cardinale e arcivescovo cattolico italiano (1943-) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Angelo Bagnasco (1943 – vivente), vescovo e cardinale italiano.
A fronte della complessità sociale e culturale oggi in atto che determina il diffondersi del secolarismo, l'Evangelizzazione va intesa come prima evangelizzazione e in termini di catechesi, cioè di una fede pensata, sia per quanto riguarda le ragioni della fede sia per quanto riguarda i contenuti della fede perché esiste una grande ignoranza religiosa assolutamente da colmare per resistere alle sfide della secolarizzazione.[1]
È di tutta evidenza che lo Stato in sé ha bisogno di un popolo, ma il popolo non è tale in forza dello Stato, lo precede in quanto non è una somma di individui ma una comunità di persone, e una comunità vera e affidabile è sempre di ordine spirituale ed etica, ha un'anima. Ed è questa la sua spina dorsale. Ma se l'anima si corrompe, allora diventa fragile l'unità del popolo, e lo Stato si indebolisce e si sfigura. Quando ciò può accadere? Quando si oscura la coscienza dei valori comuni, della propria identità culturale. Parlare di identità culturale non significa ripiegarsi o rinchiudersi, ma si tratta di non sfigurare il proprio volto: senza volto infatti non ci si incontra, non si riesce a conoscersi, a stimarsi, a correggersi, a camminare insieme, a lavorare per gli stessi obiettivi, ad essere «popolo». Lo Stato non può creare questa unità che è pre-istituzionale e pre-politica, ma nello stesso tempo deve essere attento e preservarla e a non danneggiarla. Sarebbe miope e irresponsabile attentare a ciò che unisce in nome di qualsivoglia prospettiva.[2]
Il lavoro è parte speciale di quelle condizioni indispensabili che una società veramente umana deve garantire perché ognuno possa non solo sopravvivere e vivere ma ancora di più realizzare se stesso secondo il disegno di Dio.[3]
L'immigrazione è una realtà. Occorre saper coniugare insieme quel principio dell' accoglienza che ha sempre innervato l' anima profonda del nostro Paese con un altro principio, non meno necessario, quella della legalità, di cui tutti si avverte la necessità per la convivenza sociale.[4]
L'opinione pubblica come le famiglie devono sapere che noi Chiesa faremo di tutto per meritare sempre, e sempre di più, la fiducia che generalmente ci viene accordata anche da genitori non credenti o non frequentanti. Non risparmieremo attenzione, verifiche, provvedimenti; non sorvoleremo su segnali o dubbi; non rinunceremo a interpretare, con ogni premura e ogni scrupolo necessari, la nostra funzione educativa.[5]
L'unità del Paese resta una conquista e un ancoraggio irrinunciabili. Ogni auspicabile riforma condivisa a partire da quella federalista, per essere un approdo giovevole, dovrà storicizzare il vincolo unitario e coerentemente farlo evolvere per il meglio di tutti.[6]
La Chiesa non porta avanti se stessa, ma serve l'uomo con la simpatia di Dio.[7]
La felicità piena della Chiesa, che viene da Cristo, non viene meno anche a fronte dei nostri tradimenti.[8]
La Liguria è una società molto operosa e poco abituata all'ostentazione di ciò che fa e delle sue ricchezze. [La fede] si esprime molto nelle opere di carità. Grazie alla configurazione e alla storia della Liguria vi è una cultura abbastanza omogenea e, dal punto di vista religioso, un buon radicamento nel territorio da parte della Chiesa attraverso le molte parrocchie, anche piccole, disperse per le colline oltre che per la riviera. Anche le tradizioni, come quella dei Cristi, splendidi crocifissi grandi e pesanti, portati nelle processioni dei paesi e delle diocesi, sono molto sentite.[1]
L'Italia sta andando verso un lento suicidio demografico» perché «oltre il cinquanta per cento delle famiglie oggi è senza figli, e tra quelle che ne hanno quasi la metà ne contemplano uno solo, il resto due, e solamente il 5,1 delle famiglie ha tre o più di tre figli. Urge una politica che sia orientata ai figli che voglia da subito farsi carico di un equilibrato ricambio generazionale.[9]
Non ci sono dogmi di fede e non ci sono dogmi di nessun genere per quel che riguarda le prassi sociali. Anche questo nodo deve essere affrontato con una sola intenzione, un solo obiettivo: bisogna valutare questa questione in chiave propositiva perché qualunque decisione, qualunque modo di affrontare l'articolo 18, deve mirare a creare posti di lavoro o altrimenti non serve a niente.[10]
Se per nessuno è possibile l'assenteismo sociale, per i cristiani è un peccato di omissione.[11]
Da Il valore della coscienza nell'impegno sociale e politico
Intervento del cardinale Bagnasco alla giornata di riflessione sulla formazione sociale e politica di Retinopera, Zenit, 17 dicembre 2011
La modernità ha individuato infatti nel tema della coscienza una delle sue frontiere più emblematiche.
Il deperimento a cui viene sottopone il senso religioso produce inevitabilmente smarrimento etico.
Troppe volte, nella cultura come nella vita, si confonde il concetto di coscienza, ossia la capacità della persona di riconoscere la verità e la decisione di incamminarsi in essa, con l'ultima perentorietà dell'istanza soggettiva.
È lo stordimento attorno al falso concetto di autonomia ciò che fa entrare in profonda confusione la cultura odierna, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto più si sente prossima a fare ciò che vuole.
