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filosofo tedesco (1770-1831) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (IPA: [ˈɡeːɔɐ̯k ˈvɪlhɛlm ˈfʁiːdʁɪç ˈheːɡl̩]; Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831) è stato un filosofo, storico e giurista prussiano.
Oltre a farsi interprete delle correnti di pensiero a lui contemporanee, come gli illuministi o Kant, si interessa della filosofia antica, della morale cristiana e del valore biografico e mitologico di Gesù.
Nella sua prima grande opera sistematica, la Fenomenologia dello spirito, il pensiero di Hegel spazia in molti campi di applicazione teorica, in particolare l'ontologia, l'epistemologia, la metafisica, la logica, la filosofia del diritto, della politica, della storia, della religione e dell’arte.[1] Nelle opere della maturità, poi, Hegel elabora un ampio e articolato "sistema" in cui trovano un posto e un senso tutte le scienze, le arti, le istituzioni, e ogni altra espressione della ragione di tutti gli uomini di tutti i tempi.
Nell'ambito dell'idealismo tedesco i suoi contributi, che portano a un superamento dei predecessori Fichte e Schelling, rendono Hegel una figura di primo piano in un'eminente cultura della Germania: viene infatti considerato la voce filosofica della monarchia prussiana, divenendo così il massimo filosofo d'Europa.[2]
Conduce una florida carriera accademica, fino a Berlino (dove si insedia sulla cattedra dell'ex docente Fichte). Ivi diviene rettore, e gli ultimi anni della sua vita sarebbero passati all’insegna di una svolta conservatrice da parte del filosofo, la quale andrebbe a contraddire il giovane Hegel, di tendenze liberali e addirittura entusiastiche per la Rivoluzione francese.[3] Di fatto, Hegel si sarebbe pubblicamente posto contro le grandi riforme di matrice liberaldemocratica o anche socialdemocratica in Europa.[4]
Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce il 27 agosto del 1770 a Stoccarda, primogenito di Georg Ludwig Hegel, funzionario di alto rango nonché cancelliere al Ducato del Württemberg.[5] La famiglia Hegel, in seguito, si sarebbe allargata: sarebbero di fatto nati Ludwig e Christiane. Ambedue, tuttavia, sarebbero andati incontro a un destino tragico: il primo sarebbe morto durante la campagna di Russia in veste di ufficiale dell'esercito napoleonico, mentre la seconda sarebbe impazzita a causa di stenti, e conseguentemente internata in un manicomio.[6] Il giovane Hegel venne educato privatamente da un tutore di famiglia ma anche frequentando il ginnasio di Stoccarda. Si rivelò sin da subito un prodigio: a cinque anni imparò la prima flessione della lingua latina[7], a otto anni iniziò a leggere esaustivamente le opere teatrali di Shakespeare regalategli dal suo tutore, a dieci anni apprese rudimenti di geometria e astronomia e cominciò a covare il suo interesse per l'età classica, come anche per la botanica e per la fisica.[8] A undici anni, inoltre, apprese propriamente le nozioni di logica proposte dall'illuminista Christian Wolff, e in particolare il sillogismo.[9]
Sebbene l'interesse di Hegel si rivolgesse all'illuminismo tedesco e alle nascenti teorie filosofiche che comunque concordavano con il rigore ideologico preteso dal padre, era palese il suo favoritismo per lo studio del greco in tutte le sue forme: traduce infatti Longino, Epitteto e Sofocle (del quale produce una versione dell'Antigone), e comincia a scrivere vari saggi sulla letteratura, sull'estetica, sulla fisiognomica, sulla matematica, sulla fisica (e in particolare sulla teoria dei colori), sulla psicologia, sulla pedagogia, sulla teologia e sulla filosofia. Inoltre impara il francese, e passa il tempo a ricopiare le note di Rousseau.[10] Karl Rosenkranz, primo biografo di Hegel, avrebbe infatti rintracciato nel pensiero giovanile di Hegel un allineamento maggiore con gli illuministi che con Kant.[11]
I suoi studi ginnasiali si conclusero nel 1788 con un discorso finale del giovane Hegel di matrice sociologica e politica circa l'istruzione, l'arte e le loro pessime procedure ministeriali nel contesto atavico dell'Impero ottomano.[12]
Secondo il volere paterno, Hegel era avviato per il destino di teologo. D'altronde, ne era una rimostranza il suo talento dissertativo circa i problemi esegetici dell'antichità, ad avviso del padre. Dunque, all'età di diciotto anni, immediatamente dopo la sua maturità, Hegel venne ammesso allo Stift, un seminario collegiale protestante, posto come anticamera dell'Università di Tubinga. Lì, condivide la camerata con il poeta Hölderlin, suo coetaneo, e Friedrich Schelling.[13] Il giovane Hegel tuttavia si sarebbe ben presto rivelato insofferente alla disciplina del seminario e alle sue regole. Insieme con i suoi compagni avrebbe ricevuto da parte dei professori soventi rimproveri, i quali gli addebitavano l'assenza alle lezioni, la trascuratezza dell'uniforme collegiale e la pigrizia. Apparentemente infatti Hegel avrebbe passato la maggior parte delle giornate a dormire in camerata con i suoi compagni, presentandosi raramente a lezione. Si presume che Hegel andò all'Università di Tubinga poiché era statale: Hegel di fatto non voleva intromettersi negli affari religiosi.[11] I tre studenti divennero presto amici, condividendo ferventi idee liberali che andavano a scontrarsi contro il clima soventemente conservatore del seminario e dell'università. Hegel continua intanto a leggere gli autori illuministi, aumentando le sue tendenze ideologiche: legge in particolare Rousseau e Lessing. Nel 1789, alla notizia della presa della Bastiglia e dello scoppio della rivoluzione in Francia, i tre compagni si cimentarono con fervore negli avvenimenti, celebrandoli e, di conseguenza, subendo una dura punizione impartita dal corpo docente. Un'altra punizione gli venne impartita per aver piantato nel cortile del seminario l'albero simbolo dei rivoluzionari francesi.[14] Anche dopo le pieghe radicali dei fatti francesi, Hegel non avrebbe perso l'entusiasmo per la rivoluzione, identificandosi nella parte moderata e coscienziosa del Parlamento rivoluzionario, capeggiata dai Girondini. Di fatto, in coerenza ai princìpi del 1789, ogni 14 luglio Hegel avrebbe prestato onore all'importante anniversario storico con una bottiglia di buon vino.[15][16] Intanto, Hegel comincia ad avvertire i primi dissensi con i suoi amici: riferisce infatti che, mentre dibattono su Kant, Hegel si sente escluso[17], e che egli stesso matura nei loro confronti una visione che li dipinge come arroganti, ambendo dunque a diventare un filosofo "del popolo", sostenendo che i "precetti" kantiani non potessero combaciare la volontà del popolo tedesco. Maturò in tal senso una specie particolare di nazionalismo.[18] Nel 1790, si laurea in filosofia con un giudizio lodevole. La sua tesi verteva sulla morale kantiana e sul concetto di dovere in tale ottica.[19] Accede dunque all'Università di Tubinga. In preda all'euforia, si iscrive al corso di teologia, seguendo la storia esegetica delle lettere apostoliche, dei Salmi ma, al tempo stesso, studia Cicerone, storia della filosofia, metafisica, teologia naturale e anatomia.[20] Tuttavia, è sempre l'Hegel indispettito dalla docenza clericale di Tubinga[21]
Non ama l'ambiente clericale e oligarchico di Berna; nel gennaio 1797 si trasferisce a Francoforte, dove Hölderlin gli ha procurato un nuovo posto di precettore. Nel 1798 scrive il saggio Sulle più recenti vicende interne del Württemberg specialmente sul deplorevole stato della magistratura, pubblicato nel 1913, in cui lamenta la crisi interna della sua patria e propone l'elezione diretta dei magistrati da parte dei cittadini. Tra la fine del 1796 e l'inizio del 1797 dà stesura definitiva a un testo, probabilmente scritto da Hölderlin, che sarà pubblicato nel 1917 da Franz Rosenzweig col titolo Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco.[22] Il 14 gennaio 1799 muore il padre.
