La storia della donna nell'Islam è definita tanto dai testi islamici, quanto dalla storia e cultura del mondo musulmano.[1] In base al Corano, il testo sacro islamico, le donne sono uguali agli uomini di fronte ad Allah.[2] La Shari'a (Legge islamica) stabilisce delle differenze tra i ruoli di genere, i diritti e i doveri della donna e dell'uomo.
Gli interpreti dei testi giuridici islamici hanno diversi giudizi circa l'interpretazione delle norme religiose sulla condizione della donna. Secondo i più conservatori, le differenze tra uomo e donna sono dovute a diversità di status e responsabilità dei due[3], mentre il liberalismo musulmano, il femminismo islamico e altri gruppi hanno argomentato a favore di interpretazioni egualitarie.
La condizione della donna nell'Islam, circa le responsabilità delle donne all'interno delle società di cultura prevalente musulmana, varia molto da paese a paese. I paesi a maggioranza musulmana riconoscono alla donna vari gradi di diritti riguardo a matrimonio, divorzio, diritti civili, status legale, abbigliamento e istruzione, in base a diverse interpretazioni della dottrina islamica e dei principi di laicità. Tali paesi presentano alcune donne in alte posizioni politiche, e hanno eletto diversi capi di Stato donna (per esempio Benazir Bhutto in Pakistan).
Fonti coraniche
Numerosi sono i passi del Corano che fanno riferimento alla condizione femminile. Essi sono soggetti a interpretazione (ijtihād), e le opinioni sul loro significato variano tra quanti affermano che esso preveda una chiara supremazia dell'uomo sulla donna, fino a quanti, attraverso un'interpretazione storico-giuridica, li considerano volti a un miglioramento progressivo della condizione femminile rispetto alla società araba pre-islamica.
Nel Corano la testimonianza della donna è detta valere la metà di quella di un uomo.
Secondo alcuni, tale testo enuncerebbe il principio di superiorità dell'uomo sulla donna. Secondo altri, esso si limita a enunciare che agli uomini è dato l'obbligo di provvedere al sostentamento economico della famiglia, mentre alle donne è affidata la casa. Ciò che appartiene alle donne, queste lo possono usare per sé, mentre gli uomini il loro denaro lo devono usare soprattutto per la famiglia. Infatti, nel Corano si legge (IV, 19):
«Credenti! Non vi è lecito essere eredi delle proprie mogli contro la loro volontà. Nemmeno costringerle per strappar loro parte di ciò che avete donato loro, a meno che esse non abbiano commesso una turpitudine manifesta.»
La donna, finché rimane in famiglia, è sottoposta all'autorità del padre; dopo, quando si sposa, passa sotto l'autorità del marito. Paradossalmente esclusa da questa tutela (wilāya) è la nubile non più giovane (anīs), che può in tutto e per tutto gestirsi senza dipendere dall'altrui beneplacito.
Le fonti coraniche circa il diritto ereditario riportano una situazione di disparità. Nella medesima sura "delle donne", è infatti detto in merito all'eredità ai figli "Iddio vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine". Secondo alcuni, ciò va ancora messo in relazione con quanto riportato dalla sura IV, v. 19: gli uomini avrebbero diritto a una quota maggiore di eredità, in quanto devono assicurare il sostentamento della famiglia.
La poligamia è lecita e prevista dal Corano per gli uomini (Sura "delle donne", versetto 3) con la limitazione se temete di non essere giusti con loro sposatene una sola o le ancelle in vostro possesso e al massimo quattro mogli. Questa limitazione ha indotto alcuni commentatori modernisti ad affermare che, poiché è impossibile essere giusti con più di una donna (come è detto nella stessa sura al versetto 129) la poligamia è virtualmente illecita. Nella stessa sura si dice se alcune delle vostre donne avranno commesso atti indecenti portate quattro testimoni contro di loro, e se questi porteranno testimonianza del fatto, chiudetele in casa finché non le coglierà la morte o fin quando Dio apra loro una via. Dai commentatori questa punizione s'intende abrogata dal v. 2 della sura "della Luce", in cui si afferma che l'adultera e l'adultero siano puniti con cento colpi di frusta ciascuno alla presenza di un gruppo di credenti, ma in questo caso si parla di adulterio mentre nell'altra sura si parla di atti indecenti e i commentatori non sono d'accordo se per atti indecenti debba intendersi l'adulterio.