Vi è una ragione dell'essere che è più forte e più resistente di ogni costruzione umana. Riconoscere questo reale in sé, e piegarsi riconoscenti ad esso, è l'atto più morale che noi possiamo compiere.
Il bene dell'uomo coincide con la sua strutturale apertura al futuro.
La vita umana dal suo primo istante alla morte, la libertà di crescere e maturare, il matrimonio tra l'uomo e la donna, sono beni fondamentali e fondativi; sono beni senza dei quali non ce ne potranno essere altri, come il lavoro, l'inclusione, la sicurezza, l'ambiente, la pace.
Le necessarie mediazioni che la politica richiede non potranno mai infirmare i beni primari, né indebolirli o contraddirli, né sottrarre loro l'energia che apre al futuro.
Il silenzio della coscienza, per incuria e abbandono, può far scambiare l'istintività per spontaneità, il velleitarismo per pertinenza, l'ingiustizia per giustizia, la morte per vita, l'egoismo per amore.
Nel momento stesso tuttavia in cui si debella dalla coscienza il Magistero, senza rendersene conto già lo si sostituisce con un surrogato.
Da Prolusione del Cardinale presidente
Consiglio permanente della Cei, 24-27 gennaio 2011; consultabile in Corriere della Sera, 24 gennaio 2011.
Anziché una somma di tanti "io", sicuramente legittimi e forse un po' pretenziosi, occorre insediare il plurale che abita in ogni famiglia, il plurale di cui si compone ogni società.
Dio supera il nostro metro di misura e lo sorprende, non in astratto però, bensì nel Bimbo deposto in una grotta.
È la religione ad aiutare la persona a distinguere tra l'assenza di costrizioni e il comportarsi secondo i doveri della coscienza.
È lo stordimento attorno al falso concetto di autonomia ciò che incrina la cultura odierna, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto si sente prossima a fare ciò che vuole.
Emarginare simboli, isolare contenuti, denigrare persone è arma con cui si induce al conformismo, si smorzano le posizioni scomode, si mortificano i soggetti portatori di una loro testimonianza in favore di valori cui liberamente credono.
Il mondo degli adulti, secondo le diverse responsabilità, è in debito nei confronti delle nuove generazioni, "in debito di futuro".
Il vincolo religioso è stato realmente l'incunabolo da cui è scaturita la prima coscienza di una identità italiana.
La desertificazione valoriale ha prosciugato l'aria e rarefatto il respiro.
La fede religiosa può far fronte alle intemperie, e ciascuno di noi è testimone di esperienze positive, capaci di rinvigorire e proporre una concezione della vita tipicamente cristiana.
Se si ingannano i giovani, se si trasmettono ideali bacati cioè guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi scintillanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un senso distorcente della realtà, si oscura la dignità delle persone, si manipolano le mentalità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale.
Vivere fino in fondo la fede, oltre a non essere uno stato di minorità, è un modo eccellente per rendere migliore il mondo.
Da Senza volto non siamo popolo
in Tracce, 2 dicembre 2010
L'unico sentimento che accomunava gli italiani, a qualsiasi ceto sociale appartenessero e in qualunque degli Stati preunitari vivessero, era quello religioso e cattolico.
Lo Stato in sé ha bisogno di un popolo, ma il popolo non è tale in forza dello Stato, lo precede in quanto non è una somma di individui ma una comunità di persone
Parlare di identità culturale non significa ripiegarsi o rinchiudersi, ma si tratta di non sfigurare il proprio volto: senza volto infatti non ci si incontra.
Sarebbe miope e irresponsabile attentare a ciò che unisce in nome di qualsivoglia prospettiva.
Quanto più l'uomo si ripiega su se stesso, egocentrico o pauroso, tanto più il tessuto sociale si sfarina, e ognuno tende a estraniarsi dalla cosa pubblica, sente lo Stato lontano.
L'approccio al mistero di Dio dà origine a cultura e civiltà.
Quando in una società si mantiene la gioia diffusa dell'aiutarsi senza calcoli utilitaristici, allora lo Stato percepisce se stesso in modo non mercantile.
Ascolti il tuo cuore?
Dove stai andando? Che senso ha la tua vita? Chi sei? La domanda non è inutile, poiché sembra che gli uomini abbiano perso il proprio volto, la propria identità. Questa non dipende dal nome che abbiamo, da dove viviamo, da ciò che facciamo, dagli amici, da altri che ci conoscono. Bisogna ascoltare il nostro cuore.
Per vincere la continua distrazione e ascoltare la voce del cuore, è necessario un po' di silenzio, di solitudine, di coraggio. Il cuore ci parla di una sottile nostalgia, di una specie di insoddisfazione, come se ci mancasse sempre qualcosa. Come se fossimo incompiuti. Ed è proprio così.
Dentro alle cose più belle della vita, alle esperienze più liete e agli affetti più veri, sentiamo che ci sfuggono due cose: il "tutto" e il "per sempre". Vorremmo una gioia piena, che non finisce mai. Invece non è così.
Siamo come una sinfonia incompiuta, creature di confine fra il tempo e l'eterno, impastati di terra e di cielo. Siamo desiderio insaziabile di luce, mentre abbiamo a che fare con le ombre dentro e fuori di noi. Questo desiderio profondo può essere stordito da mille rumori e immagini, da un continuo movimento, ma non potrà mai essere ucciso. È una grazia perché non si spenga mai la tensione verso l'Infinito e l'Eterno.
