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madre del figlio naturale di Benito Mussolini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Ida Irene Dalser (Sopramonte, 20 agosto 1880[1] – Venezia, 3 dicembre 1937) fu la prima moglie, ufficialmente sposata in chiesa, di Benito Mussolini, dal quale ebbe un figlio, Benito Albino.
Nata vicino a Trento, facente allora parte della Contea del Tirolo nell'Impero austro-ungarico, era figlia di Albino Dalser di Sopramonte. La giovane Dalser si diplomò a Parigi come estetista,[2] per poi trasferirsi a Milano nel 1913 e aprire un salone di bellezza sul modello francese, denominato Salone orientale di igiene e bellezza Mademoiselle Ida[3]. Intraprese quindi una relazione sentimentale con Giuseppe Brambilla, che era amministratore delegato della Carlo Erba, il quale le promise il matrimonio, ma, quando la relazione naufragò, lei lo denunciò il 2 maggio 1914, chiedendo un risarcimento di 100.000 lire[3]. La sua istanza fu respinta[3].
Al contempo intraprese una relazione con Mussolini, che aveva già conosciuto nel 1909 a Trento quando era giornalista del locale periodico socialista diretto da Cesare Battisti. Mussolini aveva conosciuto Rachele Guidi, da cui pure aveva avuto una figlia, che sposerà con rito solo civile a Treviglio il 16 dicembre 1915, prima di partire per la guerra. Nel 1915 Ida Dalser comunicò a Mussolini di aspettare un figlio: Benito Albino nacque l'11 novembre 1915[4] e fu riconosciuto dal padre l'11 gennaio 1916[5], assumendone quindi il cognome. Ormai unito a Rachele Guidi, Mussolini venne obbligato alla tutela del figlio e a versare un assegno mensile di 200 lire, cosa che non fece mai, benché la Dalser avesse finanziato l'attività politica e il quotidiano Il Popolo d'Italia di Mussolini, mettendo in vendita i muri del suo salone di bellezza.
Nel 1917, mentre Mussolini si trovava ricoverato in ospedale a Milano in seguito a ferite riportate durante un'esercitazione, fu raggiunto nuovamente dalla Dalser, che fu aggredita da Rachele, che le urlò di essere lei la vera signora Mussolini. Le due donne finirono per azzuffarsi davanti a Mussolini, che giaceva nel letto impossibilitato a muoversi[6]. Nel 1918 Dalser scrisse al direttore del Corriere della Sera che Mussolini voleva disfarsi di lei al fine di non rendere palesi «le sue comunicazioni e l’oro illecito avuto dai traditori per fondare quel losco e nefasto giornale» [7], dato che il salone non le apparteneva[6].
A seguito delle nuove intemperanze, la Dalser fu costretta ad abbandonare Milano;[8] il decreto prefettizio sostenne in motivazione che Dalser provocava:
«grave pericolo di turbamento dell'ordine pubblico, pel contegno provocante verso la famiglia del professor Mussolini, per i propositi di vendetta da lei manifestati, per le relazioni da lei coltivate, per i raggiri ai quali ricorreva per vivere.»
La Dalser fece ritorno a Milano dopo la fine della guerra e si rese protagonista di tentativi di irruzione nella sede del Popolo d'Italia, in cui lavorava Mussolini, come ricordato all'epoca da Nicola Bonservizi e Cesare Rossi[9]. Nel dicembre del 1919 si trasferì a Sopramonte insieme con le sorelle e cominciò a dedicarsi esclusivamente al piccolo Benito Albino. Nel 1921 la sorella Adele si sposò con Riccardo Paicher, il quale, trasferitosi a Trento con la moglie, assunse in breve anche la tutela legale del figlio di Ida, che così assunse il nuovo cognome di Paicher.
Dopo la Marcia su Roma, Mussolini, ormai arrivato al potere, fece scattare nei confronti di Ida misure restrittive per impedirle di abbandonare Trento. Il 19 gennaio 1925 Mussolini depositò presso la Cassa di Risparmio di Trento la somma di 100.000 lire a favore di Benito Albino, il quale avrebbe potuto entrarne in possesso solo al compimento della maggior età[10]. La Dalser, nel frattempo, non si era rassegnata al ruolo di ex moglie e pretendeva di essere riconosciuta come tale, in quanto prima consorte di Mussolini: tra il 1924-1925, elusa la sorveglianza dei parenti, salì su un treno per precipitarsi a Roma e chiedere udienza a Mussolini, ma fu fermata all'ingresso di Palazzo Venezia[11].
Nel frattempo Riccardo Paicher, che mal tollerava le intemperanze della cognata Ida, scriveva sempre più spesso lettere ad Arnaldo Mussolini lamentando la situazione:
«La mia, purtroppo, signora cognata Ida Dalser, nei suoi eccessi di malata isterica e nevrastenica a forma acuta mi diventa ogni giorno sempre più molesta e insopportabile. Sono persino costretto ad astenermi di portare mia moglie in campagna a Sopramonte nella mia proprietà per non subire gli eccessi di quella disgraziata e per non giungere a gravi conflitti. Siccome non intendo più tollerare questo stato di cose e siccome credo di avere tutto il diritto di usare la mia proprietà come a me pare e piace, soprattutto per far godere a mia moglie e al piccolo Benito, che già considero come mio figlio, ho dovuto prendere la decisione di vendere la proprietà, unico mezzo per liberarmi da una terribile molestia.»
La censura occultò l'intera vicenda, quando il foglio clandestino Non mollare rivelò il contenuto di una dichiarazione giurata della Dalser, depositata presso un notaio torinese, in cui tra l'altro si dava notizia dell'esistenza del figlio[12].
Dopo una nuova intemperanza a Trento, questa volta rivolta contro il ministro della pubblica Istruzione Pietro Fedele, fu immobilizzata e portata in questura dalla polizia. I medici a questo punto ne ordinarono l'internamento nel manicomio di Pergine Valsugana e in seguito in quello di San Clemente a Venezia. Il 25 giugno 1925 il piccolo Benito Albino fu destinato a un nuovo tutore nella figura del sindaco di Sopramonte Giulio Bernardi. Quando il nuovo tutore si recò a prelevare il bambino accompagnato dalle forze dell'ordine, i Paicher si opposero e il bambino diede in escandescenze, tanto che si ricorse a un fazzoletto imbevuto di etere per stordirlo[11].
Nel 1934, ritornata a Pergine Valsugana per il Natale, vi rimase fino al luglio del 1935, quando fuggì, riuscendo a raggiungere Sopramonte. Ritrovata, fu trasferita definitivamente al manicomio psichiatrico di San Clemente a Venezia, dove morì un paio di anni dopo per emorragia cerebrale[13]; gli studiosi della vicenda hanno definito la sua scomparsa "un delitto di regime". Resta ignoto ove sia stata sepolta.[14].
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