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base della meccanica classica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
I principi della dinamica sono le leggi fisiche su cui si fonda la dinamica newtoniana, che descrive le relazioni tra il moto di un corpo e gli enti che lo modificano.
Sono validi in sistemi di riferimento inerziali e descrivono accuratamente il comportamento dei corpi che si muovono a velocità molto minori della velocità della luce, condizione in cui sono assimilabili con buona approssimazione ai principi più generali della relatività ristretta.
Sono anche chiamati principi di Newton perché furono enunciati come assiomi da Isaac Newton nel suo trattato Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, pur essendo il frutto di una lunga evoluzione da parte di numerosi scienziati che ne ha preceduto e seguito la pubblicazione; in particolare sono stati riformulati storicamente in vari modi, tra cui la formulazione lagrangiana e la formulazione hamiltoniana.
Aristotele nella sua Fisica del IV secolo a.C. asseriva che lo stato naturale dei corpi fosse la quiete, ossia l'assenza di moto, e che qualsiasi oggetto in movimento tende a rallentare fino a fermarsi, a meno che non venga spinto a continuare il suo movimento.
Nel Medioevo, Guglielmo di Ockham e gli occamisti, e poi, nel Quattrocento, Nicola Cusano, nell'opera Il gioco della palla, e Leonardo da Vinci ripensarono la meccanica aristotelica: cominciarono a sviluppare una diversa dinamica, fondata su diversi principi fisici e presupposti filosofici.
Il principio di inerzia è di impossibile osservazione sulla Terra, dominata dagli attriti. Infatti, considerando per esempio una biglia che rotola su una superficie piana orizzontale molto estesa, l'esperienza comune riporta che con il passare del tempo la biglia rallenta fino a fermarsi. Questo è dovuto al fatto che essa interagisce con il piano e con l'aria. Si può osservare, comunque, che facendo diminuire progressivamente questi attriti, ad esempio rarefacendo l'aria e lisciando il piano per diverse volte, la biglia percorre uno spazio sempre maggiore prima di fermarsi. Generalizzando, l'idea che sta alla base del primo principio è che, teoricamente, diminuendo gli attriti fino a renderli nulli, il corpo non rallenti e quindi non si fermi mai, cioè persista nel suo stato di moto rettilineo uniforme. Riferendosi invece alla tendenza di ogni corpo a mantenere lo stato di quiete o di moto si usa parlare di inerzia e questo concetto può esser visto come una diretta conseguenza del principio di relatività galileiana.
Ciò viene dettagliatamente descritto da Galileo in due sue opere, rispettivamente nel 1632 e 1638: il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali. Scrive Galileo:
«l mobile durasse a muoversi tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie, né erta né china; se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimenti senza termine, cioè perpetuo. [...] deve intendersi in assenza di tutti gli impedimenti esterni e accidentari […] [e che gli oggetti in movimento siano] immuni da ogni resistenza esterna: il che essendo forse impossibile trovare nella materia, non si meravigli taluno, che faccia prove del genere, se rimanga deluso dall'esperienza»
Bisogna aggiungere che Galileo riteneva che un moto inerziale avrebbe assunto una direzione circolare, e non rettilinea come invece dedusse Newton. Infatti, secondo Galilei i pianeti si muovevano di moto circolare uniforme attorno al Sole senza subire alcun effetto, gravitazionale o di altro tipo. Tuttavia, la prima enunciazione formale del principio è nei Principia di Newton, che pur ne riconosce (impropriamente, come visto) la paternità galileiana. Newton chiarisce inoltre il concetto nella terza definizione:
«Materiae vis insita est potentia resistendi, qua corpus unuquodque, quantum in se est, perseverat in statu suo vel quiescendi vel movendi uniformiter in directum. Haec semper proportionalis est suo corpori, neque differt quicquam ab inertia massae, nisi in modo concipiendi. Per inertiam materiae, sit ut corpus omne de statu suo vel quiescendi vel movendi difficulter deturbetur. Unde etiam vi insita nomine significatissimo vis Inertiae dici possit. Exercet verò corpus hanc vim solummodo in mutatione status sui per vim aliam in se impressam facta; estque exercitium illud sub diverso respectu et Resistentia et Impetus: resistentia, quatenus corpus ad conservandum statum suum reluctatur vi impressae; impetus, quatenus corpus idem, vi resistentis obstaculi difficulter cedendo, conatur statu obstaculi illius mutare. Vulgus resistentiam quiescentibus et impetum moventibus tribuit: sed motus et quies, uti vulgo concipiuntur, respectu solo distinguuntur ab invicem; neque semper verè quiescunt quae vulgo tanquam quiescentia spectantur.»
