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sentimento di intensa partecipazione al divino senza l'ausilio di una sua comprensione logica o discorsiva Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La mistica, e i relativi termini misticismo e misticità (che formalizzano la mistica in dottrine e pratiche), indicano quel sentimento di contemplazione, venerazione o adorazione della dimensione del sacro o della divinità, implicandone un'esperienza diretta al di là del pensiero logico-discorsivo.[1] Questa condizione di intensa partecipazione al divino può interessare i sensi del corpo, o soltanto la sua parte immateriale e trascendente (talora chiamata anima), in forma sovra-razionale o persino irrazionale, dando luogo anche a stati vicini all'incoscienza (come la trance medianica), culminando infine con l'estasi.
Come il credo spirituale e la pratica religiosa al quale sono collegate, resta oggettivamente difficile proporre una definizione sintetica e onnicomprensiva delle possibili esperienze mistiche, così come delle relative condizioni in grado di determinarle o predisporle.[2]
L'esperienza mistica è in genere ritenuta possibile soltanto col necessario intervento di Dio, angeli, demoni, o di una qualche entità non umana o soprannaturale; alcune dottrine professano tuttavia che il singolo essere umano possa giungervi da solo mediante un cammino di ascesi, ed un sufficiente potenziamento delle proprie conoscenze e capacità magiche.[3]
L'italiano "mistico" deriva dal latino mystĭcus,[4] derivante a sua volta dal greco antico mystikós (μυστικός) usato per indicare i misteri propri dei culti iniziatici, dato che mýstēs (μύστης) significava appunto «iniziato».[5]
«I misteri erano cerimonie di iniziazione, culti nei quali l'ammissione e la partecipazione dipendono da qualche rituale personale da celebrare sull'iniziando. La segretezza e, nella maggior parte dei casi, un'ambientazione notturna sono elementi concomitanti di questa esclusività.»
"Mistero"[7] indicava dunque una cerimonia sacra di carattere segreto, passando poi a significare in italiano ciò che sfugge alle normali possibilità di conoscenza, ciò che è "enigmatico" o appunto "segreto".
L'etimologia di «mistico» attiene dunque alle antiche iniziazioni (in latino initiatio), ed ai termini greci mystikós, mystḕrion, mýstēs che nell'ambito delle religioni misteriche ineriscono alle relative "iniziazioni" cultuali, e alla loro concomitante "segretezza", ma il suo espresso riferimento alla contemplazione del "divino" lo si deve per la prima volta alla lettura che ne dà Plotino:
«Τοῦτο δὴ ἐθέλον δηλοῦν τὸ τῶν μυστηρίων τῶνδε ἐπίταγμα, τὸ μὴ ἐκφέρειν εἰς μὴ μεμυημένους, ὡς οὐκ ἔκφορον ἐκεῖνο ὄν, ἀπεῖπε δηλοῦν πρὸς ἄλλον τὸ θεῖον, ὅτῳ μὴ καὶ αὐτῷ ἰδεῖν εὐτύχηται.»
«È questo il significato della famosa prescrizione dei misteri: "non divulgare nulla ai non iniziati". Proprio perché il Divino non dev'essere divulgato, fu proibito di manifestarlo ad altri, a meno che questi non abbia già avuto per sé stesso la fortuna di contemplare.»
