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imperatrice romana consorte di Claudio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Valeria Messalina (Roma, 25[1][2] – Roma, 48) fu imperatrice consorte dell'imperatore Claudio, che aveva sposato quattordicenne per volere dell'imperatore Caligola.
Valeria Messalina | |
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L'imperatrice Messalina con il figlio Britannico, Museo del Louvre | |
Consorte dell'imperatore romano | |
In carica | 24 gennaio 41 – 48 |
Predecessore | Milonia Cesonia |
Successore | Agrippina minore |
Nome completo | Valeria Messalina |
Nascita | Roma, 25 |
Morte | Villa di Lucullo, Roma, 48 |
Dinastia | gens Valeria (per nascita) Giulio-claudia (per matrimonio) |
Padre | Marco Valerio Messalla Barbato |
Madre | Domizia Lepida |
Consorte di | Claudio |
Figli | Claudia Ottavia Britannico |
Figlia di Domizia Lepida e di Marco Valerio Messalla Barbato (nipote di Ottavia minore, sorella di Augusto), Messalina nacque in una famiglia patrizia imparentata con la casa Giulio-Claudia.
Quando Caligola salì al trono, era già una delle donne più desiderate di Roma per la sua bellezza. Con Claudio, un uomo più anziano di lei di oltre trent'anni, balbuziente, zoppo e al terzo matrimonio, ebbe due figli, Claudia Ottavia e Cesare, detto poi Britannico. Dopo che il 24 gennaio del 41 i pretoriani uccisero Caligola, lei e suo marito Claudio furono acclamati imperatori di Roma. Insieme al marito fece uccidere gli assassini di Caligola, esiliò Seneca in Corsica, esiliò Giulia Livilla (sorella minore di Caligola e supposta amante di Seneca) a Ventotene dove fu uccisa, e richiamò dall'esilio Agrippina minore, sua zia.
Giovane e inquieta, Messalina non amava molto la vita di corte; conduceva invece un'esistenza trasgressiva e sregolata. Di lei si raccontarono (e si narrano tuttora) le storie più squallide: che avesse imposto al marito di ordinare a tutti i giovani e bei sudditi di cederle, che avesse avuto relazioni incestuose con i fratelli, che si prostituisse nottetempo nei bordelli (postriboli) sotto il falso nome di Licisca dove, completamente depilata, i capezzoli dorati, gli occhi segnati da una mistura di antimonio e nerofumo, si offriva a marinai e gladiatori per qualche ora al giorno[2].
Secondo il racconto di Plinio il Vecchio (10,172), una volta sfidò in gara la più celebre prostituta dell'epoca e la vinse nell'avere 25 concubitus (rapporti) in 24 ore. Fu proclamata invicta e, a detta di Giovenale (6,130), "lassata, viris nondum satiata, recessit" ("stanca, ma non sazia di uomini, smise")[3].
Se sapeva essere molto generosa con gli uomini che accondiscendevano ai suoi capricci, era anche pronta a far eliminare con facilità quanti non vi si prestavano. Dopo le accertate relazioni adulterine con il governatore Appio Giunio Silano (che fu costretto a sposare Domizia Lepida) e con l'attore Mnestere, Messalina si innamorò di Gaio Silio, marito di Giulia Silana, il quale ripudiò la moglie e divenne il suo amante. Nel 48, mentre l'imperatore Claudio si trovava a Ostia, durante una festa dionisiaca a palazzo i due amanti inscenarono il loro matrimonio.
Informato dal liberto Narciso, Claudio (forse timoroso che il rivale volesse succedergli sul trono) decretò la morte dei due amanti. Mentre Gaio Silio non oppose resistenza e chiese una morte rapida, Messalina si rifugiò negli Horti Lucullani (giardini di Lucullo) dove fu uccisa da un tribuno inviato dal liberto.
«...Allora per la prima volta Messalina intravide la sua sorte; prese la spada e la avvicinò invano, tremando, alla gola e al petto, finché fu trafitta dal colpo del tribuno[4]...»
Si dice che il tribuno stesso, mentre s'apprestava a ucciderla, avrebbe esclamato: "Se la tua morte sarà pianta da tutti i tuoi amanti, allora piangerà mezza Roma!".
Messalina è stata descritta dagli storici dell'epoca come una donna dissoluta e senza scrupoli, una donna dagli insaziabili appetiti sessuali, pronta a sbarazzarsi dei suoi avversari. Le fonti storiche a cui si fa riferimento sono le Vite dei Cesari di Svetonio, e soprattutto il libro XI degli Annales di Tacito e in particolare la VI delle Satire di Giovenale, tutti scritti circa una settantina d'anni dopo i fatti:
«
Quid privata domus, quid fecerit Eppia, curas?
respice rivales divorum, Claudius audi
quae tulerit, dormire virum cum senserat uxor,
ausa Palatino tegetem praeferre cubili,
sumere nocturnos meretrix Augusta cucullos
linquebat comite ancilla non amplius una.
sed nigrum flavo crinem abscondente galero
intravit calidum veteri centone lupanar
et cellam vacuam atque suam; tunc nuda papillis
prostitit auratis titulum mentita Lyciscae
ostenditque tuum, generose Britannice, ventrem,
excepit blanda intrantis atque aera poposcit;
continueque iacens cunctorum absorbuit ictus.
mox lenone suas iam dimittente puellas
tristis abit, et quod potuit tamen ultima cellam
clausit, adhuc ardens rigidae tentigine volvae,
et lassata viris necdum satiata recessit,
obscurisque genis turpis fumoque lucernae
foeda lupanaris tulit ad pulvinar odorem.
