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leggendaria sostanza alchemica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La pietra filosofale o pietra dei filosofi (in latino lapis philosophorum) è, per eccellenza, la sostanza catalizzatrice simbolo dell'alchimia, capace di risanare la corruzione della materia.[1]
La pietra filosofale sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie:
Il "triplo potere" della pietra filosofale avrebbe valore iniziatico; essendo considerato l'oro un metallo "immortale", capire come produrlo a partire da metalli vili significa sapere come rendere immortale un corpo mortale. Lo scopo della pietra era quindi trasmutare l'alchimista stesso, che ingerendola avrebbe ridestato la propria anima alla veggenza, ascendendo al soprannaturale.
L'oro inoltre è simile alla luce che è simile allo spirito. Convertire tutti i metalli in oro significa perciò trasformare la materialità in spirito. Molte leggende tuttavia, attribuiscono a tale elemento altre proprietà, o ne sottraggono alcune. Alcune speculano anche sul fatto che l'elemento in realtà non debba essere forzatamente solido e che esso sia una polvere rossa molto densa o addirittura un materiale giallastro simile all'ambra.
Ciò non vuol dire che la pietra filosofale fosse l'oggetto di semplici leggende, di visioni utopiche, o di desideri avidi: l'alchimista, anzi, era tenuto a raggiungere un elevato livello di moralità, condizione indispensabile per la riuscita della sua Opera, che gli impediva di arricchirsene a fini egoistici.[2] L'oro, piuttosto, era ricercato soprattutto per essere utilizzato come catalizzatore nelle reazioni chimiche, cioè per portare a termine le trasformazioni, essendo apprezzato da sempre come l'unico metallo conosciuto in grado di restare inalterabile nel tempo.
Il valore attribuito all'oro aveva origine da antiche dottrine confluite nella filosofia neoplatonica, la quale riconduceva all'Uno la molteplicità dell'universo, deducendone che tutti gli elementi risultassero composti della stessa sostanza aurea primordiale, identica in ognuno di essi ma presente in proporzioni diverse. Per riportarli alla loro purezza originaria appariva lecito variare tali proporzioni con l'intervento di un agente catalizzatore. Quell'etere, o «quintessenza», era secondo gli alchimisti il composto principale della pietra filosofale,[3] la cui maggiore o minore presenza era ciò che determinava appunto la varietà e le mutazioni della materia.
Il lapis philosophorum o «quintessenza» sarebbe risultato in particolare dalla sintesi di due polarità contrapposte, quali il mercurio, associato all'aspetto passivo e lunare dell'etere, e lo zolfo, associato al lato attivo e solare dello spirito.[4]
Tutta la natura, secondo il platonismo, essendo vitalizzata dalle Idee, risultava intimamente popolata da energie e forze arcane, celate nell'oscurità della materia, che era compito del filosofo risvegliare. Il dualismo tra spirito e materia si rifletteva nella corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, tra l'officina esteriore e il laboratorio interiore, dando luogo ad un'analogia recondita tra la possibilità di un'evoluzione personale dell'alchimista, e la convinzione che tutti i metalli presenti nelle viscere della terra fossero destinati a ridiventare oro:[5]
«Patet ergo quod ex omnibus his metallis potest fieri aurum, et ex omnibus praeter aurum potest fieri argentum, et hoc patet in mineris argenti et auri, a quibus etiam alia metalla extrahuntur, et ibi reperiuntur coniuncta cum Marchasita auri et argenti. Ex quo nulli dubium est, quod si permitterentur in actione naturae ad tempus in aurum et argentum converterentur.»
«È dunque chiaro che si può fare oro con tutti questi metalli e che con tutti, eccetto che con l'oro, si può fare l'argento; questo è evidente nelle miniere d'argento e d'oro, in cui si estraggono altri metalli che si trovano incorporati con marcassiti d'oro e d'argento. Non c'è dubbio che, se fossero stati lasciati sotto l'azione della Natura, a tempo opportuno questi metalli si sarebbero trasformati in oro e argento.»
Realizzando la pietra, dunque, l'alchimista semplicemente accelerava il percorso naturale, intervenendo attraverso le opportune trasmutazioni, combinazioni di calore, ed eliminazione delle scorie.[5]
«Ex omnibus ergo dictis patet, ex quibus est compositum, esse actuale suppositum mineralium, et quomodo non educitur per naturam solum, sed etiam per artificium. Benedictus Deus qui talem dedit hominibus potestatem, ut imitator naturae existens, species naturales commutare possit, et quod natura pigra hoc multis temporibus operatu.»