L'uomo è nostalgia di Dio. Questo sentimento - che spesso non viene decifrato - è come una freccia, come una specie di ferita che non si può rimarginare sulla terra. E' il segno che siamo fatti per Dio e che niente, meno di Lui, può appagarci.
Si diffonde una visione puramente naturalistica e materialistica dell'essere umano, giungendo quasi a sopprimere la differenza qualitativa tra noi e il resto della natura.
Gesù non esorta i discepoli perché "siano" sale e luce, ma dichiara che essi "sono" sale e luce. E' dunque un dato di fatto che egli indica: dice non ciò che ha fatto per loro, ma ciò che ha fatto di loro.
Il mondo, quanto più ostenta spensieratezza e baldoria, tanto più denuncia la propria sgomenta tristezza, la paura della morte, della sofferenza, del non senso.
La più grande sventura per un cristiano non è perdere la salute e la vita, ma il buon sapore di Cristo, la sua grazia.
L'uomo non solo vuole vivere, ma anche vuole sapere. Vuole conoscere il mondo, ma anche il perché e il significato del mondo, e innanzitutto di se stesso. Vivere non è avere e consumare cose e giorni, ma è un intreccio di significati, un orizzonte di senso.
Il pellegrino sa da dove viene e dove va, il vagabondo è senza casa e senza meta, vive alla giornata. E tu? Dio è la nostra origine e il nostro destino: per questo abbiamo la direzione di marcia e il criterio del nostro agire.
L'uomo moderno è il miglior testimone che non si può vivere senza riconoscere il Mistero che ci abita e che ci circonda, che non tutto può essere misurato; che qualcosa ci sfugge e costituisce il fondo della nostra realtà.
L'albero si vede dai frutti. Veramente la cultura odierna rende l'uomo felice e la società umana, solidale e vivibile? Veramente un progresso senza valori morali, e quindi con dei limiti, crea una persona felice, più capace di conoscere gli altri, di incontrarsi e camminare insieme?
Ti prepari alla vita?
Sotto il termine "educazione" vi è la consapevolezza che per vivere, stare con gli altri, per assumere delle responsabilità, bisogna essere preparati. E questo costa impegno, sacrificio, metodo, entusiasmo. Non si può improvvisare.
Educare è generare non solo l'uomo corporeo, ma anche quello spirituale e morale. E' introdurre la persona alla realtà intera, è dialogare con la vita ogni giorno per costruire qualcosa non di grandioso agli occhi del mondo, ma di vero e di bello agli occhi di Dio.
Nessuno è mai arrivato! Ma gli adulti devono avere qualcosa da dire ai giovani, qualcosa di vero e di bello da dire con le parole e da testimoniare con la vita. Altrimenti hanno perso il tempo.
Nella misura in cui accompagniamo qualcuno nella vita, siamo chiamati in causa noi stessi; chiamati in gioco da coloro che abbiamo il dovere di educare.
Avere "carattere" non significa essere rigidi e duri negli atteggiamenti, ma consiste nell'unità di pensiero, sentimento, volontà con il proprio "centro spirituale".
Si nasce liberi, ma bisogna imparare ad essere liberi. Nulla è più difficile, perché la libertà non è fare tutto ciò che si vuole, ma è conoscenza del bene e del male, autodominio, responsabilità.
Della bugia fa parte l'odio e dall'odio nasce la violenza. Della verità fa parte l'amore e questo chiede sempre la disponibilità al sacrificio.
Che cos'è la verità? È la verità semplice, umile e paziente che troviamo nella vita quotidiana: famiglia, lavoro, studio, amici, poveri. Se ogni giorno sappiamo riconoscere queste verità umili, saremo capaci di riconoscere le grandi verità su Dio, l'uomo, la vita e la morte.
Se, invece, calpestiamo le piccole verità quotidiane con le bugie, allora diventiamo incapaci di riconoscere qualunque verità - anche la più grande - e ne perdiamo il gusto. La bugia diventa un modo di pensare, deforma la nostra ragione e sostituisce la verità con l'utile.
Bisogna riscoprire la bellezza dei legami. Spesso sono sentiti come limiti insopportabili della libertà di fare ciò che piace e quando si ha voglia. Dobbiamo invece riconoscere che gli altri non sono soltanto dei vincoli per poter vivere insieme, ma sono la condizione per vivere liberi e per essere adulti. Il bambino prende, la persona matura si dona.
La qualità della vita non coincide con la nostra efficienza, e neppure con la nostra autosufficienza, ma con la rete di relazioni buone nella quale viviamo. Anche quando non ce ne rendiamo conto, come il bambino appena nato, se la nostra esistenza è accolta e viene abbracciata dalla cura amorevole degli altri, allora la qualità di vita è buona e degna.
Esiste un duplice atteggiamento in ogni epoca: quello dell'ottimismo comunque, e quello del pessimismo comunque. Il primo non vede il male che esiste dentro e fuori di noi; il secondo vede solo il male e non il bene, che sempre c'è.
Abituarci al bene, alla fede, all'amore, fa diventare indifferenti e freddi, insensibili e ingrati. Andremo a mendicare un po' di calore ai fuochi fatui del mondo: denaro, potere, piacere, fama, affermazione del nostro io. E poi?
