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caso di cronaca nera avvenuto a Potenza nel 1993 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'omicidio di Elisa Claps è un caso di cronaca nera che vide vittima una studentessa di 16 anni, nata a Potenza il 21 gennaio 1977. Scomparve nella sua città il 12 settembre 1993[2] e se ne persero le tracce per diciassette anni, fino a quando il suo cadavere venne rinvenuto nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza il 17 marzo 2010.[3]
Omicidio di Elisa Claps omicidio | |
---|---|
Elisa Claps | |
Data | 12 settembre 1993 tra le 11:00 e le 12:00 |
Luogo | Potenza |
Stato | Italia |
Regione | Basilicata |
Provincia | Potenza |
Coordinate | 40°38′18.95″N 15°48′12.67″E |
Arma | arma da taglio non identificata[1] |
Obiettivo | Elisa Claps |
Responsabili | Danilo Restivo |
Motivazione | Ignota |
Conseguenze | |
Morti | 1 |
Le indagini successive appurarono che la morte della giovane avvenne lo stesso giorno della sua scomparsa e identificarono l'assassino in Danilo Restivo,[4][5] ventunenne all'epoca dell'omicidio.
Nel periodo in cui la sorte di Elisa Claps era ancora sconosciuta, Restivo era sospettato anche dell'assassinio d'una vicina di casa, Heather Barnett, compiuto il 12 novembre 2002 nel Regno Unito, per il quale è stato successivamente condannato.[6]
Il caso, benché risolto, pone ancora oggi diversi interrogativi a causa di depistaggi, omertà e alcune ombre investigative.[7][8]
Elisa Claps era figlia di Antonio, tabaccaio, e di Filomena Iemma, impiegata, e aveva due fratelli maggiori: Ermenegildo (detto "Gildo") e Luciano. Era una studentessa al terzo anno del liceo classico di Potenza, con l'ambizione di laurearsi in medicina ed esercitare la professione in Africa con Medici senza frontiere.[9] La mattina di domenica 12 settembre 1993 uscì di casa dicendo al fratello Gildo che si sarebbe recata a una funzione religiosa nella vicina chiesa insieme a un'amica e che sarebbe rientrata entro le 13:00 per raggiungere la famiglia, che doveva pranzare nella casa di campagna a Tito. Secondo le testimonianze, la giovane aveva concordato con l'amica tale versione, ma in realtà voleva recarsi presso la chiesa della Santissima Trinità, sita nel centro di Potenza, per incontrare un amico che doveva consegnarle un regalo per la promozione agli esami di riparazione.[2] Da quel momento, di Elisa si persero le tracce.
L'inchiesta venne inizialmente assegnata alla Procura della Repubblica di Potenza e il caso affidato alla PM Felicia Genovese. Si scoprì che la persona incontrata da Elisa quella mattina era Danilo Restivo, ventunenne originario di Erice, in Sicilia,[10] trasferitosi da ragazzino con la famiglia a Potenza, dove il padre Maurizio aveva assunto l'incarico di direttore della Biblioteca nazionale potentina.[11] Restivo risultò essere stato l'ultima persona ad aver visto la ragazza.
La ricostruzione che il giovane diede dei propri spostamenti dopo l'incontro fece sorgere alcuni sospetti da parte degl'inquirenti; infatti, alcune ore dopo la sparizione di Elisa, Restivo si presentò con gli abiti insanguinati al Pronto Soccorso dell'ospedale cittadino per farsi medicare un taglio alla mano, raccontando ai medici d'essersi ferito in seguito a una caduta accidentale avvenuta nel cantiere vicino alla chiesa della Santissima Trinità, dove si stavano costruendo delle scale mobili. Tuttavia, la ferita sembrò provocata da una lama. I vestiti che il giovane indossava quella domenica apparvero vistosamente insanguinati, ma non vennero sequestrati immediatamente; per di più, Restivo si rese irreperibile per i due giorni successivi giustificandosi con la necessità di aver dovuto sostenere un esame universitario a Napoli. Una volta rintracciato dagli inquirenti, affermò di aver parlato con Elisa per qualche minuto per chiederle consiglio su come comportarsi con una comune amica della quale si era innamorato, inoltre raccontò che Elisa gli avrebbe confidato di essere spaventata a causa di un individuo che l'aveva importunata mentre stava entrando in chiesa. Dopodiché, sempre secondo il racconto di Restivo, la ragazza si sarebbe allontanata, mentre lui si era trattenuto a pregare.