«La vis insita, o forza innata della materia, è il potere di resistere attraverso il quale ogni corpo, in qualunque condizione si trovi, si sforza di perseverare nel suo stato corrente, sia esso di quiete o di moto lungo una linea retta. Questa forza è proporzionale alla forza che si esercita sul corpo stesso e non differisce affatto dall'inattività della massa, ma nella nostra maniera di concepirla. Un corpo, dall'inattività della materia, è tolto non senza difficoltà dal suo stato di moto o quiete. Dato ciò questa vis insita potrebbe essere chiamata in modo più significativo vis inertiae, o forza di inattività. Ma un corpo esercita questa forza solo quando un'altra forza, impressa su di esso, cerca di cambiare la sua condizione [di moto o di quiete, NdT]; e l'esercizio di questa forza può essere considerato sia resistenza che impulso; è resistenza quando il corpo, cercando di mantenere il suo stato attuale, si oppone alla forza impressa; è impulso quando il corpo, non dando libero corso alla forza impressa da un altro cerca di cambiare lo stato di quest'ultimo. La resistenza è solitamente ascritta ai corpi in quiete e l'impulso a quelli in moto; ma moto e quiete, come vengono intesi comunemente, sono solo relativamente distinti; e d'altronde, quei corpi che comunemente sono considerati in quiete non lo sono sempre realmente.»
La formula esplicita dell'uguaglianza fra la forza e il prodotto della massa inerziale per l'accelerazione apparve per la prima volta negli scritti di Eulero nel 1752.[1]
I principi furono presentati tutti assieme da Newton nel 1687 nell'opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (I principi matematici della filosofia naturale). Newton stesso chiamò i suoi principi Axiomata, sive leges motus (Assiomi o leggi del moto),[2] a rimarcare che questi rappresentano la base fondante della meccanica, come gli assiomi di Euclide lo sono per la geometria, la cui validità può essere testata solo con esperimenti e a partire dai quali è possibile ricavare ogni altra legge sui moti dei corpi.
Il primo principio, detto d'inerzia, ha tradizionalmente origine con gli studi sulle orbite dei corpi celesti e sul moto dei corpi in caduta libera di Galileo.[3][4] Il principio di inerzia si contrappone alla teoria fisica di Aristotele, il quale riteneva che lo stato naturale di tutti i corpi fosse quello di quiete e un agente esterno fosse necessario ad indurre il moto. Galileo ideò una serie di esperimenti, anche mentali, volti a dimostrare la non correttezza di questa assunzione. A simili conclusioni giunse anche Cartesio, nei suoi scritti riguardo alla fisica.
Il secondo principio della dinamica si deve a Newton, e introduce il concetto di forza come origine e causa del cambiamento dello stato di moto dei corpi. Nei secoli si sono susseguite numerose discussioni su come e su cosa di preciso Newton intendesse con "forza" e "cambio dello stato di moto", in relazione in particolare alla formulazione odierna del secondo principio della dinamica.
Il terzo principio esprime una importante proprietà delle forze e fu usato da Newton per dimostrare la conservazione della quantità di moto. Secondo il premio nobel Richard Feynman, il terzo principio ha una importante rilevanza nello sviluppo della meccanica:
«[Newton] discovered one rule, one general property of forces, which is expressed in his Third Law, and that is the total knowledge that Newton had about the nature of forces--the law of gravitation and this principle, but no other details.»
