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urbanistica dell'Aquila Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'urbanistica dell'Aquila riguarda lo studio dei cambiamenti orografici della città (il centro con i Quattro Quarti) e dei borghi circostanti, da sempre legati alla sua storia sin dalla prima fondazione nel 1254 e soprattutto dopo la nuova fondazione del 1265, per continuare poi con l'espansione del centro principale, e le sue varie ricostruzioni per i terremoti del 1461, del 1703 e del 2009.
Stando anche più vicino al fiume Aterno, in una vasta piana, la città si espanse alla tipica maniera romana, venendo rifatta con l'asse viario a scacchiera dei cardi e decumani, con l'impianto termale sulla destra del fiume, alimentato da un acquedotto la cui iscrizione è stata recuperata nel 1890, poi da un altro acquedotto sulla sinistra dell'Aterno, che iniziava a Villa Raiolo di Pizzoli, terminando nella zona Ara di Saturno, dove oggi si trova il teatro romano di Amiternum. Infine l'impianto centrale della città era costituito dal foro, con i templi della Triade, la basilica, la curia, e appena fuori il grande anfiteatro romano di Amiternum del I secolo), ancora oggi molto ben conservato, che caratterizza ancora l'intera area. Infatti dell'antica città poco è rimasto, a causa di continue spoliazioni e distruzioni da parte di barbari e terremoti, benché le fonti attestino che Amiternum venne abitata sino alle soglie dell'VIII secolo, quando gli aitanti si spostarono sull'altura del Colle San Vittorino, dove venne edificata la chiesa di San Michele. Prima del 1257, era sede della diocesi, condivisa con Forcona.
Riassumendo brevemente i fattori che portarono, dal 1250, gli abitanti dei borghi circostanti la piana di Acculi o Acquili (dove oggi si trova la fontana delle 99 cannelle), le cause furono la necessità dei cittadini di riunirsi in un solo grande nucleo, per ragioni economiche e politiche. Nei diversi villaggi che si erano costituiti nella conca dal passaggio dei Longobardi, passando poi a quello dei Franchi e dei Normanni, mediante la potente famiglia dei Conti dei Marsi di Celano di origine francese, s'era venuta a tessere una fitta rete di villaggi-roccaforte e di torri di avvistamento sopra i picchi rocciosi delle montagnette lungo la catena del Sirente-Velino e dei Monti Cagno e Ocre, fino appunto alla piana di Amiternum. Il fitto rapporto di vassallaggio che i Conti avevano con i loro feudatari, e con i potenti monasteri dell'abbazia di Montecassino, dell'abbazia di Farfa, e dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno, e dunque con il Pontefice stesso, sia in maniera diretta che indiretta, andava dunque contro gli interessi del sovrano Federico II di Svevia, che si adoperò nel primo ventennio del 1200 per smantellare questo tessuto di rapporti di signorie varie e baronie, e in Abruzzo il cambiamento avvenne con la presa di Celano e la cacciata momentanea dei Conti Berardi.
I cittadini di Forcona, Amiterno, e Poppleto (Coppito) si ribellarono a Federico, che reagì con la forza distruggendo le antiche rocche, e pian piano iniziò a delinearsi il progetto di costruzione di una grande città, mediante la concessione del papa Gregorio X di un privilegio speciale. Anche se però il privilegio venne concesso più tardi da Corrado IV figlio di Federico, al livello politico L'Aquila nacque come una realtà sotto la protezione papale e imperiale (poiché Corrado con la dovuta cautela conservò sempre il desiderio di ricoprirla di privilegi affinché l'avesse come alleata[3]), che faceva parte di una rete di città-satellite che in qualche maniera contrastavano il potere temporale dell'imperatore sull'area del Papato, mentre al livello socio-economico, L'Aquila venne a costituirsi in maniera del tutto originale. Come descritto anche dallo storico Anton Ludovico Antinori[4], i commercianti e i nuovi coloni provenienti dai castelli situati nella conca, vennero a costruire le case coloniche presso la piana di Acculi, tal toponimo deriverebbe dalla ricca presenza di acque, e successivamente lo stemma civico assunse il simbolo dell'aquila imperiale degli Svevi, e poi degli Angiò.
La fase di popolamento continuò per tutto il 1255, il diploma di Corrado prevedeva la ripartizione in locali dell'area individuata, suddividendo dunque le micro-zone coloniche dei vari commercianti provenienti dai singoli castelli.
Tali "castelli", che secondo la leggenda riportata anche dal primo storico aquilano Buccio di Ranallo fossero 99, erano semplici roccaforti militari che presidiavano il territorio, con la torre-casa del barone di turno, e le piccole case dei commercianti e dei feudatari che avevano in gestione temporaneamente lotti di terra della piana. Lo storico Bernardino Cirillo, negli Annali della Città d'Aquila cita tutti i castelli che fondarono la città, e il numero raggiungeva quasi la novantina, malgrado oggi molti siti originali siano stati completamente stravolti dall'espansione edilizia, o addirittura scomparsi a causa dei catastrofici terremoti, come quello del febbraio 1703. Fatto sta che le rocche vere e proprie ancora oggi sono esistenti, ossia quelle di maggior pregio, i cui abitanti ebbero il privilegio e il potere economico di costruire nella città d'Aquila locali più espansi, mentre per altri castelli di minore importanza, come Vio, Genca, Gignano, Forfona, non resta poco più, nel tessuto odierno del centro storico aquilano, che il toponimo del locale stesso, mentre dei borghi esterni le mura sopravvive il borgo di San Pietro della Jenca (Genca) presso Assergi, mentre di quest'altri citati come esempio si conservano soltanto i toponimi e le ipotizzabili località dove sorgessero le case.
Di natura sempre turbolenta, i cittadini dell'Aquila, fedeli al papato, nella persona di papa Alessandro III, e mai distaccatisi completamente dalla loro natura di commercianti-signori feudali, vennero a scontrarsi con il re Manfredi di Svevia, successore di Corrado, in rotta di collisione col pontefice. Nel 1259 in seguito alla ribellione dei Conti dei Marsi e di Poppleto[5], Manfredi accerchiò la città e la saccheggiò, distruggendola. Dunque si viene a comprendere che l'aspetto orografico, per suddivisione in quarti e locali colonici, potrebbe aver avuto origine nel 1245-55, ma forse per l'incompiutezza dei lavori di fondazione, e per la distruzione totale di Manfredi, essa venne rifatta daccapo nel 1265 per volere dell sovrano Carlo I d'Angiò.