Porta a compimento Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino (pubblicato da Nohl nel 1907)[23] gradualmente allontanandosi dalla concezione kantiana di una religione nei limiti della sola ragione; nel settembre del 1800 scrive il Frammento di Sistema, in cui, oltre a un abbozzo di dialettica, mostra un'oscillazione, nella sua filosofia, fra una conclusione di tipo prettamente filosofico e uno religioso.
Nel gennaio del 1801 si trasferisce a Jena, in quegli anni capitale della cultura tedesca, ospite di Schelling che insegna nella locale università. Pubblica in luglio la Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling per aprirsi la strada all'insegnamento che ottiene con la dissertazione De Orbitis Planetarum,[24][25][26] Hegel non aveva intenzioni teoriche serie per l'appendice planetaria, ma cercava piuttosto di prendere in giro l'astrofisica a priori del suo tempo utilizzando, tra l'altro, la definizione di scherzo di Christian Wolff.[27] Conosce a Weimar Schiller e Goethe che in una lettera a Schiller del 27 novembre 1803 sottolinea la goffaggine di Hegel nella conversazione, un difetto che appare anche nell'esposizione delle sue lezioni universitarie[28]
Dal 1802 al 1803 con Schelling pubblica il Giornale critico della filosofia e scrive La costituzione della Germania e il Sistema dell'eticità, pubblicati postumi nel 1893. Inizia nel 1806 una relazione con la sua affittacamere Christiane Charlotte Fischer Burckhardt, dalla quale, il 5 febbraio 1807, ha il figlio Ludwig. Il 13 ottobre l'esercito francese entra a Jena; Hegel vede da lontano Napoleone e scrive all'amico e collega Friedrich Immanuel Niethammer: "[...] l'imperatore - quest'anima del mondo - l'ho visto uscire a cavallo dalla città, in ricognizione; è davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, spazia sul mondo e lo domina...".[29] Il suo alloggio viene requisito e va a Bamberga per due mesi; tornato a Jena, pubblica nel marzo 1807 la Fenomenologia dello spirito con la quale, per le critiche che vi sono contenute, si consuma la rottura con Schelling. Il 1º marzo Hegel si trasferisce a Bamberga a dirigere il modesto quotidiano Bamberger Zeitung (Gazzetta di Bamberga).
Il 6 dicembre 1808 viene nominato rettore e professore di filosofia all'Egidien Gymnasium (Liceo Egidien) di Norimberga: le sue lezioni saranno pubblicate postume nel 1840 con il titolo di Propedeutica filosofica. Nel settembre 1811 sposa la ventenne aristocratica Marie von Tucher, da cui avrà due figli, Karl (1813-1901) e Immanuel (1814-1891). Nell'occasione, scrive all'amico Niethammer: "Ho raggiunto il mio ideale terreno, perché con un impiego e una donna si ha tutto in questo mondo".[30][31]
Nell'ottobre del 1809 le truppe napoleoniche entrano a Jena. La città è ridotta a un lazzaretto e Hegel è costretto ad abbandonare la propria casa e a trasferirsi dalla famiglia Frommann.[32]
Dal 1812 al 1816 pubblica la Scienza della logica, dal 1813 è sovrintendente delle scuole elementari di Norimberga, dal 28 ottobre 1816 insegna filosofia all'Università di Heidelberg. Mostra la sua posizione politica nel 1817 con lo scritto, pubblicato anonimo, Valutazione degli atti a stampa dell'assemblea degli stati territoriali del regno del Württemberg negli anni 1815 e 1816, in cui sostiene che in una costituzione quale quella proposta da Federico I di Württemberg, siano riconosciuti i privilegi degli Stände, le corporazioni rappresentate negli Stati generali del regno. Nel giugno pubblica l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.
Nel novembre 2022, nella biblioteca diocesana dell'Arcidiocesi di Monaco e Frisinga, il biografo di Hegel Klaus Vieweg ha scoperto più di 4 000 pagine di appunti dalle lezioni di Hegel all'Università di Heidelberg. Queste annotazioni trattano principalmente di estetica e furono scritte da Friedrich Wilhelm Carové tra il 1816 e il 1818. Vieweg sostiene che questo materiale aiuterà gli studiosi a risolvere il problema relativo all'autenticità delle trascrizioni di Heinrich Gustav Hotho, che finora sono state l'unica fonte sull'estetica hegeliana. Questi nuovi appunti sono gli unici disponibili risalenti al periodo di insegnamento di Hegel a Heidelberg, e potranno essere di estrema utilità per ricostruire la genesi del pensiero estetico del filosofo e la relazione dell'arte con la religione e la filosofia in generale.[33] Secondo Roberto Esposito si tratta di una "prodigiosa scoperta", paragonabile a un eventuale ritrovamento di una inedita composizione di Mozart o della Battaglia di Anghiari di Leonardo. Sempre secondo lo studioso italiano, questo nuovo materiale tratterebbe essenzialmente del tema della libertà, che, per Hegel, non consisteva nella "libertà incondizionata alle ferite della vita", bensì in quella "intesa nei suoi condizionamenti storici, calata nelle istituzioni sociali e politiche".[34]
«Verità nella filosofia significa questo, che il concetto corrisponde alla realità.»