Gli inquirenti scoprirono che Restivo aveva l'abitudine d'importunare le ragazze delle quali s'invaghiva, effettuando spesso telefonate mute nelle quali si sentiva la colonna sonora del film Profondo rosso o il brano Per Elisa di Ludwig van Beethoven. Un'altra abitudine di Restivo era quella di tagliare di nascosto ciocche di capelli a giovani donne con un paio di forbici che portava sempre con sé. Alcune amiche di Elisa dichiararono che Restivo, con la scusa di offrire loro piccoli doni, aveva tentato di corteggiarle (ma senza successo) e che era abitudine del giovane cercare di ottenere appuntamenti dalle ragazze da cui era attratto, diventando poi aggressivo e violento nel momento in cui queste ultime rifiutavano i suoi approcci.
Quando apprese che la giovane aveva avuto un appuntamento con Restivo, la madre di Elisa focalizzò la sua attenzione verso il ragazzo, dichiarando che, con ogni probabilità, aveva ucciso Elisa e ne aveva occultato il corpo. La donna, perciò, chiese ripetutamente agli inquirenti d'indagare a fondo su di lui, ma senza esito. Nel 2002, ossia nove anni dopo la sparizione della sorella, Gildo Claps, in accordo con tutta la famiglia, ebbe l'idea di creare la prima associazione dei familiari delle persone scomparse: l'Associazione Penelope.[12]
Il 17 marzo 2010, diciassette anni dopo la sparizione, i resti di Elisa vennero ritrovati in fondo al sottotetto della chiesa potentina della Santissima Trinità, dove Elisa si era recata il giorno della sua scomparsa. Il cadavere venne scoperto per caso da alcuni operai durante lavori di ristrutturazione per infiltrazioni d'acqua, dovute a un temporale abbattutosi su Potenza qualche giorno prima;[3] oltre ai resti umani, vennero trovati anche un orologio, gli occhiali, gli orecchini, i sandali e quel che restava dei vestiti della giovane. Il reggiseno appariva tagliato e i jeans aperti, suggerendo che la ragazza avesse subìto un'aggressione a sfondo sessuale prima di essere uccisa.[3] A seguito di ciò, il 1º aprile 2010, la Procura di Salerno (a cui, nove anni prima, era stato trasferito il caso) dispose il sequestro cautelare della chiesa.[13]
Il ritrovamento venne giudicato dai familiari della vittima una messa in scena, ritenendo che fosse avvenuto in precedenza e che fosse stato tenuto nascosto dal parroco della chiesa, Don Domenico Sabia (detto "Don Mimì"); alcuni anni prima del ritrovamento del cadavere, la madre di Elisa aveva dichiarato di sospettare del religioso, poi deceduto nel marzo del 2008, perché non le avrebbe mai permesso d'ispezionare i locali della chiesa,[14] mentre il fratello di Elisa chiese all'arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo di «dire finalmente la verità su quanto accaduto».[15]
Particolare scalpore derivò anche dal fatto che, appurata la circostanza del ritrovamento del cadavere da parte del viceparroco già alcuni mesi prima del rinvenimento di cui fu data notizia alle autorità, questi abbia affermato di aver taciuto il fatto poiché quel giorno l'arcivescovo era impegnato e non riuscì a raggiungerlo telefonicamente, decidendo di riprovare il giorno dopo, cosa che non fece poiché gli passò di mente.[16] Maggiori dettagli su come si giunse alla scoperta del cadavere trapelarono solo in seguito, quando nel gennaio del 2013 si chiusero le indagini della magistratura sulle due donne delle pulizie che avevano avvertito il parroco della scoperta fatta nel sottotetto, rilasciando però dichiarazioni discordanti.[17]
