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dirigibile semirigido italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'Italia fu un dirigibile militare italiano, del tipo semirigido[1], costruito allo Stabilimento Costruzioni Aeronautiche di Roma con la denominazione N-4[2] e completato nell'ottobre del 1927[3] su progetto dell'ingegnere e Generale del Genio della Regia Aeronautica Umberto Nobile.
Italia | |
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Il dirigibile Italia durante l'attracco a Stolp, nella Pomerania polacca, una delle tappe intermedie nel viaggio verso il Polo Nord. | |
Descrizione | |
Tipo | Trasporto passeggeri |
Equipaggio | 16 |
Progettista | Umberto Nobile |
Cantieri | Stabilimento Costruzioni Aeronautiche - Roma |
Data ordine | 1925 |
Data del varo | 1927 |
Data primo volo | 19 marzo 1928 |
Utilizzatore principale | Reale Società Geografica Italiana |
Proprietario | Regia Aeronautica Militare |
Voli | 7 |
Destino finale | distrutto per un incidente il 25 maggio 1928 |
Dimensioni e pesi | |
Struttura | dirigibile semirigido |
Lunghezza | 105 m |
Diametro | 19,4 m |
Volume | 18500 m³ |
Gas | idrogeno |
Altezza | 23,5 m |
Peso a vuoto | 10500 kg |
Passeggeri | 2 giornalisti e 3 scienziati |
Propulsione | |
Motore | 3 motori Maybach da 250 cavalli vapore (180 kW) ciascuno |
Prestazioni | |
Velocità max | 117 km/h |
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Con convenzione del 6 dicembre 1927, il Ministero dell'Aeronautica mise a disposizione della Reale Società Geografica Italiana l'aeronave[4], nell'ambito di una spedizione scientifica al Polo Nord ideata, promossa e comandata dallo stesso Nobile[5]. Il dirigibile fu quindi battezzato con il nome Italia, riprendendo il nome dell'Aeronave Italia, il primo dirigibile italiano progettato da Almerico da Schio di circa 1000 metri cubi di idrogeno, circa 20 volte delle aereonavi guidate da Nobile nel 1926 e nel 1928, cioè il "Norge e l' "Italia". Il dirigibile lasciò l'hangar di Ciampino il 19 marzo 1928 per partire poi il 15 aprile dall'hangar di Baggio. Il successivo 25 maggio, dopo aver raggiunto il Polo, l'Italia precipitò sul pack, perdendo sui ghiacci polari parte della navicella di comando con 10 uomini dell'equipaggio, mentre altri 6 rimasero intrappolati all'interno dell'involucro che andò disperso con il suo carico umano[6]. Dei sei uomini e del dirigibile non si seppe più nulla. La tragedia dell'Italia pose fine all'impiego operativo dei dirigibili militari italiani[7].
La spedizione del dirigibile "Italia" rappresentò, nelle intenzioni di Umberto Nobile, il seguito naturale della trasvolata polare artica da lui compiuta nel 1926 con il dirigibile Norge insieme con Roald Amundsen, Lincoln Ellsworth e con l'ufficiale Alpino Cornelio Andersen. Questa trasvolata aveva dimostrato l'efficacia del dirigibile come mezzo di esplorazione, ma dal punto di vista scientifico e cartografico non aveva portato molti risultati: restavano infatti 4 milioni di km² inesplorati nelle regioni artiche. Umberto Nobile incominciò a pensare a una nuova spedizione non appena il Norge terminò la sua trasvolata in Alaska, ben prima che emergessero le rivalità tra il dirigibilista italiano e l'esploratore norvegese Roald Amundsen sui rispettivi meriti per la trasvolata del dirigibile N-1 denominato Norge[8].