Le stesse notizie sul ripopolamento della città provengono da Buccio di Ranallo, con grande affluenza di nuovi coloni per via del successo della città nella battaglia di Tagliacozzo contro Corradino di Svevia, e per la serie di privilegi che Carlo concesse agli aquilani in segno di riconoscenza. La fiorente città s'avviava verso lo sviluppo, e si risolse la delicata questione del riconoscimento delle proprietà dei contadini degli originali "castra" di provenienza, proprio con l'assegnazione del locale dentro l'area delle mura, con il permesso di erezione della chiesa che sarebbe stata un duplicato della parrocchia dell'originale castello di appartenenza, per non disperdere le rendite e i possessi delle montagne, appartenendo proprio alla parrocchia.[6]
In effetti, se non si considerano i grandi cambiamenti dentro le mura a causa dei terremoti, le poche piazzette provviste di palazzo signorile e di chiesa confermano perfettamente l'aspetto originale dell'urbanistica di rifondazione della città. E sempre in merito alla leggenda dei 99 castelli, la città avrebbe avuto 99 piazze, 99 chiese, 99 palazzi signorili, ripartiti dal 1276 in Quattro Quarti, con 4 chiese capoquartiere, ossia i quarti di Santa Giusta, Santa Maria, San Pietro e San Marciano (ex San Giovanni). E ciascuno di questi quarti era, come lo è oggi, almeno secondo la tradizione della toponomastica, ripartiti in piccoli locali di fondazione dei coloni provenienti dai castelli. Il primato del nome dei Quarti e delle grandi parrocchie, ovviamente è dato dall'importanza socio-politica delle famiglie che colonizzarono i lotti, sia nobili che di origine mercantile, come si vedrà per i nobiluomini Branconio di Collebrincioni stanziatisi nel rione Santa Maria, e per i ricchi Gaglioffi di Coppito, nel rione San Pietro.
Il disegno della città dell'Aquila non può prescindere dall'immagine e dall'immaginario derivanti dalle sue prime rappresentazioni alla fine del Cinquecento, tutte legate alla figura del matematico Girolamo Pico Fonticulano, in particolare la sua pianta della Città del 1575, e le due piante derivate, quella del 1581 di Egnazio Danti (conservata nella Galleria delle carte geografiche nel Vaticano), e l'altra del 1600 di Jacopo Lauro[7], non rispecchiano perfettamente l'assetto urbano dell'Aquila. Fonticulano attribuisce al tessuto urbano quasi indistintamente una matrice geometrica a maglie ortogonali, che evidentemente non corrisponde alla realtà, se non per un richiamo alla strutturazione della città all'epoca angioina. Sicuramente Fonticulano riprese l'ideale di una città ideale, prospettica e perfetta negli assi, seguendo la maniera della prospettiva che andava in voga nell'arte del tardo Rinascimento, poiché notevole è il rinnovo figurativo che la città dovette subire nella ricostruzione posts sisma 1703. Sul piano di rappresentazione sono stati utilizzati due livelli di scala, il primo relativo al livello urbano, il secondo a specifici settori, sul medesimo registro della sezione storico-sincronica riferita alla città storicizzata, con sovrapposizione della lettura storico-critica sul rilievo della città attuale.
I caratteri del disegno urbano dell'Aquila derivano dalla sintesi dell'impianto medievale angioino della fondazione e un diffuso sistema di piazze: gli studi collocano la nascita della città infatti all'interno del complessi rapporti di potere tra Stato e Chiesa, e nella riorganizzazione territoriale da parte dei Cistercensi a propositi "locali", che giustificano il passaggio da una frammentaria realtà feudale alla realizzazione nel 1254-55 di una città di fondazione, per quanto riguarda il grande balzo in avanti sul ruolo ed estensione territoriale[8]. Proprio in vista delle ripartizioni alla maniera cistercense, è necessaria ricordare che l'Abruzzo nel XIII secolo venne colonizzato da questo nuovo ordine monacale, che venne a contrapporsi ai Benedettini di Montecassino, con la fondazione dell'abbazia di Santa Maria di Casanova a Villa Celiera nel 1991. Nell'aquilano nel 1222 venne fondato il monastero di Santo Spirito d'Ocre, poi la grancia di Santa Maria del Monte a Campo Imperatore, dipendente da Casanova, l'abbazia-parrocchia di San Benedetto delle Carfasse ad Arischia nel 1303. Santa Maria di Casanova rappresenta il riferimento abruzzese del sistema di abbazia e rifattosi a quella di Ripalta sul Gargano a San Severo (1201), funzionali al processo della mena delle greggi. L'assetto urbano dell'Aquila sarebbe stato ispirato agli impianti di Beaumont-de-Lomagne (1279), Mirande (1281) o Solomiac (1323), bastides che si articolano con tracciati ortogonale, piazza del mercato al centro, spazialmente delineati dal disegno a isolati nel tessuto dentro le mura. Nel territorio del "Comitato aquilano" i modelli di questi spazi sono visibili in Amatrice, Antrodoco, Borgo Velino, Cittareale, Cittaducale, Leonessa, tutti centri di fondazione angioina[9].
Nell'impianto urbano gli assi principali che attraversano il centro storico da porta a porta delle mura, sono Corso Federico II, poi Corso Vittorio Emanuele a nord di Piazza Duomo, e via Roma-Corso Umberto I, poi dai Quattro Cantoni (incrocio delle quattro strade maggiori) via San Bernardino, tra loro ortogonali, così come anche via Cascina e via Garibaldi[10]. Il disegno urbano non resta definito dal solo tessuto viario, in quanto vi si integra un molteplice sistema di piazze e slarghi, gerarchizzato dalla scala urbana del capo-quarto (Santa Giusta, Santa Maria di Paganica, San Pietro, San Marciano), a quella del semplice locale (Piazza San Silvestro, Piazza San Flaviano, Piazza San Marco, Piazza San Domenico); altre piazze di alto rango sono quelle legate alla politica e all'economia, come Piazza Duomo o del Mercato, e Piazza Palazzo, dove si trova il Palazzo Margherita d'Austria, già del Capitano Regio.
I locali si strutturano intorno alla lor piazza, chiesa e fontana con la duplicazione, anche del nome, della parrocchiale dei centri di provenienza (esempi di San Silvestro, San Pietro di Coppito, Santa Maria di Paganica, Santa Giusta di Bazzano, San Marciano), e secondo un rapporto biunivoco intus-extra moenia tra loro urbani e rispettivi castelli, così che i cittadini inurbati possano continuare ad esercitare il possesso degli stessi diritti, ad uso dei pascoli dei paesi di provenienza[11]. Queste stesse piazze nel corso del Cinquecento, diventeranno il coagulo per gli insediamenti nobiliari, come i Branconio, i Franchi, i Pretatti, i Camponeschi, gli Alfieri.
Altra significativa componente che caratterizza l'impianto urbano aquilano sono gli insediamenti monastici che si inseriscono, secondo differenti modalità e tipologie, all'interno della città, ai limiti del tessuto edificato e a ridosso delle mura fortificate, o anche esternamente, come la Basilica di Santa Maria di Collemaggio (1288), fuori Porta di Bagno. I Francescani s'insediarono dentro le mura, con il complesso monastico affacciato su Piazza Palazzo, che oggi costituisce il Palazzo del Convitto "Domenico Cotugno", ricavato nel 1878 dall'antico convento, inglobato nel nuovo edificio sul corso Vittorio Emanuele, i Celestini si insediarono sull'asse del corso Federico II con la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati, e poi presso la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria in Piazza San Biagio (prospiciente la facciata della Basilica di San Giuseppe Artigiano); i Domenicani nell'antico complesso di Palazzo Gaglioffi e della Beata Antonia (per cui esiste il monastero del Corpo di Cristo) in via Sassa. In posizione marginale al palazzo, i Domenicani si collocarono ad occidente al confine del rione San Pietro con San Marciano, sull'antico asse di via Forcella, con la chiesa di San Domenico la cui facciata raggiunge i massimi vertici della costruzione angioina abruzzese, i Francescani si erano stanziati a oriente con il complesso della Basilica di San Bernardino (metà XVI secolo), sull'asse di via Roma-Corso Umberto Il, poi via San Bernardino, con orto estesi sino alle mura; gli Agostiniani da San Giacomo-Sant'Onofrio si attestarono con Carlo I nel 1270 sia a meridione con il complesso della chiesa di Sant'Agostino ed ex Prefettura, e a nord con la chiesa di Sant'Amico, con le agostiniane femmine.