Il 19 maggio 2010, Restivo, nel frattempo trasferitosi a Bournemouth (nella contea del Dorset, in Inghilterra), venne fermato dalla polizia e accusato del brutale assassinio dell'allora sua vicina di casa Heather Barnett, avvenuto nel 2002. Da tempo era tenuto sotto controllo dalla polizia locale, che lo aveva anche ripreso mentre in una zona boschiva, armato d'uno stiletto, pedinava con atteggiamento sospetto donne del luogo.[18]
Alla data del 28 maggio 2010, i risultati dell'autopsia sui resti del corpo di Elisa erano ancora secretati, ma gl'inquirenti comunicarono che era stata raggiunta da tredici colpi inferti da un'arma da taglio e a punta.[19]
Il 29 giugno 2010, alcune foto contenute nella perizia medico legale filtrarono alla stampa.[20] Il 6 luglio 2010, il direttore dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Vincenzo Pascali, riferì ai consulenti delle parti che, dalle tracce di sperma trovate sul materasso posto vicino al cadavere, erano stati estratti due profili genetici diversi tra loro e che, su uno strofinaccio sequestrato nei locali del centro culturale Newman (che ha sede nella canonica, sotto al sottotetto), si riuscì a estrarre un terzo profilo genetico sovrapponibile a uno di quelli individuati sul materasso. Pertanto, sarebbe stato possibile risalire a due individui di sesso maschile che utilizzarono tale materasso come alcova.[21][22]
Il 12 settembre 2010, si tenne a Potenza una manifestazione in ricordo di Elisa da parte dell'associazione Libera, con centinaia di cittadini che scesero in piazza per chiedere giustizia. Il fratello Gildo sottolineò che alcuni lavori di ristrutturazione nel sottotetto della chiesa della Trinità erano già stati effettuati nel 1996 per riparare alcuni danni provocati da un forte terremoto: egli dichiarò che durante questi lavori, durati circa un anno, l'impresa appaltatrice "[...] incernierò dei cassettoni proprio in corrispondenza del cadavere di mia sorella. Ridicolo pensare che nessuno abbia mai visto niente". Oltre a ciò, sostenne che, nel 2008, qualcuno avrebbe rimosso del materiale che copriva il corpo e avrebbe successivamente chiesto conto di ciò all'arcivescovo, per cui Gildo era convinto che quest'ultimo sapesse qualcosa oppure che non fosse in grado di gestire i membri della propria arcidiocesi, concludendo con l'opinione: "Il ritrovamento è stato solo una messinscena".
In quella stessa occasione, Don Marcello Cozzi, referente locale di Libera, invocò l'intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere conto al Consiglio Superiore della Magistratura (da lui presieduto) dell'operato di Felicia Genovese, PM che coordinò le indagini nel periodo potentino, sospettata di aver volontariamente insabbiato il caso:[23][24][25] i relativi sospetti si acuirono quando, nella camera da letto di Danilo Restivo, fu trovata un'agenda con un post-it giallo su cui era annotato a penna nera il numero di telefono della PM, indicata in modo confidenziale come "Licia Genovese". Per di più, un pentito di mafia parlò di collegamenti tra il padre di Danilo Restivo e il marito della Genovese, che era un imprenditore nel settore sanitario in Basilicata,[24] ma la magistrata fu ugualmente prosciolta dalle accuse in seguito.[26] Nel 2001, il caso fu comunque trasferito alla Procura di Salerno, dove una nuova squadra investigativa riprese le indagini da zero. Come dichiarato dalla dirigente della squadra mobile di Potenza, era evidente che le precedenti investigazioni erano state condotte, fino a quel momento, con “superficialità”.[27][24] Si era più volte occupata del caso anche la trasmissione Rai Chi l'ha visto?, con uno specifico intervento sinottico di Marco Travaglio.[28]
