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cambiamento nella sequenza dei nucleotidi nel genoma di un organismo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Per mutazione genetica si intende ogni modifica stabile nella sequenza nucleotidica di un genoma o più generalmente di materiale genetico (sia DNA che RNA) dovuta ad agenti esterni o al caso, ma non alla ricombinazione genetica.[1] Una mutazione modifica quindi il genotipo di un individuo e può eventualmente modificarne il fenotipo a seconda delle sue caratteristiche e delle interazioni con l'ambiente.
Le mutazioni sono gli elementi di base grazie ai quali possono svolgersi i processi evolutivi. Le mutazioni determinano infatti la cosiddetta variabilità genetica, ovvero la condizione per cui gli organismi differiscono tra loro per uno o più caratteri. Su questa variabilità, tramite la ricombinazione genetica, opera la selezione naturale, la quale promuove le mutazioni favorevoli a scapito di quelle sfavorevoli o addirittura letali. Essendo una parte delle mutazioni non favorevoli, gli organismi hanno sviluppato diversi meccanismi per la riparazione del DNA dai vari danni che può subire, riducendo in questo modo il tasso di mutazione.
Le mutazioni vengono distinte dai genetisti in base alla loro scala di azione: l'alterazione può riguardare un singolo gene, porzioni del genoma o l'intero corredo cromosomico.
Se le mutazioni avvengono in una cellula somatica queste, assieme ai relativi effetti, saranno presenti in tutte le cellule da essa derivate per mitosi; alcune di queste mutazioni possono rendere le cellule maligne e provocare il cancro,e sono responsabili di alcune malformazioni congenite. Se le mutazioni sono presenti nelle cellule delle linee germinali o nei gameti sono ereditate dalle generazioni successive e possono eventualmente provocare malattie genetiche ereditarie.
Le mutazioni vengono generalmente classificate in due classi a seconda della loro origine.
Le mutazioni spontanee, sono mutazioni provocate da fattori chimici endogeni e da errori nei processi che si attuano sul materiale genetico; la definizione di mutazione spontanea è di mutazione che avviene in assenza di agenti mutageni noti. Non sono molto frequenti, ma sono comunque inevitabili vista la intrinseca imperfezione di ogni meccanismo molecolare. Gli errori possono essere dovuti a:
Le mutazioni indotte sono invece prodotte dall'azione di particolari agenti fisici o chimici detti appunto agenti mutageni. È detto mutagenesi il processo che determina una mutazione indotta e mutagenizzato l'organismo in cui è stata prodotta la mutazione. Si distinguono i danni per mutazioni indotte in:
I mutageni fisici sono soprattutto radiazioni ionizzanti (raggi X, raggi gamma) e non ionizzanti (raggi UV); gli agenti chimici sono molto numerosi e appartengono a diverse classi di composti. Oltre che per la natura i mutageni differiscono anche per spettro mutazionale, ovvero per il tipo (o i tipi) di mutazione che possono provocare. Spesso una stessa conseguenza può essere causata da mutageni diversi (anche per natura), anche se generalmente i meccanismi con cui essi hanno agito sono profondamente diversi.
Un'importante differenza tra mutageni fisici e chimici è che i primi agiscono indipendentemente dall'organismo; i mutageni chimici invece possono avere effetti diversi in funzione del sistema biologico. Mentre una radiazione, infatti, colpisce direttamente il materiale genetico, un composto chimico può interagire con altre molecole (enzimi, metaboliti, specie reattive...) presenti nella cellula che ne possono variare le caratteristiche.
Sono le mutazioni che alterano un singolo gene e dunque le più "piccole" che si possono avere. In quanto tali non sono visibili attraverso analisi al microscopio (tranne alcuni casi estremi), ma possono essere riscontrate solo tramite analisi genetiche. Le mutazioni geniche portano alla formazione di nuove forme geniche, ovvero di nuovi alleli, detti appunto alleli mutanti. In quanto tali questi sono rari nella popolazione e si differenziano dagli alleli più diffusi detti invece tipi selvatici. Bisogna però far distinzione anche tra alleli mutanti e morfi. I morfi sono infatti due o più alleli di uno stesso gene con frequenza superiore all'1% (polimorfismo). Alla luce di questo ne deriva che il concetto di mutazione non è assoluto: un gene potrà subire una mutazione; se l'allele mutante però troverà le condizioni per diffondersi nella popolazione e superare la frequenza dell'1% non si parlerà più di mutazione ma di morfo.
