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romanzo scritto da Gaspare Invrea Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La bocca del lupo è un romanzo scritto da Gaspare Invrea, noto anche con lo pseudonimo di Remigio Zena, pubblicato nel 1892 dall'editore Treves di Milano. Nel 2009 è stato tratto liberamente un omonimo film documentario di Pietro Marcello.
La bocca del lupo | |
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Autore | Gaspare Invrea |
1ª ed. originale | 1892 |
Genere | romanzo |
Sottogenere | verista |
Lingua originale | italiano |
Ambientazione | 1892 |
Protagonisti | Francisca Carbone, detta la Bricicca |
La bocca del lupo | |
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Opera teatrale in due atti | |
Genova, presepe alla Madonnetta | |
Autore | Remigio Zena |
Lingua originale | |
Composto nel | 1892 |
Prima assoluta | 1980 Teatro di Genova[1] |
Personaggi | |
Personaggi principali della vicenda:
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Ispirato al naturalismo francese, è considerato l'opera più celebre di questo autore genovese - ed uno dei capisaldi della letteratura verista - oscilla, nello stile espressivo, fra la prosa de I promessi sposi di Alessandro Manzoni e quella de I Malavoglia di Giovanni Verga, di cui Zena fu coevo[senza fonte].
Nel 1980 l'opera letteraria - per lungo tempo caduta nell'oblio - è stata recuperata e adattata per il teatro da Arnaldo Bagnasco (regista e autore teatrale e televisivo), da Lucia Bruni e da Giuseppe D'Agata.
La messa in scena del Teatro di Genova, la regia di Marco Sciaccaluga, è ricordata per l'interpretazione dell'attrice Lina Volonghi, impegnata nel ruolo principale de la Bricicca. Altri attori della rappresentazione furonoClaudio Gora e Ferruccio De Ceresa.
Anche il testo teatrale ha però seguito la sorte di quello originario di Zena[2] ed è stato successivamente poco rappresentato, e dopo la messinscena originale di Sciaccaluga è stato ripreso solo da compagnie amatoriali.
Dopo essere stato ripreso nel 2001 dal Teatro Ateneo per una rappresentazione nella chiesa di San Giorgio[3], è stato riportato in scena nel 2007 dal regista Paolo Pignero con la compagnia teatrale amatoriale Gli amici di Jachy al Teatro della Gioventù[4] di Genova. Nel 2009 Pignero ha riproposto lo spettacolo al Teatro Politeama Genovese[5] di Genova.
«Dopo il pasto viene il guasto, dopo il canto viene il pianto, diceva quello, e diceva bene.»
Scritto in lingua italiana ma con un massiccio apporto di termini del dialetto genovese, fra grida di popolani e sussurri di comari in perfida rivalità, il testo[7] mette a fuoco in maniera corale la vita - talvolta al limite della sopravvivenza - delle persone che vivono, lavorano e si muovono fra le case e i caruggi che circondano una ipotetica piazzetta della Pece Greca, assieme alla fittizia località di Manassola (incrocio fra Manarola e Bonassola[8]). Nell'introduzione all'edizione del volume edito da Baldini Castoldi Dalai nel 2003 la località viene individuata nell'attuale città di Varazze in provincia di Savona. Infatti, Zena apparteneva alla famiglia degli Invrea, marchesi di Varazze, il paese viene descritto come sede di fiorenti cantieri navali, attività che ha connotato Varazze sin dall'epoca romana; il libro descrive una visita di Don Bosco nel paese per l'inaugurazione di un collegio salesiano, circostanza che si verificò a Varazze nel 1886, la descrizione del collegio e la sua collocazione corrispondono alla reale ubicazione dell'istituto salesiano a Varazze, Marinetta e Gabitto conducono una gita in campagna presso la cappella di San Donato, attualmente esistente a Varazze e all'epoca in piena campagna. Il toponimo è di fantasia, ma facilmente identificabile con la città di Varazze - mentre i restanti riferimenti urbanistici sono reali - della Genova di fine Ottocento qui rappresentata.
Storia di vinti e reietti, repressi dalla sorte e frustrati da ambizioni che non potranno essere soddisfatte senza correre il rischio di finire nella bocca del lupo, il plot letterario e teatrale accende il faro principale su una figura femminile, quella di Francisca Carbone, detta la Bricicca, una vedova che ha perso l'unico figlio maschio (morto ancor giovane a causa della tubercolosi) e che ha tre figlie da maritare. Per poter far sposare almeno la più giovane, Marinetta (il cui destino sarà infine quello di cortigiana di lusso) Bricicca è disposta a sacrificare la sorte delle altre due, le miti Angela (che morirà di tisi) e Battistina (che troverà nel voto religioso una personale via di redenzione).