Nobile pensava di utilizzare un nuovo dirigibile semirigido, l'N-5, con capacità di gas tre volte superiore rispetto a quella del Norge, ma non riuscì a ottenere i fondi per il suo completamento e tantomeno l'autorizzazione a compiere la nuova impresa. La produzione italiana di dirigibili militari, infatti, subiva, già da anni, contrazioni a favore di quella degli aeroplani a causa della fragilità che il loro impiego bellico aveva dimostrato nella Grande Guerra[9]. Sulla scia di questo orientamento, alla fine del 1927, il Sottosegretario di Stato per la Regia Aeronautica Italo Balbo era contrario a nuovi investimenti nel settore dei dirigibili militari, preferendo dedicarli al settore degli aeroplani[10]. Già da alcuni anni, inoltre, erano nati contrasti personali tra Nobile e altri esponenti dell'Aeronautica militare italiana[11], tra questi, in particolare, il Generale Giuseppe Valle. Questi sollevò dubbi sulle doti di pilotaggio di aeronavi possedute da Nobile, a seguito di un incidente avvenuto il 14 aprile del 1924 con il dirigibile N-1 a Ciampino che aveva provocato la morte di due soldati e di un operaio[12].
Dopo le insistenze di Nobile[13], si raggiunse un compromesso: la spedizione sarebbe stata realizzata sotto l'egida e la gestione amministrativa della Reale Società Geografica Italiana con il concorso della Regia Aeronautica che avrebbe messo a disposizione il dirigibile N-4, l'utilizzo dello Stabilimento Costruzioni Aeronautiche di Roma, il comandante e capo della spedizione Umberto Nobile e parte dell'equipaggio tecnico per il funzionamento dell'aeronave[14].
Per le spese correnti, il Generale riuscì a ottenere fondi offerti da alcuni industriali, in particolare della stampa, e da privati della città di Milano riuniti in un Comitato finanziatore[15] che pensava di rientrare nei costi attraverso la vendita dei diritti giornalistici. Con l'aiuto del Sottosegretario Giuseppe Sirianni, Nobile ottenne il sostegno della Regia Marina Militare che mise a disposizione parte dell'equipaggio per la navigazione del dirigibile (ufficiali di rotta e radiotelegrafisti), l'intero sistema di comunicazioni radiotelegrafiche e la nave appoggio, con l'intero suo equipaggio, della Città di Milano, una vecchia nave posacavi opportunamente riadattata[16] il cui comando venne affidato al Capitano di Fregata Giuseppe Romagna Manoja[17]. La Regia Marina Militare affidò al Comandante Romagna anche un nutrito programma di ricerche scientifiche (di fisica terrestre, di mareografia e di mappatura dei fondali e delle coste) che furono sviluppate in collaborazione con l'Istituto Idrografico della Marina ottenendo buoni risultati[18][19]. Per gestire le emergenze, Umberto Nobile richiese l'appoggio di idrovolanti presso la Baia del Re, ma Italo Balbo rifiutò questa concessione poiché riteneva inadatti gli idrovolanti italiani ai voli polari; egli suggerì a Nobile di rivolgersi ai Paesi artici per organizzare gli eventuali soccorsi[20], ma ciò non fu fatto. Nobile ottenne comunque un piccolo drappello di otto Alpini alle dipendenze del Capitano Gennaro Sora[21]. Agli Alpini si aggiunsero anche alcuni giovani universitari del S.U.C.A.I. (Studenti Universitari Club Alpino Italiano) tra i quali Gianni Albertini e Sergio Matteoda[22]. Appoggi arrivarono anche dal Vaticano, tanto che l'equipaggio fu accolto in udienza da Papa Pio XI prima della partenza della spedizione[23].
Pur mantenendo la stessa struttura del precedente dirigibile N-1 (telaio a traliccio da poppa a prua a formare una sorta di chiglia per l'involucro, gondola di comando solidale con la travatura reticolare del telaio e 3 motori a eliche spingenti, 2 montati a coppia a metà lunghezza e uno verso la coda), l'N-4 presentava una capacità di sollevamento superiore e altre migliorie introdotte dall'esperienza del Norge[24]. Nobile poté contare su materiali più adatti ordinati appositamente per la nuova aeronave, mentre per il Norge aveva dovuto fare affidamento sui materiali già disponibili presso lo Stabilimento di Costruzioni Aeronautiche di Roma[25].
