filosofo, politico e storico francese Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Alexis-Charles-Henri Clérel de Tocqueville (1805 – 1859), filosofo, politico e storico francese.
Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla libertà.[1]
Agli uomini per i quali la parola «democrazia» è sinonimo di rivoluzione, anarchia, distruzioni, stragi, ho tentato di dimostrare che la democrazia poteva governare la società rispettando le fortune, riconoscendo i diritti, risparmiando la libertà, onorando la fede; che se il governo democratico sviluppava meno di altri talune belle facoltà dell'animo umano (rispetto al governo aristocratico), recava tuttavia benefici grandi; e che, forse, la volontà di Dio era di diffondere una felicità parimenti mediana per tutti, e non di rendere alcuni estremamente felici e pochi soltanto quasi perfetti. Ho inteso anche ricordare loro che, quale che fosse l'opinione di ognuno a tal riguardo, non era più tempo di deliberare, poiché la società si veniva sviluppando in una certa direzione e li trascinava con sé, tutti, verso l'uguaglianza di condizioni, sì che non restava da far altro che scegliere tra mali inevitabili. Il nostro problema, oggi, non è affatto di sapere se si può instaurare un regime democratico o un regime aristocratico, ma di scegliere tra una società democratica che progredisca senza grandezza ma con ordine e moralità, e una democrazia disordinata e depravata, in preda a furori frenetici o sottoposta a un giogo più greve di tutti quelli che hanno oppresso gli uomini dalla caduta dell'impero romano fino a oggi.[2]
Bisogna riconoscere che, se anche non vale a salvare gli uomini nell'altro mondo, è almeno utilissima alla loro felicità e alla loro grandezza in questo. [...] Dubito che l'uomo possa mai sopportare contemporaneamente una completa indipendenza religiosa e una totale libertà politica; e sono incline a pensare che, se non ha fede, bisogna che serva e, se è libero, che creda.[3]
[È necessario] diffondere, tra le classi operaie [...] qualche nozione, tra le più elementari e più certe, dell'economia politica, che faccia loro comprendere, ad esempio, ciò che di permanente e necessario vi è nelle leggi economiche che reggono il tasso dei salari; perché tali leggi, essendo in qualche modo di diritto divino, in quanto scaturiscono dalla natura dell'uomo e dalla struttura stessa della società, sono collocate al di fuori della portata delle rivoluzioni.[4]
Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto. A quanto vedo, l'Islam è la causa principale della decadenza oggi così evidente nel mondo musulmano, e, benché sia meno assurdo del politeismo degli antichi, le sue tendenze sociali e politiche sono secondo me più pericolose. Per questo, rispetto al paganesimo, considero l'Islam una forma di decadenza anziché una forma di progresso.[5]
La democrazia mira all'uguaglianza nella libertà. Il socialismo desidera l'uguaglianza nel vincolo e nella servitù.
La démocratie veut l'égalité dans la liberté, et le socialisme veut l'égalité dans la gêne et dans la servitude.[6]
La rivoluzione in Inghilterra è stata fatta unicamente in vista della libertà, mentre quella di Francia è stata fatta principalmente in vista dell'eguaglianza.[7]
Le fluttuazioni dell'industria attirano, quando essa è prospera, un gran numero di operai che, nei momenti di crisi, si trovano senza lavoro. Vediamo così che il vagabondaggio, che nasce dall'ozio, e il furto, che il più delle volte è la conseguenza del vagabondaggio, sono i due delitti che nello stato attuale della società conoscono la progressione più rapida.[8]
[Mi chiedo] se una dittatura temporanea, esercitata in modo fermo e illuminato, come quella di Bonaparte dopo il 18 Brumaio, non sarebbe il solo mezzo per salvare l'Irlanda.[9]
Può persino accadere che l'amore della libertà sia tanto più vivo presso taluni quanto meno si incontrino garanzie di libertà per tutti. L'eccezione in tal caso è tanto più preziosa, quanto più è rara. Questa concezione aristocratica della libertà produce, presso quelli che così sono stati educati, un sentimento esaltato del loro valore individuale e un gusto appassionato per l'indipendenza.[10]