Nella sura "della Luce", il v. 31 prescrive che le credenti abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne, non mostrino troppo le loro parti belle ad altri che agli uomini della famiglia e non battano i piedi sì da mostrare le loro parti nascoste. Secondo un'usanza che è precedente al Corano, questo versetto proibirebbe alle donne di mostrare il volto e quindi avrebbe giustificato nei tempi passati l'esistenza dei ginecei (harem) in cui erano rinchiuse le donne[senza fonte], custodite nel caso di personalità di grande ricchezza, da guardiani evirati, nonché l'uso oggi in certi Stati islamici di vesti che coprono interamente il viso. Circa l'obbligo di portare il velo e coprire il volto, pur non essendoci alcun versetto che lo prescriva espressamente, il v. 59 della sura "delle Fazioni alleate" lo afferma, anche se dice: Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano dei loro mantelli, che sono grandi veli che vanno dalla testa ai piedi. Circa il divieto di battere i piedi forse ci si riferisce alla non liceità del ballo per le donne musulmane, o più semplicemente il divieto di far notare l'avere delle cavigliere preziose battendo i piedi (costume arabo preislamico).
Nella sura "del Misericordioso" si parla del paradiso con le vergini a disposizione degli uomini ma è pur vero che lo stesso testo sacro islamico afferma che esistono anche ghulām (schiavi, paggi).
Sono infine frequenti le raccomandazioni ai mariti di trattare con gentilezza e giustizia le loro mogli anche nei rapporti sessuali, in caso di poligamia.
Secondo il Corano l'uomo può ripudiare la moglie in qualsiasi momento; la moglie può farlo in caso di maltrattamenti o indifferenza da parte del marito (IV, 128).
Il principio della superiorità maschile è infine evidenziato anche nel verso 228 della sura 2:
«Le donne divorziate osservino un ritiro della durata di tre cicli, e non è loro permesso nascondere quello che Allah ha creato nei loro ventri, se credono in Allah e nell'Ultimo Giorno. E i loro sposi avranno priorità se, volendosi riconciliare, le riprenderanno durante questo periodo. Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini hanno maggior responsabilità. Allah è potente, è saggio.»
Diritto della vedova e fornicazione
Nel costume arabo pre-islamico, la donna era considerata parte dell'eredità del defunto. L'erede poteva sposarla, darla in moglie a un terzo, lucrare la sua dote, tenerla nella propria dimora in condizioni di semi-schiavitù. La Sura IV-an Nisa ("Le Donne") del Corano vietò queste pratiche:
«15. Se le vostre donne avranno commesso azioni infami, portate contro di loro quattro testimoni dei vostri. E se essi testimonieranno, confinate quelle donne in una casa finché non sopraggiunga la morte, o Allah apra loro una via d'uscita. [...]
19. O voi che credete, non vi è lecito ereditare dalle mogli contro la loro volontà. Non trattatele con durezza nell'intento di riprendervi parte di quello che avete loro donato, a meno che abbiano commesso una palese infamità.»
Nell'uso preislamico, la moglie ripudiata era obbligata a pagare all'erede un indennizzo per potersi sposare nuovamente. In base al verso 19, le scuole coraniche hanno ritenuto che il divorzio contro compenso (Khul') sia lecito nei casi di "palese infamità", quali: adulterio, insubordinazione, ostilità[4].
Il verso 15 della Sura IV, in combinato con il verso 2 della Sura XXIV è stato interpretato dalle quattro scuole canoniche di coranico come legittimante la pena di morte mediante lapidazione, seppure in casi limitati e circoscritti. Ciò valse in particolare per il muhsan, uomo sposato con una donna musulmana a prescindere da quale fosse la sua condizione al momento del fatto. Negli altri casi, era prevista la fustigazione con 100 frustate[4]:
«Flagellate la fornicatrice e il fornicatore [az-zina], ciascuno con 100 colpi di frusta e non vi impietosite [nell'applicazione] della religione di Allah, se credete in Lui e nell'ultimo Giorno, e che un gruppo di credenti sia presente alla punizione.»