L'N-4 presentava inoltre una copertura in stoffa gommata rinforzata rispetto al Norge, e il telaio a traliccio presentava un doppio rivestimento per proteggere il metallo dai "proiettili di ghiaccio" che avevano afflitto la precedente aeronave durante il volo artico. I proiettili di ghiaccio erano piccoli agglomerati di neve e ghiaccio che si formavano sulla copertura del dirigibile e, quando se ne distaccavano, venivano accelerati dal flusso delle eliche. Inoltre era stata prevista una cupola d'osservazione[26] e una speciale catena di palle di bronzo del peso di circa 400 kg che poteva essere utilizzata come ancora. Nobile infatti sperava di poter fermare il dirigibile in posizione sopra il polo e di far scendere due esploratori tramite un verricello[27]. I cambiamenti introdotti da Nobile nella struttura dell'aeronave non piacquero al suo collaboratore l'ing. Felice Trojani, secondo il quale il dirigibile era diventato più debole e fragile, quindi esposto a pericoli di cedimento strutturale[28].
Al termine delle attività di preparazione, la spedizione poteva contare, a differenza di quella precedente, su un sistema organizzativo tutto italiano che aveva i suoi punti di forza sul dirigibile Italia, sulla nave appoggio Città di Milano con circa 200 persone a bordo (tra equipaggio e ospiti) e su una base operativa a Ny Aalesund, piccolo centro minerario della Baia del Re alle Isole Svalbard. A Ny Aalesund furono riutilizzati il pilone di ormeggio e l'hangar utilizzati dal Norge. Novità assoluta (per quei tempi) dell'impresa era costituita da un sistema di collegamenti radiotelegrafici a grande distanza, che prevedeva l'utilizzo sperimentale delle onde corte oltre alle tradizionali onde medie e onde lunghe. Gli impianti furono appositamente studiati dalla Regia Marina Militare sulla base di precedenti applicazioni nelle comunicazioni intercoloniali[29]. Le nuove tecnologie della comunicazione tenevano in costante contatto la nave appoggio, il dirigibile e la stazione radiotelegrafica di Roma San Paolo lungo tutto il percorso di oltre 4.000 chilometri della spedizione[30]. Artefici del sistema radiotelegrafico furono i comandanti Giuseppe Pession e Gino Montefinale che si avvalsero della collaborazione del Capitano Ugo Baccarani e del Tenente Francesco Buzzacchino[31]. Agli impianti radiotelegrafici principali furono aggiunte anche alcune stazioni radio campali, dotate di alimentazione autonoma, che fecero parte del carico della nave Città di Milano. Una di queste, particolarmente alleggerita e funzionante solo ad onde corte e per questo chiamata Ondina, fu caricata sull'aeronave in sostituzione del tradizionale sistema di soccorso della radio di bordo che, invece, avrebbe dovuto operare sulle onde medio-lunghe, secondo le convenzioni in vigore a quel tempo. Nelle intenzioni di Nobile, questa stazione radio doveva servire ad attrezzare il campo di osservazioni scientifiche sulla superficie polare[32].
Prima della partenza, il Comitato finanziatore di Milano, attraverso la mediazione del giornalista del Corriere della Sera Cesco Tomaselli, aveva ottenuto da Nobile e, quindi, dalla Reale Società Geografica Italiana, di organizzare un esclusivo servizio stampa per la spedizione[33]. Si trattava un piano di comunicazione che, attraverso l'utilizzo dello speciale sistema di radiotelegrafia della spedizione, avrebbe consentito di sfruttare a fini giornalistici le notizie della spedizione; a tale scopo erano stati stipulati diversi contratti di esclusiva con le principali Agenzie di stampa mondiali[34].
Per realizzare gli obiettivi scientifici della spedizione, Nobile ottenne la collaborazione di istituti scientifici italiani e stranieri, che fornirono la strumentazione necessaria[35].
Il programma di ricerche copriva geografia, geofisica, gravimetria, meteorologia, oceanografia, studio del magnetismo terrestre e della propagazione delle onde elettromagnetiche. Inoltre vennero previsti studi sulle Diatomee della baia del Re. La morte di Malmgren e di Pontremoli, la perdita degli strumenti e di parte della documentazione non consentì di valorizzare pienamente i risultati ottenuti. Vennero comunque verificati il principio secondo cui la ionizzazione dell'atmosfera decresce al crescere dell'aria e la sterilità dell'aria nelle regioni polari. La permanenza presso la Tenda Rossa, inoltre, offrì la possibilità di studiare la deriva dei ghiacci[36].
Umberto Nobile formò il gruppo degli uomini che sarebbero stati direttamente ai suoi comandi. Essi furono messi sotto contratto dalla Reale Società Geografica Italiana[37] secondo diversi ruoli[38].