Viviamo in un'epoca che ha assistito a cambiamenti d'opinione quanto mai rapidi nelle menti degli uomini; ma è possibile che tra non molto tempo le opinioni guida della società saranno più stabili di quanto siano mai state da parecchi secoli a questa parte. Alcuni pensano che la società moderna sarà in perenne mutamento [...] Quanto a me, io temo che finirà con l'essere troppo immobilizzata nelle stesse istituzioni, negli stessi pregiudizi [...] che l'umanità si troverà bloccata e ingabbiata; che la mente oscillerà eternamente avanti e indietro senza generare idee nuove; che l'uomo dissiperà la sua forza in oziose, solitarie frivolezze; e che pur essendo sempre in movimento l'umanità cesserà di avanzare.[11]
Le società democratiche che non sono libere possono essere ricche, raffinate, ornate, magnifiche, anche potenti grazie al peso della loro massa omogenea; vi si possono incontrare virtù private, buoni padri di famiglia, onesti commercianti e proprietari stimabilissimi; vi si vedranno anche dei buoni cristiani, perché la loro patria non è di questo mondo e la loro religione si gloria di crearli anche in mezzo ai costumi più corrotti e sotto i peggiori governi: l'impero romano, nell'estrema decadenza, ne era pieno; ma in tali società non si vedranno mai, oso dirlo, grandi cittadini e men che meno un grande popolo, e io non temo di affermare che il livello comune dei cuori e degli spiriti si abbasserà sempre finché eguaglianza e dispotismo vi saranno uniti. (Prefazione)
La storia è una galleria di quadri dove gli originali sono pochi e molte le copie. (libro II, cap. VI)
L'esperienza insegna che per un cattivo governo il momento più pericoloso è sempre quello in cui esso comincia a riformarsi. (libro III, cap. IV)
Fra le cose nuove che attirarono la mia attenzione durante il mio soggiorno negli Stati Uniti, una soprattutto mi colpì assai profondamente, e cioè l'eguaglianza delle condizioni. Facilmente potei constatare che essa esercita un'influenza straordinaria sul cammino della società, dà un certo indirizzo allo spirito pubblico e una certa linea alle leggi, suggerisce nuove massime ai governanti e particolari abitudini ai governati. Compresi subito, inoltre, che questo fatto estende la sua influenza anche fuori della vita politica e delle leggi e domina, oltre il governo, anche la società civile: esso crea opinioni, fa nascere sentimenti e usanze e modifica tutto ciò che non è suo effetto immediato.
CAPITOLO PRIMO CONFIGURAZIONE ESTERNA DELL'AMERICA DEL NORD L'America del Nord presenta nella sua configurazione esterna alcuni tratti generali facili a distinguersi a prima vista. In essa una specie di ordine metodico ha presieduto alla separazione delle terre e delle acque, delle montagne e delle vallate. Una sistemazione semplice e maestosa si rivela in mezzo alla confusione degli oggetti e all'estrema varietà dei quadri.
Citazioni
[...] alleandosi a un potere politico, la religione aumenta il suo potere su alcuni uomini, ma perde la speranza di regnare su tutti.
Chi ricerca nei fatti l'influenza reale esercitata dalle leggi sulla sorte dell'umanità è esposto a grandi delusioni, perché non vi è niente di più difficile da valutare di un fatto.
Ciò che si deve temere, non è tanto la vista dell'immoralità dei grandi, quanto la vista dell'immoralità che conduce alla grandezza.
Come fare di un popolo il padrone di se stesso, se non è sottomesso a Dio?
Confesso di non sentire per la libertà di stampa quell'amore completo e istantaneo che si prova per le cose sovranamente buone per natura. Io l'amo assai più in considerazione dei mali che essa impedisce che dei beni che produce.
È evidente che nelle società democratiche l'interesse degli individui, così come la sicurezza dello stato, esigono che l'educazione della maggioranza sia scientifica, commerciale e industriale, piuttosto che letteraria.
Gli increduli d'Europa combattono i cristiani più come nemici politici che come avversari religiosi: essi odiano la fede più come l'opinione di un partito che come una erronea credenza; e nel sacerdote combattono assai più l'amico del potere che non il rappresentante di Dio.
