Dario Hübner (1967 – vivente), allenatore di calcio ed ex calciatore italiano.
Citazioni in ordine temporale.
- [«Come fu scoperto Hübner?»] Facevamo un torneo, con la selezione [di Prima Categoria], a Treviso. Zambianchi [direttore del Treviso] volle portarmi in ritiro. Mi licenziai da operaio, il Treviso giocava in C2. Potevo diventare professionista. Alla fine del ritiro l'allenatore del Treviso mi disse: "Noi ti terremmo, ma giocheresti poco. Ti vuole la Pievigina, l'allenatore ti ha visto nell'amichevole che abbiamo giocato contro di loro e gli piaci. Ci stai?". Si trattava di Interregionale. Dissi di sì, ovvio. La mia settimana era così: stavo in ritiro e dormivo con i giocatori del Treviso, poi andavo ad allenarmi con la Pievigina insieme al portiere Pizzolon, che era in prestito là e mi portava in auto visto che non avevo la patente. Quel Treviso fallì, Zambianchi andò al Pergocrema e mi volle con sé. Di lì il Fano e tutto il resto.[1]
- Ci sono tanti giovani italiani bravi, bisognerebbe dar loro fiducia anziché privilegiare sempre gli stranieri. Conta tanto la testa. [...] Nei settori giovanili non bisogna cercare sempre il giocoliere, il talentuoso. Troppo spesso nelle squadre Primavera vedo ragazzi poco determinati, per mentalità sembrano a fine corsa e non all'inizio.[1]
- [«Hübner, dica la verità: quante sigarette fumava all'apice della sua carriera?»] Almeno 20-25 Marlboro al giorno. E lo facevo alla luce del sole. [«Nessun allenatore ha provato a farla smettere?»] Mai nessuno contrario, a loro importava che mi impegnassi in campo. Certo, le sigarette fanno male, lo dico sempre, ma facevo tanto sport e una vita regolare: questo mi ha salvato.[2]
- [Nel 2020, «che posto è il calcio di oggi?»] Un posto che non fa per me: io lottavo in campo, oggi combattono i procuratori, i papà, gli sponsor.[2]
Da un'intervista a Radio Toscana; citato in Luca Cellini, calciomercato.com, 12 ottobre 2011.
- Mihajlović non era veloce, ma sapeva sempre dove finiva la palla.
- Il mio piccolo rammarico è di non aver mai giocato in Nazionale. Purtroppo non ho fatto neanche una presenza, pur avendo fatto almeno un paio d'anni ad alti livelli. Guardando gli ultimi dieci anni, ci sono giocatori [...] cui bastano un paio di partite per arrivare in azzurro, mentre prima non bastavano neanche 300 partite in Serie A.
- Non ho il rimpianto di aver giocato in una grande squadra, perché non è detto che se avessi giocato in una big avrei avuto lo stesso rendimento nelle cosiddette provinciali.
- Il giocatore più forte con cui abbia mai giocato è Pirlo, quando lui aveva diciannove anni ed eravamo compagni di squadra nel Brescia. Già a quell'età si vedeva la sua straordinaria qualità nel gestire il pallone.
Parola di Bisonte
Intervista di Raffaele Panizza, SportWeek nº 16 (829), 22 aprile 2017, pp. 56-60.
- [«Quando non ci sono le telecamere, il calcio com'è?»] È ostico, maschile. Giochi su terreni assurdi e ti cambi in spogliatoi dove i dirigenti avversari lasciano apposta il riscaldamento acceso a giugno, per sfiancarti. Ti alleni tre volte a settimana e la domenica metti i soldi della benzina, per far la trasferta.
- [«Chissà quanti presunti fenomeni ha visto perdersi».] Centinaia. [...] Tanti ragazzi [...] senza cattiveria né voglia di migliorare. A 35 anni non mi sentivo ancora al top, questi credevano di essere già arrivati.
- [Sull'aver giocato insieme a Roberto Baggio] Roberto aveva 35 anni e molti acciacchi alle spalle. Poteva farti vincere una partita in ogni momento, ma non era più quello di prima. [...] Si allenava per conto suo [...]. Non faceva le corse in salita e in partitella stavamo attenti coi contrasti. Noi sgobbavamo, e lui faceva i suoi balzettini a bordo campo. Ogni tanto lo prendevamo in giro: "Robi non stancarti troppo, eh!" Ma sapevamo bene che averlo a Brescia era già un miracolo.