L'equipaggio era così composto[39][40]:
Diversi membri della spedizione del Norge si ritrovarono per la spedizione dell'Italia: Ettore Arduino, Attilo Caratti, Natale Cecioni, Vincenzo Pomella, Renato Alessandrini e il meteorologo svedese Finn Malmgren[44]. Anche Felice Trojani, pur non avendo fatto parte di quell'equipaggio, aveva dato il suo contributo alla precedente spedizione: l'hangar a cielo aperto era infatti un suo progetto[45]. Veterana del precedente volo era anche la fox terrier Titina, inseparabile mascotte di Nobile.
Il progetto della missione artica polare del Generale Umberto Nobile era quello effettuare almeno 3 voli esplorativi a scopo scientifico e geografico, e conquistare effettivamente il Polo Nord.[46], facendo di nuovo riferimento alla base approntata presso la Baia del Re, attigua al villaggio di Ny-Ålesund nell'isola di Spitsbergen, nell'Arcipelago delle Isole Svalbard, in modo da riuscire a coprire tutte le diverse aree geografiche non ancora esplorate dell'Oceano e del pack Artico[47].
La missione polare aveva come obiettivo concreto quello di riuscire a sbarcare degli uomini proprio al Polo Nord geografico, mediante una speciale piattaforma calata sul pack, al fine di poter effettuare tutta una serie di rilievi e prelievi scientifici.
Il viaggio fu preparato con estrema attenzione scegliendo solo materiali di qualità ed attrezzature più avanzate dell'epoca; furono caricati, tra l'altro, 270 kg di strumentazioni e di materiali scientifici[48]. Al Polo Nord, Il Gen. U. Nobile, Pontremoli, Malmgren e Mariano sarebbero scesi sul pack per montare una speciale tenda al cui interno sarebbe stata installata una stazione radio e rifornita di razioni alimentari ed in seguito effettuare osservazioni, campionature e misurazioni.[49]
Il Dirigibile Italia partì dall'Aeroporto di Roma-Ciampino il 19 marzo 1928 alle ore 9 raggiungendo il largo di Civitavecchia per compiere dei test di ancoraggio e discesa in mare. Verso sera giunse a La Spezia e poi a Genova da cui iniziò la salita per superare il Monte Giovi, da cui poi raggiungerà Milano, facendo scalo a Baggio (Milano) alle ore 7, da dove ripartì il 15 aprile 1928 all'1:55[50][51].
Alle prime luci dell'alba l'Italia si trovò sulla verticale di Padova ed alle ore 6 sopra Venezia, giungendo nel Golfo di Trieste due ore dopo con il tripudio della gente. Superata la dorsale delle Alpi, il dirigibile incontrò un pericoloso fronte nuvoloso riuscendo a scorgere a quota 1500 m la città di Postumia. Proseguì seguendo la Sava diretto verso Zagabria da cui poi in Ungheria sulla verticale dell'aeroporto di Szombately e poi a Sopron e sul Lago di Neusidl a quota 800m, da cui fece rotta Nord per Vienna intravista alle ore 15. Gratz è raggiunta alla quota di 1400 m per superare i Piccoli Carpazi, ma a causa del forte maltempo dovette far rotta per Breslavia per proseguire poi per l'aeroporto di Stolp, atterrando all'Aerostazione situata a Sedding a Nord di Jeseritz[52][53]Il 16 aprile 1928 alle ore 7:50 locali, il dirigibile Italia fece tappa tecnica per i rifornimenti e le manutenzioni, ripartendo il 3 maggio 1928 alle ore 3:24 alla volta di Vadso sulla costa nord orientale della Norvegia dopo una sosta di 17 giorni necessaria per effettuare le riparazioni riportate a causa dei danni della grandine alle superfici di controllo[54][55][56].
Ripartito il 3 maggio 1928 alle ore 3:24, il Generale Umberto Nobile, ricevuti i bollettini meteo favorevoli, farà rotta per Vadsø in Norvegia ove era stato approntato dalla Marina Italiana un pilone di ormeggio a cui si agganciò alle ore 9:10 del giorno seguente. Dopo i rifornimenti di benzina ed idrogeno, il Dirigibile Italia mollò gli ormeggi alle ore 20:34 del 5 maggio facendo rotta per l'Isola degli Orsi da cui poi giunse alla Baia del Re il 6 Maggio 1928 alle ore 12:45, attraccando al pilone d'ormeggio, dal quale verrà poi trascinato dentro lo speciale hangar approntato dall'Ing. Felice Trojani, alle ore 20 circa.
