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Scandalo italiano dei passaporti falsi

vicenda giudiziaria italiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Lo scandalo italiano dei passaporti falsi, noto anche come Passaportopoli, fu un caso giudiziario che colpì il calcio italiano nel 2001 e riguardò la naturalizzazione illecita di alcuni calciatori a opera delle società calcistiche italiane.[1][2][3]

Storia

L'affaire, scoppiato nel settembre 2000, riguardava la contraffazione di passaporti appartenenti a calciatori non cittadini dell'Unione Europea, al fine di consentire alle società calcistiche italiane il tesseramento di detti giocatori come comunitari.[2][1] Si trattò di uno dei primi casi di falsificazione documentaria nel calcio europeo.[3]

In base alla versione all'epoca vigente dell'articolo 40, comma 7 delle Norme Organizzative interne Federali (N.O.I.F.), ogni squadra poteva schierare negli incontri ufficiali in ambito nazionale solamente 3 dei calciatori extracomunitari presenti in rosa. La violazione del comma poteva astrattamente configurare un illecito sportivo, il quale poteva essere punito con un ventaglio di sanzioni – sulla base di indici quali gravità delle violazioni, reiterazione nel tempo delle stesse, et cetera – fra cui, in casi estremi, penalizzazioni in classifica e retrocessioni a tavolino.[2]

L'iter nell'ambito della giustizia sportiva si concluse nell'estate del 2001, seppure lo scandalo ebbe una coda di indagini nell'autunno successivo che riguardò anche club e calciatori non precedentemente implicati.[4]

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Processi

Riepilogo
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Nel filone principale dell'inchiesta furono coinvolte società, dirigenti e calciatori di 6 squadre di Serie A (Inter, Lazio, Milan, Roma, Udinese e Vicenza) e una di Serie B (Sampdoria).

I 14 giocatori implicati furono:

Sentenza di primo grado

La sentenza di primo grado, emessa dalla Commissione disciplinare della Lega Calcio il 27 giugno 2001, è stata la seguente:[5]

Società

Giocatori

Dirigenti

Sentenza della Commissione di Appello Federale

La Commissione di Appello Federale, dopo le riunioni del 17 e 18 luglio 2001, ha confermato le decisioni prese in primo grado relativamente a Inter,[16] Milan,[17] e Sampdoria.[18][19]

Sono state confermate anche le decisioni riguardanti Lazio, Roma, Udinese e L.R. Vicenza con le seguenti eccezioni:[19]

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Reazioni

Riepilogo
Prospettiva

All'indomani della sentenza di primo grado, la firma Giorgio Tosatti per il Corriere della Sera criticò le condanne, definendole «incoerenti e sproporzionate», a fronte della cancellazione, avvenuta il 4 maggio, della norma federale che imponeva alle società italiane il limite di tre calciatori extracomunitari impiegabili:[26][27]

«Mi preme sottolineare l'incoerenza di comportamenti sulla vicenda degli extracomunitari. La Corte federale abolisce la norma che ne limita l'impiego considerandola illegittima e consente di utilizzarli a campionato in corso, incidendo sul suo esito. La Lega, appellandosi alla Turco-Napolitano, fa saltare anche il tetto dei cinque tesserabili: se ne possono ingaggiare a mucchi. No al contingentamento del Coni, via libera ai club. […] In compenso la giustizia (si fa per dire) sportiva distribuisce squalifiche e multe per la violazione di quella norma cancellata. Si può essere più incoerenti?»

A posteriori, la cancellazione della suddetta norma, la quale era stata definita illegittima da precedenti sentenze della giustizia ordinaria, è stata ritenuta la ragione per cui non furono comminate penalizzazioni di punti in classifica ai club condannati,[1][2] e si rivelò anche decisiva per l'esito del campionato 2000-2001.[28][29]

Controversie

Nell'ambito della giustizia ordinaria, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Udine accolse, nel maggio 2006, la richiesta di patteggiamento dell'attaccante uruguayano dell'Inter, Álvaro Recoba, e di Gabriele Oriali, responsabile dell'area tecnica della società nerazzurra, infliggendo la pena di sei mesi di reclusione ciascuno (sostituita con una multa di 21.420 euro) per i reati di concorso in falso e ricettazione.[30] Nel luglio del 2011 in un'intervista rilasciata a la Repubblica, Franco Baldini, direttore sportivo della Roma dal 1999 al 2005, si espresse a favore di Oriali rispetto alle responsabilità imputategli dichiarando che era stato lui a consigliare all'ex mediano nerazzurro di rivolgersi a una delle persone successivamente coinvolte nello scandalo.[31] Dopo le dichiarazioni di Baldini, in un primo momento Oriali non ha escluso la possibilità di chiedere la revisione del processo, salvo poi rinunciare a tale intendimento.[32]

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Note

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