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La produzione biologica di idrogeno è principalmente fatta in bioreattori ed è basata sulla produzione di idrogeno da parte di alcune alghe. Le alghe producono infatti idrogeno in alcune condizioni: negli ultimi anni novanta fu scoperto che privando le alghe di zolfo queste smettevano di produrre ossigeno, cioè la normale fotosintesi, ed iniziavano a produrre idrogeno.
Con il termine bioidrogeno si indica l'idrogeno molecolare prodotto per via biologica.
I processi biologici che portano alla produzione di idrogeno possono prevedere la gassificazione delle biomasse o l'utilizzo di processi metabolici di alcuni microrganismi (batteri, cianobatteri oltre a microalghe) in grado di produrre idrogeno usando come fonte di energia il calore ed un mezzo organico (batteri termofili), la luce ed un mezzo organico (batteri fotosintetici) o la luce e l'acqua (microalghe).
Processi di produzione di idrogeno che non prevedono l'utilizzo di organismi viventi possono essere l'elettrolisi (che è attualmente il metodo di produzione di idrogeno più utilizzato per avere idrogeno puro come descritto nella voce produzione di idrogeno), l'ossidazione di composti metallici reversibili, lo steam reforming (il metodo oggi più adoperato anche se dà un idrogeno meno puro) o la gassificazione del carbone (usata molto verso la metà del secolo scorso).
Uno dei vantaggi della produzione biologica di idrogeno è quello di utilizzare un processo esistente in natura per convertire una fonte energetica primaria nel vettore idrogeno abbassando il tasso inquinante degli scarti di questo processo. Ad esempio, le eventuali emissioni di anidride carbonica nei vari processi biologici che utilizzano per la produzione di idrogeno i mezzi organici non vanno ad un aumentare l'impatto dell'effetto serra, in quanto non provenienti da risorse fossili. Questo vantaggio, ovviamente, non varrebbe nel caso dello steam reforming che usa come fonte iniziale il carbone. Ad ogni modo, processi di elettrolisi che utilizzano l'energia solare (pannelli fotovoltaici), l'energia eolica o qualsiasi altra fonte rinnovabile per produrre energia elettrica sono ugualmente "puliti" e sostenibili da un punto di vista ambientale.
Attualmente ci sono progetti in corso per risolvere questi problemi con l'uso della bioingegneria.
Una coltura di alghe della dimensione dello stato del Texas produrrebbe la quantità di idrogeno necessaria per soddisfare la richiesta di tutto il mondo. Ad esempio basterebbero 25.000 km² per soppiantare l'uso di benzina negli Stati Uniti d'America.[5]
Nel 1939 un ricercatore tedesco, Hans Gaffron, durante i suoi studi presso l'università di Chicago, notò che le alghe che stava osservando, la Chlamydomonas reinhardtii (un'alga verde), a volte passava dalla produzione di ossigeno a quella di idrogeno,[6] Gaffron non riuscì però a scoprire la causa che provocava questo cambiamento, e per molti anni la causa rimase sconosciuta.
Alla fine degli anni novanta il professor Anastasios Melis, all'epoca ricercatore presso l'Università della California a Berkeley, scoprì che se la coltura di alghe veniva privata di zolfo questa cessava di produrre ossigeno (la normale fotosintesi), passando a produrre idrogeno. Scoprì che l'enzima responsabile di questa reazione è l'idrogenasi, ma che l'idrogenasi perdeva la sua funzione in presenza di ossigeno. Melis scoprì che privando l'alga dello zolfo questa interrompeva il flusso interno di ossigeno, creando così un ambiente in cui l'idrogenasi poteva reagire, producendo idrogeno.[7] Anche la Chlamydomonas moeweesi è considerata dagli studiosi una buona candidata per la produzione di idrogeno.
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