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tipografia italiana (fl. 1476-1484) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Tipografia di San Jacopo di Ripoli (1476-1484) è stata una tipografia italiana attiva nella seconda metà del XV secolo.
La chiesa di San Jacopo di Ripoli si trova in via della Scala a Firenze, nella zona di Santa Maria Novella. Il convento di San Jacopo di Ripoli venne fondato nel 1292 a Firenze da monache domenicane trasferitesi da una precedente sede in Pian di Ripoli.[1]
Nel 1476 frate Domenico da Pistoia[2] impiantò dentro al monastero una tipografia e la diresse insieme a frate Pietro di Salvatore da Pisa.[3][4] Dal Diario della stamperia risulta che il costo delle attrezzature per l'avvio dell'attività (due torchi, punzoni, matrici, metalli e una cassa) fu di 174 lire d'argento pari a circa 32 fiorini d'oro.[5] Dopo la morte di Pietro nel settembre 1479[6] Domenico prese come aiutante Lorenzo Alopa, che il 15 maggio 1483 fu associato nella direzione della tipografia per tre anni e per un terzo delle spese e dei guadagni.[7] Alla morte di Domenico nel luglio 1484 Lorenzo finì da solo di stampare il Platone tradotto in latino da Marsilio Ficino e la stamperia chiuse.[8]
Quella di San Jacopo di Ripoli è una delle prime tipografie fiorentine (successiva solo a Bernardo Cennini), che nell'arco di otto anni lavora con una produzione copiosa e variata.[9] Le maggiori informazioni sull'attività della stamperia si ricavano da un libretto di 130 pagine, rilegato in pergamena, contenente il «quaderno delle spese» della stamperia dall'anno 1476, che fu ritrovato da padre Vincenzio Fineschi, domenicano archivista di Santa Maria Novella, nell'archivio di sua cura. Il frutto delle sue ricerche fu pubblicato nel 1781. Della breve ma importante vicenda della tipografia annessa al monastero femminile non fa invece alcun cenno Giuseppe Richa nella sua trattazione storica sul monastero pubblicata nel 1756.[10]
Il cosiddetto Diario (o «quaderno delle spese») della stamperia di Ripoli ci fornisce preziose informazioni sull'attività della stamperia e sulla sua produzione libraria. Il lavoro era svolto dalle monache domenicane, dirette dai frati Domenico da Pistoia e Pietro da Pisa. Deborah Parker scrive: «Two nuns, Sister Marietta and Rosarietta, worked on Boccaccio's Decameron».[11] Nelle pagine successive dello stesso articolo, l'autrice riferisce che una suora di nome Marietta venne pagata per aver impaginato una parte del Morgante: «in rare instances women received payment for their work. The diary entry of the Ripoli press for 23 February 1481 show that "suor Marietta" was paid "two large florins for part of the composition of the Morgante"».[12]
Tiziana Plebani ribadisce: «attestate sono anche le stamperie all'interno di alcuni monasteri femminili: è ben conosciuto il caso della tipografia del monastero di Ripoli in cui le monache prestavano la loro opera».[13] La produzione libraria della tipografia è varia: «Si trovano testi più o meno impegnativi, che vanno da quelli usati nelle scuole di primo grado a quelli che presuppongono nel lettore un discreto grado di cultura, e, accanto a questi, opere adatte a un pubblico di livello culturale non altissimo: opuscoli di devozione, orazioni, sacre rappresentazioni, leggende, salteruzzi miniati, spesso fogli volanti o fascicoli di poche pagine, che venivano tirati anche in parecchie centinaia di esemplari e che venivano pagati subito dai committenti».[9] Riguardo all'organizzazione della produzione libraria all'interno della tipografia sappiamo che: «Per la preparazione e lo smercio dei libri, con notevole senso pratico ed abilità, Domenico si serviva sia di personale e di attrezzature interne (fra l'altro anche alcune suore del monastero lavoravano come compositrici), sia della collaborazione di numerosi cartolai e dei loro lavoranti. Annessi alla stamperia, che si presentava come una sorta di "artista collettivo" (Perini), erano locali per la rubricazione e la rilegatura dei libri e una fonderia per i caratteri»[9]. A questo proposito, «I caratteri usati sono di due tipi: quattro alfabeti romani, di cui uno con varianti, un alfabeto gotico e uno greco; le iniziali sono in genere rubricate o assenti, salvo nel Driadeo di Luca Pulci, dove sono bianche su nero con decorazione floreale, […]. È possibile che, fra i primi, Domenico da Pistoia abbia usato anche la xilografia».[9]
«Anno domini mille quattrocento
settanta sette addi ventiquattro
dimarço Estata questa legenda in
prontata infirençe almonisterri
o disanto iacopo diripoli dellor
dine defrati predicatori permano
didua religiosi frate domenico
dapistoia etfrate piero dapisa»
Le opere edite nel monastero di San Jacopo di Ripoli, in latino e in volgare, classiche e moderne, sono «circa 94», secondo Scarcia Piacentini. Il Diario ne documenta 37.[15] Il primo libro stampato in San Jacopo di Ripoli è la Grammatica di Elio Donato, finita di stampare il 14 novembre 1476 in 400 copie.[16] «Per produrre l'Ars minor, la tipografia di Ripoli — oltre al lavoro, non quantificabile, prestato dalle suore del convento che furono probabilmente impiegate nel lavoro di composizione — impiegò due lavoratori per un mese di lavoro, ciascuno dei quali ricevette il salario di 1 fiorino e 2 lire corrispondenti a 7 lire e 10 soldi. L'inchiostro costò 2 lire e 10 soldi e la carta 3 lire e 10 soldi».[17] Il costo dell'edizione, comprensivo di carta, inchiostro e manodopera dipendente, fu dunque di 21 lire d'argento. L'ultimo libro stampato in San Jacopo di Ripoli, con la sottoscrizione soltanto di Lorenzo Alopa, è il latinizzamento dei Dialoghi platonici,[9] in 1 025 copie.[18]
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