Possono essere distinte in tre categorie: mutazioni puntiformi, mutazioni dinamiche e riarrangiamenti genici strutturali.
Una mutazione puntiforme è una variazione di sequenza del DNA che interessa uno o pochi nucleotidi ma è possibile considerare "puntiformi" anche mutazioni fino a 50 nucleotidi. Molte mutazioni puntiformi sono probabilmente senza effetto, in tal caso si dice che sono neutre, infatti gran parte del DNA in un genoma eucariotico non codifica prodotti proteici ed è incerto se il cambiamento di una singola base nucleotidica in questa parte silente del DNA possa influire sulla salute di un organismo. Una singola mutazione puntiforme può però avere un notevole impatto sul fenotipo come accade ad esempio nell'anemia falciforme.
Le mutazioni per sostituzione di basi determinano lo scambio di un nucleotide con un altro. Sono definite transizioni qualora vi sia un scambio di una purina con altra purina (A > G) o di una pirimidina con un'altra pirimidina (C > T); si dicono invece transversioni quando lo scambio è di una purina con una pirimidina o viceversa (C/T > A/G). In genere le transizioni sono più frequenti delle transversioni.
Le mutazioni puntiformi possono essere di sei tipologie: silenti, missenso, delezioni o inserzioni in frame, inserzioni nonsenso, mutazioni frame-shift o mutazioni di splicing.
Mutazioni puntiformi possono anche verificarsi all'interno della regione regolatrice di un gene. Ciò può determinare conseguenze molto variabili che vanno da nessun effetto fenotipico a cambiamenti dell'espressione genica che danno origine a gravi patologie.
Gli studio di genetica hanno evidenziato che l'entropia di una sorgente genetica crescente nel tempo, misura l'accumulo di mutazioni degenarative nel DNA, progressivo nelle generazioni di cellule riprodotte dall'organismo, così come attraverso le generazioni di individui[4].
Anche qualora le mutazioni casuali o indotte dall'uomo siano classificate come favorevoli (in un orizzonte di breve termine, contro una malattia), risultano in genere associate ad una perdita dell'informazione del gene e ad una riduzione della sua funzionalità nei processi organici ordinari[4].
Le mutazioni dinamiche sono dovute alla ripetizione di triplette nucleotidiche all'interno di una regione codificante (in questo caso la tripletta più frequente è CAG che codifica la glutammina) o non-codificante di un gene. La mutazione, che si origina nel corso della replicazione del DNA, provoca una variazione nel numero di queste sequenze ripetute; il nuovo filamento di DNA potrà presentarne in eccesso o in difetto. Il fenomeno che causa la mutazione è detto slittamento della replicazione (replication slippage) ed è dovuto al cattivo appaiamento dei due filamenti complementari. Malattie genetiche associate a questo tipo di mutazione sono la Corea di Huntington e la sindrome dell'X fragile.
I riarrangiamenti genici strutturali comprendono tutte quelle mutazioni che alterano il genoma variando la struttura dei cromosomi (mutazioni cromosomiche) o il numero dei cromosomi (mutazioni genomiche). Sono definite anche anomalie citogenetiche o anomalie cariotipiche. Queste alterazioni normalmente sono una conseguenza di un errore durante la divisione cellulare, nella meiosi o nella mitosi. A differenza delle mutazioni geniche che sono riscontrabili solo tramite analisi genetica, queste possono in molti casi essere visibili anche al microscopio, in quanto portano alla formazione di particolari strutture cromosomiche nella fase di appaiamento. Le loro conseguenze possono variare da nessun effetto fenotipico qualora le mutazioni coinvolgano sequenze ripetute a patologie genetiche gravi.