L'8 ottobre 2010, il GIP di Salerno Attilio Franco Orio accolse la richiesta dei PM titolari dell'inchiesta, Rosa Volpe e Luigi D'Alessio, d'una seconda perizia da effettuare sui resti di Elisa, dopodiché fissò per il 18 ottobre un secondo incidente probatorio per il conferimento del quesito al CTU, il comandante del RIS di Parma e tenente colonnello dei Carabinieri Giampietro Lago.[29]
Il 25 ottobre 2010, vennero rese note alcune risultanze aggiuntive: i clasti (sassolini) provenienti dal sottotetto e presenti nel solco del tacco di Elisa dimostravano che quest'ultima arrivò viva, camminando, nel luogo dove fu poi uccisa, dopodiché sarebbe stata colpita con delle forbici di medie dimensioni e da una lama tagliente: l'aggressore si accanì su di lei per un tempo relativamente lungo dopo l'aggressione, con Elisa moribonda o già morta. Vicino al cadavere fu ritrovato un bottone rosso (riferito da alcuni giornali come simile a quelli d'un abito talare), mentre i fori nel tavolato posto sotto le tegole, in corrispondenza del luogo di ritrovamento del cadavere, che risultavano praticati con un cacciavite spaccato di piccole dimensioni, fecero pensare a operazioni condotte in un secondo momento (probabilmente da un'altra persona, considerando improbabile che l'assassino, in preda all'agitazione successiva all'omicidio, fosse in possesso della lucidità e della calma necessarie per occuparsi di tale lavoro) per creare una feritoia nel sottotetto con lo scopo di far disperdere i miasmi. Fu condotta una perizia dattiloscopica sui dodici reperti prelevati nel sottotetto della chiesa Santissima Trinità per comparare le impronte digitali trovate sugli oggetti repertati con quelle di Restivo;[30] inoltre venne prelevato un campione di DNA rinvenuto sulla maglia indossata dalla vittima, che dalle analisi risultò appartenere a Restivo.[31][32]
Il 9 marzo 2011, nel corso della puntata di Chi l'ha visto?, l'avvocata della famiglia Claps, Giuliana Scarpetta, precisò che sulla maglia erano state ritrovate tracce di sangue e di saliva appartenenti a Restivo. Il 2 luglio 2011, venne officiato il funerale di Elisa da Don Marcello Cozzi e Don Luigi Ciotti, quindi venne proclamato il lutto cittadino. Su espresso desiderio dei familiari, le esequie si tennero all'aperto.[33][34]
Il 30 giugno 2011, Restivo venne condannato all'ergastolo dalla Crown Court (tribunale) di Winchester per l'assassinio di Heather Barnett, uccisa il 12 novembre 2002 a Charminster (un villaggio del Dorset, nei pressi di Bournemouth), dove l'uomo si era trasferito, diventando vicino di casa della donna. Il corpo assassinato di lei venne trovato nella propria abitazione dai suoi figli, di ritorno da scuola; le indagini portarono a ipotizzare il coinvolgimento di Restivo poiché la dinamica dell'omicidio presentava delle analogie con quello di Elisa, di cui la polizia locale venne a conoscenza solo dopo aver consultato gli archivi dell'Interpol.[35] A complicare ulteriormente la posizione dell'imputato fu la scoperta di atteggiamenti sospetti da parte sua, che collezionava ciocche di capelli di giovani donne (abitudine praticata fin da quando ancora viveva in Italia), infatti alcuni campioni furono ritrovati nella scena del crimine: la vittima stringeva nelle sue mani due ciocche di capelli tagliate, di cui una risultava appartenere a lei stessa e l'altra a un'ulteriore donna mai identificata, altra probabile vittima di Restivo (l'esito dell'esame negò un'eventuale corrispondenza con i capelli di Elisa Claps).
