservare" sia "togliere", vuol dire "mantenimento" ma anche "superamento". Come si fa a mantenersi ma anche a superarsi? Come si fa a conservare il proprio stile ma al contempo a rinunciare a parte di esso per qualcosa di nuovo? La risposta siamo sempre noi. Noi diamo coerenza anche quando siamo apparentemente incoerenti. Perché solo chi si supera, sperimentando anche ciò che è più distante, poi riesce ad evolversi. Mi piace lavorare in quest'ottica, scrivere senza paura di non assomigliarmi, perché, alla fine, sono fatta di moltitudini. Non mi assomiglio mai ma sono sempre io.[24]
Noi ragazze venete semplici poniamo sempre una domanda al primo appuntamento: "tu come lo bevi lo spritz?" (che, vi giuro, è la domanda fondamentale per capire se è la persona giusta!).[25]
[...] ho capito che non sempre possiamo avere il controllo su tutto, anzi: ho capito, o meglio, ho accettato che spesso la vita ci chiede di lasciare andare, anche quando le domande sono più delle risposte, ma ancora di più, ho compreso che dobbiamo dare dignità e abbracciare i nostri corpi anche e soprattutto nei momenti di "imperfezione", di profonda insicurezza e vulnerabilità, anche e soprattutto quando non ci possono sostenere come vorremmo.[26]
A volte è difficile tornare a casa perché nel frattempo la casa si sposta. Diventa altro. E il tuo cuore non è più quello di prima.[27]
Citazioni in ordine temporale.
[Durante la pandemia di COVID-19] Di questo periodo mi ricorderò il silenzio, e il fatto che il silenzio non vada per forza riempito con le parole. Spesso ascoltare e ascoltarsi è la cosa migliore, i boati non sono un modo per stare vicini: lo sono gli abbracci, anche se distanti, lo sono il chiedere "come stai?".[28]
E anche oggi, come ogni mese, ho speso i miei 15 euro di assorbenti [...]. Del resto, avere il ciclo è un lusso, è uno sfizio, come voler bere spumante, andare in vacanza, comprarsi le sigarette o un nuovo smartphone, no?[29]
Un buongiorno affettuoso e un buffetto sulla guancia al troll della mia pagina Wikipedia che modifica costantemente "cantautrice" con "cantante". Sei forte.[30]
Quest'anno la Juve trasuda disagio e io rega la amo ancora di più.[31]
[Sull'errore ricorrente nello scrivere il suo cognome] Comunque per la cronaca si scrive Michielin. Nonostante la passione per la F1, non sono (ancora) uno pneumatico.[32]
Accogliere un fallimento, accettarlo, permettere e permettersi di fallire è fondamentale; ma ultimamente la parola fallimento è usata anche per ciò che non lo è, è tutto un "flop". Si urla al fallimento quando si potrebbe parlare di naturali tappe di un percorso. Non esistono per forza passi falsi, ma passi, che si percorrono per forza di cose. Nella società della performance sembra che tutto sia relazionato a termini quantitativi, quando spesso felicità e bellezza non rispondono a questi termini, anche se il capitalismo così vorrebbe. [...] se sempre più persone chiedono di ammorbidire e ridimensionare, se sempre più persone sono esasperate da questo concetto, chiediamoci se ci fa bene che la nostra visione delle cose sia così spesso relazionata ad un'ottica competitiva. Si può fallire come persone quando facciamo del male agli altri, quando mettiamo muri, quando dimentichiamo di utilizzare empatia e compassione. Quello sì, che è fallire, ma si può comunque guarire. Per il resto, scialliamoci un po', e usciamo dalla partita di calcetto.[33]
Non tanto cosa vuoi fare da grande, ma come vuoi diventare grande.[34]
Annalisa: controllo nelle note basse [...] ASSURDO, controllo nelle note medie ASSURDO, controllo nelle note alte ASSURDO. Dio santo sta donna è un fottuto fenomeno.[35]
Ha una freschezza nella voce che rende tutto cristallino. Vedo in lei una purezza e una limpidezza interpretativa quasi adolescenziale e, nel contempo, una grande forza espressiva. (Cheope)
↑ Dall'intervista di Silvia Fumarola, Francesca Michielin: "Il futuro fa paura ma troverò il mio spazio di felicità", la Repubblica, 15 luglio 2022, p. 46.