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scultore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Antonio della Porta, detto Tamagnino (Osteno, 1471 circa – Porlezza, 1520 circa), è stato uno scultore italiano.
Scultore ed ornatista, appartenente ad una nota famiglia di artisti di Porlezza, era figlio di Giacomo (1430-1481), anch'egli scultore, fratello di Guglielmo e di Bartolomeo (1460-1514). Sua madre era sorella di Maddalena Solari, figlia di Guiniforte Solari, ingegnere capo del Duomo di Milano[1]. Il 9 giugno 1484 è citato come teste nel contratto di affitto della casa di Milano di Giovanni Antonio Amadeo, suo zio materno[2].
Compare a Brescia all'inizio del 1489, quando consegna un ciclo di dodici Angeli per la prima cupola della chiesa di Santa Maria dei Miracoli a Brescia[3], di cui sono pervenuti solo dieci esemplari, eseguiti approssimativamente nello stesso periodo in cui Gasparo Cairano eseguiva i suoi dodici Apostoli di contrappunto, pagati il 24 dicembre 1489[4].
In generale, tutta la produzione lapidea del cantiere di Santa Maria dei Miracoli eseguita nel decennio successivo al ciclo degli Apostoli, limitatamente a quanto presente all'interno dell'edificio, è riconducibile al Cairano e ai suoi collaboratori[5]. Non è da escludere che quest'opera propedeutica portasse in seno proprio il diritto a proseguire i lavori, in un vero e proprio confronto disputato tra Cairano e il Tamagnino[5]. Notare, comunque, che il ciclo di Angeli del Tamagnino si pone a un livello di qualità artistica decisamente superiore a quello degli Apostoli del Cairano, fosse solo per la relativa modernità dei primi, rivolti verso il nuovo classicismo veneziano di Antonio Rizzo, ma anche per la superiore qualità tecnica[6][7]. È probabile, quindi, che a supporto di Gasparo vi fosse un qualche favore locale che gli consentì di affermarsi sul Tamagnino indipendentemente dalle proprie iniziali capacità artistiche, ancora in fase di sviluppo[5]. Oltre agli Angeli, il Tamagnino consegna anche tre dei quattro busti clipeati per i pennacchi della prima cupola con i Dottori della Chiesa[N 1], più due tondi minori per il fregio della navata centrale: per questi cinque manufatti, tre dei quali molto grandi, e per i dodici Angeli, lo scultore riceve dalla Fabbrica del santuario un compenso inferiore a quello corrisposto al Cairano per i soli Apostoli[8][N 2].
Può essere ricercata in questa palese differenza di trattamento la più plausibile spiegazione all'immediata partenza dell'artista da Brescia, a cantiere del santuario ancora aperto, trovando evidentemente il suo lavoro sottovalutato, nonché sottopagato, in relazione addirittura con la produzione di un artista molto meno capace di lui[9]. L'alternativa del Tamagnino al non gratificante cantiere bresciano è la prestigiosissima commessa per la facciata della Certosa di Pavia, da seguire sotto la direzione del padrino Amadeo e di Antonio Mantegazza[10]. Il patto societario tra l'artista e i due scultori viene stretto nel maggio 1492[11][12] e apre al Tamagnino un'esperienza formativa unica, nonché un notevole salto di carriera[13].
Nel 1499 il ducato di Milano viene conquistato dai francesi, provocando una diaspora di artisti dalla città verso tutto il nord Italia e oltre[14]. È forse questa la ragione del ritorno a Brescia del Tamagnino[15], al quale gli si presenta comunque l'allettante commessa dell'apparato lapideo dell'erigendo palazzo della Loggia, al quale egli partecipa tra il novembre 1499 e il giugno 1500[16]. La fabbrica, aperta nel 1492 alla dipartita dello scultore dalla città, è in quel momento ormai egemonizzata dalla figura di Gasparo Cairano, già da qualche anno incoronato alla stregua di scultore di corte dalle alte cariche bresciane, pubbliche e private. I due artisti, pertanto, un decennio dopo il comune esordio, tornano a confrontarsi sulla scena del più importante cantiere bresciano del momento[17].
All'arrivo del Tamagnino nel 1499, il Cairano ha già consegnato almeno cinque Cesari e diverso altro materiale lapideo, tuttavia in quell'anno è registrato solamente il pagamento di una protome virile, dato che il lavoro dell'artista è completamente assorbito dai due Trofei angolari giganti, da poco cominciati[17]. Nel novembre 1499, il Tamagnino si insidia rumorosamente nel monopolio del concorrente, consegnando ben quattro Cesari e tre protomi leonine e mettendo in mostra le sue capacità e il suo calibro[16]. Tuttavia, nei sette mesi successivi le consegne dello scultore prendono uno strano andamento: mentre al Cairano si susseguono anticipi e saldi per i soli Trofei, in una vera e propria cesura produttiva che non registra altri suoi lavori, il Tamagnino realizza due soli Cesari e ben diciassette protomi leonine, la più ingente quantità di questi pezzi registrata nel cantiere della Loggia in un periodo così ristretto[17]. Notare che il ciclo delle protomi leonine prevedeva manufatti molto più seriali e ripetitivi di quello delle protomi virili, tanto da essere considerato secondario e al quale operarono molti altri lapicidi di bassa levatura[17]. Inoltre, ogni opera del Tamagnino viene pagata palesemente molto meno rispetto ai saldi medi per i manufatti dello stesso tipo[N 3].
I suoi Cesari, sei in totale e pure assolutamente pregevoli, vengono praticamente relegati sui due fianchi sud e ovest, di fatto sul retro del palazzo e nell'angolo meno frequentato[15][18]. Davanti a tale deprezzamento del proprio lavoro, diventa plausibile l'idea che con il sesto e ultimo Cesare consegnato, identificabile nell'esemplare più scadente dell'intero ciclo, il Tamagnino intendesse schernire collega e committenti, che per la seconda volta a Brescia ne avevano sabotato il successo, o quantomeno il giusto riconoscimento, ignorando e sottostimando il suo lavoro[19]. Dopo questi eventi, il Tamagnino abbandona Brescia probabilmente per sempre, lasciando Gasparo Cairano unico protagonista del panorama artistico scultoreo locale.
Del 1500 è il busto di Acellino Salvago, suo capolavoro, conservato al Kaiser Friedrich Museum di Berlino.
A Genova nel 1501 nella chiesa di San Teodoro assieme a Pace Gaggini realizza la decorazione scultorea interna della Cappella Lomellini. Nel 1504 è documentato il progetto e l'esecuzione del portale del palazzo di Lorenzo Cattaneo. Nel 1509 per Palazzo San Giorgio esegue le statue di Luciano Grimaldi e Antonio Doria e una cancellata marmorea per la chiesa di Santa Maria di Castello.[20].
Negli anni che vanno dal 1512 al 1519 lo ritroviamo attivo alla Certosa di Pavia per cui scolpisce due busti di profeti posti sopra le finestre della facciata e tante altre statue a 40 scudi l'una.[21]
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