L'anno prima del suo arrivo si erano manifestati fortissimi fermenti studenteschi in occasione del tricentenario della riforma protestante: 1517-1817. Proprio alla vigilia della venuta di Hegel a Berlino, i giovani che avevano ricordato il centenario di Lutero, lo avevano collegato con lotte di carattere radicale, democratico, e avevano fra l'altro fatto falò di libri degli scrittori reazionari. Il 24 gennaio 1818 è nominato professore di filosofia nell'Università di Berlino: nella prolusione del 22 ottobre esalta lo Stato prussiano ed entra in polemica con il giurista Friedrich Carl von Savigny e con il filosofo e teologo Friedrich Schleiermacher.
Il 23 marzo 1819, lo studente Carl Ludvig Sand, membro di una Burschenschaft (associazione studentesca) radicale, uccide a Mannheim il drammaturgo tedesco August von Kotzebue, spia russa. Sorgono forti polemiche fra molti filosofi berlinesi che si scagliano contro la condanna a morte dell'assassino. Professori di diritto e di teologia vengono allontanati dalle loro cattedre. Il regime prussiano reagisce con la censura sulle piccole pubblicazioni, estesa nel 1820 su tutte le opere, anche sui grandi volumi, limitando ulteriormente la già scarsa libertà di stampa e d'insegnamento; Hegel, in precedenza sostenitore dell'associazione, la condanna e si affretta a rielaborare i suoi Lineamenti di filosofia del diritto che escono nell'ottobre del 1820. La dissociazione pubblica non segnò necessariamente un reale cambiamento di idee del filosofo.
Solo nella seconda metà del '900, vengono pubblicati in Germania gli appunti degli studenti di Hegel, da cui risulta una "doppia personalità": un Hegel "essoterico" che si rivolge al grande pubblico con la "Filosofia del Diritto" e le opere sottoposte a censura, e uno "esoterico" che manifesta posizioni decisamente più aperte agli studenti durante i suoi corsi universitari[35][36]. Oltre al motivo storico della censura, vi è anche ravvisabile la volontà - analogamente a Platone - che la filosofia sia all'interno di un percorso iniziatico, in cui il sistema completo, la verità intera, è mostrata a pochi.
Nel 1822 viaggia nei Paesi Bassi, nel 1824 a Praga e a Vienna; nel 1825 impone al figlio illegittimo Ludwig, che gli aveva rubato del denaro, di non portare più il suo cognome. Ludwig assume il cognome della madre, Fischer, e lascia la Germania: arruolato nell'esercito olandese, morirà di malaria a Giakarta il 28 agosto 1831, pochi mesi prima del padre. Nel 1827 escono gli Annali per la critica scientifica, rivista dell'hegelismo, cui collaborano, tra gli altri, Goethe e i fratelli Wilhelm e Alexander von Humboldt. Ad agosto parte per Parigi, dove è ospite dello storico e filosofo Victor Cousin. Il 18 ottobre, di ritorno a Berlino, incontra Goethe a Weimar; discutono della dialettica e Hegel dice che essa non è altro che lo spirito di contraddizione insito in tutti gli uomini, disciplinato in regole definite.
Nell'ottobre del 1829 Hegel, rettore dell'università di Berlino, nella prolusione accademica, celebra l'accordo tra la legge dello Stato e la libertà d'insegnamento. Nel 1830 condanna duramente le rivoluzioni liberali in Francia e in Belgio; nell'aprile del 1831 esce sulla Gazzetta ufficiale dello Stato prussiano l'ultimo scritto di Hegel, Sul progetto inglese di riforma elettorale, in cui condanna l'estensione del suffragio elettorale e si dichiara a favore del riconoscimento degli ordini sociali, i cosiddetti Stände.
Muore improvvisamente il 14 novembre, di colera o forse di un tumore allo stomaco, e gli vengono tributati funerali straordinari. Il teologo Philipp Marheineke e il critico Friedrich Förster pronunciano i sermoni funebri. Hegel è paragonato da quest'ultimo a un "cedro del Libano" e alla "stella del sistema solare dello spirito del mondo". Jacques D'Hondt vede in questi paragoni un'allusione alla massoneria e ricorda che l'articolo Freimaurerei (Massoneria) di Der Grosse Brockhaus lo dà come massone[37], della quale Hegel sarebbe stato membro come Fichte, vicino alla tomba del quale viene sepolto secondo la sua volontà, nel cimitero di Dorotheenstadt.
Dopo la sua morte, sulla base degli appunti raccolti dagli studenti, furono pubblicate nel 1832 le Lezioni sulla filosofia della religione e le Lezioni sulla storia della filosofia, nel 1837 le Lezioni sulla filosofia della storia, nel 1836 e nel 1838 le Lezioni sull'estetica.
All'interno del pensiero idealistico Hegel elabora una filosofia autonoma, che, a partire dai primi lavori degli anni di insegnamento a Jena, mira alla elaborazione di un sistema maturo, poiché «soltanto come scienza o come sistema il sapere è effettuale, e può venire presentato soltanto come scienza o come sistema[38].» Infatti la filosofia «è essenzialmente sistema»[39]». L'esigenza della costruzione di un sistema, come organizzazione ordinata e universale del sapere, rispondeva nell'ambiente romantico-idealistico:
«Il vero è l’intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto a divenir - se – stesso.»