- [«Il difensore con cui s'è menato di più?»] Montero della Juventus. Erano botte per novanta minuti, ma nessuno osava lamentarsi: gomitata, calcione, spinta. A fine partita ci abbracciavamo, e ci scambiavamo le casacche.
- [«[Un difensore] di fronte al quale s'arrendeva per manifesta superiorità?»] Alessandro Nesta. Eri convinto di aver la palla e invece l'aveva lui, che anticipava sempre. Sempre pulitissimo, non s'attaccava neppure alla maglietta.
Intervista di Marcello Astorri, sportpiacenza.it, 16 aprile 2020.
- [«Mi chiamavano Tatanka... da cosa deriva questo soprannome?»] Io soffro un po' di cifosi e a Cesena mi chiamavano il bisonte per il mio particolare modo di correre. Poi in quegli anni era uscito il film Balla coi Lupi. In una scena, c'è un indiano che parla con Kevin Costner e dice la parola tatanka, che nella loro lingua vuol dire appunto bisonte.
- [«[...] eri uno di quelli che si vedeva già che sarebbero diventati fenomeni, o sei uno di quelli che si è costruito pezzo dopo pezzo?»] Direi che appartengo alla seconda categoria. Fino a 20 anni giocavo in Prima, andavo al campo per stare con gli amici. Poi, facendo vari tornei in Friuli Venezia Giulia, fui notato dal direttore sportivo del Treviso e da lì iniziò tutto con l'esperienza in C2 e quindi alla Pievigina in serie D. All'epoca era tutto diverso, non era come oggi dove anche in Prima categoria trovi tanti piccoli Sacchi. Non si faceva grande tattica. Il tuo unico scopo era andare alle sette di sera al campo per divertirti.
- Avevo dei passatempi semplici, come quelli degli altri ragazzi. Il calcio però mi è sempre piaciuto. Ci trovavamo in un parcheggio, quattro contro quattro, tre contro tre. Il calcio è bello perché è uno sport povero, basta veramente avere un pallone.
- Io lo dico sempre: per me Ronaldo non era umano. Ho incontrato altri calciatori forti come Zidane, Samuel, Nesta, Maldini. Ma Ronaldo non era umano. Faceva cose che non sembravano vere. Aveva una velocità e un controllo di palla che non appartenevano a questo mondo.
- [Su Luciano De Paola] Beh, lui tecnicamente non era fortissimo. Aveva i piedi quadrati [risate, ndr] Luciano la buttava sulla grinta e sull'agonismo, non potendo fare i passaggi di Pirlo. Era uno di corsa, che randellava tanto, il tipico mediano. Però nel calcio servono anche questi giocatori.
- [«Nel 2000-2001 fai coppia con Roberto Baggio al Brescia. Com'è stato?»] Con Roberto ho avuto una fortuna e una sfortuna. La fortuna è che lui era una persona squisita. Mi ricordo che al venerdì ci mettevamo tutti lì a guardare lui che calciava le punizioni: sembrava di essere in un film, dove noi facevamo play e replay. Su dieci punizioni, nove le metteva al sette. La sfortuna, invece, è che ci siamo incontrati quando ormai non eravamo più di primissimo pelo. Lui aveva problemi al ginocchio, alla schiena, non era più quello ammirato alla Fiorentina o alla Juventus. [«Però era comunque tanta roba...»] Sì, era un giocatore straordinario. Non importa se stavi perdendo, se mancava tanto o poco. Se c'era Baggio in campo, avevi sempre la speranza di poterla pareggiare.
- Le litigate le facevo più spesso in serie C. Soprattutto quando andavi al sud, dove si giocava un calcio più grezzo. Mentre in serie A o B, con le telecamere, non facevi più di tanto. In C c'era più libertà di espressione – risate, ndr – davo e prendevo botte, ma sempre in silenzio.
