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romanzo scritto da Boris Pahor Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Necropoli è un libro di memorie di Boris Pahor, scrittore triestino di lingua slovena, che narra l'esperienza vissuta dall'autore nel campo di concentramento nazista di Natzweiler-Struthof.
Necropoli | |
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Titolo originale | Nekropola |
Autore | Boris Pahor |
1ª ed. originale | 1967 |
1ª ed. italiana | 1997 |
Genere | romanzo |
Sottogenere | autobiografico |
Lingua originale | sloveno |
Ambientazione | Natzweiler-Struthof, (Francia), 1944-45 |
Protagonisti | Boris Pahor |
È stato terminato dall'autore nel 1966[1] e pubblicato nel 1967. La prima traduzione in lingua italiana è stata pubblicata in Italia nel 1997 dal Consorzio Culturale del Monfalconese, che ne ha curato nel 2005 una seconda edizione con una revisione curata da Valerio Aiolli; lo stesso testo è stato proposto al pubblico italiano nel 2008 da Fazi Editore, con una prefazione di Claudio Magris.
L'autore rievoca la sua esperienza nei campi di concentramento nel corso di una visita al campo francese di Natzweiler-Struthof, sui Vosgi. Mentre cammina tra le baracche e i turisti, riaffiorano, carichi di dolore e di commozione, i ricordi della fame e del freddo, delle umiliazioni e del dolore per quelli, la maggior parte, che non ce l'hanno fatta. L'ex deportato riflette su come sia possibile testimoniare pienamente, a chi non lo ha vissuto, l'orrore che non si riesce a spiegare e che rischia, per questo stesso, di diventare "indicibile". Lo si può tentare narrando i fatti con lucidità e senza sentimentalismo e mettendo l'accento sulla capacità di resistenza e di solidarietà dell'uomo.
Enrico Bistazzoni scrive che il romanzo è una «testimonianza fedele, di alto valore documentaristico, drammaticamente emozionante, che colloca Necropoli tra la più alta letteratura sugli orrori del nazismo; resa però, se possibile, da un punto di osservazione più originale, in cui, accanto alla sofferenza, all’umiliazione, alla perdita di dignità umana, alla pena per chi, i più, non è sopravvissuto, trova posto la constatazione dell’altra parte dell’uomo, della sua generosità, della sua capacità di resistere, di cercare e recuperare, anche nell’esperienza più cupa, il significato e il valore dell’esistenza»[2].
Per Claudio Magris «Necropoli è un ritratto a pieno campo e allo stesso tempo stringato – mai patetico – della vita (della non-vita, della morte) nel Lager. Un possente afflato umano coesiste con una nitida e fredda precisione, in una perfetta struttura narrativa che interseca il racconto del passato – della prigionia, rivissuta nel perenne presente dell'orrore – e il resoconto del presente [...]. Necropoli è un'opera magistrale [...] anche per la sua limpida sapienza strutturale, per l'intrecciarsi di tempi – verbali ed esistenziali – che intessono il racconto[3]».
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