La libertà vede nella religione cristiana la compagna delle sue lotte e dei suoi trionfi, la culla della sua infanzia, la fonte divina dei suoi diritti. Essa considera la religione come la salvaguardia dei costumi, come la garanzia delle leggi, come il pegno della sua durata.
Ho visto degli americani associarsi per inviare sacerdoti nei nuovi stati dell'ovest e fondarvi scuole e chiese; essi temono che la religione si perda in mezzo alle foreste e che il popolo che nasce non possa essere libero come quello da cui è uscito. Ho incontrato dei ricchi abitanti della Nuova Inghilterra che abbandonavano il paese natio per andare a gettare sulle rive del Missouri o nelle praterie dell'Illinois i fondamenti del cristianesimo e della libertà.
I grandi partiti rovesciano la società, i piccoli l'agitano; gli uni la ravvivano, gli altri la depravano; i primi talvolta la salvano scuotendola fortemente, mentre i secondi la turbano sempre senza profitto.
I nostri contemporanei sono incessantemente affaticati da due passioni contrastanti: sentono il bisogno di essere diretti e il desiderio di restare liberi. Non potendo eliminare né l'uno né l'altro di questi istinti contrastanti, si sforzano di soddisfarli entrambi. Immaginano un potere unico, tutelare, onnipotente, eletto però dai cittadini... Si consolano di essere sotto tutela al pensiero di avere scelto essi stessi i loro tutori. Ciascun individuo tollera di sentirsi legato, perché pensa che non sia un uomo o una classe, ma il popolo intero a tenere in mano la corda che lo lega. In questo sistema il cittadino esce un momento dalla dipendenza per eleggere il padrone e subito dopo vi rientra. (De Masi, p. 461)
Io penso che, nel suo complesso, aristocrazia industriale che vediamo sorgere sotto i nostri occhi, sia una delle più dure mai apparsa sulla terra… Semmai la disuguaglianza permanente delle condizioni dell’aristocrazia dovessero penetrare di nuovo nel mondo, si può prevedere che rientreranno da questa porta. (De Masi, p. 454)
I partiti sono un male inerente ai governi liberi, ma non hanno in tutti i tempi lo stesso carattere e gli stessi istinti.
Il genio dei popoli democratici non si manifesta soltanto nel gran numero di parole nuove che introducono nell'uso, ma ancora nella natura delle idee che codesti nuovi vocaboli rappresentano.[12]
In generale, la democrazia dà poco ai governanti e molto ai governati. Il contrario avviene nelle aristocrazie, in cui il denaro dello stato va soprattutto a profitto della classe dirigente.
In questi secoli le religioni devono mantenersi più discretamente nei loro limiti senza cercare di uscirne poiché volendo estendere il loro potere al di fuori del campo strettamente religioso, rischiano di non essere credute in alcun campo.
In un paese in cui regni apertamente il dogma della sovranità del popolo la censura è non solo un pericolo ma anche una grande assurdità.
L'incredulità è un accidente; la fede sola è lo stato permanente dell'umanità.
L'onnipotenza della maggioranza rappresenta un tale pericolo per le repubbliche americane che il mezzo pericoloso di cui ci si serve per limitarla mi pare ancora un bene.
L’operaio dipende in generale dai padroni, ma non da un determinato padrone. Questi due uomini si vedono in fabbrica ma non si incontrano altrove e, mentre si toccano in un punto, restano lontani in tutti gli altri. L’imprenditore chiede all’operaio solo il lavoro, l’operaio si aspetta da lui solo il salario… L’aristocrazia nata dall’industria non vive mai in mezzo alla popolazione industriale che dirige: il suo scopo non è di governarla ma di servisse… Dopo aver impoverito e abbrutito gli uomini di cui si serve, gli abbandona in tempo di crisi alla carica pubblica. (De Masi, p. 454)
La democrazia è il potere di un popolo informato.