La nozione di fornicazione (az-zina) è più ampia di quella di adulterio (in arabo az-zaniyyatu wa 'z-zani) poiché la prima ricomprende qualsiasi rapporto sessuale (omo o eterosessuale) al di fuori del matrimonio, anche da parte di persone non sposate al momento dell'atto.
Fonti canoniche: Hadith e Sunna
Mālik b. Anas, fondatore della scuola giuridica sunnita del malikismo, fu l'autore dell'al-Muwaṭṭāʾ e dell'al-Mudawwana, collezione di detti del profeta Maometto, della sua famiglia e dei suoi compagni, oltre che delle riflessioni di Mālik stesso, raccolte e pubblicate dall'imam e dai suoi allievi (la Mudawwana fu in realtà messa in forma scritta dall'allievo di Mālik, Saḥnūn) con ampi commentari su diverse fattispecie giuridiche.[5] L'al-Mudawwana consisteva in gran parte della legge di famiglia, che regolava il matrimonio, l'eredità e la custodia dei figli.
La donna nella società islamica tra il X e XV secolo
Figure significative di donne nella società islamica medievale
- Khadija bint Khuwaylid, prima e sola moglie del profeta Maometto finché che ella restò in vita.
- Zaynab e Fatima, figlie del profeta Maometto
- Aisha, moglie di sei anni del profeta Maometto, sopravvissuta al profeta.
- Umm Salama, altra moglie del profeta Maometto
- Rabi'a al-Adawiyya, mistica sufi dell'VIII secolo
La donna nelle società islamiche moderne
Nel mondo islamico le donne non sono ugualmente discriminate in tutti i Paesi, per cui parlando dei diritti delle donne islamiche occorre precisare a quale piano ci si riferisca, se teorico-religioso o pratico-politico, e a che paese si faccia riferimento.
In alcuni Stati, hanno ormai ottenuto parecchi privilegi una volta destinati quasi esclusivamente agli uomini, ma negli Stati più tradizionalisti e in quelli che mirano alla reintroduzione a pieno titolo della sharīa, dove le norme del Corano sono interpretate e applicate in maniera più rigida e rigorosa, le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di libertà, e sono considerate a un livello inferiore rispetto all'uomo.
- Mudawwana, riforma del diritto di famiglia del Marocco del 2004, apprezzato per l'abolizione della famiglia patriarcale e l'espressione di rispetto verso la donna.[6]
- Femminismo islamico: Asra Nomani
- Carta islamica dei diritti delle donne nella stanza da letto
- Carta islamica dei diritti delle donne nella moschea
- 99 precetti per aprire i cuori, le menti e le porte nel mondo musulmano
Figure significative di donne nelle società islamiche moderne
- Asmahan, attrice e cantante araba (1912-1944)
- Rawya Ateya, eletta nel 1957 al Parlamento dell'Egitto, prima parlamentare donna del mondo arabo
- Benazir Bhutto, primo ministro del Pakistan dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996
- Tansu Çiller, primo ministro della Turchia dal 1993 al 1996
- Megawati Sukarnoputri, presidente dell'Indonesia dal 23 luglio 2001 al 20 ottobre 2004
- Khaleda Zia[7] e Sheikh Hasina, primi ministri del Bangladesh
- Shirin Ebadi, avvocata e pacifista iraniana, premio Nobel per la pace 2003
- Rania di Giordania
- Nadia Yassine, portavoce politico del movimento politico islamista marocchino Giustizia e Carità
- Fatima Mernissi, sociologa marocchina
- Malala Yousafzai, attivista pakistana, la più giovane premio Nobel
- Iman Meskini, attrice norvegese di origine tunisine
- Halima Aden, modella somala
- Amal Alamuddin, avvocata libanese
- Ibtihaj Muhammad, schermitrice americana
- Tawakkul Karman, attivista yemenita
- Asmahan (1912-1944)
- Rawya Ateya (1957)
Suffragio femminile