Nel pronunciare la sentenza, in cui si affermò che sicuramente Restivo avesse ucciso anche Elisa, il giudice Michael Bowes disse all'imputato: «Lei non uscirà mai di prigione [...]. Lei è recidivo. È un assassino freddo, depravato e calcolatore [...] che ha ucciso Heather come ha fatto con Elisa [Claps, n.d.r.] [...]. Ha sistemato il corpo di Heather come fece con quello di Elisa. Le ha tagliato i capelli, proprio come Elisa [...]. Merita di stare in prigione per tutta la vita».[35][36]
Nel novembre del 2012, la Corte d'Appello britannica ridusse la pena a quarant'anni di carcere, annullando l'ergastolo.[37]
L'8 novembre 2011, presso il Tribunale di Salerno, ebbe inizio con rito abbreviato il processo di primo grado a Restivo. Tuttavia, il processo si svolse in assenza dell'imputato (il quale si rifiutò anche di collegarsi in remoto dal carcere britannico), in quanto, in seguito a un ricorso della difesa per l'omicidio di Heather Barnett, il relativo processo non era ancora concluso e, di conseguenza, il governo britannico ne vietò la temporanea estradizione in Italia. Nel corso della prima udienza, i PM fecero notare che i reati concorrenti più gravi a carico di Restivo, che avrebbero potuto far scattare l'ergastolo, erano ormai tutti prescritti, quindi avanzarono la richiesta di trent'anni di reclusione (ossia il massimo possibile), unitamente all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di libertà vigilata al termine dell'espiazione della pena.[38] L'11 novembre 2011, Restivo venne condannato con l'accoglimento di tutte le richieste della pubblica accusa, oltre al versamento di 700000 € alla famiglia Claps a titolo di risarcimento.[39]
Il processo di appello iniziò a Salerno il 20 marzo 2013, stavolta in presenza di Restivo, che dall'11 marzo precedente venne estradato temporaneamente in Italia in seguito alla chiusura definitiva del processo nel Regno Unito.[40][41] Il procedimento si concluse dopo circa un mese, il 24 aprile, con la conferma della condanna a trent'anni e delle sanzioni accessorie. Il 23 ottobre 2014, la Corte di Cassazione rigettò il ricorso presentato dalla difesa e confermò in via definitiva la pena.
Restivo è attualmente recluso nell'HM Prison di Full Sutton, nell'East Riding of Yorkshire, dove dal 2011 sta scontando la condanna a quarant'anni per l'omicidio di Heather Barnett. Nel 2051, al termine della detenzione nel Regno Unito, lo attende la carcerazione per altri trent'anni in Italia, a Salerno, in esecuzione della sentenza di condanna per l'omicidio di Elisa.
Anche dopo la sentenza di condanna per Restivo a trent'anni di reclusione, resta ancora aperta l'indagine della Procura di Salerno sulla scomparsa di Elisa, sulle modalità del ritrovamento del corpo e su eventuali complicità di cui l'assassino avrebbe beneficiato. L'11 novembre 2011, prima della lettura della sentenza, l'avvocato della famiglia Claps sottolineò che Restivo non avrebbe avuto l'ergastolo per l'omicidio di Elisa "per colpa della Chiesa, che in questi diciotto anni ha permesso che fossero prescritti i reati concorrenti di violenza sessuale e di occultamento di cadavere".[39] Lo stesso GUP, Elisabetta Boccassini, in primo grado aveva scritto nella sua sentenza di "condotte di inquinamento probatorio imputabili a famigliari e terzi", nonché di gravi omissioni.[4]
Fu annunciato il processo per falsa testimonianza di due donne delle pulizie della Curia potentina, in quanto mentirono affermando di aver scoperto i resti d'un cadavere nel sottotetto della chiesa solo il 17 marzo 2010, mentre vi sono evidenze che inducono la Procura a ritenere che entrambe ne fossero a conoscenza da mesi.[4]
Nel 2022, la famiglia Claps s'è opposta alla futura riapertura al culto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza, ritenendo che in tale edificio non siano state fatte tutte le indagini necessarie per giungere alla verità e che parte di essa rimanga sepolta in tale chiesa "coperta da una cortina impenetrabile di omissioni e colpevoli silenzi".[42]