«[Newton] scoprì un principio, una proprietà generale delle forze, che è espressa nel suo terzo principio. Tutta la conoscenza di Newton sulla natura delle forze è dunque racchiusa nelle leggi di gravitazione e in questo principio, senza altri dettagli.»
I principi di Newton nella loro originaria formulazione sono validi per i corpi puntiformi, in quanto non considerano gli effetti che possono derivare dalla dimensione finita degli oggetti, come in particolare le rotazioni. I principi furono poi estesi ai corpi rigidi e ai corpi deformabili da Eulero nel 1750.
Nei Principia l'enunciato della Lex I è il seguente:
«Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus à viribus impressis cogitur statum illum mutare.»
«Ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, salvo che sia costretto a mutare quello stato da forze applicate ad esso.»
Questo principio, noto anche come principio d'inerzia o principio di Galileo, afferma che un corpo continuerà a muoversi di moto rettilineo uniforme, o rimarrà fermo, se non è soggetto a forze esterne. Quindi, se la risultante delle forze agenti su un corpo è nulla, allora esso mantiene il proprio stato di moto. Nella realtà di tutti i giorni, si osserva che un corpo in moto tende lentamente a rallentare fino a fermarsi. Questo tuttavia non è in contraddizione con il primo principio, in quanto la forza di attrito, per esempio con l'aria o il terreno, sta agendo sul corpo modificando il suo stato di moto. Se fosse possibile fare un esperimento in cui tutti gli attriti e le interazioni vengano annullate, ad esempio nello spazio vuoto lontano dalle galassie, allora si osserverebbe che il corpo continuerebbe a muoversi indefinitamente a velocità costante lungo una linea retta.
Gli esempi portati da Newton a proposito del cerchio in rotazione e del moto dei pianeti sono in realtà esempi di conservazione del momento angolare e rappresentano l'integrazione del principio di inerzia nel principio della conservazione della quantità di moto.
Il principio di inerzia rappresenta un punto di rottura con la fisica aristotelica in quanto l’assenza di forze è messa in relazione non solo con la quiete, ma anche con il moto rettilineo uniforme. Poiché la particolarità del moto rettilineo uniforme è che la velocità è vettorialmente costante, cioè in modulo, direzione e verso, si desume che la presenza di forze sia collegata alle variazioni di velocità. Ciò porta al secondo principio della dinamica.
Nei Principia l'enunciato della Lex II è il seguente:
«Mutationem motus proportionalem esse vi motrici impressae, et fieri secundum lineam rectam qua vis illa imprimitur.»
«Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice applicata, e avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza stessa è esercitata.»
Pertanto, il secondo principio, detto anche principio di proporzionalità o principio di conservazione, afferma che:
Sia la forza sia l'accelerazione sono vettori e sono indicati in grassetto nella formula. Nel testo, Newton prosegue affermando:
«Si vis aliqua motum quemvis generet; dupla duplum, tripla triplum generabit, sive simul et semel, sive gradatim et successivè impressa fuerit. Et hic motus (quoniam in eandem semper plagam cum vi generatrice determinatur) si corpus anteamovebatur, motui ejus vel conspiranti additur, vel contrario subducitur, vel obliquo obliquè adjicitur, et cum eo secundùm utrusque determinationem componitur.»
«Posto che una qualche forza generi un movimento qualsiasi, una forza doppia ne produrrà uno doppio, e una tripla uno triplo, sia che sia impressa istantaneamente, sia gradualmente e in tempi successivi. E questo moto (poiché è sempre determinato lungo lo stesso piano della forza generatrice) se è concorde e se il corpo era già mosso, viene aggiunto al moto di quello; sottratto se contrario, oppure aggiunto solo obliquamente se obliquo, e si compone con esso secondo la determinazione di entrambi.»