La scienza industriale, mentre degrada senza sosta la classe operaia, eleva quella dei padroni. Mentre l’operaio spreca la sua intelligenza nello studio di un solo dettaglio, il padrone spazio ogni giorno con il suo sguardo su di un sistema più complesso e il suo spirito si estende nella misura in cui quello dell'operaio si restringe... L'uno somiglia sempre più all'amministratore di un vasto impero, l'altro somiglia sempre più a un bruto. Il padrone e l’operaio non hanno più nulla di simile e differiscono ogni giorno di più… L’uno è in uno stato di continua, stretta e necessaria dipendenza dall’altro e sembra nato per obbedire, così come l’altro sembra nato per comandare. Cos’è questo se non aristocrazia? (De Masi, pp. 453-454)
La stampa è per eccellenza lo strumento democratico della libertà.
Le due grandi armi impiegate dai partiti per riuscire sono i giornali e le associazioni.
Le nazioni aristocratiche sono naturalmente portate a restringere troppo i limiti dell'umana perfettibilità, mentre le nazioni democratiche li estendono qualche volta oltre misura.
Le opinioni che si stabiliscono in America sotto l'impero della libertà di stampa sono spesso più tenaci di quelle che si formano altrove sotto il regime della censura.
Maometto ha fatto calare dal cielo e messo nel Corano non soltanto dottrine religiose, bensì massime politiche, leggi civili e penali, teorie scientifiche. Il Vangelo, invece, non parla che dei rapporti generali degli uomini con Dio e fra di loro. All'infuori di questo non insegna nulla e non obbliga a credere nulla. Già basta questa, tra infinite ragioni, per indicare che la prima di queste due religioni non potrebbe reggere a lungo in tempi culturalmente illuminati e democratici, mentre la seconda è destinata a regnare in quelli come negli altri.
Ho fatto vedere come nei tempi di civiltà e di eguaglianza lo spirito umano non accetti volentieri credenze dogmatiche e ne senta il bisogno solo in fatto di religione. Ciò indica anzitutto che in questi secoli le religioni devono mantenersi più discretamente nei loro limiti senza cercare di uscirne poiché volendo estendere il loro potere fuori del campo strettamente religioso, rischiano di non essere credute in alcun campo. (2012)
Non credo che l'uomo possa mai sopportare insieme una completa indipendenza religiosa e un'intera libertà politica e sono portato a pensare che, se egli non ha fede, bisogna che serva e, se è libero, che creda.
Non vi è al mondo un filosofo tanto grande che non creda ad un'infinità di cose sulla fede altrui e che non supponga molte più verità di quante ne stabilisca.
Ogni potenza aumenta l'azione delle sue forze via via che ne accentra la direzione: è questa una legge generale della natura che si impone all'osservatore e che un istinto più sicuro ancora ha fatto conoscere anche ai despoti più mediocri.
Per raccogliere i beni inestimabili prodotti dalla libertà di stampa, bisogna sapersi sottomettere ai mali inevitabili che essa fa nascere.
Perché una classe è bassa, non bisogna credere che tutti quelli che ne fanno parte abbiano il cuore basso; sarebbe questo un grande errore.
Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri... Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere. Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo.[13]
Quando un operaio ha consumato così una parte considerevole della sua esistenza, il suo pensiero si è fermato per sempre vicino all'oggetto giornaliero del suo lavoro; il suo corpo ha contratto alcune abitudini fisse, dalle quali non gli è più permesso di allontanarsi. In una parola, egli non appartiene più a se stesso ma al mestiere che ha scelto. Invano le leggi e i costumi hanno cercato di spezzare intorno a quest'uomo tutte le barriere e di spalancargli da ogni parte mille strade differenti verso la fortuna; una teoria industriale più forte delle leggi e dei costumi lo ha inchiodato a un mestiere, e spesso a un luogo, che egli non può lasciare più. Gli ha assegnato nella società un posto determinato da cui non può uscire. In mezzo al movimento universale, lo ha reso immobile. Via via che il principio della divisione del lavoro riceve un'applicazione più completa, l'operaio diviene più debole, più limitato, più dipendente. L'arte fa progressi, ma l'artigiano regredisce. (De Masi, p. 453)
Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente all'infanzia; ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l'uso del libero arbitrio, restringe l'azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l'uso di se stesso. L'eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio. Così, [...] il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo.