Data d'introduzione del suffragio femminile in paesi a maggioranza musulmana (la data d'introduzione del suffragio non corrisponde alla data di introduzione dell'elettorato passivo; alcune date si riferiscono a elezioni regionali; il suffragio femminile può non essere universale in alcuni paesi, e altri possono aver subito una regressione rispetto alla iniziale concessione del suffragio):
- 1918 - Azerbaigian
- 1920 - Albania[8]
- 1921 - Azerbaigian[8]
- 1924 - Tagikistan[8], Kazakistan[8]
- 1927 - Turkmenistan[8]
- 1930 - Turchia[8]
- 1932 - Maldive[8]
- 1938 - Uzbekistan[8]
- 1945 - Indonesia,[8] Senegal[8]
- 1946 - Palestina (mandato britannico)[8]
- 1947-1956 - Pakistan[8]
- 1948[8]-1980[senza fonte] - Iraq
- 1948 - Niger[8]
- 1949-1953 - Siria[8]
- 1952 - Libano[8][9])
- 1956 - Comore,[8] Egitto,[8] Mali,[8] Mauritania,[8] Somalia[8]
- 1957 - Malaysia[8][10]
- 1959 - Tunisia[11]
- 1960 - Gambia[8]
- 1961 - Sierra Leone[8]
- 1962 - Algeria[8][10]
- 1963 - Iran,[8][10] Marocco[8][10]
- 1964 - Libia,[10] Sudan[8]
- 1965 - Afghanistan[8][12]
- 1970 - Yemen[8]
- 1972 - Bangladesh[8][10]
- 1974 - Giordania[8][10]
- 1978 - Nigeria
- 1993[10]-1994[8] - Kazakistan
- 1999 - Qatar[13]
- 2002 - Bahrein[14]
- 2003 - Oman[15]
- 2005 - Kuwait[8][10]
- 2006 - Emirati Arabi Uniti[16]
- 2015 - Arabia Saudita[17][18]
Il Brunei non prevede alcun suffragio.
Interpretazioni contemporanee del ruolo della donna nell'Islam
Hamza Roberto Piccardo, scrittore ed ex-segretario dell'UCOII, nella versione del Corano da lui stesso curata per Newton & Compton commenta così:
«In un penoso sforzo di omologare l’Islàm alla cultura occidentale, alcuni commentatori modernisti hanno scritto che la superiorità riguarda solo il diritto dell’uomo al ripudio della moglie, facoltà che non gode di reciprocità. In realtà si tratta di qualcosa di molto più importante e fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio, individuale, famigliare, sociale.
L’uomo e la donna sono due realtà complementari imprescindibili l’una dall’altra. Se così non fosse, Allah (gloria a Lui l’Altissimo) non avrebbe formato Eva dalla costola di Adamo, avrebbe fornito entrambi i generi di apparati riproduttivi completi ecc. ecc.
La struttura fisica dell’uomo è capace di grandi sforzi e di exploit significativi, quella della donna, di fatica mediamente ripartita e grande sopportazione del dolore.
La sensibilità maschile è tutta esteriore, proiettata in un ambito extrafamigliare che tende a diventare pubblico e politico. Quella femminile è interiore, attenta a se stessa, tesa alla protezione di quanto acquisito o all’acquisizione di semplici mezzi di sostentamento e di sicurezza.
La psicologia maschile è immaginifica, creativa, sperimentale, amante del rischio, desiderosa di novità, di affermazione dell’io, il più delle volte ampia e superficiale. Quella femminile è concreta, tradizionale, nemica dell’azzardo, desiderosa di certezze, di conservazione del “mio”, il più delle volte profonda e limitata.
Nell’ambito famigliare il rispetto della Legge di Allah e della Sunna dell’Inviato fa sì che non si creino situazioni tali da esigere un’affermazione di potere che mortifichi la complementarità dei coniugi. Ma oltre alla complementarità c’è un problema di leadership, nella famiglia e nella società, che non significa predominio, oppressione o disconoscimento della prevalenza femminile in una quantità di settori e circostanze. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) affida questo ruolo dirigente al maschio. È un compito gravoso e difficile, di cui l’uomo farebbe spesso volentieri a meno, e di cui è tenuto a rispondere davanti ad Allah.»
Note
Bibliografia
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