La forza netta, o forza risultante, agente su un corpo è la somma vettoriale di tutte le forze applicate ad esso. L'accelerazione causata quindi dalle forze avrà come effetto una modifica del vettore velocità nel tempo. Questa modifica si può manifestare come un cambio della direzione della velocità, oppure come un aumento o diminuzione del suo modulo.
La massa che compare nel secondo principio della dinamica è chiamata massa inerziale, cioè misura quantitativamente la resistenza di un corpo ad essere accelerato. Infatti la stessa forza agente su un corpo di piccola massa, come ad esempio una spinta data ad un tavolo, produce un'accelerazione molto maggiore che su un corpo di grande massa, come un'automobile, che con la stessa spinta cambierebbe la propria velocità di poco.
Se la massa inerziale del corpo non è costante, allora la seconda legge della dinamica può essere generalizzata con l'introduzione della quantità di moto. Ovvero, un punto materiale, cioè un corpo di dimensioni trascurabili rispetto al sistema di riferimento in esame e contemporaneamente dotato di massa, al quale sia applicata una forza, varia la quantità di moto in misura proporzionale alla forza e lungo la direzione della stessa. In altre parole, secondo una formulazione analoga a quella di Eulero: il tasso di aumento della quantità di moto è uguale e parallelo alla forza impressa:
cioè in base alla definizione di quantità di moto e di accelerazione e alla regola di Leibniz:
Per un sistema chiuso quindi il rapporto fra i moduli della forza applicata e dell'accelerazione è costante e pari alla massa inerziale[5]:
Il secondo principio della dinamica fornisce una spiegazione per il fatto che tutti i corpi cadono con una velocità, che è indipendente dalla loro massa. Simile risultato fu raggiunto, secondo Newton, da Galileo Galilei con lo studio del piano inclinato e l'esperimento della caduta dei gravi. Tuttavia, ogni conoscitore delle opere galileiane sa che Galileo non giunse mai alla distinzione del concetto di massa da quello di peso. D’altra parte, ciò è comprensibile se si considera l’avversione galileiana nei confronti di ogni riferimento ad un'azione “a distanza” tra i corpi, come quella, per esempio, teorizzata da Keplero.
Nei Principia l'enunciato della Lex III è il seguente:
«Actioni contrariam semper et equalem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo semper esse aequales et in partes contrarias dirigi.»
«A un'azione è sempre opposta un'uguale reazione: ovvero, le azioni vicendevoli di due corpi l'uno sull'altro sono sempre uguali e dirette verso parti opposte.»
Il terzo principio, detto anche principio di azione e reazione, dove il termine azione deve essere inteso nell'accezione generale di forza o momento reali,[5][6] può essere riformulato come:
In termini matematici, il terzo principio può essere riassunto come:
Ma attenzione, poiché è importante precisare, per la piena comprensione del principio, che le due forze ovviamente non si annullano, poiché hanno punti di applicazione diversi.
Nel proseguire del testo, Newton porta i seguenti esempi:
«Quicquid premit vel trahit alterum, tantundem ab eo premitur vel trahitur. Si quis lapidem funi alligatum trahit, retrahetur etiam er equus (ut ita dicam) aequaliter in lapidem: nam funis utrinque distentus eodem relaxandi se conatu urgebit equum versus lapidem, ac lapidem versus equum; tantumque impediet progressum unius quantum promovet progressum alterius. Si corpus aliquod in corpus aliu impigens, motum eius vi sua quomodocunque mutaverit, idem quoque vicissim in motu proprio eandem mutationem in partem contrariam vi alterius (ob aequalitem pressionin mutuae) subibit. His actionibus aequales fiunt mutationes, non velocitatum, se motuum; scilicet in corporibus non aliunde impeditis. Mutationes enim velocitatum, in contrarias itidem partes factae quia motus aequaliter mutantur, sunt corporibus reciprocè proportionales.»