Se il vostro scopo non è quello di creare virtù eroiche, ma abitudini tranquille; se preferite i vizi ai delitti [...] se, anziché agire in seno a una società brillante, vi basta vivere in mezzo a una società prospera [...] allora livellate le condizioni e costituite il governo della democrazia.
Tutte le repubbliche americane – essi vi diranno – sono solidali le une con le altre; se le repubbliche dell'Ovest cadessero nell'anarchia o subissero il giogo del dispotismo, le istituzioni repubblicane che fioriscono sulle rive dell'Atlantico correrebbero un grave pericolo; abbiamo dunque interesse che i nuovi stati siano religiosi, affinché essi ci permettano di restare liberi.
Un grand'uomo ha detto che l'ignoranza è alle due estremità della scienza. Forse sarebbe stato più esatto dire che le convinzioni profonde si trovano solo agli estremi e che nel mezzo è il dubbio. Si può considerare, effettivamente, l'intelligenza umana in tre stati distinti e spesso successivi.
Vi sono due cose che un popolo democratico farà sempre con grande fatica: cominciare una guerra e finirla.
Il vascello, sul quale eravamo imbarcati, era un piccolo brigantino di 75 tonnellate [...]
Procedevamo lentamente, avendo davanti agli occhi il superbo spettacolo della baia di Napoli, mentre arrivavano al nostro udito gli ultimi rumori di vita che si alzavano da questa popolosa città; la riva di Ercolano ci passò davanti. Presto scorgemmo la collina che nasconde Pompei. Era già notte, quando ci trovammo vicino alle rocce di Capri. Il giorno dopo, svegliandoci, eravamo ancora in vista di quelle rocce scoscese e ci rimanemmo per tutta la giornata: sembrava che ci inseguissero come un rimorso.
Citazioni
Eccola, dunque, finalmente, ci dicevamo, questa Sicilia, la mèta del nostro viaggio, l'argomento delle nostre discussioni da tanti mesi, eccola tutta intera sotto i nostri piedi. Girando su noi stessi possiamo percorrerla in un istante; ne tocchiamo con gli occhi tutti i punti; quasi nulla ce ne sfugge ed essa è ben lungi dall'occupare l'orizzonte. Noi venivamo dall'Italia: avevamo calpestato la cenere dei più grandi uomini che furono mai esistiti e respirato la polvere dei loro monumenti, eravamo pieni delle grandezze della storia. Ma qualcos'altro ancora parlava, qui, all'immaginazione: tutti gli oggetti che scorgevamo, tutte le idee che venivano ad offrirsi, numerosissime, alla nostra mente, ci riportavano ai tempi primitivi. Toccavamo le prime età del mondo, quelle età di semplicità e di innocenza in cui gli uomini non erano ancora rattristati dal ricordo del passato, né spaventati dall'incertezza dell'avvenire, in cui, contenti della felicità presente e fiduciosi nella sua durata, raccoglievano quel che la terra dava loro senza coltivarla, e, vicini agli déi per la purezza del cuore, ne incontravano ancora ad ogni passo la traccia e vivevano, in un certo senso, in mezzo a loro; è qui che la leggenda ci mostra i primi uomini. È questa la patria delle divinità della mitologia greca. Vicino a questi luoghi, Plutone rapì Proserpina alla madre; in questo bosco che abbiamo appena attraversato, Cerere sospese la sua rapida corsa e, stanca delle sue vane ricerche, si sedette su una roccia e, benché dea, pianse, dicono i Greci, perché era madre. Apollo ha custodito le mandrie in queste valli; questi boschetti che si estendono fin sulla riva del mare hanno risuonato del flauto di Pan; le ninfe si sono smarrite sotto le loro ombre e hanno respirato il loro profumo. Qui Galatea fuggiva Polifemo, e Akis, sul punto di soccombere sotto i colpi del suo rivale, incantava ancora queste rive e vi lasciava il suo nome... In lontananza si scorge il lago d'Ercole e le rocce dei Ciclopi. Terra degli déi e degli eroi! (cap. 1, Scritti giovanili, Frammenti del viaggio in Sicilia, p. 134)