Si parla di mutazioni cromosomiche o anomalie cromosomiche quando è la struttura di uno o più cromosomi ad essere alterata. Le mutazioni cromosomiche possono essere di sei tipi: delezioni o duplicazioni, inversioni, traslocazioni, conversioni geniche, trasposizioni e cromosomi ad anello.
Si parla di mutazione genomiche o anomalie cariotipiche quando un organismo presenta dei cromosomi in più o in meno rispetto al normale.
Se sono presenti interi corredi cromosomici in più o in meno si parla di euploidia aberrante; se invece è solo una parte del corredo in eccesso o in difetto l'anomalia è chiamata aneuploidia.
Nell'uomo e, in generale, in tutti gli organismi diploidi, che hanno dunque coppie di cromosomi omologhi, le forme di aneuploidia più frequenti sono la mancanza di un cromosoma da una coppia (monosomia) o la presenza di un cromosoma in più in una coppia (trisomia). Più raro è il caso di perdita di una coppia intera (nullisomia).
Un esempio degli effetti di un'anomalia di questo tipo è la sindrome di Down, chiamata anche trisomia 21; gli individui affetti da questa sindrome hanno tre copie del cromosoma 21, invece che due. La sindrome di Turner è invece un esempio di monosomia; gli individui nati con questa anomalia possiedono un solo cromosoma sessuale, quello femminile X. Tra gli organismi aploidi i casi più diffusi di aneuploidia consistono nella presenza di un cromosoma soprannumerario (disomia).
Anche per questa categoria di mutazioni le possibili conseguenze sull'organismo sono variabili. In generale ci sarà effetto ogni volta che, nella modificazione del cromosoma o del genoma, si altera anche la sequenza o il numero di uno o più geni. A differenza delle mutazioni geniche in questo caso gli effetti saranno sempre negativi.
Gli effetti possono essere notevolmente diversi a seconda del tipo di mutazione e della posizione in cui questa si verifica. Una mutazione può non portare a nessuna conseguenza e questo quando interessa DNA che non codifica (o meglio sembra non codificare) nessun prodotto genico (il cosiddetto junk DNA o DNA spazzatura ). Se la mutazione va invece ad alterare le sequenze codificanti, ovvero i geni, si ha una variazione nel tipo o nella quantità del corrispettivo prodotto genico, che può essere una proteina o RNA funzionale (rRNA, tRNA, snRNA ecc.). Parliamo in questo caso di mutazione biochimica; se la mutazione biochimica porta a una variazione visibile del fenotipo si parla di mutazione morfologica.
Inoltre distinguiamo, sempre in relazione agli effetti, in:
L'efficacia della mutazione, sia positiva che negativa, dipende poi dal tipo di allele mutato così creato; questo potrà essere infatti dominante o recessivo. Nei diploidi se è dominante avrà sempre effetto (sia in un eterozigote che in un omozigote dominante); se è recessivo, essendo aploinsufficiente, per avere effetto ha bisogno che anche l'altro elemento della coppia genica sia mutato (individuo omozigote recessivo). Negli aploidi, che sono emizigoti, la mutazione avrà invece sempre effetto.
Le mutazioni possono essere in alcuni casi pleiotropiche, ovvero possono dar luogo a più effetti: ad esempio nel topo (Mus musculus), un comune allele mutante e dominante in condizioni di eterozigosi determina una variazione del colore del mantello; in omozigosi, cioè quando l'allele mutato è presente in duplice copia, provoca invece la morte dell'animale prima ancora della nascita. Si può presumere quindi che il gene mutato controlli non solo il colore della pelliccia, ma anche qualche altro processo biochimico vitale per l'organismo.
A differenza di mutazioni su larga scala, quelle puntiformi possono essere soggette a reversione: attraverso altre mutazioni le prime possono scomparire o ne può scomparire l'effetto sull'organismo. Nel primo caso parliamo di reversione in senso stretto: la mutazione revertente può riportare il codone mutato così com'era originariamente (si parla comunemente di retromutazione); oppure la mutazione può alterare sempre il codone mutato trasformandolo in uno diverso da quello iniziale, ma codificante lo stesso amminoacido (reversione di sito). Nel caso in cui la seconda mutazione occorra su un codone diverso si parla di soppressione: la soppressione potrà essere interna se il codone è all'interno del gene mutato o esterna se appartiene ad un altro gene. Un esempio di soppressione interna è una delezione (o un'inserzione) che annulla l'effetto di una inserzione (o delezione) nello stesso gene. Il caso più comune di soppressione esterna è invece la mutazione nell'anticodone di un tRNA che annulla quella avvenuta nel codone complementare.
