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scultore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Wiligelmo, Viligelmo[1] o Guiligelmo[2] (probabilmente una variante del nome Guglielmo) (XI secolo – XII secolo) è stato uno scultore italiano di epoca romanica, tra i primi a firmare le proprie opere in Italia.
Fu l'autore, circa nel 1110, del bassorilievo alto circa un metro e realizzato in marmo noto come la "Creazione e la tentazione di Adamo ed Eva", realizzato per il fregio della facciata occidentale del Duomo di Modena. L'attribuzione di tale opera a Wiligelmo è stata possibile grazie alla presenza di un'epigrafe scolpita come poscritto all'iscrizione latina sopra la data di fondazione della chiesa.[3]
Forse originario della diocesi di Como come forse Lanfranco,[4] scolpì i rilievi del Duomo di Modena verso il 1099 e probabilmente fu anche l'architetto responsabile dell'edificazione della facciata e della parte anteriore della cattedrale modenese. È il più importante maestro della scultura romanica in Italia, dotato nelle sue opere di una forza vitale e di un senso della narrazione impareggiabile per i suoi seguaci, superato pienamente forse solo da Nicola Pisano, oltre cento anni più tardi.
Molto probabilmente Wiligelmo lavorava come maestro lapicida sotto la direzione dell'architetto Lanfranco (forse originario dalla diocesi di Como e attivo nell'area padana nell'XI secolo) quando questi fu ingaggiato dai modenesi per l'edificazione della cattedrale, avvenuta nel 1099.
Il suo nome ci è noto grazie ai distici leonini (scritti in caratteri diversi e dunque sicuramente postumi) che elogiano nel latino dell'epoca la sua opera di scultore: essi sono stati aggiunti, in basso, nella lastra posta sulla facciata del Duomo di Modena (opera di Wiligelmo stesso), dove si trova la dedicazione e la data di fondazione della chiesa in un cartiglio sorretto dalle figure di Enoch ed Elia, profeti che furono assunti in cielo senza morire, per sottolineare il carattere di immortalità dell'opera architettonica e scultorea:
«Inter scultores
quan/to sis dignus onore,
cla/ret scultura
nunc Wiligelme tua»
«Quanto tra gli scultori
tu sia degno di onore,
è evidente ora, o Wiligelmo,
per la tua scultura»
Nel corso della decorazione del duomo di Modena, Wiligelmo si avvalse ovviamente della collaborazione di diversi allievi, purtroppo tutti anonimi e indicati negli studi con i nomi di Maestro di Artù, Maestro di San Geminiano, Maestro delle Metope).
Fra i più noti rilievi di Wiligelmo vi sono quelli con le Storie della Genesi, oggi inseriti nella facciata del Duomo di Modena. Si tratta di quattro lastre in marmo con le seguenti raffigurazioni in bassorilievo:
Anticamente è probabile che abbiano fatto parte del prospetto del pontile della chiesa. Da essi vediamo emergere le qualità dell'autore: aderenza al tema trattato, espressività ed essenzialità. Gli ambienti non vengono descritti: i soggetti vengono piuttosto colti in azione, esaltando la loro esistenza. Esempio tipico è quello del cieco Lamech che uccide Caino: la cecità è resa mirabilmente dal suo atteggiamento. Il tutto costituisce una narrazione sommaria; si osservi anche La creazione di Eva, dove l'ambiente in cui avviene l'episodio è indicato da una roccia tondeggiante, che rappresenta le acque del fiume Paradiso.
Non è il naturalismo romano, classicheggiante o funzionale alla narrazione storica. Ma non è neanche la concezione aspaziale bizantina. È piuttosto una trasformazione del simbolismo bizantino. Non è fatto per intuire un'idea, ma per far concepire la realtà del luogo, senza descriverlo dettagliatamente, ma dando efficacemente solo degli accenni per lasciare l'immaginazione allo spettatore. La scultura di Wiligelmo è alquanto rozza, volutamente sommaria, per essere più comprensibile ai fedeli analfabeti cui era didatticamente rivolta. Ciò però non deve indurre a pensare a carenze tecniche dello scultore, perché nei due Geni portafiaccola, oggi sulla facciata del Duomo, ma provenienti dall'altare, la tecnica di Wiligelmo può dirsi pari a quella delle opere degli scultori classici. Probabilmente, aveva potuto osservare queste opere nei reperti romani venuti alla luce quando si era scavato per cercare pietre, trovando invece la necropoli romana ricca di lapidi e sarcofagi.
Sulla facciata sono murati anche i quattro Simboli degli Evangelisti, in origine parti di un pulpito smembrato, sicuramente opera di Wiligelmo. Inoltre, al maestro sono attribuiti gli stipiti del portale principale, decorati da un tralcio abitato nelle parti frontali e da Profeti negli interni.
A Wiligelmo (in collaborazione con uno dei suoi più abili allievi, il Maestro delle metope) sono attribuite altre sculture: le metope che fungevano da contrafforti esterni, con figurazioni di chimere, sirene e mostri (oggi nel Museo Lapidario del duomo modenese), i numerosi capitelli e i semicapitelli.
Wiligelmo lavorò anche nella cattedrale di Piacenza, dove, nei portali laterali, si distinguono le mani dei due artisti: la sua e quella di un altro suo allievo, che diventerà un grande maestro, Nicolò.
Alcuni attribuiscono a Wiligelmo, o alla sua scuola, anche alcuni rilievi, facenti forse parte di un pulpito smembrato, che oggi sono collocati in vari punti della facciata del Duomo di Cremona.
La sua attività e dei suoi allievi è attestata anche all'abbazia di Nonantola, dove si ammirano i bassorilievi delle Storie della Vergine e di sant'Anselmo negli stipiti del portale.[5]
Una lunga tradizione attribuisce a Wiligelmo il Sogno e adorazione dei Magi, scultura nella lunetta del portale dell'Abbazia di San Mercuriale a Forlì.
Alcuni elementi della sua tecnica ricordano la scultura aquitanica, in modo particolare quella del chiostro dell'abbazia di San Pietro a Moissac e quella di Saint-Sernin nella vicina Tolosa, ma ebbe modo di confrontarsi a fondo con la scultura romana, le cui influenze sono chiaramente ravvisabili nei reperti della necropoli della Mutina latina[6].
Si è discusso a lungo su questi contatti, presupponendo una formazione di Wiligelmo entro l'ambito di quei cantieri. Non vi è dubbio che questi contatti esistano, ma, più che di una dipendenza di Wiligelmo dalle sculture aquitaniche (del resto di poco precedenti quelle di Modena), si tratta di una contemporaneità culturale, di reciproci scambi, pur nell'affermazione individuale della personalità di ogni singolo artista[7].
Si può parlare di una scuola wiligelmica non solo per i suoi allievi, ma anche per due altri grandi scultori dell'epoca, a lui di poco posteriori: Niccolò, attivo a Ferrara, e Benedetto Antelami, attivo a Parma, che mostrano di avere subito la sua influenza[8].
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