Ad occupare gli ampi spazi tra l'edificato e le mura, i complessi celestiniani di Sant'Agnese e San Basilio (oggi ex ospedale San Salvatore) a nord di Porta Paganica, quelli delle agostiniane di Santa Lucia (oggi sede dell'Opera salesiana don Bosco) e le Clarisse del convento di Santa Chiara di Acquili (presso via XX Settembre). La renovatio urbis dell'Aquila avvenne nella metà del Cinquecento in base a due fatti: l'infeudamento sotto la corona Spagnola di Carlo V, quando la città passò in mano a don Pedro Alvarez de Toledo, che per punire la città per l'aver abbracciato la causa francese mediante Ludovico Franchi, impose una pesante tassazione, volendo erigere il mastio del Forte spagnolo, su progetto di Pietro Luis Escrivà, locato in posizione dominante sulla città.
La formazione della tagliata interna comportò la demolizione di alcuni "locali" del rione Santa Maria, e la distruzione totale del Guasto. S'innesta inoltre un processo di polarizzazione urbana sulla nuova struttura, con la chiusura di entrambe le porte sul lato nord delle mura (Porta Pizzoli e Porta Paganica), e il rafforzamento degli assi stradali, entrambi convergenti sul castello, del Corso in direzione nord-sud, e di via Castello-via Garibaldi, in direzione est-ovest, sui quali vanno anche ad attestarsi diversi insediamenti palaziali. Il secondo evento storico è l'arrivo in città delle duchessa Margherita d'Austria, figlia di Carlo V, sposatasi con Ottavio Farnese, ereditando dunque una parte dell'Abruzzo Ulteriore, insieme a Penne, San Valentino e Montereale. Margherita prese sede nel vecchio palazzo del Capitano, trasformandolo dal 1572 al 1577 nel Palazzo Margherita, lasciando di originale la torre civica medievale.
La città presenta ampi vuoti nelle zone periferiche, e anche all'interno delle mura, la piazza San Bernardino, dove giunge a compimento la facciata del 1542 di Nicola Filotesio, e lo spazio del Borgo Rivera dove si affacciano la fontana delle 99 cannelle e la chiesa di San Vito da Tornimparte, dove è ipotizzabile un intervento del Fonticulano.
In tale contesto è emblematico, in ordine al processo storico di formazione, trasformazione e stratificazione del tessuto urbano, il caso dei luoghi centrali della città storica tra gli slarghi di Piazza Palazzo, Piazza Santa Margherita e Piazza Annunziata. Le due sezioni storico-sincroniche evidenziano con chiarezza il transito dell'assetto riferibile all'ultimo quarto del XVI secolo, a quello sullo scorcio del XVIII secolo. Le planimetrie sono incentrate sulle tre piazze citate, tutte tangenti all'asse urbano principale di via Roma-Corso Umberto, che attraversa da ovest a est l'interno centro orizzontalmente, tra Porta Barete e Porta Leone. L'assetto urbano sullo scorcio del XVI secolo era piuttosto diverso dall'attuale.
Su Piazza Palazzo s'affacciavano, nel lato orientale, la chiesa convento di San Francesco a Palazzo, dove tra il 1879 e il 1893 fu allestita la biblioteca provinciale Salvatore Tommasi, insieme al liceo classico del Palazzo del Real Convitto; sul lato occidentale il Palazzo Margherita, esito del radicale intervento di ristrutturazione e ampliamento, la torre civica dell'orologio con la campana "reatinella", più alta prima del t"taglio ì" operato dagli spagnoli, che troncarono anche i campanili di Santa Maria Paganica e Santa Maria del Carmine, per evitare possibili rappresaglie degli aquilani contro il castello dell'Escrivà. Su Piazza Santa Margherita, esattamente posta dietro il Palazzo comunale, prospettava sul lato settentrionale il Palazzo Conte di Montorio, residenza del tesoriere regio, sul lato occidentale si affacciava la piccola chiesa di Santa Margherita, poi ampiamente rifatta nel XVII secolo con l'istituzione in città della Compagnia del Gesù, appartenente al locale Forcella (1294), e la sede della Camera Aquilana, residenza degli eletti, il Magistrato e i Signori, che aveva acquistato funzione pubblica già nel 1495, ristrutturata e ampliata nel 1570 e il 1572, oggi pressoché a tutti nota come il Palazzetto dei Nobili.
Nel XVI secolo l'isolato compreso tra il lato occidentale di Piazza Santa Margherita, via Annunziata, via Roma (oggi questo tratto è stato dedicato al Tenente Andrea Bafile) e via Burri, appariva molto diverso dall'attuale, suddiviso in tre isolati stretti e lunghi da due strade non più esistenti. Il primo era interposto tra via Roma e via Forcella, e aveva in testata, sul fronte Piazza Santa Margherita, l'omonima chiesa del locale con a fianco un giardino (oggi compreso nel chiostro del Convitto Camponeschi), pertinenza del retrostante Palazzo Quinzi verso l'Annunziata. Il secondo isolato correva lungo via Forcella e comprendeva la Camera Aquilana dei Nobili, che affacciava sulla piazza, e la casa di Pietro Fonticola, in angolo tra via Annunziata e via Forcella; il terzo si sviluppava lungo l'attuale via Burri con la casa di Giorgio Saturnino. Con l'arrivo a L'Aquila della Compagnia dei Gesuiti di Sant'Ignazio, che nel 596 si insediava nel Palazzo della Camera, si avviarono profonde modifiche urbane.
A partire dalla realizzazione della nuova chiesa del Gesù e del Collegio Aquilano (1626-fine secolo)[12], ossia il Palazzo Camponeschi, che comportava il taglio e la rifusione dei tre isolati preesistenti di forma allungata, la chiusura delle due strade tra di loro interposte e il tracciamento dell'attuale via Camponeschi, sull'allineamento della Piazza Santa Margherita. In realtà la chiesa che il Collegio restarono incompiuti, in particolare alla chiesa del Gesù vennero a mancare il paramento di facciata, transetto, cupola ed abside; con la ricostruzione posts sisma 1703 la piazza di Santa Margherita e dell'Annunziata trovano il loro definitivo assetto attraverso un lungo e complesso processo di trasformazione che porta alla definizione formale e figurativa dei due invasi.