L'11 maggio alle ore 7:55, il Dirigibile Italia decollò per il suo primo volo artico, ma a causa del maltempo abbandonò la rotta Nord da Capo Mitra, per dirigersi verso l'Isola di Moffen, ed infine per la costa Nord-Est della Groenlandia[57], ma a causa della rottura di un cavo di comando dei piani di quota, subito riparato, si decise di ritornare anche per la difficoltosa trasmissione radiotelegrafica con la nave appoggio Città di Milano, fortemente disturbata dalle trasmissioni radio della stazione di Ny-Ålesund. Il primo volo si concluse alle 16:20, dopo sole 8 ore e 25 minuti, che aveva anche provocato la pesante formazione di ghiaccio sui timoni orizzontali di quota[58].
Il secondo volo iniziò alle 13:20 del 15 maggio, e durò circa 3 giorni percorrendo 4000 km. L'esplorazione si mosse da Capo Mitra verso Nord-Est sorvolando le isole settentrionali della Terra di Francesco Giuseppe sino a Capo Fligely, arrivando in seguito a lambire la Terra del Nord (o Severnaja Zemlja, allora chiamata Terra di Nicola II) a Capo Vlissinger, costeggiando ad ovest sino a Capo Zhelaniya e Capo Nassau da cui cominciò la rotta di rientro per la Terra di Nord-Est delle Svalbard, terminando alla Baia del Re, raggiunta alle ore 9:15, riuscendo ad attraccare alle ore 10:20. In totale vennero esplorati 48000 km² di regioni sconosciute in 69 ore. In questa missione vennero compiuti rilievi cartografici su queste regioni, dimostrata l'inesistenza della Terra di Gillis ed effettuate rilevazioni sulla Terra del Nord–Est in cui venne evidenziata l'assenza di ghiacciai. Inoltre venne provato lo scandaglio acustico di tipo Behm per misurare le profondità marine. Fu anche rettificata la posizione dell'Isola Grossa[59].
L'obiettivo del terzo volo, che iniziò alle 4:28 del 23 maggio, era quello di raggiungere il Polo Nord, facendo rotta per Capo Bridgman al limite del Mare di Wandel nel Nord-Est della Groenlandia raggiunto alle ore 6:40.
Cronologia degli eventi:
L'involucro del dirigibile con i 6 uomini ancora a bordo non fu mai ritrovato. La posizione dell'impatto fu calcolata a 81° 14' latitudine nord, 25° 25' longitudine est[76], a circa 250 km dalla base italiana di Ny Aalesund alle isole Svalbard[77] a circa 30 miglia dall'Isola di Carlo XII[78]. I naufraghi si trovavano su di un lastrone di ghiaccio alla deriva che si spostava continuamente lasciando intravedere talvolta le isole di Foyn e di Broch[79]. Sulla sorte dell'involucro dell'Italia e dei sei uomini rimasti a bordo si fecero diverse ipotesi. Infatti, Biagi[80], Trojani[81] e gli altri superstiti[82] riferirono che circa mezz'ora dopo l'incidente, si vide una colonna di fumo all'orizzonte, segno che il dirigibile poteva essere precipitato e aver preso fuoco o che forse il fumo era un'ultima segnalazione degli altri membri dell'equipaggio. Nobile ritenne che il fumo fosse dovuto all'incendio di benzina dopo l'urto del dirigibile sul pack[83].
Le cause dell'incidente restano tutt'oggi dibattute. Nobile stesso non riuscì a dare una spiegazione, ma ipotizzò tre cause concomitanti: le incrostazioni di ghiaccio, una perdita di gas a poppa per l'apertura automatica di alcune valvole e, infine, una lacerazione dell'involucro dovuta alla rottura di un tubo dell'armatura[84].
Sia Nobile che Trojani e i sopravvissuti al disastro, durante la permanenza sul pack e successivamente, cercarono una spiegazione tecnica logica. Ne trovarono oltre 11, ma nessuna di esse sembrava plausibile e poté essere mai dimostrata[85]. Citiamo, tra le ipotesi, quella che la causa dell'appesantimento dell'aeronave fosse dovuta alle lacerazioni prodotte a seguito della rimozione, con attrezzi poco adatti e scarponi chiodati, della neve dall'involucro prima della partenza dell'aeronave[86].