Sin dagli Scritti teologici giovanili Hegel si oppone energicamente al cosiddetto "principio del nord", a quella separazione tra ideale e reale che era tipica del kantismo e che non lasciava spazio alla conoscenza del Reale, inteso questo come l'Intero dal quale la Ragione traeva il suo senso e il suo perché:
«Il vero è l'intero.[41]»
Per Hegel il presupposto della verità della conoscenza è un monismo assoluto di forme spirituali che si evolvono e si assolutizzano in un'unicità diveniente continua, dove il materiale e lo spirituale sono indistinguibili e connessi in un continuo superamento di "momenti" necessari del divenire storico per mezzo di una fenomenologia dove ciò che è posto trova la sua negazione e poi il suo superamento in una nuova figura (o appunto "fenomeno"). Si tratta di un processo teleologico necessario, che già nel 1807 veniva presentato così:
«Il rapporto del quale si è qui sopra discusso, dell'organico con la natura degli elementi, non esprime l'essenza dell'organico stesso; questa essenza è invece contenuta nel concetto finalistico. Invero a questa coscienza osservativa quel concetto non è l'essenza propria dell'organico; anzi, a quella coscienza medesima il concetto cade fuori dell'essenza, e quindi è poi soltanto quell'estrinseco rapporto teleologico. Solamente, l'organico come testé fu determinato è esso stesso proprio il fine reale; infatti, poiché l'organico "conserva se stesso" pur nel rapporto ad Altro, esso viene appunto ad essere quella naturale essenza in cui la natura si riflette nel concetto, e in cui i momenti di causa e di effetto, di attivo e di passivo, che nella necessità sono posti l'uno di fronte all'altro, vengono contratti in unità.[42]»
È su questa strada speculativa che si determina la nuova definizione dell'Assoluto come unione di finito e infinito ma anche come non-unione, opposizione di finito e infinito e immanenza dell'Assoluto nel mondo.
Hegel critica la pretesa del romanticismo che l'Assoluto si possa cogliere in un istante con l'immediatezza della passione e del sentimento o tramite l'arte o la fede in una religione rivelata, se a questi momenti intuitivi non seguano azioni speculative e pratiche. L'Assoluto richiede un percorso che partendo da un'esperienza immediata e sensibile, solo con la riflessione dialettica, faticosa e razionale, può giungere a un'apprensione mediata e intelligibile.
Questa concezione potrebbe sembrare quindi simile alla visione spinoziana dell'Assoluto, che coincide con la natura del Deus sive Natura; ma Spinoza intende una coincidenza statica di sostanza come assoluto con la natura, mentre per Hegel è soggetto spirituale in divenire, ovvero egli afferma che la realtà non è ipostaticamente sostanza, qualcosa d'immutabile, ma soggetto in continuo divenire. Hegel, in proposito, riprende e reinterpreta anche il concetto romantico di Spirito (Geist), che è considerato dal filosofo tedesco Ragione che sa se stessa e intende, pertanto, l'Assoluto come Spirito Assoluto che è colto intuitivamente dall'arte, simbolicamente nella rappresentazione dalla religione e concettualmente dalla filosofia.
Elementi della definizione dell'Assoluto hegeliano, secondo alcuni interpreti, sembrano ispirati dal neoplatonismo di Proclo, a proposito della dialettica dello spirito divino.[43]
Per Hegel, tra essere e pensiero, tra realtà e razionalità vi è assoluta compenetrazione e connessione: essi non sono due ambiti separati e indipendenti l'uno dall'altro, ma vanno concepiti come due modi in cui il pensiero si dà realtà. Per Hegel non si pone più il problema tipico della filosofia moderna (da Cartesio in poi) di come sia possibile che il pensiero di un soggetto abbia validità oggettiva; al contrario, per Hegel c'è una profonda continuità fra ambito della natura (mondo, oggettività, ecc.) e ambito dello spirito (io, soggettività, ecc.). Oggettività e soggettività sono identici, in quanto entrambi sono modi di configurarsi del pensiero, del logos[44]. C'è un solo e identico logos che si esprime nella natura e nel soggetto pensante in due modi diversi:
«... le espressioni: unità di soggetto e oggetto, di finito e di infinito, di essere e di pensare ecc., hanno l’inconveniente che i termini soggetto, oggetto ecc., significano ciò che essi sono al di fuori della loro unità; nell’unità, quindi, non sono da intendersi così, come suona la loro espressione.»
La famosa affermazione di Hegel
«Was vernünftig ist, das ist wirklich;
und was wirklich ist, das ist vernünftig[45].»
«Ciò che è razionale è reale;
e ciò che è reale è razionale.»
va interpretata nel duplice senso che: (1) ciò che è razionale non è qualcosa di esclusivamente soggettivo, di cognitivo, che appartiene a un soggetto umano, ma è qualcosa che costituisce la struttura interna di tutte le cose naturali, e di ogni realtà in generale; e (2) che ciò che è reale non è qualcosa di estraneo e refrattario al pensiero ma che è, al contrario, internamente articolato da una forza attiva che è il pensiero[46].
Per comprendere appieno il significato di questa tesi hegeliana, è importante tener a mente che la parola tedesca usata da Hegel per indicare "realtà" non è Realität bensì Wirklichkeit: reale non indica, pertanto, il semplice dato di fatto, la contingenza e l'accidentale, ma "la realtà effettiva, l’attualità, ossia la consapevolezza di ciò che wirkt, che produce degli effetti"[47]. Dunque, non si tratta di giustificare tutto ciò che accade in nome di una ragione universale estrinseca ai fatti, ma di comprendere come tutti i processi reali e tutte le realtà concrete siano caratterizzate da una struttura razionale[48].
La comprensione di questa unità e identità di soggetto-oggetto rappresenta il punto di approdo della Fenomenologia, la quale ha, come compito, di portare la coscienza naturale dal punto di vista del senso comune e dell'intelletto riflettente a quello del pensiero scientifico e filosofico. L'unità di soggetto e oggetto è chiamata da Hegel "l'elemento ... il fondamento, il terreno della scienza"[41].
Per esprimere l'identità e unità di soggetto e oggetto, Hegel si serve dell'espressione pensiero o pensare oggettivo (objektives Denken)[49]. Con questa espressione Hegel vuole segnalare due aspetti importanti relativamente alle nozioni di pensiero, concetto, ragione, ecc.: (1) da un lato, che il pensare non si riduce in tutto e per tutto a un'attività del soggetto umano; (2) dall'altro, il fatto che il pensiero costituisce "l'intimo del mondo", l'essenza interna delle cose. Detto in altri termini, parlare di pensiero oggettivo equivale a dire che nel mondo c'è razionalità, che il mondo e la realtà sono qualcosa di intelligibile; pertanto il pensiero è tanto una attività del soggetto umano pensante quanto la struttura delle cose.
