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Il sequestro giudiziario, in Italia, è un istituto giuridico previsto nel diritto processuale civile.
È una misura adottata, nell'ambito di un procedimento pendente, ad impedire l'alienazione di beni mobili del convenuto a terzi, mentre non è idoneo ad evitare l'alienazione di immobili o beni mobili registrati.
La concessione del sequestro giudiziario è subordinata a due requisiti:
Nel civile è previsto dall'art. 670 del codice di procedura civile ed è una misura cautelare che tende ad assicurare la conservazione del bene mediante la sua custodia o la sua eventuale gestione temporanea. Il bene in questione può coincidere con l'oggetto della controversia (art. 670 p.c., n° 1), ma può anche essere un oggetto strumentale (cioè una cosa da cui si pretende desumere un elemento di prova, art. 670 p.c., n°2), necessario cioè alla definizione della controversia.
L'attuazione del sequestro giudiziario avviene con la nomina da parte del giudice di un custode (art. 676 p.c.), con relativa fissazione dei criteri e limiti dell'amministrazione delle cose sequestrate. La cosa viene consegnata al custode secondo le norme relative all'esecuzione per consegna o rilascio (art. 605 p.c.).
In campo penale, nel "Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia" del 2011 (D- Lgs 159/2011) è stato previsto il sequestro dei beni dei soggetti sottoposti a indagine per mafia, quando si "ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego" (art. 20) [1]
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