»
«
Perché ti preoccupi di una casa privata, di cosa abbia fatto Eppia?[5].
Guarda i rivali degli dei[6]; ascolta Claudio
che cosa ha sopportato. Quando la moglie si accorgeva che il marito dormiva,
osando l’Augusta meretrice mettersi dei cappucci da notte
e preferire al talamo del Palatino una stuoia,
lo abbandonava, con non più di una ancella come compagna.
Così, mentre una parrucca bionda nasconde i capelli neri,
entra nel caldo lupanare dalle tende vecchie
e nella stanzetta vuota, tutta per lei; allora nuda con i capezzoli
dorati si prostituisce inventando il nome di Licisca
e offre, o nobile Britannico[7], il tuo[8] ventre.
Accoglie generosa chi entra e chiede il prezzo
e di continuo, sdraiata, assorbe i colpi di tutti.
Poi, quando il lenone manda via le sue ragazze,
triste se ne va e, l’unica cosa che può fare, per ultima chiude
la stanza, ardendo ancora per l’eccitazione della sua vulva turgida,
e, spossata dagli uomini ma non sazia, se ne va,
con le guance scure e sporca per il fumo della lucerna
porta l’ignobile odore del lupanare nel talamo nuziale.»
Alcune leggi vigilavano del resto sulla morigeratezza dei costumi femminili, prima fra tutte la legge contro l'adulterio (Lex Iulia de adulteriis coercendis) emanata da Augusto per proteggere i valori della famiglia. Tale legge prevedeva come punizione per le donne adultere (escluse le prostitute o meretrici) la deportazione a vita su un'isola (relegatio in insulam), pena che fu inflitta anche a Giulia, unica figlia di Augusto.
Scrive Dimitri Landeschi: "L'immagine tradizionale di Messalina, che, "acconciata alla moda delle prostitute del tempo, con seno luccicante di polvere dorata, gli occhi resi più scuri e voluttuosi dall'antimonio, la bocca vermiglia", fornisce prestazioni nei bordelli dell'Urbe ha completamente sostituito l'altra, meno conosciuta di donna sentimentale[9]. La "prostituzione" di Messalina è oggi rimessa in questione da alcuni storici moderni come Barbara Levick, considerata una dei grandi esperti della storia antica[10].
In realtà il caso Messalina non era, nella Roma imperiale, un caso eccezionale. L'epoca in cui viveva ammetteva senza difficoltà la libertà sessuale (anche quella femminile entro certi termini), e tradimenti e adulterii a corte erano consueti e spesso avevano motivazioni politiche.
Secondo questa interpretazione l'accanimento contro Messalina (anche da parte degli storici) trova giustificazione in due elementi: era la moglie dell'imperatore Claudio ed era membro della "gens Iulia". Inoltre, il ritratto fattone dalla storiografia dell'epoca imperiale va contestualizzato: il discredito sessuale delle figure femminili legate alla politica era strumento consueto della propaganda senatoria[11], che mirava a colpire i propri antagonisti sul piano morale, descrivendoli come nemici del mos maiorum e quindi del popolo romano tutto[12].
In quanto moglie di Claudio il suo modo di vivere le causò l'ostilità e l'odio dei fedeli di Claudio, che dopo il "matrimonio" con Gaio Silio le impedirono addirittura di vedere il marito.
In quanto appartenente alla famiglia Giulio-Claudia, fu vittima delle rivalità e della lotta interna alla sua stessa famiglia in cui altri membri, oltre a suo figlio Britannico, potevano essere proposti come successori dell'imperatore Claudio. E proprio per far sì che il figlio potesse un giorno divenire Imperatore, Messalina eliminò fisicamente i potenziali rivali e chiunque potesse anche solo apparentemente ostacolare i suoi piani.
Pagò non solo con la vita tutti gli intrighi e gli omicidi commessi ma subì anche la damnatio memoriae, cioè l'eliminazione del suo nome dai documenti e dai monumenti di Roma e la distruzione delle sue statue. Inoltre, il figlio Britannico non fu mai Imperatore. Alla morte di Messalina, Claudio sposò Agrippina e nominò suo successore il figliastro Nerone, che - si dice - alla morte di Claudio avrebbe ordinato l'assassinio di Britannico.
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