Nella Piazza Santa Margherita a settentrione sul sito cinquecentesco di Palazzo Conte di Montorio si colloca il Palazzo Pica Alfieri, risultato di un corposo intervento di ristrutturazione compiuto tra il 1711 e il 727, contiguo ad esso Palazzo Quinzi (completato nel 1726) la cui angolata si affaccia sulla piazza; a oriente il fronte del Palazzo Margherita, a occidente la facciata incompiuta della chiesa di Santa Margherita o del Gesù, a sud il Plaazzetto dei Nobili, riedificato nel 1712. La piazza dell'Annunziata si conforma come un singolare spazio urbano triangolare, convergente sulla settecentesca chiesa omonima, edificata dai castellani di Preturo nel XV secolo circa, spazio su cui incombe il fronte di Palazzo Carli (sede del Rettorato universitario sino al 2009), ricostruito tra il 1708 e il 1725
La corte si sviluppa nel rifacimento dei palazzi signorili tra il XV-XVI secolo[13], e ancor maggiormente dopo il terremoto del 1703. Il tema del palazzo quattro-cinquecentesco dell'Aquila si connota essenzialmente come tema della corte, anche al di fuori di qualunque tematica di riconnessione figurativa agli spazi della città. Al di là di alcuni elementi architettonici specifici che ricorrono nei portali del Palazzo Dragonetti di via Santa Giusta, Palazzo Franchi-Fiore di via Sassa), le logge aperte sul fronte della strada (il Palazzo Dragonetti, Casa di Jacopo di Notar Nanni in via Bominaco), cantonali in pietra, le finestre spesso eleganti e variamente conformate alle facciate. Il cortile aquilano raramente, di grande respiro spaziale, tende a qualificarsi come valore spaziale figurativo autonomo, tanto che nel processo di ricostruzione dopo il terremoto del 1703 è ricorrente il modernamento figurativo sui fronti stradali che inglobano, metabolizzandoli, i preesistenti cortili rinascimentali.
Il cortile rinascimentale di stampo toscano è evidente in Palazzo Carli (1495), impostato su due ordini, uno inferiore ad arcate a tutto sesto su colonne per tre lati, e uno superiore, su quattro lati, a semplici colonne senza trabeazione, che sostengono direttamente lo sporto di gronda. Un'altra trabeazione, che costituisce anche il prospetto del portico superiore, gira tutt'intorno alla corte. Nell'ordine inferiore un portale di accesso alla scala caratterizza il quarto lato e presenta il sintagma architettonico dell'arco murato inquadrato dell'ordine, che va rapportato all'uso fiorentino non seriale, distinto dal sistema architettonico romano, appunto seriale.
Il sintagma è costituito da un arco murario, decorato all'intradosso da un partito decorativo a cassette con rosoni, inquadrato dall'ordine architettonico, due colonne scanalate e rudentate nel terzo inferiore, con capitello, che sostengono una doppia trabeazione che gira su quattro lati del cortile, tangente agli archi a chiave. Più complessa è la lettura del cortile di Palazzo Franchi Fiore in via Sassa, dove è riproposto lo stesso motivo architettonico dell'arco murario, inquadrato dall'ordine e con caratteristiche del tutto analoghe a quello di Palazzo Carli. Sia C. Gavini che M. Chini[14] relazionarono i due cortili anche rispetto al possibile stesso autore; in tal caso potrebbe rafforzarsi la proposta critica di individuare tra i massimi architetti del Quattrocento Silvestro dell'Aquila, che ne 1471 avrebbe potuto avere una bottega per la realizzazione non solo di opere d'arte a tema religioso, ma anche civile, essendosi egli collegato in varie sue opere all'arte toscana.
La datazione del cortile (1510-22) rende tuttavia poco probabile tale interpretazione, per la morte nel 1502 dell'artista, la consapevolezza prospettica che caratterizza i Palazzi Carli e Franchi, appare estranea agli altri cortili del tardo Quattrocento aquilano, dove lo spazio della corte si articola su modulazioni libere e da rigorosi impianti prospettici e in cui, le accentuazioni umanistiche e recuperi tardo-medievali, si manifesta piuttosto come riproposizione di un linguaggio architettonico, dunque senza picchi di originalità
La scala principale di accesso si presenta sostanzialmente aperta, e articolata spazialmente sul cortile di cui costituisce parte integrante del piano distributivo e figurativo, così la casa di Nicola e Giacomo di Notar Nanni di via Bominaco, la casa di Salvati-Agnifili in Piazza Cardinale, il Palazzo Burri-Gatti in Corso Vittorio Emanuele, la Casa De Rosis in via San Benedetto in Perillis, e le due case di via Bominaco ai civici 5 e 13. Di eccezione è il Palazzo Alfieri, oggi convento di Santa Maria degli Angeli in via Fortebraccio, caratterizzato da un ampio cortile porticato a due ordini, in cui però convivono arcate ogivali e arcate a tutto sesto. E ancora l'elegante cortile del Palazzo Dragonetti-De Torres in via Santa Giusta, a tre ordini, forse la massima espressione locale delle possibilità creative connesse all'adozione dello stile toscano.
Gli ambienti dei cortili nell'arco del Cinquecento vennero realizzati in forme più ampie, come nel Palazzo Bonanni in Corso Vittorio, a tre ordini, e nel Palazzo Lucentini Bonanni in Piazza Regina Margherita (1588), dove però appare evidente la ripresa di impianti compositivi quattrocenteschi, completamente estranei ai modelli tipici del palazzo gentilizio di ambiente romano, e ciò lo si vede anche nel Palazzo Dragonetti di via Fortebraccio, Palazzo Baroncelli-Cappa in via Paganica, e Palazzo Antonelli di via Monteluco (1574), oltre che per Palazzo Alfieri-Ossorio di via Cimino (1583), la casa Giovine in via Collepietro (1584), la casa Pica in via Guastatore (1593), o la più tarda casa Cesura in via Ortolani.
Si è visto come le carte più fedeli alla storia, partendo da quella del Fonticulano (1575), testimoniassero come la città, ancora oggi, mostra l'impianto originario di lottizzazione del terreno dentro le mura del 1316, in quattro Quarti, diviso nel 1276 da Lucchesino da Firenze, ossia Santa Giusta, Santa Maria, San Pietro e San Marciano o Giovanni di Lucoli. E di come questi Quarti a loro volta fossero ripartiti in locali, appartenenti ai coloni dei rispettivi castelli di appartenenza, e che secondo la tradizione riportata anche da Buccio di Ranallo, questi locali erano dotati di una piazza, una chiesa, una fontana (facendo riferimento elle falde acquifere dell'Aterno, e dei collegamenti con il luogo di Acculi, dove si trovano le 99 cannelle), che captava le acque anche dagli storici acquedotti romani, presenti ad Amiternum, e di cui oggi si conserva una "Torrione" presso via Alcide De Gasperi, così denominato per la sua altezza (15 metri in origine, troncati però col sisma del 2009)[15].