Tocqueville è il primo ad aver accennato al ruolo del legame sociale e agli effetti della sua dissoluzione sul sistema politico: effetti liberatori ma insieme anche (con apparente contraddizione) forieri di seri pericoli di libertà. (Massimo Corsale)
Tocqueville, nella sua opera matura su L'ancien Régime et la Révolution, descrisse magistralmente come i sovrani assolutistici durante l'Ancien Régime (e non solo in Francia) avessero combattuto contro le autonomie dei ceti, e in particolare di quelli più forti: l'aristocrazia e il clero. (Massimo Corsale)
Troppo liberale per il partito da cui proveniva, non sufficientemente entusiasta delle nuove idee agli occhi dei repubblicani, non fu adottato né dalla destra né dalla sinistra e continuò a essere sospetto agli occhi di tutti. (Raymond Aron)
↑ Da una lettera a Gobineau; citato in Gustavo Zagrebelsky, Le correzioni di Tocqueville ai difetti della democrazia, 29 luglio 2005, in Lo Stato e la Chiesa, ora in Zagrebelsky 2008, p. 145.
↑ Da una lettera del 1835; citato in Zagrebelsky 2008, p. 142.
↑ Dal discorso del 3 aprile 1852 all'Académie des Sciences Morales et Politiques; in (FR)Oeuvres complètes, a cura di J.P. Mayer, Gallimard, Paris 1951 sgg, vol. XVI, p. 241. Citato nell'Introduzione di Domenico Losurdo a Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista, Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari, 19995, p. IX. ISBN 88-420-5894-7.
↑ Lettera a Arthur de Gobineau, 22 ottobre 1843, ora in: Olivier Zunz, Alan S. Kahan (a cura di): The Tocqueville Reader: A Life in Letters and Politics, Wiley-Blackwell, 2002.
↑ Dal discorso pronunciato all'assemblea costituente il 12 settembre 1848 sulla questione del diritto al lavoro, in Oeuvres complètes, M. Lévy Frères, vol. IX, p. 546.
↑ 1951-, vol. II, t. 2, p. 334; citato in Losurdo 2005, pp. 200-1.
↑ 1951-, vol. IV, t. 1, pp. 50-51; citato in Losurdo 2005, p. 73.
↑ 1951-, vol. 11, t. 1, p. 62; citato in Losurdo 2005, p. 123.
↑ Citato in John Lukacs, Democrazia e populismo, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Longanesi, 2006, p. 206.
↑ Cap. XVI; in Scelta collezione delle più importanti opere moderne italiane e straniere di Scienze Politiche, Unione Tipografico-Editrice, Torino, 1884.
↑ citato in Umberto Eco, Considerazioni attuali, L'espresso, n. 20, anno LIV, 22 maggio 2008, p. 222
Alexis de Tocqueville, Ricordi, Editori Riuniti, Roma, 2012.
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, traduzione di Giorgio Candeloro, Rizzoli, Milano, 2005.
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, a cura di Giorgio Candeloro, Rizzoli, Milano, 2012.
Alexis de Tocqueville, La rivoluzione democratica in Francia, (Michel-Lévy, Paris, 1856), a cura di Nicola Matteucci, Utet, 2007.
Alexis de Tocqueville, L'antico regime e la rivoluzione, a cura di Giorgio Candeloro, Rizzoli, Milano, 2010.
Alexis de Tocqueville, Oeuvres complètes, a cura di Jacob-Peter Mayer, Gallimard, Paris, 1951-.
Alexis de Tocqueville, Scritti politici, 2 voll., a cura di Nicola Matteucci, UTET, Torino 1968.
Alexis de Tocqueville, Arthur de Gobineau, Del razzismo. Carteggio, 1843-1859, a cura di Luigi Michelini Tocci, prefazione di Marco Diani, Donzelli, Roma, 1995.
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America (De la dèmocratie en Amérique), traduzione di Giorgio Candeloro, Fabbri Editori 1996.