Il 24 agosto 2023, la chiesa è stata riaperta al culto "per un congruo tempo" (poche ore diurne). La famiglia Claps s'è confermata contraria alla decisione (peraltro precedentemente annunciata da una lettera dello stesso papa Francesco), denunciando come la riapertura sia avvenuta nel periodo estivo e a poche settimane dal trentennale dell'omicidio.[43] Una targa commemorativa dedicata al parroco Don Mimì ha inasprito le polemiche, definita da Gildo come "l'ultimo affronto alla memoria di Elisa e alla nostra battaglia".[44] L'arcivescovo Salvatore Ligorio ha parlato di richiesta di risarcimento da parte della famiglia Claps, ma Gildo ha smentito tale affermazione.[45] Ligorio, a sua volta, ha smentito eventuali colpe della Chiesa per quanto successo a Elisa Claps.[46] Al contempo, la mamma Filomena ha ricevuto una lettera da parte di don Maurizio Patriciello.[47]
A inizio novembre 2023, è stata celebrata da Salvatore Ligorio la prima messa nella chiesa, verso la quale hanno espresso contestazioni Federica Sciarelli,[48] Gildo Claps[49] e la giornalista Antonella Giacummo.[50]
Prima e dopo che Danilo Restivo venisse accusato e condannato per gli omicidi di Elisa Claps e di Heather Barnett, era sospettato di essere coinvolto nelle sparizioni e nelle morti di altre sette donne. Questi delitti sono stati commessi in quattro diversi Paesi dell'Europa, ossia l'Italia, il Regno Unito, la Spagna e la Francia. Nel giugno 2011, durante il processo per l'omicidio di Heather Barnett, il Bournemouth Daily Echo chiese al DSI Cooper se Restivo fosse responsabile dell'omicidio di altre persone, ma quest'ultimo dichiarò: "Al momento non stiamo collegando Restivo a nessun altro crimine". Ecco i casi.
Restivo è stato indagato per la scomparsa dell'allora ventunenne Cristina Golinucci, avvenuta il 1º settembre 1992 (un anno prima dell'omicidio di Elisa Claps) mentre la giovane si recava in un convento di Cesena, in occasione d'un appuntamento col suo padre spirituale "frate Lino". Il fatto che fosse scomparsa in prossimità d'un luogo religioso fece emergere delle analogie con la scomparsa di Elisa Claps avvenuta l'anno successivo, motivo per il quale le autorità locali indagarono su Danilo Restivo, senza mai trovare delle prove.[56]
Tramite Internet, Restivo sarebbe entrato in contatto con tre giovani donne residenti in Francia, di cui due vennero ritrovate morte nella cittadina di Perpignano, nel sud del Paese transalpino, tra il 1995 e il 1998, dopo che erano scomparse in precedenza. Le tre donne in questione erano:
La stampa francese accomunò questi tre delitti (i cui criminali non sono mai stati identificati) alla "teoria Dalí", basata sul fatto che tutte e tre le donne vennero viste per l'ultima volta alla stazione ferroviaria Salvador Dalí di Perpignano: l'elemento che conferì maggiore credito a tale ipotesi fu la mutilazione inflitta ai due corpi ritrovati, che ricordava particolarmente alcuni disegni e dipinti eseguiti dall'omonimo pittore Salvador Dalí e rappresentanti figure femminili smembrate. Sulla base di codesta teoria, l'avvocato angloitaliano Giovanni Di Stefano (che, diversi anni dopo, lavorò a un altro caso di cronaca nera possibilmente collegato a Danilo Restivo) aveva ricordato che il padre di Danilo, ossia Maurizio Restivo, era un artista che possedeva uno stile simile a quello del pittore Dalí, quindi suo figlio Danilo potrebbe essersi ispirato a questi dipinti per portare a segno i suoi macabri progetti (oltre al fatto che a una di queste donne vennero recisi i seni, come a Heather Barnett successivamente). Tuttavia, a oggi non ci sono prove effettive che dimostrano che Danilo Restivo sia stato in Francia.[57]