Nella pianta dell'abate Giovan Battista Pacichelli del 1695 circa, così come in quella precedente di Joan Blaeu del 1663, è possibile vedere la città com'era nell'aspetto originario, prima del catastrofico terremoto del 2 febbraio 1703, che costrinse la comunità a una ricostruzione che rispettò sì gli assi ortogonali, ma modificò l'ampiezza delle piazze e degli orti, come è visibile dalla pianta di Antonio Vandi del 1753. La carte del Pacichelli, come quella del Fonticulano, è provvista di lettere alfabetiche per la legenda delle costruzioni e dei luoghi più importanti, ed è mostrata con gli assi della Rose dei Venti ruotati, il punto Nord diventa il lato est della città facendo capo a Porta Bazzano, il punto Sud diventa la parte ovest dell'Aquila, facente capo a Porta Barete. La leggenda riporta:
Si può notare come questa carta manchi di molti monumenti segnalati nella legenda, quali le chiese di San Silvestro, San pietro di Coppito, Santa Maria di Paganica, il convento dei Francescani sul corso Vittorio Emanuele, le chiese di Santa Giusta e San Flaviano, di San Marco di Pianola e di Sant'Agostino con relativo convento. Nella parte nord tuttavia sono raffigurate, anche se in maniera fantasiosa, le chiese del Soccorso, presso il cimitero attuale aquilano, e la basilica di Santa Maria di Collemaggio. Poi verso nord-ovest i convento di San Giuliano e della Madonna Fore (o la chiesa della Madonna di Pettino?).
A sud invece, presso Porta Barete, il Pacichelli dovette dare una resa molto vicina all'originale di Porta Barete, all'estremo confine occidentale di via Roma, con una porta a doppio fornice, corrispondente alla coeva Porta Bazzano, dall'altra parte della città. La porta faceva parte del rione Santa Croce, presso il Quarto di San Pietro, nel 1826 fu parzialmente demolita per essere ricostruita in forme monumentali, ma alla fine il progetto non venne attuato, e si realizzò semplicemente un accesso più ampio al viale Corrado IV, per permettere il collegamento con la campagna di Pile e Coppito. Accanto a Porta Bare c'è porta Romana, dove probabilmente la duchessa Margherita d'Austria edificò la sua personale fattoria della "Cascina", e dove alla fine del XIX secolo venne costruita la caserma "Francesco De Rosa", oggi quasi del tutto demolita.
Altre disegni della città, che in un certo qual modo, malgrado licenze poetiche dei pittori, sono visibili nei cicli di affreschi della chiesa di San Silvestro, nel Quarto Santa Maria, del XIV-XV secolo, opera forse di Saturnino Gatti o del Maestro di Beffi, poi nell'opera Vita di San Giovanni da Capestrano di Giovanni di Bartolomeo (1485) ca., soprattutto nel riquadro della predica, dove si mostra una chiesa romanica, l'antica chiesa di San Giovanni di Lucoli, poi di San Marciano. L'ultima grande opera è il Gonfalone della città dell'Aquila di Giovan Paolo Cardone, che sotto la figura del Cristo portatore della croce, dei monaci Osservanti di San Bernardino tengono tra le mani in cerchio la "conca aquilana", con la città molto ben rappresentata, prima del sisma del 1703.
Il rinnovo figurativo del dopo 1703, si ripropone attraverso la riqualificazione degli spazi e degli assi urbani con protagonismo esclusivo dell'architettura in presenza di una sostanziale invarianza del tessuto urbano storico[16][17]. Le piazze si arricchiscono di opere architettoniche che ne modificano i valori percettivi e spaziali, attraverso proposizione spesso antagoniste alle preesistenze, come l'inserimento di Palazzo Centi (1752-66) in Piazza Santa Giusta, davanti alla chiesa omonima, che dal punto di vista formale e volumetrico sovrasta la chiesa stessa; il salto di scala spaziale e e figurativo di Piazza Santa Maria di Roio con le quinte dei Palazzi Rivera (1746) e Persichetti, il Palazzo Ardinghelli (1732-42) in Piazza Santa Maria Paganica, il Palazzo Pica Alfieri (1711-27) in Piazza Santa Margherita, lungo via Andrea Bafile, a suggellarne la definizione spaziale e figurativa, unitamente al Palazzetto della Congregazione dei Nobili (1708-1715), il Palazzo Antonelli (1712), in Piazza Fontesecco, sulla Piazza San Biagio la chiesa di Santa Caterina martire (1745) a forma ellittica, opera di Ferdinando Fuga, e il Palazzo Gaglioffi-Benedetti, coevo,; poi su Piazza San Marco la neo-ricostruita chiesa di Sant'Agostino (1705-1725), sulla piazzetta Annunziata il Palazzo Carli (1711-1725), su Piazza San Marciano il Palazzo Rustici, su Piazza San Pietro il Palazzo Porcinari (1732), su Piazza Duomo la neocostituita chiesa delle Anime Sante (1713-75), su Piazza San Basilio la chiesa e monastero (ante 1713-1750).
Le strade si animano di molteplici nuove costruzioni che modificano il mero valore di spazio compreso tra le quinte: via A. Bafile (già via Roma, nella parte mezzana tra il viale e il corso Umberto, altezza di Piazza S. Margherita-Palazzo Carli), con i Palazzi Quinzi (1721-25) e Pica Alfieri; via Camponeschi con la lunga facciata del Palazzo omonimo sede del Collegio del Gesù (1700-67), annesso alla chiesa dei Gesuiti; via Roio con Palazzi Antonelli, Rivera e Persichetti; via Santa Giusta con Palazzo Manieri (1708-52), risvoltante con interessante soluzione angolare su Corso Federico II; poi via Sassa con Palazzi Gaglioffi-Benedetti e Antonelli (1710-12); via Garibaldi con Palazzo Antinori su Piazza Chiarino (1756-61); via delle Buone Novelle con Palazzo Zuzi (1760); via Cavour con Palazzo Ienca (1710-21); via Antonelli con Palazzo Petropaoli (1743-57); via San Marciano con i Palazzi De Nardis-Oliva-Vetusti (1744, l'Oliva Vetusti del 1755), via Burri con Palazzo Burri-Corsi (1750).
Oltre ad episodi minori, quali la facciata tardo barocco a tre luci su via Rustici, le finestre con balconcini rococò dell'ultimo piano a Piazza Bariscianello, via Bominaco e via Patini; il portale di Palazzo Nodari-Gagliardi-Sardi (1710) in Piazza San Flaviano, la facciata di Palazzo Ciampella in via Cascina. Dunque la tipologia di impianto dei palazzi aquilani del XVIII secolo è definibile come il prodotto di programmi edilizi spesso rimasti incompiuti, e di confronto con storiche preesistente medievali-rinascimentali.