È stata sviluppata una particolare nomenclatura per specificare il tipo di mutazione e il tipo di base o amminoacido cambiato.
Il primo a introdurre il termine mutazione nel campo della genetica fu Hugo de Vries[6], nel 1901, che lo riferiva però alle brusche variazioni nei caratteri di un organismo; in particolare osservando come nella progenie di un ceppo della pianta Oenothera lamarckiana si potevano ottenere alcuni individui inaspettatamente giganti. Il concetto di mutazione così come è inteso oggi, invece, fu usato solo a partire dal 1927. In generale si può dire, comunque, che le mutazioni genetiche hanno avuto un ruolo essenziale ancora prima, fin dagli albori della genetica; già nei celebri lavori del padre della genetica, Gregor Mendel, infatti, i fenotipi come il colore bianco dei petali o giallo dei semi maturi, usati per formulare le sue leggi, non erano che dovute a mutazioni inattivanti dei corrispettivi geni.
Il primo "sfruttamento" consapevole delle mutazioni avviene a partire dagli studi, condotti ai primi del 900 da Thomas Hunt Morgan e il suo cosiddetto fly group, sul moscerino della frutta Drosophila melanogaster. Morgan e colleghi portarono le prime importanti prove sperimentali della teoria cromosomica dell'ereditarietà, che ipotizzava per la prima volta una stretta connessione tra geni e cromosomi. I ricercatori isolarono in una vasta popolazione di insetti un moscerino dagli occhi bianchi (mentre nel fenotipo selvatico erano rossi). Anche qui il fenotipo particolare era stato provocato da una mutazione spontanea nel gene per il colore degli occhi.
Mutazione che aveva prodotto una nuova forma allelica; gli incroci tra individui con alleli diversi hanno permesso di ottenere i risultati sopra detti. Morgan isolò per questi incroci, dopo il caso del moscerino dagli occhi bianchi, ben 83 ceppi ciascuno con mutazioni su geni diversi. Le mutazioni ebbero poi un ruolo sempre più crescente da quando furono scoperti i primi agenti mutageni. La maggior parte degli esperimenti chiave nella storia della genetica fecero uso di mutazioni indotte: nel 1941, nel loro celebre esperimento che portò al dogma un gene-un enzima, Edward Lawrie Tatum e George Wells Beadle fecero ad esempio uso di ceppi di Neurospora crassa mutagenizzati tramite raggi X. In modo analogo Tatum e Joshua Lederberg nel 1946 usarono mutazioni in ceppi di Escherichia coli per dimostrare l'esistenza del processo di coniugazione batterica.
Un importante capitolo nella storia delle mutazioni nella genetica riguarda la disputa sull'origine delle mutazioni nei batteri. Intorno agli anni quaranta infatti alcuni batteriologi misero in dubbio che le mutazioni potessero avvenire nei batteri in modo del tutto spontaneo (come era invece accettato per gli organismi superiori) essi ritenevano piuttosto che le mutazioni erano indotte dalla presenza di particolari condizioni ambientali. Ad esempio, i batteri che sopravvivevano in seguito all'aggiunta di un batteriofago avevano acquisito la resistenza grazie a una mutazione indotta dalla stessa presenza dei fagi (teoria adattativa). Numerosi altri studiosi invece erano convinti che le mutazioni si verificassero così come in tutti gli altri organismi, spontaneamente. Quest'ultima teoria (teoria genetica) fu definitivamente dimostrata da due celebri esperimenti: il cosiddetto test di fluttuazione (o di Salvador Luria e Max Delbrück), sviluppato nel 1943 e la tecnica della piastratura delle repliche ideata da Joshua e Esther Lederberg.