«Dire che nel mondo c'è intelletto, c'è ragione, equivale all'espressione "pensiero oggettivo". Ma quest'espressione è scomoda, proprio perché il termine pensiero troppo usualmente viene usato come pertinente soltanto per lo spirito, per la coscienza, e il termine oggettivo, altrettanto, anzitutto soltanto per ciò che non è spirituale[50].»
Se Hegel attribuisce il pensiero al mondo, ciò non significa che voglia attribuire "coscienza alle cose naturali"[51]; infatti, solo l'uomo, per Hegel, ha coscienza e possiede il pensiero nel senso di attività di coscienza. Il punto importante per Hegel è mostrare come sia una stessa ragione (o un medesimo pensiero) che si esprime in forme e in gradi di complessità diversi nelle cose naturali e negli esseri spirituali (l'uomo): nelle cose naturali come struttura razionale, anima delle cose; negli esseri spirituali come coscienza e pensiero autocosciente[52].
Se la filosofia è l'esposizione sistematica del pensiero o dell'Assoluto, in tutte le sue forme e in tutti i suoi gradi (logico, naturale e spirituale), e se il punto di vista della scienza consiste nel superare l'opposizione della coscienza fra un io e un mondo esterno, allora si può dire che:
«pensieri oggettivi designa la verità che deve essere non solo lo scopo, ma l'oggetto assoluto della filosofia.[53]»
ovvero
«il contenuto della scienza ... è il "pensare oggettivo"[54].»
Di conseguenza, il pensiero, per Hegel, non è un sistema di determinazioni fisse, come la tavola delle categorie di Kant, ma, in quanto costituisce "la sostanza delle cose esterne ... e dello spirituale"[55], è piuttosto un processo, un movimento, una forza[56]. Questo movimento del pensiero è solitamente indicato dagli interpreti con il nome di "dialettica"; Hegel, però, parla più spesso di auto-movimento (o più semplicemente di movimento) del concetto[41].
La spiegazione della dialettica in termini di tesi-antitesi-sintesi è fuorviante e falsa.[57] Essa infatti non è autenticamente hegeliana,[58] ma è il risultato delle sistematizzazioni e semplificazioni scolastiche di Hegel[59]. Hegel piuttosto indica tre momenti che contraddistinguono ogni cosa reale e ogni struttura concreta: (a) il momento intellettivo, (b) il momento razionale negativo o dialettico e (c) il momento razionale positivo o speculativo. Nel § 79 dell'Enciclopedia Hegel fornisce una formulazione chiara e concisa dei tre momenti di questo processo:
«L'elemento logico quanto alla forma ha tre lati: a) il lato astratto o intellettivo; b) il lato dialettico o negativamente razionale; c) il lato speculativo o positivamente razionale. Questi tre lati non costituiscono tre parti della logica, ma sono momenti di ogni elemento logico-reale, cioè di ogni concetto e di ogni vero in generale ... "[55].»
Nella prima Prefazione alla Scienza della logica (1812) Hegel scrive:
«L'intelletto determina e tien ferme le determinazioni. La ragione è negativa e dialettica, perché dissolve in nulla le determinazioni dell'intelletto. Essa è positiva, perché genera l'universale e in esso comprende il particolare[60].»
Per spiegare il concetto di dialettica Hegel si serve spesso dell'analogia con lo sviluppo di un organismo vivente:
«parlando di sviluppo ci si riferisce a qualcosa che [a] in un primo momento non è esplicitato, è un germoglio, una disposizione, una facoltà, una possibilità ... ciò che è in sé. ... Ma ciò che è in sé, in quanto tale, non è ancora il concreto e il vero, bensì ciò che è astratto. ... Però in secondo luogo, [b] ciò che è in sé viene all'esistenza, si sviluppa, prende forma, pone se stesso in modo tale da darsi come qualcosa che contiene una differenza ... esiste con riferimento a ciò che è altro. ....La terza determinazione consiste [c] nel fatto che ciò che è in sé, da un lato, e l'oggetto ora esistente ... siano un'unica e medesima cosa.[61]»
All'inizio c'è qualcosa che è solo in potenza; poi, questa cosa si realizza e pone le prime determinazioni; alla fine del processo, questa ha compiutamente realizzato nell'esistenza le determinazioni prima contenute soltanto in sé; si dice pertanto che è in sé e per sé. L'esempio classico riportato nella manualistica è quello del boccio-fiore-frutto[62], sebbene quando Hegel ne parla (Fenomenologia dello Spirito, Pref., p. 2), lo fa solo per dimostrare che la verità nasce proprio grazie al conflitto tra i vari sistemi filosofici, e "l'opinione [...] nella diversità scorge più la contraddizione che non il progressivo sviluppo della verità".
La dialettica non è un metodo, se con metodo si intende uno "strumento ... del conoscere"[63] qualcosa che resta esteriore al suo contenuto e si configura come una costruzione soggettiva:
«il metodo è un conoscere che rimane esteriore al contenuto[41].»
Al contrario per Hegel il vero metodo è:
«lo sviluppo immanente del concetto, è il metodo assoluto del conoscere, ed insieme l'anima immanente del contenuto stesso.[63]»
è il procedimento mediante il quale il pensiero si realizza, mediante cui il concetto diventa oggettivo e reale. Il metodo è l'idea stessa: la forma pienamente adeguata al contenuto.
Una nozione decisiva nello svolgimento dialettico è quella di (Aufhebung)[64]. L'Aufhebung è il passaggio dialettico, al contempo logico e metafisico, mediante cui due determinazioni opposte vengono tenute insieme in un'unità razionale. Aufheben in tedesco ha il doppio significato di 'metter via' e di 'conservare'; pertanto il termine non significa semplicemente eliminare una determinazione in favore di un'altra, ma significa che una determinazione non viene pensata più nella sua indipendenza, assolutezza e immediatezza, ma viene abbassata a momento di un intero[65]. Scrive Hegel:
«Qualcosa è tolto solo in quanto è entrato nella unità col suo opposto. In questa più precisa determinazione di un che di riflesso, esso si può convenientemente chiamare momento[66].»
Si badi, infine, che il togliere non è un'attività compiuta da un soggetto, ma è uno sviluppo immanente a ogni determinazione di pensiero: ogni determinazione di pensiero finita si toglie e passa nella sua opposta, per risolversi infine in un'unità superiore.