Il caso classico del rifacimento è il rimodernamento che naturalmente oscilla dalla semplice riconfigurazione del piano nobile, e comunque degli spazi rappresentativi, al parziale o totale rifacimento della struttura, con opere di rifusione, omogeneizzazione della facciata, rare soluzioni di rifacimento ex novo dalle fondamenta, come Palazzo Centi e Palazzo Ardinghelli. Soprattutto il Palazzo Centi, che risulta essere l'esempio principe del barocco aquilano, venne edificato isolato sulla piazza, mentre per gli altri palazzi si hanno soluzioni di testata dell'isolato, come il Palazzo Rivera in Piazza Santa Maria di Roio, Palazzo Antonelli a Piazza Fontesecco, Palazzo Manieri di via Bazzano, Palazzo Carli, articolazioni su due fronti, come Palazzo Benedetti di via Sassa, Palazzo Ciccozzi di via Indipendenza-via Simeonibus, Palazzo Persichetti in Piazza Santa Maria di Roio con risvolto in via Cesura, Palazzo Pica Alfieri su Piazza Santa Margherita con risvolto in via San Martino, Palazzo Antonelli di via Roio con risvolto in via Seminario, Palazzo Quinzi di via Andrea Bafile con risvolto in via san Martino, Palazzo Ardinghelli con risvolto sulla via omonima; mono-affacciato, ossia Palazzo Rustici su Piazza San Marciano, Palazzo Zuzi, Palazzo Antinori in Piazza Chiarino, il Collegio dei Gesuiti di via Camponeschi, il monastero di San Basilio, Palazzo Antonelli di via Sassa, Palazzo De Nardis Oliva Vetusti.
Rispetto alla tecnica dello spazio-corte, si verificano situazioni molto differenti: inglobamento dei cortili preesistenti come nel caso di Palazzo Antonelli, in via Roio che metabolizza nella nuova struttura ben tre cortili ad archi e colonne di formazione cinquecentesca, e similmente nel Palazzo Rivera; corte con compiuta articolazione spaziale e qualificazione architettonica come per la configurazione barocca dei Palazzi Carli, Quinzi e Benedetti con loggiato su tre lati, e Ardinghelli con la particolare conformazione semicircolare su Piazza S. Maria Paganica; corte con modesta qualificazione spaziale ed architettonica nei Plaazzi Pica Alfieri, Centi e Rivera; corte priva di qualificazione spaziale per i Palazzi Manieri, Antonelli di Piazza Fontesecco, Ciccozzi, Antinori, Persichetti, Rustici e Zuzi; in seguito la corte assente nel monastero non compiuto di San Basilio, e nei Palazzi Burri, Pietropaoli, Nardis-Oliva-Vetusti,; a parte i Palazzi Antonelli di via Sassa e Ienca, parzialmente interessati dalle demolizioni del 1941 per creare la nuova via Sallustio, per cui va sospesa la valutazione, se non quella per la facciata.
Altre modifiche riguardano le facciate, l'ordine delle finestre, alcune anche dipinte, per non compromettere l'equilibrio dell'impaginato e la costanza dei ritmi; è il caso di Palazzo Antonelli di via Roio e di Palazzo Zuzi. Per il Palazzo Zuzi si suppone la maestranza di Cicco da Pescocostanzo, ma non fu ciertamente il solo architetto che si occupò della costruzione, mentre si ha notizia certa degli architetti che si occuparono del ridisegno delle chiese maggiori, come Sebastiano Cipriani, allievo di Carlo Fontana, che si occupò di San Bernardino, del Duomo di San Massimo (1708-anni '50 del Settecento), della chiesa di San Basilio, e Palazzo Antonelli; poi Carlo Buratti, sempre allievo del Fontana, attivo a L'Aquila dal 1708 al 1733, che progettò la chiesa delle Anime Sante, per la facciata subentrò l'aquilano Leomporri (1770-75), poi Filippo Barigioni, che nel 1730 restaurò San Bernardino per la cappella interna, Ferdinando Fuga, realizzatore di Santa Caterina martire nel 1745. Dunque la ricostruzione barocca aquilana venne fortemente influenzata dall'intromissione della cultura romana, ma non solo, tanto che il centro storico risulta comunicare una pluralità di linguaggi stilistici facenti capo all'arte barocca, soprattutto per i casi di Santa Caterina, del Duomo e di Sant'Agostino dove operò il Cipriani[18].
L'edilizia civile aquilana appare da sempre caratterizzata da un'accentuata orizzontalità dei volumi, da una prevalenza della massa costruita nel rapporto pieno-vuoto, dalla costante riproposizione di cantonali in pietra di notevole evidenza formale, caratteri che vanno certamente ricondotti a una consolidata tradizione costruttiva, ben consapevole della storicità sismica del territorio. Dell'architettura cinquecentesca romano-toscana si prende il modello della facciata del palazzo nella definizione di Sangallo del tipo formale, caratterizzata dall'organizzazione a più piani per fasce sovrapposte, definizione formale dell'elemento seriale della finestra, allineamento orizzontale e verticale delle finestrature con interassi di regola costanti, finitura della parete d'intonaco, chiusura laterale dei fonti con angolari bugnati, rinuncia all'accentuazione plastica dei portali, cornicione di chiusura superiore.
Al contrario con l'arte tardo barocco della metà Settecento, s'impostano nell'architettura aquilana tre tipi di facciata: a due ordini di finestrati sovrapposti, piano terra e piano nobile, a tre ordini con attico, a tre ordini equivalenti. Al primo gruppo appartengono il fronte del monastero di San Basilio, del Collegio dei Gesuiti, e dei Palazzi Zuzi e Burri, per lo schema a tre ordini con attico si riferiscono i Palazzi Antonelli di via Roio, Rivera, Persichetti, Manieri, Ciccozzi, Antinori, Rustici, mentre per l'ultimo schema i palazzi Carli, Quinzi, Pica Alfieri, Antonelli di Piazza Fontesecco, Centi, Antonelli, Pietropaoli;, diverso il discorso per i palazzi Benedetti e Ienca, non caratterizzati dall'organizzazione a fasce orizzontali, anzi impostati su soluzioni molto verticali[19]
La città contemporanea dell'Aquila vede le maggiori modifiche degli ultimi 200 anni nel rione Santa Maria e in Santa Giusta. I processi caratterizzanti sono il sostanziale rispetto dei tracciati storici, con la riconfigurazione tuttavia edilizia dei fronti e del tessuto interno agli isolati, l'estensione dell'abitato nelle aree periferiche interne alle mura. Sino all'inizio del Novecento essere erano occupate da zone verdi, da orti e campagne, la saturazione degli spazi vuoti nel centro storico, e infine interventi di sostituzione edilizia hanno determinato il grande cambiamento tra fine Ottocento e inizio Novecento della città.
Il disegno degli assi viari storici si mantiene costante, ad accezione del nuovo tracciato fascista di viale Duca degli Abruzzi, realizzato mediante la distruzione totale del rione Genca, che era in parte sopravvissuto dopo la costruzione del Castello spagnolo nel XVI secolo, con la distruzione della chiesa di San Benedetto d'Arischia, e di quella di Santa Maria del Vasto (detta anche di San Leonardo, la cui facciata romanica fu rimontata sulla chiesetta degli Angeli presso via di Porta Napoli); l'asse di via Roma viene prolungato ad ovest oltre le mura di Porta Barete, che venne demolita e mai più ricostruita, creando un'insanabile frattura rimasta invariata per secoli tra la città e la campagna di Pile, che pian piano iniziava ad urbanizzarsi. Interventi minori realizzati nei primissimi anni del Novecento comportarono il completamento della facciata di Palazzo Ardinghelli con la costruzione dello scalone monumentale, e la demolizione totale del vecchio Palazzo De Rosis Ciampella, grandeggiando sopra le costruzioni rinascimentali del Palazzo Cappa Camponeschi e delle Case Oliva-Cappa.