- [«Secondo te, qual è il più grande talento inespresso dei tuoi tempi?»] Ricordo Marco Barollo, esterno sinistro nel Brescia. Per me era un grandissimo giocatore, aveva tutto per diventare un grande: velocità, fisico, tecnica. Poi si è un po' perso. Forse non aveva tanta cattiveria, però aveva grandissime qualità.
- I tempi cambiano. Una volta il giocatore era valutato per quello che faceva nei 90 minuti in campo, oggi viene osservato tutta la settimana attraverso i social.
- Il mio orgoglio è che in ogni città in cui ho giocato ho lasciato un buon ricordo. A Cesena, Brescia, Piacenza, Mantova incontro persone che mi salutano e mi apprezzano ancora oggi. Il mio rammarico è l'essere arrivato tardi. Se a 16 anni avessi giocato nel settore giovanile di una squadra importante forse avrei fatto una carriera diversa. Però sono contento di quello che ho ottenuto grazie alle mie sole forze. Nessuno mi ha regalato niente. E comunque mi è andata bene, perché avrei potuto anche fare l'operaio.
- [«Oggi esistono tante scuole calcio. Eppure nascono meno talenti. Insegnava di più il calcio di strada?»] Il calcio di strada ti insegna la cattiveria, che penso sia il 40% di un giocatore. Quando hai dieci anni e giochi contro ragazzini di 14-15, se non sei abbastanza cattivo la palla te la rubano. E allora ti abituavi agli scontri fisici, a farti valere per non soccombere ai più grandi. Oggi vedo tanti calciatori, ma nessuno ha la cattiveria che avevamo noi.
Intervista di Diego Guido, ultimouomo.com, 14 marzo 2022.
- Mi hanno sempre voluto bene dappertutto. Ho anche avuto forse la fortuna di aver passato dieci anni tra Cesena, Brescia e Mantova che hanno tifoserie gemellate. Forse ha aiutato anche questo, non lo so. Ma anche a Piacenza, per esempio, ogni volta che vado mi trattano da idolo.
- Non ho mai sentito nessuna farfalla allo stomaco, né da giovane né all’arrivo in Serie A. Mai sofferto di tensione prima delle partite. Sapevo che mi ero preparato e che avrei fatto il possibile, e basta.
- [Sugli inizi in Prima Categoria] Avevo i piedi di marmo ma fisicamente ero già una bestia. Non sentivo la fatica.
- [«E tentare di lavorare nel professionismo non gli interessa?»] Ho preso il patentino per allenare e avevo anche provato con i giovanissimi al Piacenza, ma ha smesso quasi subito. Non trovo più il calcio che piaceva a me. E poi una volta uno dei ragazzi che allenavo mi aveva detto "Mio papà dice che devo fare così", "Allora ascolta lui" gli ho detto. Suo papà faceva l'agente di commercio. No, non faceva per me.
- Era maggio del 2002, e Dario Hübner fu preso in prestito dal Milan per la tournée in America. Ricordo un aneddoto, che successe contro l'Ecuador. Finì il primo tempo, e al rientro negli spogliatoi [...] cerco Hübner, e non lo trovo. Chiedo agli altri: "che fine ha fatto Dario?" Abbiati mi fa: "Mister è dietro il bagno". Aprìi la porta, e vidi che stava fumando una Marlboro e vicino aveva una piccola lattina di birra, che si era portato dall'albergo. Gli dissi: "ma Dario, che fai? Ti stai giocando una conferma nel Milan, e vieni a fumare e bere negli spogliatoi? Come lo giochi il secondo tempo?" Lui mi guardò ed in tutta tranquillità disse: "Mister, sinceramente è una vita che faccio questo, e se non lo faccio non riesco a rendere al meglio. Per quanto riguarda il Milan, son venuto solamente per la pubblicità in modo che posso allungare la carriera di altri 2-3 anni. A quest'ora ero al mio paese a prendere un po' di fresco. Terza cosa: la vuole una sigaretta?" A quella frase tutto lo spogliatoio, cominciò a ridere, ed anche io mi feci una bella risata. Era così Dario, genuino al massimo. Pensava solo a star bene con se stesso. (Carlo Ancelotti)
- In questo mondo che è | pieno di lacrime | io certe volte dovrei fare come Dario Hübner | e non lasciarti mai a consumare le unghie (Calcutta, da Hübner)