Orto botanico di Napoli
orto botanico universitario di Napoli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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L'Orto botanico di Napoli, conosciuto anche come Real orto botanico, è una struttura dell'Università Federico II, che fa parte della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali; ha una estensione di 12 ettari e ospita circa 9000 specie vegetali e quasi 25000 esemplari. Si trova in via Foria, vicino al Real Albergo dei Poveri.
Orto botanico di Napoli | |
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L'ingresso | |
Ubicazione | |
Stato | Italia |
Località | Napoli |
Indirizzo | Via Foria, 223 |
Coordinate | 40°51′40.89″N 14°15′44.86″E |
Caratteristiche | |
Tipo | Orto botanico |
Istituzione | 1807 |
Fondatori | Giuseppe Bonaparte |
Apertura | 1807 |
Sito web | |
Fondato il 28 dicembre 1807 con decreto di Giuseppe Bonaparte[1], l'orto botanico fu costruito su alcuni terreni precedentemente appartenuti ai Religiosi di Santa Maria della Pace e all'Ospedale della Cava. In realtà il progetto fu inizialmente avallato dal re Ferdinando IV, attraverso l'intercessione di Giuseppe Beccadelli di Bologna che nel 1776 ottenne dal sovrano un finanziamento[2]; la Rivoluzione Napoletana del 1799 tuttavia ne rese impossibile la realizzazione[3].
Il progetto venne portato avanti da due architetti. Il primo, Giuliano de Fazio, è autore della facciata monumentale e del viale a essa perpendicolare, della stufa temperata, e del viale che porta al Castello. La parte inferiore è invece opera di Gaspare Maria Paoletti.
Il primo direttore dell'Orto, che aprì i battenti nel 1811, fu Michele Tenore (nominato l'anno precedente[1]). Tenore si occupò sia dell'attività scientifica, che delle relazioni esterne. Per quel che riguarda la prima, grande importanza fu data alla ricerca e alla didattica. Furono messe a coltivazione molte specie di uso e interesse in campo medico, ma anche piante esotiche. Le seconde furono portate avanti presso le maggiori istituzioni botaniche d'Europa. Alla fine della sua esperienza come direttore della struttura, nel 1860, le specie coltivate giunsero quasi a toccare il numero di 9000.
Guglielmo Gasparrini, entrato in carica nel 1861[4], proseguì nel miglioramento dell'Orto, risistemando alcune aree che versavano in cattive condizioni e creando un'area destinata ad accogliere piante alpine. Durante la sua gestione fu costruita anche una nuova serra riscaldata (che andava a sostituire la precedente, costruita nel 1818, detta Stufa calda). Egli diede molta importanza anche al Museo botanico.
Nel 1868, due anni dopo la morte di Gasparrini, gli subentrò Vincenzo Cesati, in carica fino all'anno della sua morte, il 1883. A succedergli fu Giuseppe Antonio Pasquale, che era già stato direttore ad interim dopo il 1866 e che rimase in carica per dieci anni fino alla sua morte.[5] Il suo successore, Federico Delpino[6], ebbe molte difficoltà a mantenere intatto il prestigio dell'Orto. Infatti, il suo mandato (1893-1905), fu caratterizzato da notevoli difficoltà economiche.
Il rilancio doveva essere, quindi, l'obiettivo di Fridiano Cavara, succedutogli nel 1906[6]. Non solo restaurò alcune strutture e aumentò l'entità delle collezioni ma, soprattutto, istituì la Stazione sperimentale per le piante officinali (in seguito diventata Sezione, inizialmente non facente parte della struttura in senso istituzionale, aggregata ad esso solo negli anni settanta) e diede il via alla costruzione di una struttura destinata a diventare la nuova sede dell'Istituto. Nel 1930 fu sostituito da Biagio Longo[7], che ne continuò l'opera di riqualificazione. Sotto la sua direzione, sede dell'Istituto divenne la struttura voluta da Cavara. Nel 1940 vi fu un appuntamento importante, cioè una riunione della Società Botanica Italiana alla Mostra d'Oltremare.