Nell'Ottocento si ebbe la ridefinizione edilizia della casa alto-borghese, con al primo e secondo piano le stanze residenziali, al pianterreno le aperture delle botteghe, sopravvivono alcuni cortili storici quattro-cinquecenteschi, come quello di Palazzo De Rosis in via S. Benedetto in Perillis, la casa di Corso Vittorio Emanuele (poi demolita negli anni Trenta), la casa con il cortile di via Bominaco. Nell'ambito di queste ennesime rifusioni edilizie, le chiese di campagna e di minori importanza, come Santa Maria di Cascina su viale Francesco Crispi (dove oggi sorge la parrocchia di Cristo Re), lungo via Garibaldi scompaiono: San Leonardo dei Porcinari, Santa Maria di Gignano e la chiesa dei Santi Giustino e Martino presso Piazza Chiarino (demolita durante il fascismo), a ridosso delle mura settentrionali viene demolita la chiesa dei Santi Pietro e Nicolò, in via Verdi crolla Santa Maria di Intervera. La pianta del Vandi del 1753 testimonia che all'epoca erano state già distrutte le chiese di San Martino di Pescomaggiore, San Flaviano di Barisciano, il conservatorio delle terziarie francescane di Santa Elisabetta, il monastero cistercense di Santa Maria Nuova[20][21]
In particolare la demolizione della chiesa dei SS. Martino e Giustino a Piazza Chiarino comportò la modificazione del perimetro della piazza apertasi su via Garibaldi, orientata verso nord dalla facciata del Palazzo Antinori. Per quanto riguarda i complessi religiosi, al sisma sono da aggiungere gli effetti indotti dalle leggi napoleoniche e dalle nuove destinazioni d'uso del Regno d'Italia. A L'Aquila tra il 1807 e il 1809 vengono soppresso la maggior parte degli ordini religiosi, e demanializzate le loro proprietà. Nella prima metà dell'Ottocento il monastero di Santa Maria dei Raccomandati viene convertito in Municipio, nella seconda metà del secolo usato anche come scuola, dall'inizio del Novecento divenne un museo musicale; il monastero di Sant'Agnese a nord di Porta Paganica continua ad essere impiegato per le congregazioni religiose sino al 1875, quando vi si insedia l'ospedale civile San Salvatore, il complesso del Carmine diventa caserma e analogamente parte del convento di San Bernardino, quest'ultimo demanializzato nel 1866[22]
Per quanto concerne i giardini e gli orti a ridosso delle mura, occupati successivamente dagli anni Trenta del Novecento, si hanno i giardini delle chiese di San Nicola d'Anza ad ovest, di San Benedetto d'Arischia, di Santa Maria del Vasto, dei monasteri di Santa Lucia, San Basilio e Sant'Amico, dei conventi del Carmine a nord-est, e di San Bernardino. Dall'apertura nel 1933 del viale Duca degli Abruzzi, inizia il processo di edificazione in queste aree; il viale parte dal piazzale del Castello, a sud del monastero di Sant'Amico, quindi è tangente all'abside della chiesa di San Silvestro presso Porta Branconia, giungendo a Porta Romana, collegandosi con il nuovo viale Papa Giovanni XXIII, più successivo. Demolita la chiesa di San Benedetto, sono tranciati gli isolati lungo via Arischia, via San Pietro, via Pretatti, via Roma, via Barete; il viale che procede secondo propria livelletta, richiede la configurazione delle intersezioni stradali, risolte con semplici scalinate: l'antica via Cascina che si prolungava sino a via Sant'Agnese, è troncata nel mezzo. L'ospedale di San Salvatore con scuola di ostetricia venne rifatto tra il 1931 e il '34, facendo quasi perdere completamente l'aspetto della chiesa di Sant'Agnese. Si ridisegna l'asse viario, a sud, di viale XX Settembre, che dal sobborgo di Cascina permette una facile circumnavigazione del rione San Marciano, arrivando direttamente a Campo di Pile passando Porta Roiana e Porta Lucoli.
Il sobborgo di Cascina viene completamente modificato già nel periodo unitario con la realizzazione della villa comunale, dotatasi nel 1928 del Monumento ai caduti di Nicola D'Antino, viene creato il viale Crispi (ex strada di Porta Napoli), che collega verticalmente la Porta San Ferdinando (appunto Porta Napoli) sino al Corso Federico II. Questo sobborgo dunque si popola di abitazioni residenziali civili di gusto eclettico (liberty-neoclassico-neorinascimentale), e di costruzioni d'importanza come la parrocchia di Cristo Re (1934) in stile razionalista, la Casa della Giovane Italiana, l'ex Casa del Balilla (oggi Rettorato del Gran Sasso Science Institute), e la moderna costruzione del Consiglio della Regione Abruzzo, edificato dietro il Palazzo dell'Emiciclo (1888), massima costruzione civile neoclassica di Carlo Waldis, che venne progettata sopra lo sconsacrato convento di San Michele dentro le mura. Tracciato poi il diretto viale di Collemaggio che porta alla basilica, gli interventi di trasformazione durante il fascismo interessano completamente l'asse verticale del Corso Federico II-Corso Vittorio Emanuele: il primo viene quasi del tutto stravolto con la demolizione totale delle case civili e l'edificazione di palazzi di rappresentanza e di uffici, come L'INPS e prima di essa il Grande Albergo del Parco prospettante sulla villa (1941), il Cinema Massimo, il Palazzo delle Assicurazioni, la Banca d'Italia, mentre sul corso Vittorio Emanuele vengono realizzati vari palazzi in stile neoclassico con i portici, che si collegano al Palazzo del Convitto di San Francesco, ospitando la Cassa di Risparmio e la Camera di Commercio, mentre sul lato di destra sono realizzati INAIL in chiaro stile razionalista (1934-36), che mediante via San Bernardino si collega al Palazzo degli Uffici Amministrativi, mediante un lungo porticato; successivamente sono costruiti anche il Palazzo della Banca di Roma e all'ingresso dal Castello i due palazzi gemelli: Palazzo Leoni e Casa del Combattente o del Mutilato. Il completo progetto di riqualificazione urbanistica promosso dal fascismo è stato riportato nel Piano Regolatore del 1940-41: prevedeva una estesa espansione fuori le mura ma anche la realizzazione di una nuova piazza del regime con un'alta torre littoria al posto dei 4 cantoni proseguendo i portici fino alla piazza Regina Margherita. Il Piano Regolatore, redatto da Cipriano Oppo, Alfredo Cortelli e Mario Gioia non venne approvato per la caduta del regime fascista[6].