Sorta di Filumena Marturano ante litteram[senza fonte], sempre reattiva e combattiva ma tormentata da mille dubbi e difficoltà, la donna ricorre a mille sotterfugi, indebitandosi con un astuto e malevolo faccendiere, il signor Costante, coprotagonista nella vicenda, ed esponendosi alle invidie e ai pettegolezzi delle comari che affollano la scena.
La tradirà l'aver accettato di nascondere dietro l'anonima e fittizia attività di besagnina (termine che identifica le antiche verduraie della Valbisagno) un banco del Seminario, ovvero il gioco del lotto clandestino, all'epoca in cui è ambientata la storia perseguito dalle leggi del Regno d'Italia.
Zena intinge la penna nel nero dell'inchiostro delle miserie umane (senza perdere di vista le umane nobiltà) e fa capire subito con la sua prosa disincantata che all'incrocio fra la via della Perdizione e il vicolo della Povertà non c'è spazio per speranze di salvezza e redenzione. Un lupo e la sua tana - suggerisce in chiave esplicita - saranno sempre in agguato ad accogliere stolti e sprovveduti, soprattutto se sprovvisti di denari. L'espiazione - per Bricicca - non può passare che attraverso le sbarre del carcere, lassù al piano di Sant'Andrea, all'ombra di quella Porta Soprana tanto amata da Zena, che non fu - nonostante il nom de plume prescelto per nascondere quello originale di Gaspare Invrea - nativo di Genova ma che ugualmente molto amò la città di mare.
Genova, Santuario della Madonnetta, presepe genovese: il banco della verduraria. Sullo sfondo della Genova ottocentesca si sviluppano le vicende di miseria e nobiltà (d'animo) del popolino che affolla i carruggi de La bocca del lupo
Ma anche le rivali di Bricicca, le comari alleate o finte tali e i sensali maneggioni ed intriganti, non avranno migliore fortuna (nessuna giocata al lotto e nessun maneggio potranno cambiare vite segnate dal livore e dal risentimento) e, alla fine, tanto sulla pagina scritta quanto sul palcoscenico non resteranno vincitori di sorta, ma solo vinti.
Ha scritto Eugenio Montale riguardo al lavoro di Zena:
«Nessuno capì così bene i poveri, i diseredati, come lo Zena; nessuno li lasciò ragionare con tanta indulgenza, con tanta pietà superiore e nascostamente sorridente.[9]»
Una curiosità. Il libro di Zena è preceduto da una sorta di dedica costituita da una lettera. L'autore si rivolge, in data 27 febbraio 1892, scrivendo da Milano, al suo fornitore signor Agostino Pedevilla fu G.B., giardiniere e negoziante d'agrumi NERVI, che gli prospetta di far trasferire nel capoluogo lombardo la propria figlia.
Zena sconsiglia l'amico-fornitore a procedere nel suo proposito, e gli scrive, fra le altre cose:
«Ci conosciamo da antico, voi avete in me molta confidenza, e io vi parlo schietto: a questo mondo, massime al giorno d'oggi, quando c'è in giro una bella ragazza come vostra figlia, dei lupi non ne mancano, saltano fuori da tutte le parti colla bocca spalancata; se non si sta bene attenti, la ragazza finiscono per mangiarsela, e allora si piange, ma a che cosa serve il pianto?»
Per aggiungere, subito dopo:
«Di ragioni per persuadervi ad abbandonare il vostro progetto, ne avrei da dirvene fino a domani mattina, ma ci vorrebbe un libro, non una semplice lettera; probabilmente stancherei la vostra pazienza e quella della persona che dovrebbe leggervi la mia filastrocca, e finireste per farmi capire che quando volete ascoltare la predica andate in chiesa. Solo vi dirò ancora una cosa: sapete benissimo che fine ha fatto Marinetta, la figlia più piccola di Francisca Carbone, che anche voi avete conosciuto; di chi la colpa, se non di sua madre, una povera scema, che credeva di avere in casa la reliquia del Santo Sepolcro, e invece di educarla com'era suo dovere di educarla, le lasciò la briglia sul collo fidandosi del terzo e del quarto, fino al punto d'essere lei sola a non accorgersi che la figliuola gliene faceva di tutti i colori, a piedi e a cavallo? Mi direte che sono cose vecchie, stravecchie, e nessuno ci pensa più; d'accordo, ma in via d'esempio, per specchiarsi, non c'è mai niente di vecchio e da tutto si può tirar profitto, cominciando da Adamo ed Eva.»
Edizioni de La bocca del lupo :
In lingua Genovese :
A bocca do lô, tradotto e commentato dai fratelli Edoardo e Martino Repetto, edizione online, Genova 2016
A bocca do lô, a cura di Fiorenzo Toso, Genova, De Ferrari 2018
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