I filosofi idealisti tedeschi riprendono la distinzione kantiana tra intelletto, che opera nel campo della sensibilità e della scienza, e ragione, che si dedica al sapere metafisico e alla trascendenza ma, come fa Hegel, ne capovolgono il valore conoscitivo: l'intelletto è quindi un'attività conoscitiva che irrigidisce la realtà nella sua struttura dialettica; la ragione invece coglie la connessione esistente tra gli opposti arrivando a una sintesi necessariamente sempre superata da un nuovo processo dialettico in quell'incessante divenire che è la vivente realtà.[67]
La filosofia hegeliana viene etichettata spesso come una forma radicalizzata di idealismo, nello specifico una radicalizzazione dell'idealismo trascendentale di Kant. Secondo questa lettura, Hegel porterebbe avanti il lavoro iniziato da Fichte, il quale aveva radicalizzato Kant eliminando la cosa in sé e riconducendo tutta la realtà all'attività e alla posizione di un Io. Si tratta di un'interpretazione sbagliata tanto per la filosofia post-kantiana[68] quanto per la filosofia di Hegel[69].
"Idealismo" nel periodo della filosofia classica tedesca non significa negare l'esistenza delle cose esterne, e affermare come unica cosa esistente il soggetto; in altre parole, l'idealismo tedesco ha un significato diametralmente opposto all'idealismo di Berkeley.
Per quanto riguarda Hegel - come ha osservato Luca Illetterati - è possibile notare che la sua posizione può essere caratterizzata tanto come un idealismo, quanto come un anti-idealismo, quanto ancora come un realismo[70]. Un anti-idealismo perché Hegel è fortemente critico dell'impostazione trascendentale di Kant e dei post-kantiani, e in generale di ogni forma di soggettivismo, con la quale si cerca di risolvere e ridurre tutta la realtà nella soggettività umana: al contrario, per Hegel è fondamentale salvaguardare l'idea che nel mondo ci sia razionalità e ragione indipendentemente dall'intervento del soggetto umano; in quest'ultimo senso, dunque, Hegel è un realista[71] (cfr. supra, pensiero oggettivo). "Ideale", dunque, non significa (come invece per Kant) qualcosa che vale soltanto in rapporto a un soggetto; e nemmeno indica un qualcosa che si contrappone a reale. Idealismo, invece, per Hegel indica una caratteristica logica molto generale che si può riscontrare a diversi livelli (logica, natura, spirito) e indica il fatto che le determinazioni finite non hanno un valore assoluto, ma si risolvono e rimandano sempre ad altro, e hanno vero significato soltanto nell'intero. La filosofia di Hegel dunque è idealismo nella misura in cui Hegel sostiene che il vero è l'intero e che il finito in generale non è ancora il vero.
Hegel è chiaro su questo punto in un passo della Scienza della logica:
«La proposizione, che il finito è ideale, costituisce l'idealismo. L'idealismo della filosofia consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come un vero essere. Ogni filosofia è essenzialmente idealismo, o per lo meno ha l'idealismo per suo principio, e la questione non è allora se non di sapere fino a che punto cotesto principio vi si trovi effettivamente realizzato. (...) L'opposizione di filosofia idealistica e realistica è quindi priva di significato. Una filosofia che attribuisse all'esistere finito, come tale, un vero essere un essere definitivo, assoluto, non meriterebbe il nome di filosofia.[63]»
La Fenomenologia dello spirito (Phänomenologie des Geistes) pubblicata a Bamberga il 1807 rappresenta la prima grande opera di Hegel. Con questa opera si conclude il periodo jenese e viene segnata una svolta decisiva all'interno della filosofia dell'autore. L'opera viene presentata come prima parte introduttiva di un "Sistema della scienza", composto poi da logica, filosofia della natura e filosofia dello spirito.
Il compito e la funzione della Fenomenologia consistono nel condurre la coscienza naturale e finita al punto di vista della scienza filosofica, ovvero al sapere assoluto (absolutes Wissen), ovvero dal conoscere finito al conoscere infinito; detto altrimenti, la Fenomenologia mostra il passaggio dall'opposizione ed estraneità del soggetto rispetto all'oggettività della coscienza finita, al riconoscimento da parte della coscienza di essere in identità e unità con la realtà.
Il percorso della coscienza esposto nella Fenomenologia intende presentarsi come un movimento dialettico immanente alla coscienza, e non come qualcosa di imposto arbitrariamente dall'esterno; in virtù di questa necessità interna la coscienza stessa riconosce, volta per volta, l'inadeguatezza del proprio punto di vista. La Fenomenologia, dunque, rappresenta l'esperienza che la coscienza fa di sé e del proprio oggetto[72].
L'opera è preceduta da una lunga Prefazione e da una più breve Introduzione. Nella Prefazione, che in realtà era pensata come prefazione all'intero sistema (e non esclusivamente alla Fenomenologia)[73], Hegel presenta alcune delle più note formulazioni delle sue posizioni filosofiche: la concezione della verità come intero (che comprende fine e attuazione del fine); la nozione di auto-movimento del concetto (o dialettica); la critica al metodo (in filosofia) e al formalismo matematico; la critica alla forma logica del giudizio e la nozione di "proposizione speculativa"; e infine la celebre concezione dell'assoluto come soggetto, e le relative critiche a Spinoza, Fichte, Schelling e i romantici.
L'articolazione interna è molto complessa, dal momento che Hegel stesso ha fornito due diversi modi per dividere l'opera, che si presentano assieme nella versione definitiva. Nello specifico, è possibile articolare l'opera come un susseguirsi di figure (contrassegnate dal numero romano), che però a gruppi o singolarmente fanno riferimento a momenti (o tappe), ovvero a dei particolari modi in cui si configura il rapporto della coscienza con il suo oggetto[74].
I. La certezza sensibile o il questo e l'opinione | A. Coscienza | |
II. La percezione o la cosa e l'illusione | ||
III. Forza e intelletto, fenomeno e mondo ultrasensibile | ||
IV. Dialettica signore-servo, stoicismo, scetticismo, coscienza infelice | B. Autocoscienza | |
V. Certezza e verità della ragione | C. | (AA) Ragione |
VI. Lo spirito | (BB) Spirito | |
VII. La religione | (CC) Religione | |
VIII. Il sapere assoluto | (DD) Sapere assoluto |
La Scienza della logica è un'opera di Hegel, pubblicata tra il 1812 e il 1816, a cui seguirà una seconda edizione della prima parte pubblicata postuma nel 1831[75]. L'opera costituisce la prima parte di un progetto sistematico ("Sistema della scienza"), preceduto da un'opera introduttiva (i.e. la Fenomenologia) e che dovrebbe esser seguito da una Filosofia della natura e una Filosofia dello spirito.