«Ad ogni azione corrisponde una reazione pari e contraria. Se qualcuno spinge una pietra col dito, anche il suo dito viene spinto dalla pietra. Se un cavallo tira una pietra legata ad una fune, anche il cavallo è tirato ugualmente verso la pietra: infatti la fune distesa tra le due parti, per lo stesso tentativo di allentarsi, spingerà il cavallo verso la pietra e la pietra verso il cavallo; e di tanto impedirà l'avanzare dell'uno di quanto promuoverà l'avanzare dell'altro. Se un qualche corpo, urtando in un altro corpo, in qualche modo avrà mutato con la sua forza il moto dell'altro, a sua volta, a causa della forza contraria, subirà un medesimo mutamento del proprio moto in senso opposto. A queste azioni corrispondono uguali mutamenti, non di velocità, ma di moto. I mutamenti delle velocità, infatti, effettuati allo stesso modo in direzioni contrarie, in quanto i moti sono modificati in uguale misura, sono inversamente proporzionali ai corpi.»
Il terzo principio della dinamica, in termini moderni, implica che tutte le forze hanno origine dall'interazione di diversi corpi. In base al terzo principio, se solo un corpo singolo si trovasse nello spazio, questo non potrebbe subire alcuna forza, perché non vi sarebbe alcun corpo su cui la corrispondente reazione possa essere esercitata.[7]
Un esempio chiaro è l'applicazione al sistema Terra-Luna, di cui sono sottosistemi la Terra e la Luna. La forza totale esercitata dalla Terra sulla Luna deve essere uguale, ma di senso opposto alla forza totale esercitata dalla Luna sulla Terra, in accordo con la legge di gravitazione universale.
Un esempio tipico che si può fare di applicazione controintuitiva del principio è quello della semplice camminata: in questa situazione, noi imprimiamo forza al suolo all'indietro tramite il piede, e il suolo reagisce con una forza uguale e contraria, che poi è quella che ci spinge in avanti. Ma il suolo invece sembra non subire alcuna forza, poiché non accelera: la contraddizione si risolve considerando che la massa inerziale della Terra è enorme in confronto a quella dell'individuo, e perciò la forza si traduce in un'accelerazione piccola al punto da essere inosservabile.
Per un sistema fisico di n punti materiali (o corpi), il terzo principio della dinamica assieme al secondo implica la conservazione della quantità di moto e quindi la simmetria delle leggi fisiche rispetto a traslazioni spaziali. Considerando, ad esempio, due corpi isolati che interagiscono, allora in base al secondo principio della dinamica il terzo può essere riscritto come:
dove e sono rispettivamente le quantità di moto del corpo e . Dato che gli incrementi possono essere sommati allora si ha:
da cui si ricava che è costante nel tempo la grandezza , che equivale alla quantità di moto totale del sistema formato dai corpi e considerati assieme.[8] Questo ragionamento può essere esteso ad un numero arbitrario di corpi.
Nel caso del singolo punto materiale, la conservazione della quantità di moto deriva direttamente dal secondo principio della dinamica
Infatti è sufficiente che sul punto materiale non agisca alcuna forza esterna perché si conservi la quantità di moto. Si pensi, ad esempio, ad un razzo in volo nel vuoto spaziale. Consumando combustibile, questo riduce la sua massa e di conseguenza la sua velocità cresce di modo che il prodotto sia costante, istante per istante.
Il testo La fisica di Berkeley riporta come principi fondanti la meccanica classica le seguenti (cit.):
Citando sempre dallo stesso libro, le 3 leggi di Newton sono così formulate:
Da quest'ultimo principio, integrando rispetto al tempo, discende il principio della conservazione della quantità di moto e viceversa.