Devastazioni dovute ai bombardamenti, sottrazione di ferro per uso militare, l'arrivo di parte della popolazione in fuga e la decisione di mettere a coltura porzioni dell'Orto per coltivare beni di prima necessità, la conversione di alcune aree della struttura a scopi militari, oltre la trasformazione di una parte della struttura in campo sportivo da calcio[8], ospitante le partite del Napoli[9]: queste furono le conseguenze della Seconda guerra mondiale sulla vita dell'Orto botanico di Napoli.
Giuseppe Catalano, successore di Longo, fu il primo direttore nominato nel secondo dopoguerra[7]. L'incarico, affidatogli nel 1948[7], si incentrava in particolar modo sulla ristrutturazione dell'Orto, accompagnata ad un arricchimento per quel che riguarda gli strumenti a disposizione dei botanici e dalla trasformazione della "valletta", voluta da Gasparrini, in quello che nel XXI secolo è il filicetum. Sulla stessa falsariga si mosse Valerio Giacomini, entrato in carica nel 1959[10].
Nel 1963 inizia un periodo considerato molto importante per la storia dell'Orto. Diviene infatti direttore Aldo Merola[10]. Sotto la sua direzione, l'Orto acquisì, nel 1967, l'autonomia economica ed amministrativa, il che rese possibile ottenere finanziamenti straordinari per migliorare la struttura: vennero realizzate varie serre (per un totale di 5000 m²), un impianto di riscaldamento e una rete di distribuzione idrica. Grande importanza ebbe l'opera "politica" di Merola, che cercò di ottenere aiuti a livello legislativo (come la creazione di un ruolo professionale specifico ad alta specializzazione: il giardiniere degli orti botanici). Le coltivazioni furono molto arricchite, soprattutto grazie all'opera di Luigi Califano. Furono nuovamente riattivati i rapporti con i principali Orti europei e grande importanza fu data al ruolo didattico della struttura. Uno dei segni più visibili, comunque, dell'opera meroliana è la ridisposizione delle aree secondo due criteri: quello sistematico e quello ecologico.
Il terremoto del 23 novembre 1980 colpì fortemente l'orto botanico, durante il periodo di direzione ad interim di Giuseppe Caputo. Ancora una volta la struttura divenne rifugio per la popolazione. Nel 1981 divenne direttore Paolo De Luca[10], al quale toccò iniziare l'opera di ricostruzione.
Le aree espositive sono disposte secondo tre criteri. Quello sistematico, quello ecologico e quello etnobotanico.
Fanno parte dell'area disposta secondo il criterio sistematico le seguenti zone:
e altre piccole zone dedicate a singole specie.
Secondo il criterio ecologico, troviamo le aree denominate:
oltre alle vasche per la coltivazione delle idrofite.
Nella serra tropicale ubicata accanto alla serra Merola è stato riprodotto un mangrovieto con esemplari delle specie Rhizophora mangle, Avicennia nitida, Laguncularia racemosa e Conocarpus erectus.[14]
Infine, l'area etnobotanica è la Sezione sperimentale delle piante officinali.
Ricerca
Le aree delle serre dell'Orto sono le seguenti:
Presso l'Orto vengono svolte una vasta gamma di attività che vanno oltre la coltivazione e la presentazione a fini museologici delle sue preziose collezioni. L'orto ospita manifestazioni artistiche e culturali, contribuendo alla vita culturale della città. Tuttavia, la sua missione principale riguarda la ricerca, la didattica e la conservazione delle specie vegetali, in particolare quelle rare o a rischio di estinzione.
L'attività di ricerca condotta si concentra sulla morfologia delle piante, con particolare attenzione a gruppi specifici come le cycadales e le orchidaceae. Inoltre, vengono condotte indagini etnobotaniche presso comunità rurali dell'Italia meridionale e centrale e vengono analizzati fossili vegetali provenienti dai siti geologici della Regione. Le collezioni dell'orto rappresentano una risorsa inestimabile per la ricerca, messa a disposizione dei docenti del Dipartimento delle Scienze Biologiche per approfondire le conoscenze nel campo della biologia vegetale.[15]
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