La categoria concettuale della mistica, sebbene preparata dagli antichi culti iniziatici, passa dunque in ambito neoplatonico a indicare l'avviamento alla contemplazione dell'Assoluto, da cui deriva la sua associazione con la pratica del silenzio, cioé l'apofatismo tipico della teologia negativa.[8]
Analogamente Paolo di Tarso, che pure precede Plotino, e così i primi cristiani, si appropriano dei termini misterici riferendoli al loro nuovo culto:[8] «Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio».[9]
Il primo autore che utilizza i termini relativi alla "mistica" in un senso puramente "spirituale" (avulso dai significati misterici precedenti)[10] è Dionigi l'Areopagita, vissuto nel V-VI secolo, ritenuto uno scrittore cristiano[11] e autore della Teologia mistica (Περὶ μυστικῆς θεολογίας), il quale presenta quelle nozioni proprie del tardo neoplatonismo in un linguaggio cristiano[10]:
«σὺ δέ, ὦ φίλε Τιμόθεε, τῆι περὶ τὰ μυστικὰ θεάματα συντόνωι διατριβῆι καὶ τὰς αἰσθήσεις ἀπόλειπε καὶ τὰς νοερὰς ἐνεργείας καὶ πάντα αἰσθητὰ καὶ νοητὰ καὶ πάντα οὐκ ὄντα καὶ ὄντα καὶ πρὸς τὴν ἕνωσιν, ὡς ἐφικτόν, ἀγνώστως ἀνατάθητι τοῦ ὑπὲρ πᾶσαν οὐσίαν καὶ γνῶσιν· τῆι γὰρ ἑαυτοῦ καὶ πάντων ἀσχέτωι καὶ ἀπολύτωι καθαρῶς ἐκστάσει πρὸς τὸν ὑπερούσιον τοῦ θείου σκότους ἀκτῖνα, πάντα ἀφελὼν καὶ ἐκ πάντων ἀπολυθείς, ἀναχθήσηι.»
«Tu, o caro Timoteo, con un esercizio attentissimo nei riguardi delle contemplazioni mistiche, abbandona i sensi e le operazioni intellettuali, tutte le cose sensibili e intelligibili, tutte le cose che non sono e quelle che sono; e in piena ignoranza protenditi, per quanto è possibile, verso l'unione con colui che supera ogni essere e conoscenza. Infatti, mediante questa tensione irrefrenabile e assolutamente sciolto da te stesso e da tutte le cose, togliendo di mezzo tutto e liberato da tutto, potrai essere elevato verso il raggio soprasostanziale della divina tenebra.»
Il trasferimento dei lemmi riguardanti la mistica, riferiti al "divino", dall'alveo neoplatonico pagano a quello cristiano operato da Dionigi l'Areopagita, il quale l'addita come vertice della teologia in quanto consente di giungere all'Assoluto, ovvero al Dio trinitario, per mezzo di paradossi che intendono superare i limiti del pensiero logico-discorsivo, sarà ampiamente ereditato dalle Chiese cristiane greche e orientali[12].
Questa separazione dall'antico contesto esoterico proseguirà nel Medioevo, in cui il misticismo neoplatonico riformulato da Agostino divenne una prerogativa soprattutto della scuola francescana di San Bonaventura, basata sulla superiorità dell'intuizione sulla razionalità, e in Germania della mistica renano-fiamminga di Johannes Eckhart. Il teologo Jean de Gerson (1363-1429), cancelliere della Sorbona, definì, nel XV secolo, la teologia mistica come «una conoscenza sperimentale di Dio, ottenuta abbracciando l'amore unitivo».
In tutte le grandi religioni del mondo si rinvengono correnti mistiche. Fondate sulla ricerca personale e sul contatto diretto col divino, come ad esempio nel pietismo, tali correnti possono talora apparire sovversive ed in contrasto con le istituzioni delle Chiese, e se da un lato queste ultime potevano a volte reprimere o guardare con sospetto ai movimenti estremistici od ai singoli esponenti di una teologia ritenuta "eretica", è vero anche che tutte le Chiese hanno eletto mistici come i massimi esempi della propria fede[13].
Come scrive Giordano Berti nel Dizionario dei Mistici,[14] «ogni religione è in grado di offrire diverse strade mistiche, che possono assumere toni estremi, persino aberranti, ma che corrispondono evidentemente a una necessità interiore» (si pensi solo alle penitenze cui si sottopongono certi monaci medioevali, alle torture sciamaniche, ai prolungati digiuni degli asceti induisti e jainisti). La mistica dunque può essere al tempo stesso un fattore di contatto oppure di netto distacco fra le diverse religioni proprio perché è relativa a differenti bisogni spirituali, in parte innati e in parte indotti dalle culture e dalle tradizioni locali.