La Scienza della logica ha come oggetto il pensiero puro, essa è "la scienza dell'idea pura, dell'idea nell'elemento astratto del pensiero" (Enc. 1830, § 19).
L'opera è divisa in due parti:
Tutta la filosofia secondo Hegel ha come proprio oggetto il "pensiero" (inteso nel senso di pensiero oggettivo). Nello specifico la Logica, che costituisce la prima parte della filosofia (seguita dalla Filosofia della natura e dalla Filosofia dello spirito), ha come proprio oggetto di indagine il pensiero in quanto pensiero puro:
«Nella logica abbiamo a che fare con il pensiero puro, ossia con le determinazioni pure del pensiero. ... Nella logica i pensieri vengono colti in modo da non avere altro contenuto che quello appartenente al pensiero stesso e prodotto da esso. Così i pensieri sono pensieri puri.»
La natura è il pensiero nell'elemento dell'esteriorità; mentre lo spirito è il pensiero che diventa autocosciente, che si sa come pensiero[46].
La logica hegeliana è "logica speculativa", logica del concreto, che si oppone tanto alla logica formale (o logica dell'astratto come quella aristotelica, che si limita a considerare il pensiero nella sua struttura formale, facendo astrazione da ogni contenuto e come tale non è capace di esprimere la vita ) quanto alla logica trascendentale di impronta kantiana che, pur essendo una logica non astratta ma che prende in considerazione il contenuto, tuttavia procede secondo un punto di vista unilaterale e limitato che è quello del pensare intellettualistico e soggettivo[76]. Per Kant, infatti, il pensare è l'attività dell'intelletto, dunque di qualcosa che si arresta a determinazioni finite, a opposizioni assolute fra determinazioni, per cui non è in grado di cogliere l'unità di determinazioni opposte e quindi non è in grado di cogliere il concreto. Inoltre per Kant il pensare è soggettivo nel senso che viene considerato esclusivamente come un'attività del soggetto umano, finito.
Per Hegel, al contrario, il pensare è un che di oggettivo, qualcosa che non si esaurisce nell'attività del soggetto. Il pensare costituisce l'anima immanente delle cose: la realtà è identità di pensiero ed essere, e quindi il reale è razionale, nel senso in cui si dice che ci sono leggi nella natura, che c'è della ragione nel mondo, che le cose in generale obbediscono a principi e a regole.
La logica speculativa per Hegel non deve soltanto superare i limiti delle logiche formali e trascendentali, ma anche quelli della metafisica. La posizione di Hegel sulla metafisica pur essendo ambivalente (di critica e ammirazione ad un tempo), è tutto sommato chiara: Hegel infatti sostiene che una delle colpe di Kant è stata quella di avere privato il popolo tedesco della metafisica, ma «un popolo civile senza metafisica [è] simile a un tempio riccamente ornato, ma privo di santuario»[77]; con ciò, però, non si deve pensare che l'operazione di Hegel sia un ritorno ingenuo alla metafisica dogmatica pre-critica; Hegel è ben consapevole dei limiti e difetti della metafisica (come è evidente nel § dedicato alla metafisica classica nelle Considerazioni del pensiero sull'oggettività, in Enc. 1830)[78]. Dunque, quando Hegel scrive che
«la scienza logica, ... costituisce la vera e propria metafisica ossia la pura filosofia speculativa.[79]»
intende dire che la logica costituisce lo sviluppo e l'inveramento di quello che un tempo si chiamava metafisica.[80] Hegel, come Kant sia pure in modo diverso[81], è critico nei confronti della metafisica. Per Hegel, infatti, la metafisica presenta due grandi difetti: (1) tratta i suoi oggetti con categorie del pensare finito tipiche dell'intelletto, arrestandosi alle opposizioni fra determinazioni di pensiero; (2) è compromessa con forme rappresentative (come Dio, l'anima, ecc.) e non concettuali, e dunque non possiede ancora il punto di vista della logica, che deve avere a che fare esclusivamente con determinazioni di pensiero[82].
Nonostante abbia goduto di ampio consenso per quasi tutto l'Ottocento, Hegel e la sua filosofia sono stati oggetto di numerose critiche.
Nell'ambito dell'idealismo tedesco, il filosofo tedesco Friedrich Schelling fu tra i primi e più severi critici di Hegel.[83] Egli, infatti, rintracciava nella filosofia hegeliana una grave impostura di fondo: dal fatto che una realtà sia razionalmente pensabile, infatti, Hegel concludeva che questa debba necessariamente esistere. Per Schelling è assurdo: il pensiero può stabilire soltanto le condizioni negative o necessarie (ma non sufficienti) perché qualcosa esista; la realtà effettiva, invece, non può essere creata, determinata dal pensiero logico, perché nasce da una volontà libera e irriducibile alla mera necessità razionale. Le condizioni positive che rendono possibile l'esistenza scaturiscono da un atto incondizionato e assoluto che, in quanto tale, è al di sopra di ogni spiegazione dialettica, mentre Hegel intendeva fare dell'Assoluto proprio il risultato di una mediazione logica, che giungerebbe a consapevolezza di sé solo a conclusione del processo dialettico[84]. Secondo Schelling è in particolare nella Natura, regno della caduta, che la filosofia hegeliana mostra tutti i suoi limiti, incapace com'è di cogliere l'aspetto volontario e non necessario del passaggio alla realtà. Il presunto estraniarsi dell'Idea nell'«Altro-da-sé» infatti avviene sempre all'interno del processo iniziale, in una maniera automatica che non rende ragione della caducità e della disgregazione a cui la Natura spesso è assoggettata.[85]
Hegel inoltre sarà uno dei principali bersagli polemici delle filosofie dell'esistenza e delle filosofie irrazionalistiche del secondo Ottocento. Arthur Schopenhauer, tra questi, definì Hegel «un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato, che raggiunse il colmo dell'audacia scarabocchiando e scodellando i più pazzi e mistificati non-sensi». Schopenhauer sostenne che, se si volesse istupidire un giovane, basterebbe fargli leggere le opere di Hegel per renderlo inetto a pensare[86]. Alla rappresentazione hegeliana di un mondo retto dalla razionalità e da una finalità interna, Schopenhauer contrappone, infatti, quella di una realtà dominata da un cieco impulso irrazionale e da una pura volontà senza scopo.