C'è troppa paura del silenzio. Oggi si vuole uccidere il silenzio per impedire all'uomo di pensare. Nella storia, i potenti hanno sempre avuto timore che il popolo pensasse nella verità, e hanno fatto di tutto per distrarlo. Sanno che quando l'uomo rientra in se stesso e ascolta le domande più decisive, allora si accorge delle cose veramente importanti e di ciò che è invece vuoto e falso.
Non è girare il mondo che allarga la mente, ma come si vive ogni momento, con quale intensità, quali valori e prospettive. Si può cambiare posto ogni giorno e vivere da gretti e meschini, mentre si può vivere tutta la vita in un punto, ma avere un'ampiezza e una profondità interiore che dà respiro e pace.
Vi sono cose per cui vale la pena di soffrire e di dare la vita.
La coscienza cerca la verità, non la crea: si può corrompere, ma non può rimanere corrotta per sempre. La coscienza si risveglia. Alla sua radice vi è qualcosa di indistruttibile: il desiderio di bene e il bisogno di verità.
L'uomo vuole vivere, ma anche cerca il perché della vita.
Ciò che è invisibile è più concreto e importante di tutto ciò che si vede. E quando l'anima arriva sulla spiaggia della verità, allora diventa libera perché sa distinguere ciò che veramente conta e ciò che non ha consistenza o è falso. E lo dice con semplicità e coraggio. Allora diventa un "pericolo" per il potere quando questo si concepisce come manipolazione e non come servizio.
Hai fiducia in te e negli altri?
Dare fiducia è dire a qualcuno che conta per noi, che è affidabile, che è importante. Se è in difficoltà, che può farcela. Non possiamo fare a meno di dare fiducia a qualcuno e di averla da qualcuno. Tutti proveniamo da una fiducia originaria: Dio, creandoci, ci rivela quanto siamo importanti per Lui.
Quando viene meno la fiducia tutto diventa più difficile, insopportabile. Il problema, infatti, non sono gli ostacoli da superare, ma lo stato d'animo con cui affrontiamo le cose. Se nel cuore dimora la fiducia, allora saremo capaci di lottare, di resistere, di ricominciare.
Sapere che non siamo soli nel portare la vita, che Dio è dalla nostra parte, che ci domanda di fargli posto nel nostro cuore perché noi siamo già nel suo, non cancella miracolosamente le croci, ma cambia la prospettiva: tutto acquista valore, nulla va perduto, perché Gesù è con noi.
Il bene è più grande del male... e più silenzioso.
Ti invito a tenere lo sguardo puntato su Gesù: questo vuol dire preghiera, Vangelo, confessione, Eucaristia, direzione spirituale. Vuol dire servizio a chi è in difficoltà. Solo Gesù è l'olio di consolazione e il vino della speranza e della gioia.
Certe rappresentazioni diffuse vogliono farci credere che tutto è alla deriva, sbandato, senza valori. Che tutto è male e non c'è più speranza. Ma sotto la superficie, la vita vera brulica, silenziosa e feconda, nel cuore delle persone e delle famiglie. Non bisogna farsi stordire dal male: la fiducia non è morta perché apparteniamo a qualcuno che ci vuole bene.
Vivere nella fiducia vuol dire portare le nostra vita davanti al Signore.
Chi teme le difficoltà si crede capace di agire.
Quando la nostra debolezza grida verso Dio, diventa il luogo del Dio forte.
Sotto le macerie, la vita brulica. Basta volerla vedere.
L'esistenza è fatta di luci e ombre, prove, successi e fallimenti; ma nessuno deve sentirsi un fallito. Nessun insuccesso deve uccidere la fiducia in noi stessi e nella vita.
Quando viene meno la fiducia tutto diventa insopportabile. Il problema non sono le cose da affrontare, ma lo stato d'animo con cui affrontiamo le difficoltà. Se nel cuore dimora la fiducia, allora nessun ostacolo potrà fermarci: saremo capaci di lottare, di resistere, di ricominciare.
Nessuno è solo, orfano dell'amore. Nel profondo della tua anima troviamo Qualcuno che ti aspetta e che vuole appartenere a te. Dio vuole appartenere a te che ti senti sopraffatto dalle difficoltà e dal timore di non farcela.
Non ci basta esistere, anche le pietre ci sono! Per vivere abbiamo bisogno che qualcuno ci confermi, che ci dica che è bene che esistiamo, che siamo un dono non per quanto riusciamo a fare, ma perché siamo al mondo. Questa parola ce la dice Gesù, ce la dicono altri a volte con le labbra, a volte con i gesti e la presenza. Sai capire? E sai essere tu questa parola di conferma per gli altri?
Sei capace di amare?
L'amore non è innanzitutto un sentimento, ma una decisione. I sentimenti hanno alti e bassi, le decisioni restano anche tra il fluttuare dei sentimenti.
Dio ci ha creati per amore e ci ha fatti per amare. Ma l'amore è cosa seria e impegnativa. La scuola dell'amore è la croce di Gesù.
Amare è uscire da se stessi per andare incontro alla persona amata. È rinunciare a qualcosa di sé. Non è perdere la propria personalità, ma arricchirla nella comunione con l'altro.
Non si può vivere senza amore. Senza amare e senza essere amati, la vita diventa sterile e ci sentiamo come un ramo secco. Le cose belle, se non sono animate dall'amore, scolorano, possono soddisfare ma non riempiono il cuore.