«Da tutto quanto è stato detto appare chiaro che un composto è un corpo che contiene in sé in potenza un minerale, il quale può essere ricavato non solo per mezzo della Natura ma anche dell'Arte. Sia benedetto Iddio che donò all'uomo un tale potere affinché, imitando la Natura, questi possa commutare le specie naturali, ciò che la Natura lenta realizza con tempi assai lunghi.»
Oltre al neoplatonismo, il sostrato filosofico sotteso alla pietra filosofale è la concezione aristotelica per cui la materia possiede un suo modo specifico di evolversi, una tendenza a mettere in atto la propria essenza, prescindendo dai meccanismi agenti dall'esterno di natura accidentale. È proprio nel raggiungimento dell'essenza, e nella contemporanea rimozione degli aspetti accidentali, che interviene l'azione della pietra filosofale:
«Transmutatio etiam metallorum sit et per artificium, ut esse unius metalli in esse alterius transmutetur: Sane potest illa potentia deduci in actum, quamvis Aristoteles vel Avicenna dicant: Sciant artifices Alchemiae nunquam species vere transmutari posse, sed postea sequitur, nisi fiat reductio in primam materiam: Materia autem prima secundum quod dictum est omnium metallorum propinqua est argentum vivum, sed materia est remota aqua.»
«La trasmutazione dei metalli avviene per artificio cambiando l'essenza di un metallo nell'essenza di un altro. Certamente la potenza può tradursi in atto, come affermano Aristotele o Avicenna. Gli alchimisti sanno che le specie non possono mai realmente essere trasmutate; ciò accade dopo che sia stata operata la riduzione alla materia prima; come è detto, fra tutti i metalli questa è vicina all'argento vivo, ma la materia è un'Acqua remota.»
Occorre cioè dapprima disciogliere e scomporre i diversi elementi materiali nella loro sostanza originaria, qui intesa come Acqua remota, per poi ricomporli nuovamente in una sintesi superiore: solve et coagula era appunto il motto degli alchimisti. Tale sostrato universale consiste nella linfa vitale dell'Anima del mondo, che permea di sé ogni elemento della realtà, ed è altrimenti detta Azoth, acronimo cabbalistico di 4 lettere (A-Z-Ω-Th), simbolizzante il mercurio.[12] L'Azoth etereo, sinonimo della vita e dell'umido, andava quindi permeato degli influssi ignei delle stelle perché si realizzassero le nozze chimiche che danno luogo alla pietra filosofale.[10] A tal fine, pare si dovesse adoperare un forno speciale denominato athanor.[13]
Il concetto sembra aver origine dalle teorie dell'alchimista musulmano Jabir ibn Hayyan. Egli analizzò ciascuno dei quattro elementi aristotelici (fuoco, acqua, terra, aria) nei termini delle quattro qualità di base: caldo, freddo, secco e umido. Secondo questo schema, il fuoco era caldo e secco, la terra fredda e secca, l'acqua fredda e umida, e l'aria calda e umida. Teorizzò inoltre che ogni metallo fosse una combinazione di questi quattro principi, contrapposti a coppie, e spesso presenti in quantità più o meno variabile: l'oro, metallo perfetto, scaturiva da una loro sintesi armonica.[10]
Le dottrine alchemiche elaborate dagli Arabi si diffusero in seguito attraverso la Spagna permeando il Medioevo cristiano: la pietra filosofale venne allora assimilata a Cristo, disceso tra gli uomini nel mondo della materia per trasmutarla attraverso la sua Morte e Risurrezione,[16] e consentire la rinascita spirituale dell'umanità.[17] In ambito ermetico fu anche identificata con il sacro Graal.[18]
Tra gli esponenti medievali della scolastica, Ruggero Bacone descrisse dettagliatamente l'uovo filosofico come un sinonimo della pietra.[19] Celebre cultore dell'alchimia fu Alberto Magno,[20] autore di diversi scritti su quest'argomento, e maestro di Tommaso d'Aquino, al quale è attribuito a sua volta un Trattato della pietra filosofale.[21] Tommaso vi descrisse vari procedimenti per ottenerla, come quelli di calcinazione e distillazione:
«Accipiebam autem ut in aurum eum converterem, rubedinem, sulphuris nostri, bulliendo ipsum in aqua acuta super lentum ignem quae aqua efficiebatur rúbea, quam destillabam per alembicum, et manebat in fundo cucurbitae rubedo sulphuris pura, quam congelabam cum dicto lapide albo, ita quod efficiebatur rubeus, et parum huius modi super multum aeris proiectum efficiebat aurum purissimum. Iste tamen modus quem ego pono, generalis est et occultus, nec pono eum propter hoc, ut aliquis incipiat operari, nisi forte esset multum perfectus in modis ublimationum, destillationum, et congelationum, nec non in formis vasorum et in quantitate et qualitate ignium.»