Comune alle varie esperienze mistiche è l'estasi, uno stato di beatitudine che giunge dopo una progressiva separazione sia dalla conoscenza sensibile sia da quella razionale, fino alla perdita dell'"io" che, trasumanandosi o annichilendosi,[3] si identifica nel "tutto", venendo rapito in Dio o nell'anima del cosmo (indiamento). Secondo alcuni mistici l'estasi può essere anche raggiunta spontaneamente, improvvisamente e senza cause apparenti. Gli episodi di estasi spontanea sono le apparizioni ai semplici pastorelli come i momenti fondanti nel percorso di un grande maestro o, addirittura, di una religione.
«L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava.»
Terra di mistici è poi in particolare l'India, culla di svariate esperienze spirituali connotate da contemplazione estatica e devozione interiore, tra cui quella di Adi Shankara, fondatore della'Advaita Vedānta.[3] Riguardo la genesi della spiritualità mistica, in ambito antropologico sono state distinte tre fasi dello sviluppo di una religione:
I mistici possono avere comportamenti semplicemente anticonformisti o estremi. Nei primi secoli del cristianesimo gli stiliti vivevano sulle colonne una vita di digiuno e di preghiera, mentre i maestri zen impartivano insegnamenti con azioni che sfidavano apparentemente ogni logica.
Oltre alle teologie e le religioni, la mistica ha influenzato vari campi del sapere prescientifico, dall'arte ermetica alla teosofia, all'alchimia, e poi la psicologia con Carl Gustav Jung.[16] Nella musica un esempio è Arturo Benedetti Michelangeli.[17]
Misticismo ed esoterismo, talora identificati in quanto modi di vivere la spiritualità, differiscono in realtà su vari aspetti messi in evidenza da alcuni autori.[18] Sebbene l'etimologia di misticismo rimandi (come visto sopra) ai misteri dei culti iniziatici, il suo significato attuale ha perso attinenza con la dimensione esoterica dell'iniziazione, per passare ad indicare un'esperienza individuale più o meno sognante di partecipazione al divino, priva di riflessione critica o di riferimenti a un contesto scientifico-dottrinale.[19]
Tale esperienza, che risulta pertanto di difficile comunicazione, può anche rientrare nell'ambito di una specifica religione, adottandone i simboli e le mitologie, ma le sue caratteristiche restano di natura profana o exoterica, cioè contrapposte alla via esoterica (o iniziatica), per accedere alla quale viceversa è richiesta una forma di sapere approfondito, solitamente appannaggio di una cerchia ristretta di adepti.[19]
«Il misticismo è passivo, mentre l'iniziazione è attiva. […] Nel caso del misticismo, l'individuo si limita a ricevere semplicemente quel che gli si presenta, e come si presenta, senza intervenire per nulla. Ed è proprio in tal fatto che risiede per lui il pericolo principale, perché così è "aperto" a tutte le influenze, di qualsiasi ordine, e per di più, in generale e salvo rare eccezioni, non ha la preparazione dottrinale che sarebbe necessaria per permettergli di stabilire fra queste influenze una discriminazione qualsiasi.
Nel caso dell'iniziazione, al contrario, è all'individuo che compete l'iniziativa di una "realizzazione" che proseguirà metodicamente, sotto un controllo rigoroso e incessante, e dovrà normalmente condurre al superamento delle possibilità stesse dell'individuo. […]»
Da una diversa prospettiva, Rudolf Steiner chiama il misticismo «filosofia del sentimento», perché esso cerca di usare come strumento di conoscenza non il sapere concettuale ma il sentire. In tal modo esso eleva impropriamente un elemento dal valore puramente soggettivo a principio universale.[21] Essendo una forma primordiale di spiritualità, il misticismo non è rinnegare ma semmai da integrare con lo sviluppo della conoscenza esoterica.[20]
Anche in ambito politico, affinché un ideale o un indirizzo spirituale possa illuminare la condotta di un partito o di una nazione, si è dato luogo a correnti di pensiero come quelle della mistica fascista e del misticismo nazista.
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