Nel rapporto di comunione, viene il momento in cui le parole non bastano più: è necessario passare al dono di sé. Gesù ha fatto così: dopo aver raccontato il suo amore per noi, ha dato la vita sulla croce. Consumando i nostri peccati, ci ha restituiti al Padre nell'abbraccio dello Spirito Santo.
Dio chiede e aspetta il nostro amore non perché ne abbia bisogno, ma perché ne abbiamo bisogno noi.
Gesù, prima di chiederci di amarlo, ci chiede di lasciarci amare da Lui.
Amare è uscire da sé, è donarsi.
Amare non è solo sentire, ma è volere il bene della persona amata: è un atto di volontà, una scelta operosa perché l'altro raggiunga il suo vero bene. Per questo l'amore è disposto al sacrificio.
Amare crea legami che ci insegnano ad essere veramente liberi.
i limiti umani - fisici, emotivi, intellettuali... - contengono un dono che oggi non si vuole riconoscere in nome della cultura dell'efficienza, della giovinezza, dell'apparenza, del successo. Ci costringono ad uscire dal nostro perimetro, dal nostro piccolo "io", per andare incontro agli altri: a volte per chiedere aiuto, a volte per donare aiuto. Ci salvano da noi stessi.
Il mondo delle fragilità umane è una palestra che ci salva dalle nostre chiusure, dal nostro essere avari di tempo, ci rende consapevoli che abbiamo bisogno gli uni degli altri, e che nessuna condizione umana è esente da capovolgimenti. Non è il denaro o il potere che ci assicurano: molte cose si possono comprare ma non tutte, soprattutto l'amore.
Cos'è per te credere?
È ancora possibile credere immersi come siamo in una mentalità scientifica e tecnologica, dove sembra che la realtà sia solo ciò che si può sperimentare? Chi è Dio per me? La sua presenza che cosa cambia nella mia vita? Sono domande non astratte.
Dio è Qualcuno. Per questo si incontra.
Dio è più evidente di tutto ciò che vediamo e tocchiamo: l'universo è pieno delle sue orme.
Credere è accorgersi che noi ci siamo perché Dio esiste.
Dio tocca l'intero orizzonte dell'essere.
Dio è trascendente e vicino, è vicino ma non banale: è una vicinanza che si fa compagnia. Ci entra dentro in modo unico poiché "in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo".
Bisogna sapersi perduti per poter essere salvati.
La fede è credere all'amore di Dio per noi, è affidarsi al suo abbraccio, è deporsi nelle sue mani.
Il Vangelo annuncia un mondo capovolto: capovolto non perché neghi la terra, ma perché la eleva fino al cielo assicurando quella "pienezza" e quel "per sempre" della vita, dell'amore, della gioia, che sono desiderio e nostalgia del cuore umano. I tempi cambiano, ma nel profondo l'uomo resta uguale. Egli è miglior alleato del Vangelo!
La fede non va confusa con i buoni sentimenti.
Il cristiano vive riferito a Cristo.
La fede è mistero non perché oscura, ma perché luce abbagliante.
Gesù è venuto a noi come un uomo che viene da lontano, i cui passi appena appena si sentono. Questi passi si fanno man mano più sicuri e vicini, finché non si comprende che essi sono la sua presenza.
Si corre il rischio di naturalizzare il Vangelo: di togliergli la linfa soprannaturale e ridurlo a manuale di buone maniere.
"Quando ebbe finito di parlare, Gesù disse a Simone: prendi il largo e calate le reti".
Il credente si trova in situazione simile: obbedire alla fede apparendo retrogrado, forse buono ma fuori dal mondo. Oppure può non seguire la sua parola e apparire moderno agli occhi del mondo.
"Sulla tua parola getterò le reti": Simone decide di fidarsi di Gesù e rischia, davanti alla gente, la sua reputazione. La fede è fidarsi di Gesù, delle sue parole perché le dice Lui.
La fede è un intreccio: la parola di Dio chiede fiducia non perché sia evidente, ma perché la dice Dio. Dio ci mette la sua fedeltà e l'uomo la sua fiducia.
Se crediamo solo a ciò che comprendiamo, che appare logico, chiaro e distinto per la nostra mente, dov'è la fiducia?
"D'ora in poi sarai pescatore di uomini": Pietro non sa che significhi essere pescatore di uomini. Non fa domande, non chiede prove o garanzie. Si fida della parola del Maestro: Lui sa, e questo basta per chi ha fede.
In quale modo l'umile potenza della fede potrà resistere tra le gigantesche potenze del mondo? Può la fede cristiana fare storia o si trova fuori della storia? Gesù ha assicurato che - nonostante rifiuti, indifferenza, abbandoni - Dio continua ad agire sotto i panni dell'impotenza. Nulla è inutile.
A volte si guarda alla fede cristiana come chi - nel grande mercato del sacro-sceglie ciò che più gli aggrada per costruirsi una religione su misura. Ma l' "io" credo, che solo ognuno può dire per sé, deve inserirsi nel "noi" crediamo della Chiesa che ci congiunge agli Apostoli.
La Chiesa è il Corpo di Cristo nella storia; è il "dove" Cristo mi viene incontro, mi parla, mi abbraccia, mi fa creatura nuova, capace di vivere le piccole cose con animo grande, mi fa parte di un popolo dove ci sono debolezze ma anche dove la luce del Vangelo non verrà mai meno e la grazia mi viene donata nei sacramenti.