Nell'agosto 1999, il corpo mutilato della donna britannica Yvonne O'Brien venne ritrovato nel suo appartamento a Palma di Maiorca, in Spagna, dove si era recata per una vacanza. Le erano stati asportati i seni. Data la nazionalità della vittima, la polizia locale sospettò che anche l'assassino fosse di nazionalità britannica o, comunque, che fosse vissuto nel Regno Unito. I sospetti su Restivo s'abbatterono nel 2008, quando la polizia del Dorset, notando che l'asportazione dei seni della donna costituisse un'analogia col successivo caso di Heather Barnett del 2002, contattò le autorità spagnole mediante l'Interpol per discutere dei due casi, ma successivamente l'ispettore capo Noyce della polizia del Dorset annunciò che non risultavano collegamenti tra Restivo e il caso spagnolo. Per questo motivo, la casa editrice Majorca Daily Bulletín S.I. pubblicò un articolo con cui dichiarò che il caso venne archiviato.[57]
Nel giugno 2011, dopo la condanna di Restivo per l'omicidio di Heather Barnett, la polizia britannica perquisì la casa dell'imputato e notò che, nel suo computer, era presente una fotografia che ritraeva la ventisettenne italiana di origini coreane Erika Ansermin, scomparsa a Courmayeur (paese situato al confine con la Francia, in Valle d'Aosta) la domenica di Pasqua 20 aprile 2003, mentre si recava a casa del fidanzato per il pranzo pasquale. Dopo anni d'indagini, da parte della Procura di Aosta, che non hanno mai portato a delle conclusioni, il caso è stato archiviato.[58]
Jong-Ok Shin, soprannominata "Oki" dai suoi amici, era una ragazza ventiseienne coreana trasferitasi in Inghilterra, a Bournemouth, alla fine del 2001 per studiare l'inglese. Durante la tarda notte del 12 luglio 2002, mentre tornava a casa sua dopo aver trascorso una serata con i suoi amici, venne aggredita e accoltellata per tre volte dietro la schiena. La ragazza urlò così forte da spaventare il killer e da farlo scappare via, un attimo prima che i residenti la soccorressero e chiamassero l'ambulanza e la polizia. Oki fu dunque portata in ospedale, dove morì poche ore dopo a causa delle ferite profonde riportate in seguito all'aggressione, ma prima di morire era riuscita a fornire ai medici e agli agenti di polizia una descrizione del suo killer, dicendo loro che quest'ultimo indossava una maschera per coprirsi il volto. Il coltello con cui venne aggredita non fu mai ritrovato. Alcuni residenti affermarono che, in quel momento, avevano udito dalle loro abitazioni una discussione tra due persone (per precisione, un uomo con un accento straniero e una donna), dopodiché urla femminili e infine il rombo d'un veicolo a motore che s'allontanava velocemente. Una circostanziale descrizione in merito fu fornita dall'eroinomane e prostituta Beverly Brown, che raccontò il tutto il 22 agosto seguente, dopo essere stata arrestata per furto: secondo il suo racconto, ella sarebbe stata stuprata da tre uomini, ossia Omar Benguit, Nicholas Gbadamosi e Delroy Woolry, la mattina del 12 luglio 2002 e poi costretta da essi a portarli in giro per la città in automobile durante quella notte; quando poi sarebbero giunti in prossimità della strada in cui avvenne il delitto di Oki, Benguit sarebbe sceso momentaneamente dal veicolo e ci sarebbe ritornato di corsa poco dopo. Un attimo prima del suo ritorno, si sarebbero udite delle urla femminili in quel luogo, ma lei non era riuscita a vedere Oki (mentre Benguit probabilmente sì, prima di scendere dal veicolo) e né l'intero l'accaduto. Benguit venne quindi arrestato per l'omicidio di Oki e per lo stupro di Beverly Brown; fu arrestato per quest'ultimo motivo anche Gbadamosi, nonché in quanto testimone di Benguit durante l'assassinio della ragazza coreana (l'unico non imputato fu dunque Delroy Woolry, poiché era già stato rimpatriato nel suo Paese natale, ossia la Giamaica, in seguito alla scadenza del suo visto). Tuttavia, la mancanza di prove sufficienti portò all'assoluzione dalle accuse dei due uomini, anche perché emerse che Gbadamosi era stato ripreso da un autovelox in un'altra parte della città nel momento in cui avvenne l'omicidio e che il DNA di nessuno dei tre uomini o di Oki venne ritrovato nell'automobile di Beverly Brown. L'assoluzione di Gbadamosi venne confermata in un processo del 2005, mentre ciò non accadde per Benguit, che fu invece accusato dell'omicidio di Oki e condannato all'ergastolo in seguito alla testimonianza di altri tossicodipendenti e prostitute.