Gli studi genetici che fanno uso di mutazioni possono essere distinte in due categorie a seconda dello scopo dello studio e dei dati che si posseggono: studi di genetica diretta e di genetica indiretta. Il primo approccio è usato qualora si vogliano determinare i geni che in un organismo sono correlati a una certa funzione: in questo caso l'organismo viene esposto a mutageni e successivamente il genetista compie la cosiddetta "caccia al mutante", in cui va a ricercare gli individui i cui sono stati alterati i fenotipi correlati alla funzione che si sta studiando. A questo punto si determina la posizione del gene mutato tramite incroci si isola e si analizza in dettaglio: ne si determina la sequenza nucleotidica e si osserva per quale prodotto genico codifica. Nella genetica diretta quindi si parte dal fenotipo per vedere da quale genotipo è causato. Il secondo tipo di studio compie invece il percorso inverso: parte dal genotipo per studiare il fenotipo: si parte in genere da una sequenza di DNA o RNA nota o addirittura da un prodotto genico (di solito una proteina), si mutagenizzano in modo selettivo e si vede che effetti fenotipo causano nell'organismo; si parla in questo caso anche di silenziamento genico.
Molto importanti sono le tecniche che permettono di ottenere mutazioni sito specifiche; mutazioni cioè indotte in modo selettivo nelle zone di interesse di una sequenza. In questo modo per esempio è possibile inserire una mutazione in un particolare dominio di una proteina e, saggiando le conseguenze, determinarne la funzione.
I test di mutagenesi sono procedure in cui cellule, tessuti o interi organismi sono esposti all'azione di una sostanza chimica, per verificarne e/o quantificarne la mutagenicità; i sistemi biologici in esame sono quindi studiati, dopo un certo periodo di incubazione, e analizzati per vedere la presenza di eventuali mutazioni. In generale la capacità mutagena di un agente è direttamente proporzionale ai mutanti identificati al termine del test. I test routinari sono svolti su batteri, essendo sistemi più conosciuti e di più facile utilizzo. I test sono però volti a scoprire il danno che una sostanza può creare all'uomo, il quale ha, ovviamente, molte caratteristiche biologiche diverse dai procarioti; per questo si procede a modificare geneticamente i batteri usati nei test per mimare un sistema il più vicino possibile a quello umano, oppure si usano cellule di mammifero (solitamente di roditori). Tra i test più usati ci sono il test di Ames e il test del micronucleo.
Un esempio di applicazione delle mutazioni in campo biomedico è il test di Ames. Il test, sviluppato negli anni settanta da Bruce Ames, ha lo scopo di determinare la cancerogenicità di una sostanza studiando la sua capacità di indurre mutazioni; in generale infatti una sostanza mutagena è anche cancerogena. È solitamente usata una forma mutata del batterio Salmonella typhimurium, ad esempio un ceppo che non è in grado di crescere in terreno privo di istidina; il ceppo è diviso in due piastre separate con terreni privi dell'amminoacido: uno di essi sarà esposto alla sostanza da testare l'altro no. Se la sostanza ha capacità mutagena ci sarà una certa probabilità che induca delle reversioni della mutazione; annulla cioè l'effetto della prima mutazione con una mutazione, permettendo di nuovo al batterio di sopravvivere anche in assenza di istidina. Sul ceppo non mutagenizzato invece non ci sarà nessuna colonia o molto poche (essendo la reversione per mutazione spontanea molto rara). Più colonie sopravviveranno nel campione mutagenizzato, maggiore sarà stato il numero di retromutazioni e quindi maggiore è la cancerogenicità della sostanza.
Mutazioni indotte possono essere alla base di processi per la selezione di organismi mutanti con caratteristiche vantaggiose. Sono pratiche usate principalmente in agricoltura e rivolte a specie vegetali. I vantaggi possono riguardare ad esempio la capacità di crescere in particolari condizioni ambientali, la presenza di frutti più grandi o privi di semi ecc. In molti casi le mutazioni riguardano la variazione nel numero di cromosomi. Esempi sono:
Queste metodologie non devono essere confuse con quelle usate in ingegneria genetica e che sono alla base degli organismi geneticamente modificati (OGM).
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