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pittore, disegnatore e scultore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Ottorino Mancioli (Roma, 26 aprile 1908 – Jesi, 21 marzo 1990) è stato un pittore, disegnatore e scultore italiano.
Proveniente da una famiglia della buona borghesia romana, compie studi umanistici e, nel 1932, si laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università La Sapienza di Roma.
La sua vita di medico si svolge in parallelo a quella di artista, pittore, disegnatore, scrittore di medicina e di sport. La consuetudine con il disegno, alimentata da un acuto spirito di osservazione, inizia assai presto e lo induce a fare proprio il motto latino nulla dies sine linea, da lui personalizzato in "nullo dies sine linea". Con il fratello Corrado Mancioli, aprì uno studio per la realizzazione di manifesti pubblicitari e di propaganda di grandi eventi, ma anche francobolli a tema sportivo per l'Italia e San Marino.
Allievo Ufficiale all'Accademia Navale di Livorno, poi di stanza a Napoli, quindi a Venezia e ancora a Lero (in punizione per un anno), viene infine mandato nell'Africa Orientale Italiana nel 1936. Rientrato in Italia, sposa Beatrice, figlia di Quadrio Pirani, uno dei protagonisti dell'architettura romana degli anni Venti. Nel 1938 parte per la Spagna, stavolta come volontario, arruolandosi nel Battaglione Autonomo del Tercio, Flechas Negras. Amante del volo, tenta di trasferirsi dalla Marina in Aeronautica, ma poiché tale passaggio non risulterà possibile per ragioni anagrafiche, decide di frequentare a Viterbo, nel 1941, il corso per paracadutisti, durante il quale stringe amicizia con Gianni Brera, che lo aiuterà a più riprese a lavorare nell'editoria definendolo “il più completo ed appassionato disegnatore di sport”[1].
La Seconda Guerra Mondiale lo vede ufficiale medico paracadutista della Folgore: pur ferito al braccio destro (che resterà paralizzato per due anni) nella battaglia di El Alamein, in Egitto, riesce a rientrare in Italia. Decorato con medaglia d'argento al valore, nel dopoguerra tenta nuove sperimentazioni artistiche e collabora a riviste e giornali su cui pubblica disegni spesso accompagnati da articoli in cui il medico si compenetra con l'uomo di sport. Illustra inoltre numerosi libri e prende parte con successo a molte esposizioni, alcune delle quali all'estero. Tiene due “personali” (Perugia, 1957; Ancona, 1958) e pubblica una monografia di cui cura sia testi che disegni, Giochi sportivi (1976), con introduzioni di Gianni Brera e Libero de Libero. Quest'ultimo, nel 1976, cura con Mancioli anche uno dei Libretti della rivista maremmana Mal'Aria.
Dagli anni Sessanta inizia a produrre sculture utilizzando tecniche e materiali differenti. Tra le ultime opere si segnala, nella vecchia sede del Tennis Parioli di Viale Tiziano, a Roma, un murale di circa 70 metri di lunghezza per 2 di altezza dedicato ai grandi personaggi dello sport italiano del XX secolo. Muore improvvisamente il 21 marzo del 1990 a Jesi, nella residenza estiva di famiglia.
Partecipa a importanti mostre internazionali e nazionali già a partire dagli anni Trenta del Novecento.
Pur attento alle tendenze stilistiche del Futurismo, dell'Art déco e del Razionalismo, Mancioli sarà sempre spinto da forti motivazioni individuali che lo porteranno a non aderire mai organicamente a nessuna corrente artistica. Studioso dei problemi legati alla medicina sportiva, riesce a fissare nelle sue opere il momento sublime in cui il corpo umano sembra superare le leggi della gravità per raggiungere la superiore armonia della forza e della bellezza. La perfetta conoscenza dell'anatomia, acquisita attraverso gli studi di medicina, e le successive esperienze professionali e umane, gli permetteranno di cogliere il dinamismo dell'attimo.
Secondo Enrico Crispolti, “Mancioli ha vissuto intensamente l'avventura di una propria identità espressiva nella pratica soprattutto del disegno (ma con estensioni frequenti alla pittura e poi anche alla scultura), e lungo dunque diversi decenni che hanno visto una profonda trasformazione della società italiana. Testimone deliberatamente defilato rispetto alle vicende del dibattito artistico, ma tutt'altro che distante invece da una dimensione del vissuto”[2].
Con il tempo l'arte di Mancioli si fa più matura e consapevole, e la perfezione tecnica del gesto atletico lascerà spazio al piano emozionale, in cerca di una maggiore sintonia con la vicenda umana.
“Se l'amore per il gesto atletico e per il dinamismo autorizzano a ricondurre molti suoi lavori, soprattutto quelli a tema sportivo, nell'alveo dell'eredità futurista”, ha scritto Giuseppe Pollicelli, “le prove di maggior significato sono forse quelle più spiccatamente espressionistiche, in cui la lezione di Otto Dix e soprattutto di Grosz si carica - in particolare in certi spaccati postribolari, ma anche nei frequenti idilli amorosi gravidi di sensualità ed erotismo - di umori spessi e provinciali, quasi felliniani”[3].
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