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sacerdote cattolico alla guida di una parrocchia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il parroco è il presbitero che il vescovo invia a presiedere una parrocchia.
L'autorità del parroco è dipendente da quella del vescovo, per realizzare gli orientamenti che questi propone alla sua diocesi. Quando un parroco detiene una qualche giurisdizione sulle parrocchie limitrofe, riunite in unità pastorali, foranie, vicariati o decanati, o presiede un capitolo canonico, prende il titolo di moderatore, vicario, prevosto, arciprete o decano. Gli stessi titoli possono essere spesso attribuiti anche per ragioni onorifiche.
Il termine viene dal greco antico πάροχος (pàrochos), derivante dal verbo παρέχω (parécho, "io somministro"), e si riferiva a colui che, per incarico dello stato, forniva vitto e alloggio ai pubblici funzionari di passaggio. Successivamente il termine è stato reinterpretato secondo parrocchia, da cui differisce tuttavia per etimologia.[1]
La figura del parroco nasce contestualmente alla parrocchia, nel momento in cui con l'espansione delle comunità cristiane la cattedrale non poteva più soddisfare compiutamente alle necessità dei fedeli. Per questo motivo, e per il fatto che molti cristiani vivevano lontano dalla cattedrale, si rese necessario aprire luoghi di culto decentrati, che il vescovo affidava alla cura pastorale di un presbitero.
Nella Chiesa cattolica latina il ministero dei parroci è regolato dal codice di diritto canonico ai canoni 515-552.
Il can. 519 situa il ministero del parroco nel contesto della vita ecclesiale:
«Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l'autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l'apporto dei fedeli laici, a norma del diritto.»
In base al can. 522:
«È opportuno che il parroco goda di stabilità, perciò venga nominato a tempo indeterminato; il Vescovo diocesano può nominarlo a tempo determinato solamente se ciò fu ammesso per decreto dalla conferenza dei Vescovi.»
In Italia la Conferenza episcopale ha disposto che, quando la nomina viene fatta a tempo, abbia la durata di nove anni.[2]
La giurisprudenza ecclesiastica prevedeva anticamente il diritto di giuspatronato. Tale diritto, non previsto a partire dall'attuale codice del 1983, è tuttavia ancora rimasto in vigore in alcune parrocchie e prevede la possibilità per una famiglia ("giuspatronato privato") o per la comunità intera ("giuspatronato popolare") di scegliere il proprio pastore. È sempre meno diffuso, ma resiste in alcuni luoghi quello popolare da un punto di vista formale, dove la nomina del vescovo deve essere ratificata da associazioni o raramente da elezioni. Spesso il tentativo della Chiesa non riesce a terminare questo istituto, che viene difeso come legame con le tradizioni di una comunità più che per questioni di reale potere. In alcune parrocchie esiste ancora anche il giuspatronato privato. Dove l'istituto ancora esiste, riguarda solo l'incarico di parroco titolare e non quello di amministratore parrocchiale, motivo per cui spesso il vescovo nomina un amministratore e non un parroco a pieno titolo.
In alcune chiese evangeliche di lingua italiana (ad esempio la chiesa evangelica riformata della Val Bregaglia), lo stesso pastore protestante è pure chiamato "parroco".
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