La Chiesa non è la "mia" - come la voglio o la penso io -. Non è "nostra" come è nostro un club o un'élite. E' nostra perché è "Sua", di Cristo. Per questo l'accolgo come un dono dal suo cuore.
Non è possibile essere veramente agnostici. Quando devo agire nella vita concreta, di fatto faccio una scelta di campo: pro o contro Dio, per la sua esistenza o contro la sua esistenza. Appellarsi solo alla propria coscienza significa agire come se Dio non ci fosse.
La novità del cristianesimo non è "amare come io ho amato voi": sarebbe uno scoraggiante sforzo morale. Ma è la comunione personale con Cristo, il nostro vivere in Lui, è essere incorporati in Lui, così che l'agire di Gesù diventa anche il nostro, così che è Lui stesso che agisce in noi e con noi. Questa novità assoluta è il vero fondamento di tutto il nostro essere e ci viene donato dall'Alto. Non è un insegnamento, ma vita, rapporto con Dio.
Gesù non esorta i discepoli perché "siano" sale e luce, ma dichiara che essi "sono" sale e luce. E' dunque un dato di fatto che egli indica: dice non ciò che ha fatto per loro, ma ciò che ha fatto di loro.
Adorare non è un fare, ma un non fare per lasciarci fare da Cristo: questa è la dimensione mistica del Vangelo.
Scoprire che Dio è amore e lasciarci amare da Cristo, ci rende capaci di amare Dio e il prossimo fino all'eroismo, e di servire fino alla morte. Ecco il dono di sé, della gratuità vera che serve senza servirsi, senza affermare noi stessi, senza autocelebrazioni.
La fede, come ogni vero rapporto, è un grande dono, e la vita cristiana è una avventura straordinaria; ma è una questione seria e impegnativa. E', infatti, una questione d'amore. Bisogna averne cura. Non possiamo meravigliarci se, col passare degli anni, diventa languida, poco significativa. Vuol dire che l'abbiamo trascurata: noi siamo cresciuti ma la fede è rimasta infantile, ignorante, non pensata, non alimentata dalla preghiera e dai sacramenti, dal Vangelo e dalla Chiesa.
L'ignoranza è un grande nemico della fede. Non conoscere le verità della fede espone a qualunque credulità e superstizione.
L'identità chiara della propria fede non è un ostacolo al dialogo e la buona convivenza con tutti. Al contrario. Il dialogo, infatti, richiede che si abbia qualcosa di peculiare da dire, qualcosa di bello e di grande. Altrimenti si ascolta solamente.
In mezzo al mare in burrasca, Pietro cammina sulle acque verso Cristo. Fino a quando tiene fermo il suo guardo in quello del Maestro, egli cammina, ma quando si guarda attorno allora comincia ad affondare. Non dobbiamo distogliere gli occhi da Gesù: solo così potremo affrontare le cose senza spaventarci.
La gioia rivela la qualità della fede: una gioia non superficiale - quando le cose vanno bene - ma quella che nasce dalla vicinanza di Dio, dall'essere amati da Lui.
Gesù è Dio che irrompe nella storia e rivela che la terra è preludio di un altro mondo, quello del cielo, comunica la vita della grazia: allora tutto cambia.
Le idee si scoprono, le persone si incontrano; le idee vanno fuori moda, le persone non sono mode. Se poi la persona è quella di Gesù, allora Egli è il sempre giovane, il più bello, Colui che è sempre attuale.
Non dimentichiamo la "musica" dello Spirito Santo: tra le sue braccia la vita è una danza. Non occorre sapere dove la danza conduce, basta non essere rigidi, basta seguire.
Non sono le buone opere che trasformano il mondo, ma l'uomo nuovo che Gesù fa di ciascuno di noi se ci arrendiamo a Lui, se ci consegniamo alla croce. Non è il nostro volontarismo nel fare il bene, ma il dinamismo della grazia che trasforma noi e la storia.
Oggi si pensa poco al Cielo: si è talmente presi dalla vita terrena che questa sembra essere l'unica che conti. Dovremmo pensare di più alla vita eterna, puntare gli occhi al Cielo per vedere meglio la terra, per riconoscere negli altri non solo dei "simili" ma dei "fratelli".
Sai pregare?
Vivere da cristiani è bello, ma impegnativo, spesso difficile: chiede anche di andare contro corrente, di non pensare e agire secondo le mode del mondo. La preghiera è incontro con il Signore e scuola di vita.
Senza la preghiera ci agitiamo, lavoriamo con generosità, ci affatichiamo, ma con quale efficacia? E' come se volessimo fare da soli.
Tutto di Gesù e della sua vita era orientato al Padre come un'offerta d'obbedienza e d'amore. Come preghiera.
Gesù aveva anche dei luoghi e dei momenti particolari per pregare: il tempio, il deserto, il monte, il mare, la strada; la notte o il mattino, il cuore del giorno. E tu?
Perché la tua vita diventi preghiera, è necessario che la preghiera diventi la tua vita. Perché questo accada hai bisogno di momenti dedicati solo alla preghiera.
Non dire: non ho tempo, ho troppo da fare. Ricorda: le cose più urgenti non sono sempre le più importanti. Non dire: non sono capace, è difficile. Anche amare è difficile e non sempre siamo capaci, ma si impara.
A pregare s'impara pregando, ad amare s'impara amando.
In alcuni momenti della giornata, entra nel tuo cuore che contiene Colui che l'universo non può contenere. Lì troverai Lui e con Lui anche te: ti parlerà di sé, ma anche di te, e diventerete un "noi".
