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film del 1960 diretto da Leopoldo Trieste, collaboratore alla regia Carlo Moscovini, aiuti alla regia Vincenzo Gamna, Silvio Maestranzi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il peccato degli anni verdi è un film del 1960 diretta da Leopoldo Trieste.
Il peccato degli anni verdi | |
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Marie Versini e Maurice Ronet in una scena del film | |
Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1960 |
Durata | 87 min |
Dati tecnici | B/N |
Genere | sentimentale, drammatico |
Regia | Leopoldo Trieste |
Soggetto | Leopoldo Trieste |
Sceneggiatura | Leopoldo Trieste |
Produttore | Pasquale Petricca |
Produttore esecutivo | Vico Pavoni |
Casa di produzione | Nord Industrial Film |
Distribuzione in italiano | Globe Films International |
Fotografia | Armando Nannuzzi |
Montaggio | Edmondo Lozzi |
Musiche | Igino Negri, dirette dall'autore |
Scenografia | Piero Filippone |
Costumi | Nadia Vitali |
Trucco | Duilio Scarozza, Emo Guidi |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori originali | |
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Commedia dai toni romantici girata negli stabilimenti Luce, venne dapprima annunciata col titolo L'assegno, ma già alla rappresentazione al Festival di Locarno nel luglio 1960 il regista decise di cambiare il titolo per evitare la confusione col film La cambiale, nelle sale in quel periodo.[1]
Uscita da un collegio di suore a Como, la diciassettenne milanese Elena Giordani riesce a convincere i suoi genitori a farle trascorrere le vacanze estive insieme con l'amica genovese Diana D'Aquino nella sua villa di Rapallo.
Diana approfitta della presenza di Elena, per distrarre il giovane industriale milanese, Paolo Donati, che sta provando a corteggiare sua madre. Dopo un paio di incontri organizzati da Diana, Paolo invita Elena ad una gita sul suo panfilo.
Dopo una passeggiata a Portofino, dove incontrano Martina, una turista olandese, l'inesperta Elena subisce il fascino di Paolo e in breve tempo se ne innamora. Pensando di cominciare una grande storia d'amore, si lascia sedurre e rimane incinta.
Tornati a Milano, Elena si accorge che Paolo è diventato distaccato e considera la loro soltanto un'avventura estiva ormai finita. Anche dopo essere venuto a conoscenza della gravidanza, Paolo rimane freddo e suggerisce perfino ad Elena di abortire.
Per questo, più per impulso che per convinzione, Elena decide di chiedergli del denaro, per evitare di denunciarlo per aver sedotto una minorenne. Paolo accetta e le consegna un assegno che Elena non incasserà mai.
I genitori cercano di convincere i due ragazzi a rimettersi insieme per dare al nascituro una famiglia. Ma Paolo ha cominciato una nuova storia con Martina, la turista olandese conosciuta in vacanza, ed Elena ha capito che non può sposarsi con un uomo solo per necessità, come aveva fatto anni prima sua madre accettando un matrimonio di interesse.
Così Elena decide di partorire da sola e crescere il bambino con l'aiuto di sua madre.
Il soggetto del film arrivò a Leopoldo Trieste in modo del tutto fortuito. In un bar di Pisa, in compagnia di Totò e Gino Cervi durante la pausa della lavorazione del film Il coraggio gli si avvicina una ragazza, Lucia, che chiede un autografo "all'autore Trieste, non all'attore", decisa inoltre a confidare una storia da lei vissuta, la storia di un assegno. Trieste le chiese il permesso di trarre da quella storia un soggetto cinematografico, proponendole di dividere a metà il guadagno prodotto da esso.[2]
Il produttore Carlo Ponti era intenzionato a dare il ruolo da protagonista a Jacqueline Sassard, mentre il regista aveva scelto Carla Gravina.
La commissione di revisione cinematografica nega al film il certificato di nazionalità italiana, come da legge, poiché oltre i due terzi dei protagonisti sono di nazionalità non italiana. Essendo di fatto un film apolide vengono negati tutti i benefici legislativi previsti, figurandosi verso gli esercenti un invito alla non distribuzione, avendo così una distribuzione estremamente limitata.[3][4]
«Al film sono, forse, di nocumento il modo di prendere un po' troppo alla lontana la storia vera e propria (il sotterfugio a cui ricorre l'autore per dare l'avvio, ci è apparso un po' troppo arzigogolato e meccanico) e una certa tendenza alla divagazione. Ma, come s'è detto, oltre ad aver centrato il problema, Trieste ha avuto momenti particolarmente felici: come nel dialogo tra la protagonista e la madre, come negli episodi che rivelano alla ragazza l'impossibilità morale di stringere un nodo definitivo senza possedere l'amore totale, esclusivo, del probabile futuro coniuge, che accetta solo perché pressato dai genitori. Un'opera, dunque, malgrado i suoi difetti, intelligente, polemica, coraggiosa, che torna ad onore del commediografo che debuttò con successo nell'ormai remoto 1946.»
«Un piccolo melodramma piuttosto scontato se non nella conclusione, sicuramente nello svolgimento: gli elementi anticonformistici (come la richiesta di risarcimento danni e la sospensione del matrimonio riparatore) vengono smorzati da una struttura poco compatta e da dialoghi privi di adeguata efficacia.»
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