Il 9 aprile 2014, cioè nove anni dopo i suesposti avvenimenti, si tenne un processo contro le accuse di condanna di Benguit. L'avvocato Giovanni di Stefano difese l'imputato soffermandosi sul fatto che Beverly Brown era apparsa nello show di ITV "Jeremy Kyle Show" fornendo un resoconto dei fatti di quella notte diverso da quanto dichiarato nei precedenti processi: infatti, se in precedenza ella aveva dichiarato di avere solamente udito urla femminili e di non aver visto effettivamente l'accaduto, durante il succitato show affermò proprio quest'ultima cosa. Ciò implicò che la Brown, così come gli altri testimoni, potrebbero essere stati costretti a rilasciare determinate dichiarazioni per incastrare qualcun altro (in tal caso Benguit). Di Stefano sostenne piuttosto che dietro l'omicidio di Oki ci fosse Danilo Restivo, già condannato a quarant'anni di carcere nel Regno Unito per l'omicidio di Heather Barnett e a trent'anni in Italia per quello di Elisa Claps: gli elementi che destarono tale sospetto furono il ritrovamento d'una ciocca di capelli proprio accanto a Oki (quindi era possibile che una delle due ciocche di capelli rinvenute quattro mesi dopo nelle mani di Heather Barnett e non appartenente a quest'ultima appartenesse proprio a Oki, eppure non fu eseguito alcun test di DNA per verificare un'eventuale corrispondenza tra le due ciocche), il fatto che Danilo Restivo vivesse a circa tre strade di distanza dal luogo in cui Oki venne pugnalata e infine il ritrovamento d'un passamontagna e d'un coltello nella borsa di Danilo Restivo, confiscatagli nel lontano 2004 dopo che era stato arrestato per un altro reato (e poi scagionato per mancanza di prove relative). I sospetti aumentarono quando l'avvocato scoprì che Restivo e Oki si conoscevano in quanto il migliore amico di quest'ultima viveva nello stesso quartiere del primo, per giunta un uomo somigliante a Restivo e con in mano una borsa era stato ripreso dalle telecamere a circuito chiuso, poste vicino alla scena del crimine, sei minuti dopo l'accaduto. Tuttavia, queste prove vennero ritenute troppo circostanziali, inoltre la polizia del Dorset produsse la testimonianza d'una donna, riconosciuta dai suoi capelli, la quale affermava d'aver vissuto di fronte alla scena del crimine: ricordò di aver richiesto, dodici anni prima, i servizi d'una parrucchiera a domicilio, ammettendo che potrebbe aver gettato le ciocche di capelli tagliati nei bidoni della spazzatura e che, in qualche modo, esse furono portate nel punto in cui la vittima era stata pugnalata. Unitamente a questa testimonianza, la Corte d'appello britannica fece anche notare che il caso di Oki presentava delle dinamiche differenti da quelli Claps e Barnett, quindi il ricorso della difesa venne rifiutato e la pena per Benguit venne confermata in via definitiva, nonostante quest'ultimo continui ancora oggi a sostenere la sua innocenza e l'estraneità all'accaduto.[57]
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