«[...] Volli anche provare di convertire in oro il nostro Zolfo rosso, bollendolo nell'acqua forte a fuoco lento; quando questa acqua divenne rossa, la distillai nell'alambicco e rimase nel fondo della cucurbita pura rubedine dello Zolfo che congelai con la suddetta pietra bianca[22] per farla rossa. Ne gettai poi una piccola parte sopra molto rame e ricavai oro purissimo. Tuttavia, di questo procedimento parlo molto genericamente e oscuramente, né qui lo svelo, affinché chiunque voglia iniziare a operare, lo faccia non prima di aver completamente posseduto i modi di sublimazione, distillazione, congelazione, nonché le forme dei recipienti e la quantità e qualità dei fuochi.»
Per secoli e secoli alchimisti e scienziati continuarono a rivolgere tutti i loro sforzi alla ricerca della pietra, specialmente durante il Rinascimento. Nel Liber de arte chymica, attribuito a Marsilio Ficino, si sostiene che la pietra consta di due parti: una è il Sole terrestre, cioè l'oro, dato che il simile può nascere solo dal simile, l'altra il mercurio, per la sua capacità di sciogliere i corpi, e di permearli in profondità. Se Cristo fu assimilato all'oro, oppure allo Zolfo, Maria fu accostata al Mercurio filosofico, in quanto minerale vergine:
«Il Mercurio, infatti, è vergine poiché nel seno della terra non ha mai aumentato alcun corpo metallico, e tuttavia ha generato per noi la pietra mediante la soluzione del 'cielo'; in altre parole esso apre l'oro e ne fa uscire l'anima, anima che tu devi considerare come una divinità (divinitatem); per qualche tempo esso la porta nel suo ventre, e, quando il momento è giunto, la trasforma in un corpo purificato, da cui viene a noi il bambino (puer), il lapis, con il cui sangue i corpi inferiori sono tinti (tincta) e ricondotti a guarigione nel cielo d'oro.»
Sempre nel Rinascimento, l'alchimista svizzero Paracelso riteneva possibile la realizzazione della pietra filosofale e di un elisir di lunga vita a partire dall'Alkahest, da lui considerato un solvente universale dal quale deriverebbero tutti gli altri elementi.
A numerosi personaggi fu attribuita la scoperta della pietra filosofale, tra cui Nicolas Flamel, Federico Gualdi, il Conte di Saint-Germain, Giacomo Casanova. Alla corte dell'imperatore Rodolfo II, John Dee avrebbe operato una trasmutazione del piombo in oro di fronte a testimoni.[25] Tra i vari trattati di carattere alchemico, il Mutus liber, o "libro senza parole", pubblicato nel XVIII secolo, forniva istruzioni in linguaggio simbolico per costruire una pietra filosofale, contenente un insieme di 15 illustrazioni.
Anche Cagliostro nel Settecento affermò di esserne in possesso, e di saper operare trasmutazioni dai metalli vili in oro.[26] Tra il XVIII e il XIX secolo l'artigiano Christophe Bettally riconobbe un collegamento tra pietra filosofale e fuoco filosofico, che scalda senza azione meccanica dando origine allo spirito racchiuso nella sua essenza.
I riferimenti alla pietra filosofale potevano essere celati sotto numerosi simboli. In quanto unione degli opposti inconciliabili vi si alludeva in geometria con la quadratura del cerchio, ricorrendo a figure come un quadrato inscritto in un cerchio e un triangolo, oppure un quadrato sormontato da una croce,[28] o ancora una piramide poggiata su un cubo a formare la «pietra cubica a punta».[29]
La combinazione di zolfo e mercurio dà luogo chimicamente al cinabro, che si presenta come una pietra dal colore rosso vermiglione, usato in ambito medico e religioso, o per indorare oggetti.[30]
Al di là delle sue valenze chimiche, la pietra filosofale poteva essere raffigurata anche sotto forma di uovo, per il suo significato cosmologico di ricettacolo e origine ancestrale della vita;[31] dell'uroboro, cioè del serpente che si morde la coda e quindi della capacità di ricondurre ogni realtà al suo principio incorruttibile; o della fenice, che in maniera analoga risorge ciclicamente dalle sue ceneri.[32]
L'influsso culturale della pietra filosofale non è limitato alle sperimentazioni sulle proprietà fisiche degli elementi; ma si estende fino a diventare simbolo della trasformazione psicologica dell'individuo, della sua evoluzione in senso spirituale. Carl Gustav Jung, in particolare, vedeva nella pietra filosofale la metafora dello sviluppo psichico di ogni essere umano, la forza che lo spinge verso la propria identità attraverso una sempre maggiore differenziazione.
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