La fisica di Feynman ha una impostazione sui generis che non consente di estrarre agevolmente un corpus di principi della dinamica espressi in maniera formale, poiché ha l'intento di costruire una visione unitaria della fisica, "filtrandola" col criterio della validità nella moderna teoria dei campi per non introdurre, come invece si fa solitamente con l'approccio storico, dei concetti che risultano in una teoria più ampia falsificati o particolari. Tuttavia riportiamo alcuni brani che a nostro avviso sono quanto più si avvicina ad una formulazione di tali principi. Citiamo quindi:
«Galileo fece un gran progresso nella comprensione del moto quando scoprì il principio di inerzia: se un oggetto è lasciato solo, se non è disturbato, continua a muoversi con velocità costante in linea retta se era originariamente in movimento, o continua a stare in quiete se era del tutto immobile. [...] Qui discutiamo [...] la Seconda Legge, la quale asserisce che il moto di un oggetto è cambiato dalle forze in questo modo: la rapidità temporale della variazione di una quantità chiamata quantità di moto è proporzionale alla forza. [...] Ora la quantità di moto di un oggetto è il prodotto di due parti: la sua massa e la sua velocità. Così la Seconda Legge di Newton può essere scritta matematicamente in questo modo: .»
Per quanto riguarda il terzo principio della dinamica, Feynman lo considera, al pari della legge di gravitazione universale, una delle due sole cose sulla natura delle forze che Newton disse:
«Newton disse soltanto due cose sulla natura delle forze. [...] Tutta la conoscenza di Newton sulla natura delle forze è dunque racchiusa nelle leggi di gravitazione ed in questo principio. Il principio è che la reazione è uguale all'azione.»
Secondo Feynman, Newton caratterizzò il concetto di forza tramite l'enunciazione di un principio generale, il terzo principio della dinamica appunto, e tramite la formulazione di una legge di forza particolare, ovvero quella gravitazionale.
I principi della dinamica non valgono in sistemi di riferimento non inerziali. Per studiare anche questi ultimi, infatti, è necessaria l'introduzione delle interazioni apparenti, ovvero forze e momenti dovuti alle accelerazioni del sistema di riferimento. Le forze apparenti, quali la forza centrifuga e la forza di Coriolis, non hanno alcuna reazione corrispondente, in altre parole il terzo principio della dinamica smette di essere vero nei sistemi di riferimento non inerziali.[9]
La meccanica classica può essere vista come l'approssimazione a basse velocità rispetto a quella della luce della teoria della relatività ristretta. Il secondo principio della dinamica ad esempio non è più in grado di descrivere correttamente gli eventi che occorrono quando invece le velocità dei corpi sono vicine a quella della luce, dato che permette sempre di incrementare la velocità di un corpo con l'azione di una forza senza alcun limite. Inoltre, il terzo principio della dinamica richiede che l'azione e la reazione siano sempre opposte in ogni momento, generando un vincolo istantaneo fra punti lontani al di fuori dei rispettivi coni luce.
Per estendere la validità dei principi della dinamica, allargandoli ai sistemi non inerziali ed estesi[non chiaro], il concetto di "azione" viene ristretto soltanto a forze e momenti, in meccanica razionale si parla di forze generalizzate, reali per cui vale questo principio, cioè che implicano la reazione. Infine, per la simmetria tra i due concetti che scaturisce da questo principio si preferisce oggi parlare di interazione: "l'interazione tra i corpi è reciproca, e unica sorgente di forza reale e momento meccanico reale. Una forza generalizzata applicata su un corpo è "reale", se dovuta all'influenza di un qualsiasi altro corpo , e solo allora si manifesta su con orientazione antiparallela". Ricordando che un sistema inerziale è definito proprio in base a questo principio come sistema di riferimento in cui si manifestano solo interazioni tra i corpi, ovvero interazioni reali, e le interazioni apparenti sono appunto quelle che non provenendo dai corpi in quanto non reciproche, vengono imputate al sistema di riferimento, e non sono reali solo nel senso che non sono "assolute", e non nel senso di "ininfluenti" sui corpi quando presenti.
Nel 1981 Mordehai Milgrom propose una sua modifica volta a spiegare il problema delle curve di rotazione delle galassie a spirale in modo alternativo all'introduzione della materia oscura, denominata MOND dall'acronimo inglese per Dinamica Newtoniana Modificata che teneva conto dello strappo, che però gode di scarso consenso presso la comunità scientifica attuale, anche se le si può riconoscere di essere, popperianamente parlando, falsificabile al pari delle teorie a base di materia ed energia oscura.
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