Per illuminare il tuo cammino, prega. Per discernere la tua vocazione, prega. Per avere la fede, prega. Per imparare ad amare, prega. Per avere la forza di portare la vita, prega. Per vedere negli altri il volto di Gesù, prega. Per perdonare chi ti ha fatto del male, prega. Per essere presenza di carità e di speranza, testimone coraggioso di Cristo e della Chiesa, prega.
Prega come un povero. Ogni giorno tocchiamo la nostra fragilità che si manifesta nella distrazione, nella volubilità, nel peccato...
Prega con fiducia. Il Signore risponde sempre alla preghiera, anche se non sempre come vorresti. Egli ha tempi e modi suoi perché vede più lontano.
Prega con perseveranza. Cioè non a fasi alternate, quando ne hai voglia. Gesù non ha bisogno della tua preghiera, ma tu sì. La tua perseveranza esprime e alimenta il tuo desiderio di Dio, la tua fede e il tuo amore.
Prega al mattino, a metà giornata, alla sera. Sono tre momenti di grazia che la Tradizione della Chiesa ci insegna. Sono come tre colonne che reggono l'edificio delle nostre giornate: al mattino, prima del lavoro; nella pausa del lavoro, prima del riposo.
Prega con i tuoi fratelli. Sono innanzitutto i tuoi di casa. È tanto difficile pregare con i tuoi familiari? Nella preghiera in famiglia - almeno un momento nella giornata - si impara a volersi più bene, a perdonarsi, a risanare le ferite, a portare i pesi gli uni degli altri, a gustare le piccole gioie quotidiane.
Devi pregare anche da solo, perché l'amore e l'amicizia richiedono intimità. Ma non puoi rimanere solo. Gesù ci ha insegnato a pregare il "Padre nostro": nel "noi" della Chiesa il tuo "io" non si disperde, ma si trova più ricco.
La preghiera della Comunità cristiana è la Liturgia, e la forma più alta è l'Eucaristia celebrata e adorata. Nella domenica, insieme alla comunità celebri il mistero della nostra redenzione, la Pasqua di morte e risurrezione di Gesù. Il Risorto ti chiama e ti aspetta per dirti parole di vita eterna, per donarti la vita di grazia, la forza dello Spirito, per farti incontrare i fratelli e così riconoscerti popolo di Dio, per sostenere la vita della Chiesa e sovvenire ai bisognosi.
Assisti o partecipi all'Eucaristia?
Il desiderio vero e la decisione sincera di perderci in Dio, di affidarci alla sua volontà come Cristo: è il modo per entrare nel Mistero eucaristico, per partecipare attivamente alla Santa Messa.
Unire la nostra povera vita a quella di Gesù, e in Lui diventare cosa santa e sacra, piena di bellezza e di luce nonostante le ombre, è il "culto spirituale" di cui parla San Paolo. È l'esercizio del sacerdozio battesimale di ogni cristiano.
L'Eucaristia è una permanente scuola d'amore: ci ricorda che l'amore è dono di sé, e il sacrificio che richiede è prova della sua verità. La sua forza genera tenerezza.
La Messa ripresenta qui e ora il sacrificio di Cristo attuato una volta per tutte sul Calvario. Entrare nel mistero è entrare nell'offerta di Gesù al Padre con tutto noi stessi: intelligenza, sentimenti, volontà, scelte.
Con la comunione eucaristica nell'anima scorre la forza di Gesù, l'energia della grazia, la luce dello Spirito. La vita terrena cambia: le croci restano tali, ma Lui le porta con noi, e acquistano un valore eterno e universale.
La divina Eucaristia è il sacramento della reale presenza del Signore Gesù in corpo, sangue, anima e divinità. Per questo la adoriamo e ci inginocchiamo di fronte ad essa. La posizione non umilia ma esalta la dignità umana: esprime la verità di noi creature davanti a Dio Creatore, Padre, Redentore. E questa verità ci rende liberi.
L'Eucaristia è Gesù che si dona a noi e ci edifica nel suo Corpo che è la Chiesa: unendoci a Lui ci unisce tra noi. Per questo non si possono separare Cristo e la Chiesa. Più ci uniamo a Gesù, e più cresce la comunione ecclesiale.
La Parola delle Scritture non solo narra le opere di Dio, ma ha una efficacia unica che nessuna parola umana possiede. Ascoltarla o leggerla con fede plasma la nostra anima.
Lontani dall'Eucaristia la buona volontà si prosciuga, la perseveranza si allenta, l'entusiasmo degli inizi perde smalto, le delusioni e la stanchezza hanno il sopravvento: anche l'amore ha le sue fatiche. Lontani dal fuoco eucaristico entriamo nel gelo.
L'Eucaristia ci fa creature nuove, capaci non solo di fare cose grandi, ma di vivere in modo grande le cose piccole di ogni giorno. La carità non ha muscoli da esibire, ma piccole anfore da portare, anfore comunque capaci di dissetare la sete del mondo.
Fare la comunione eucaristica non può ridursi ad una abitudine, né è un gesto di amicizia fraterna: è aprirsi a Colui che è così grande da farsi tanto piccolo! È divenire come la goccia d'acqua versata nel calice del vino e ritrovare se stessi nel mistero di Dio.
Hai una casa?