Sulle cause dell'incidente si soffermò la perizia tecnica del Generale del Genio Aeronautico Gaetano Arturo Crocco, pioniere della costruzione dei dirigibili italiani[87] e mentore di Nobile nei suoi anni giovanili[88], che fu inserita negli atti dell'inchiesta governativa che fu condotta tra il 12 novembre 1928 e il 27 febbraio 1929 per chiarire i fatti della spedizione. Ascoltate tutte le testimonianze dei naufraghi, Crocco concluse che l'incidente fosse dovuto ad errori di manovra del Generale Nobile[89]. Contro la relazione di Crocco si sollevarono diverse contestazioni. In particolare, Nobile e Crocco continuarono a scontrarsi sulle pagine della Rivista Aeronautica nel 1945, ma ognuno rimase sul proprio parere[90].
Una recente analisi di fonti memorialistiche ha ipotizzato che la fatica operazionale abbia avuto un importante ruolo nell'incidente.[91] Infatti, al momento dell'incidente il gen. Nobile, per sua stessa ammissione, era rimasto sveglio per almeno 72 ore consecutive e poco prima dello schianto diede una serie di ordini inefficaci, associabili ad uno stato di fatica operazionale. È noto dalla letteratura specialistica che la privazione del sonno compromette proprio gli aspetti di funzionamento cognitivo necessari per comandare in volo, specialmente in condizioni difficili. La mancata scelta del comandante in seconda è stata probabilmente la ragione principale della deprivazione di sonno di Nobile.[92]
Tra i materiali recuperati vi era una stazione radio da campo ad onde corte composta da un ricevitore inglese Burndept[93] e da un trasmettitore costruito appositamente dalla Regia Marina Militare denominato Ondina 33[94] perché avrebbe dovuto funzionare, secondo il regolamento fissato prima della partenza, sulla lunghezza d'onda di 33 metri[32]. Biagi attivò la stazione radio con l'aiuto degli altri naufraghi e lanciò un primo breve S.O.S., ma non poté continuare a causa di un guasto al trasmettitore; riprese il giorno dopo. Dal 28 maggio aggiunse al messaggio di soccorso anche le coordinate dell'accampamento; inoltre, pensando, insieme a Nobile, di migliorare le comunicazioni, cambiò la lunghezza d'onda convenuta con la nave appoggio portandola su quella di 32 metri della Stazione radiotelegrafica di Roma San Paolo e aggiunse la frase "rispondete via IDO (nome in codice della stazione di Roma) 32". Il cambiamento del protocollo di comunicazione, le precarie condizioni di funzionamento della radio da campo, la particolare propagazione delle onde corte e l'uso spregiudicato delle stazioni radio alla base italiana di Ny Aalesund da parte dei giornalisti, impedirono a lungo il collegamento. Solo il 9 giugno la stazione radio della nave Città di Milano poté intercettare le coordinate dei naufraghi[95]. Quel giorno, sulla tenda, progettata per 4 persone e destinata alla eventuale discesa e breve permanenza sul pack[96], venne tracciato un reticolo di colore rosso con l'anilina destinata alle rilevazioni altimetriche al fine di farla riconoscere dagli aerei dei soccorritori.[97] La luce continua dell'estate artica fece però svanire il colore in pochi giorni, ma l'appellativo di Tenda Rossa era ormai cristallizzato nelle memorie[98].
Per il salvataggio dei sopravvissuti la nave appoggio Città di Milano si mobilitò per prima. Il 25 maggio Il Comandante Romagna Manoja lanciò l'allarme, chiese soccorsi e il 27 maggio si mobilitò verso le coste di Nord-Est delle Isole alla ricerca dell'aeronave[99]. In seguito si aggiunsero mezzi navali, aerei e terrestri provenienti da Italia, Francia, Germania, Finlandia, Norvegia, Svezia e URSS[100]. Gli sforzi internazionali, poco coordinati tra loro, presero vigore e divennero efficaci solo dopo l'intercettazione delle coordinate della posizione dei naufraghi. Ci vollero 48 giorni prima che tutti i superstiti dell'Italia e alcuni dei soccorritori che non erano riusciti a far ritorno alle loro basi venissero salvati. Nove soccorritori perirono nelle loro ricerche, e tra questi anche il famoso Roald Amundsen, disperso con il suo idrovolante Latham 47 nel corso delle operazioni.