Nuovi ampliamenti sono eseguiti nel 1951, e poi sempre di più negli anni seguenti, con la realizzazione di alcune moderne strutture nel centro storico, demolite in seguito ai danneggiamenti del sisma del 2009, come in via Sallustio e in Piazzale Fontesecco, o anche in via XX Settembre, demolizioni iniziate nel 2017 con l'ex Casa dello Studente. Sempre nel centro storico, un vasto processo edilizio realizzato a nord, iniziato sempre negli anni Trenta con la costruzione del rione Costanzo Ciano presso Santa Maria di Forfona, interessa i rioni di Santa Maria e di San Pietro. Nel primo venne rifatto tutto il tessuto pressoché vergine posto dietro l'abside della basilica di San Bernardino, compreso tra questa via e via Castello, mentre ad ovest la parte del sobborgo Santa Croce di via Roma e di viale Duca degli Abruzzi-via San Giovanni Bosco, a ridosso delle mura, venne completamente popolato da palazzine di modesta fattura e resistenza sismica, dato che sono ancora sfregiate dal terremoto del 2009, e in attesa di demolizione. Stesso caso può dirsi per la parte nord di via XX Settembre, dove vennero popolati i locali di Tornimparte e Preturo costruendo gli isolati e i tracciati abitativi di via dei Marsi e via dei Frentani, a ridosso di Porta Stazione e Porta Romana; in passato fino alla seconda guerra mondiale, l'area verde era occupata soltanto dalla Caserma del IX Reggimento di Fanteria "Francesco De Rosa".
In seguito al grave sisma del 6 aprile, varie società private insieme all'intervento stesso dell'ex presidente Silvio Berlusconi per mezzo del commissario Guido Bertolaso s'attivarono per ospitare gli oltre 100.000 sfollati non in tende e ricoveri di fortuna, ma realizzando vere e proprie "new-towns", a ridosso dei centri colpiti. Ancora oggi l'operatore del progetto C.A.S.E. è chiaramente visibile nei pressi dei 52 comuni del cratere sismico, e nelle contrade limitrofe il centro dell'Aquila, consistenti in casette residenziali provviste di garage con piloni di ferro antisismici e giardinetti antistanti.
In contemporanea al fenomeno della gestione dell'emergenza sono stati attuati diversi piani di modernizzazione e collegamenti delle piccole realtà extraurbane, soprattutto delle contrade di Sassa, Preturo, Paganica, Onna, Coppito, Pile-Pettino, Roio, Bazzano e Bagno, ossia la realizzazione di nuove strade di collegamento, stazioni, incremento edificatorio nelle compagne di Onna-Monticchio ad est, e a Roio Poggio-Bagno a sud-est, e presso Sassa-Pile e Pettino sulla fascia sud-occidentale. Già piccoli quartieri moderni, interamente sorti negli anni '60-'70, a ridosso delle mura aquilane, oggi sono stati completamente collegati e inglobati nell'area metropolitana, vale a dire del quartiere Torretta-Sant'Elia, che mediante via Strinella da sud si collega all'area della Questura-cimitero, mentre a nord si trova il quartiere Torrione che mediante una nuova strada si collega a San Giacomo, e poi ad Aragno e Assergi.
Tuttavia oggi, benché manchi di un fulcro orografico vero e proprio che non sia l'area mercantile di Piazza d'Armi, il nucleo moderno aquilano del commercio, dell'università, e di uffici amministrativi dislocati, non ché dell'uscita del casello autostradale 123 "Autostrada dei Parchi", è il contado di Campo di Pile, che include l'area del centro commerciale L'Aquilone, di Coppito scalo col nuovo ospedale San Salvatore, e di Pettino, posta più a nord-ovest, dove si trova il Palazzo Silone (1997), sede moderna e alternativa del Palazzo dell'Emiciclo del Consiglio Regionale dell'Abruzzo.
Il centro storico aquilano è stato fondato secondo uno specifico schema a scacchiera di cardi, decumani e piazze da dei coloni con-focolieri dei "castelli" che popolavano il circondario attorno al villaggio di Acculi (presso il Borgo Rivera delle 99 cannelle, da cui il nome "Acquili", e poi Aquila), come Paganica, Assergi, Collebrincioni, San Vittorino, Coppito, Camarda e Roio. La leggenda vuole che 99 castelli fondassero la città nel 1254, sotto il patronato di Federico II di Svevia, distrutta cinque anni dopo da Manfredi di Svevia e ricostruita dal 1265 per volere di Carlo I d'Angiò.
Fu studiata l'espansione del primo villaggio per questioni economiche, dato che i confocolieri erano i mercanti e gli artigiani che, insieme ai contadini, desideravano liberarsi dal giogo delle baronie dei vari castelli: ogni lotto sarebbe andato in mano a una famiglia di grande rilievo, che avrebbe finanziato la costruzione della chiesa, e attorno sarebbero sorte le varie case coloniche. Tutto il nuovo centro sarebbe stato cinto da possenti mura, che abbracciavano un'area molto più vasta del territorio colonizzato, per lasciare spazio ai campi di coltivazione; tale vuoto fu colmato soltanto dall'espansione urbana della metà del '900.
La particolarità che rendell'Aquila una città unica in Italia sta appunto nella presenza di quattro principali quartieri la cui gestione era affidata a delle famiglie nobili, o di ricchi mercanti (come i Gaglioffi del quarto San Pietro), aventi i palazzi di rappresentanza, quattro chiese capoquartiere chiesa di Santa Giusta, chiesa di Santa Maria Paganica, chiesa di San Pietro a Coppito, chiesa di San Marciano) insieme ad altre chiese fondate come "duplicato" delle parrocchie già esistenti nei relativi castelli, delle piazze, e delle relative porte di accesso dalle mura medievali, quasi tutte conservatesi perfettamente.
I quarti dell'Aquila sono divisi in gruppi di due: i quarti "amiternini" posti ad Ovest, che volgono verso il borgo di San Vittorino, dove si trovava la romana Amiternum, e sono quelli di San Pietro e San Marciano; mentre gli altri due sono quelli "forconesi", che volgono ad Est, verso il comprensorio di Bagno, dove si trovava la città di Forcona, prima sede diocesana della città, e sono quelli di Santa Maria e Santa Giusta. Solo l'area di Piazza Duomo, con la relativa Cattedrale dei Santi Massimo e Giorgio fungeva da punto neutrale dall'amministrazione dei quartieri e delle parrocchie, mentre l'amministrazione pubblica era affidata al Capitano Regio, che stazionava presso il Municipio, ossia il Palazzo Margherita.
Le mura abbracciano ancora quasi totalmente il centro storico, e sono scomparse solo in alcuni punti, come nella zona sud-est del viale di Collemaggio e nella porzione di via Papa Giovanni XXIII. Le porte di accesso sono:
In disegno che ritrae il centro dell'Aquila, come si presentava la città ai tempi di Celestino V (XIII secolo), viene dettagliatamente spiegata la suddivisione dei Quarti, con i relativi "locali" di occupazione dei vari castelli fuori le mura. Soltanto lo spazio quasi baricentrico della "Piazza" era territorio neutrale.
L'elenco seguente riguarda il centro cittadino.
L'elenco seguente riguarda le principali strade e piazze delle circoscrizioni dell'area metropolitana:
Le XII Circoscrizioni sono:
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