La casa è il luogo dove qualcuno ci pensa e ci aspetta desiderando di vederci. È un focolare di affetti, dove ci sentiamo stimati e amati non per quello che facciamo, ma per quello che siamo.
Un'altra casa è la Chiesa, come diceva Bernanos: "Nella Chiesa mi sento a casa mia".
La prima casa dove tornare è la famiglia, spazio dove si fa verità su noi stessi, si dà il nome giusto alle cose, si impara la distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, tra diritti e doveri. Lì impariamo a non aver paura delle prove, ma ad affrontarle con l'aiuto di Dio e degli altri.
Anche l'Eucaristia è casa poiché è Gesù presente che ama, si dona, accoglie. Il Risorto, giunto ad Emmaus, fa finta di andare oltre perché non vuole imporre la sua presenza: l'amore non si impone e non si pretende, ma si offre e si domanda. Entrato nella locanda, si mette a tavola per l'Eucaristia, e i discepoli si sentono a casa.
La casa piena e definitiva è il Cielo, l'incontro con il Padre, l'essere con Gesù faccia a faccia, il Paradiso. Oggi si pensa poco alla vita eterna: si è talmente presi dalla vita terrena che sembra essere l'unica che conti. Dovremmo pensare di più al Cielo per vedere e vivere meglio la terra.
La Chiesa non è un'organizzazione, ma è il Corpo di Cristo nella storia. Non è soltanto qualcosa di vivente, ma anche di edificato.
Sei una lampada che rischiara?
La mancanza di Dio è la più grande miseria.
A volte Dio non è negato o respinto, ma semplicemente escluso.
Siamo invasi non solo da bugie, ma anche da verità diminuite. Sono le più pericolose.
Il fastidio che si avverte nel sentir dire che l'opinione personale non è la norma oggettiva della verità e dell'agire, è segno di una mentalità secolarizzata.
Non di rado si pensa al Vangelo come ad una minaccia per la laicità dello Stato, dimenticando che alla radice della cultura e della civiltà europea sta la tradizione cristiana.
Non dobbiamo diventare ottusi e indifferenti ai mali del mondo, ma neppure al male del mondo che è di ordine spirituale ed etico.
L'intelligenza occidentale perde il senso del divino, ma il suo cuore lo desidera.
La nostra storia - ispirata dal Vangelo - non è una prigione ma, al contrario, ci garantisce da tortuosità miopie presuntuose, da avventure che - con apparenza di modernità - vanno contro la dignità umana.
C'è il rischio di un Dio senza Cristo e di un cristianesimo senza Cristo.
L'anima è come la notte protesa verso il giorno che viene.
Il messaggero del Vangelo non è un postino: sa di avere in mano una perla talmente preziosa che non può tenere solo per sé. La perla è il Signore Gesù. Egli non è un soprammobile, ma la nostra casa, il nostro destino. Solo così siamo messaggeri, altrimenti diremo che basta seguire la propria coscienza.
"Sale della terra e luce del mondo". Il sale ci spinge a incarnarci negli ambienti dove viviamo; la luce ci ricorda che dobbiamo stare dentro al mondo ma anche davanti al mondo, visibili. Questa posizione non è comoda!
L'uomo occidentale appare confuso e smarrito sulla propria identità e sul suo destino. Ma, dentro a questo groviglio, appare una opportunità: dalla coscienza distratta cominciano ad emergere le domande decisive su dove stiamo andando. È l'ora di un lento risveglio dell'anima e della coscienza. Il risveglio a volte è timido e intermittente, a volte improvviso e tumultuoso, ma il processo è iniziato e nessuno potrà fermarlo, poiché l'uomo non può vivere a lungo senza verità.
Il vero modo di essere nel mondo e di amarlo è quello di non essere del mondo, di non lasciarci assimilare ai suoi modi di pensare e di agire. Questo non per essere originali o per sentirci migliori, ma perché vogliamo essere fedeli al Signore nonostante i nostri limiti e peccati.
Si può essere colpiti e affascinati da una fede fiacca che si trascina, incapace di scaldare il cuore e l'esistenza? La luce si accende con la luce, la vita con la vita, l'amore con l'amore, la gioia con la gioia vera.
Come crescere nella fede? La fede cresce donandola, i credenti si fortificano credendo. Ciò vale per ogni esigenza alta del Vangelo, esigenza spirituale e morale. Dare fiducia al Vangelo, e provare a seguirlo con la preghiera e la perseveranza, ci fa toccare con mano che essere discepoli di Gesù non solo è possibile, ma anche bello e merita ogni sacrificio.
Il Vangelo è comunicazione di vita.
Dobbiamo prendere il Vangelo com'è, per esserne affascinati, presi, posseduti.
Se la missione è attrazione, il cristiano dovrebbe vivere in modo tale da fare "invidia" ad altri che, sorpresi, si chiederanno il segreto di questo singolare modo di stare nel mondo. Il nostro segreto non è esclusivo, poiché Dio abita dove lo si fa entrare.
Il Signore manda i suoi discepoli disarmati in un mondo armato, araldi dell'amore in un mondo ferito dall'odio, profeti dello spirito in un mercato della materia, sentinelle attente e umili che scrutano l'orizzonte, eredi di una tradizione viva e annunciatori di futuro in un tempo senza ieri e senza domani.
↑ Da un intervento alla 61esima assemblea generale della Cei; citato in carlo Marroni, Cei: sforzo bipartisan contro la crisi, Il Sole 24 Ore.com, 25 maggio 2010.