L'elenco è tratto dalla parte terza " Le opere di soccorso" della relazione della "Commissione d'Indagine per la spedizione dell'aeronave Italia"[101] al quale si aggiungono gli studi fatti in seguito da Ovidio Ferrante[102], da Felice Trojani[103], da George Simmons[104] e da Fred Goldberg[105]. Non si tiene conto dei mezzi che furono impegnati per le ricerche dell'aereo di Amundsen dopo la sua scomparsa avvenuta il 18 giugno del 1928 e nemmeno dei mezzi messi a disposizione da privati svedesi, francesi, tedeschi e statunitensi che non riuscirono ad operare o il cui apporto non ebbe alcuna rilevanza.
La cronologia è tratta dal libro di Umberto Nobile "L'Italia al Polo Nord"[109] e dalla parte terza della Relazione dell'Inchiesta governativa del 1928-29[110] che vengono integrati da altri documenti e libri indicati nelle note[111].
Il bilancio delle vittime della spedizione del dirigibile "Italia" salì così a 17, contando i 6 uomini dispersi con l'involucro dopo l'incidente, il motorista Pomella morto durante l'impatto della navicella, il meteorologo Malmgren perito nel tentativo di salvarsi con una marcia sui ghiacci, i 9 uomini degli aerei di Amundsen e di Penzo. Nel 1929 si aggiunse un'ultima vittima: la guida alpina Giulio Guedoz.
Abbandonate le operazioni di ricerca ufficiali, un anno dopo la sciagura una nuova spedizione fu attrezzata per cercare i dispersi dell'Italia nella speranza che fossero ancora vivi.
La nuova spedizione ebbe il finanziamento privato dei senatori Silvio Crespi, Senatore Borletti, Giuseppe Bevione e del commendator Francesco Luigi Merli; ebbe inoltre l'approvazione del Duce Mussolini e finanziamenti del Partito Fascista, oltre che un contributo economico privato di papa Pio XI. Il comando fu affidato all'ingegner Gianni Albertini[129], il quale partì con la baleniera Heimen-Sucai da Bergen il 15 maggio del 1929 e fece ritorno a Tromso il 5 ottobre 1929. Durante la spedizione perse la vita la guida alpina di Courmayeur Giulio Guedoz[130].
La ricerca del relitto dell'aeronave e dei resti della spedizione, interrottasi de facto all'inizio degli anni Trenta, si ripropone oggi come possibile in forza del notevole sviluppo delle tecnologie di ricerca e del sempre più ampio ritiro dei ghiacci a causa del cambiamento climatico. Nell'estate 2018, nel quadro delle iniziative per il 90º anniversario dei voli dell'Italia, la spedizione di ricerca e comunicazione scientifica PolarQuest 2018 ha dedicato una parte delle proprie operazioni ad una visita sui luoghi della caduta del dirigibile e dell'epopea dei soccorsi.[131] Tale spedizione ha previsto l'impiego del natante ecosostenibile NANUQ ed è stata diretta da Paola Catapano (project leader) e da Peter Gallinelli (skipper) con un equipaggio di ricercatori ed esperti di comunicazione. PolarQuest 2018 ha, in particolare, condotto la prima ricognizione sonar “mirata” di una delle possibili aree di presenza del relitto del dirigibile.[132] I dati sono attualmente in fase di elaborazione.
Una seconda spedizione, denominata Airship Italia Search Expedition 2018, diretta da Simone Orlandini, avrebbe dovuto svolgersi nello stesso periodo con l'impiego della goletta MEA LUX. A causa di una grave avaria della stessa, verificatasi durante il viaggio di avvicinamento alle Svalbard, le operazioni previste non hanno avuto luogo.
Dal Dirigibile Italia e dalla spedizione di Nobile del 1928 prende il nome la Base artica Dirigibile Italia, stazione di ricerca italiana situata a Ny-Ålesund.
In alcuni musei in Italia e in Europa sono conservati diversi cimeli e opere a ricordo della spedizione[133]:
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