Anche Friedrich Nietzsche, che per molti versi eredita la lezione di Schopenhauer, critica duramente la filosofia hegeliana.[87]
Per Søren Kierkegaard, invece, la filosofia di Hegel propone un illusorio superamento delle contraddizioni della realtà, che, invece, si presentano irresolubili nell'esistenza concreta: all'astratta logica dialettica dell'et et, egli propone quella drammatica e concreta dell'aut aut.
Di diverso tenore le critiche di Karl Marx e Ludwig Feuerbach, i quali rimproveravano a Hegel il suo ideologismo, il fatto che questi facesse discendere la realtà dall'idea, mentre secondo loro sarebbe la base materiale, economica e storica, a generare quella teoria che poi, a sua volta, tornerà a modificare la prassi. Nonostante ciò, Marx fondava il suo materialismo storico sulla dialettica hegeliana, mirando appunto a prelevarne il nocciolo razionale nascosto nel "guscio mistico".
Secondo Ferdinand Christian Baur (Die christliche Gnosis, 1835), la filosofia della religione di Hegel non è panteistica, ma profondamente legata allo gnosticismo antico.[88]
Più recentemente Karl Popper ha definito Hegel un "profeta del totalitarismo"[89] per la sua concezione della storia in cui prevale la dimensione assoluta dello Stato. Popper respingeva anche l'idea che la dialettica hegeliana avesse un valore reale e ontologico, essendo palesemente contraria al principio di non-contraddizione. Popper contestava il fatto che le contraddizioni possano essere accolte e accettate come un dato di fatto, mentre in realtà dovrebbero servire a testimoniare l'incoerenza di una teoria e a falsificarla. Hegel invece, sostenendo che la realtà è intimamente contraddittoria, si è sottratto a ogni logica e quindi, con fare disonesto, al rischio stesso di poter essere confutato. In proposito, Popper si è rifatto a Kant e alla differenza che questi poneva tra "opposizione logica" e "opposizione reale". Esempi di opposizione reale erano per Kant il salire e il cadere, il sorgere e il tramontare, il debito e il credito: in tutti questi casi, ciò che chiamiamo negativo è nella realtà un positivo anch'esso, perché non esistono oggetti "negativi" di per sé. Se esistono non possono venir equiparati a un non-essere; la negazione può essere solo logica. L'opposizione che su un piano astratto assume come estremi A e non-A, sul piano reale ha come estremi A e B, cioè opposti che sono entrambi positivi, reali. Hegel invece, secondo Popper, ha attribuito alla realtà le caratteristiche della logica astratta, in maniera assurda, trasferendo le contraddizioni logiche dal pensare all'essere e sostenendo, come poi avrebbe fatto Marx, l'"oggettività" del negativo.
Martin Heidegger critica Hegel sostenendo che per lui occorreva invece «tenere il sistema di Hegel in cima allo sguardo e quindi pensare in una direzione totalmente opposta»[90], aggiungendo: «Io stesso non so ancora abbastanza chiaramente come debba essere definita la mia "posizione" rispetto a Hegel. Come "posizione antitetica" sarebbe troppo poco».[91]
Tra i critici del pensiero di Hegel si possono annoverare infine anche coloro che lamentano la complessità formale dei suoi scritti come Alexandre Koyré secondo cui il linguaggio di Hegel sarebbe «incomprensibile» e «intraducibile» con il ricorso anche a giochi di parole non sempre centrati come il famoso "aufheben". Theodor Haering[92] è convinto che sia «... un segreto di Pulcinella che nessun interprete di Hegel sia in grado di spiegare, parola per parola, una sola pagina dei suoi scritti.»[93] Il filosofo Massimo Baldini in alcune sue pubblicazioni sul linguaggio filosofico, annovera Hegel fra i filosofi più criptici e oscuri insieme con Johann Gottlieb Fichte e a Schelling[94][95].
Fra la fine del '900 e gli anni 2000, la critica postcoloniale ha rivisitato molte delle dichiarazioni di Hegel sulla schiavitù e sulle origini dello spirito umano, riscontrando varie teorie apertamente razziste in linea con quelle di vari altri filosofi dell'epoca che per lungo tempo non erano state fatte oggetto di particolare analisi. Christian M. Neugebauer scrive in proposito: «Nella filosofia europea il razzismo di Hegel rimane un fatto ben nascosto e a volte completamente sconosciuto, quando non misconosciuto, quindi non dovrebbe sorprendere che manchi qualunque tipo di seria discussione teoretica su questo punto.»[96]
Vari critici si sono concentrati sulle idee espresse da Hegel nelle Lezioni sulla filosofia della storia e nell'Enciclopedia delle scienze filosofiche. Ad esempio, nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, Hegel scrive: «La schiavitù è in sé e per sé un'ingiustizia, poiché l'essenza dell'uomo è la libertà; tuttavia, bisogna che prima l'uomo divenga maturo per la libertà. Perciò l'abolizione graduale della schiavitù è qualcosa di più appropriato, di più corretto che non la sua cancellazione improvvisa»,[97][98] ma aggiunge anche: «Presso i negri si riscontra un'estrema mancanza di coscienza della personalità: ecco perché si lasciano ridurre in schiavitù così facilmente».[99][100] O ancora: «Come già abbiamo detto, il negro incarna l'uomo allo stato di natura in tutta la sua selvatichezza e sfrenatezza. Se vogliamo farci di lui un'idea corretta, dobbiamo fare astrazione da qualsiasi nozione di rispetto, di morale, da tutto ciò che va sotto il nome di sentimento: in questo carattere non possiamo trovare nulla che contenga anche soltanto un'eco di umanità.»[101][102]
Affermazioni di questo tipo richiamano i temi e il linguaggio spesso impiegati dal cosiddetto razzismo "scientifico", una credenza pseudoscientifica che aveva iniziato a prendere piede qualche decennio prima dell'epoca di Hegel e che avrebbe poi esercitato un impatto fondamentale sulla cultura, sul pensiero e sulla politica occidentale nei secoli XVIII-XX.
Allo stesso tempo, Hegel dimostra però grande simpatia per le rivolte degli schiavi della Rivoluzione haitiana, nelle quali crede di riconoscere la dialettica signore-servo.[103] Haiti era stato infatti il primo paese ex schiavista a introdurre i diritti umani universali, ispirati dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, prima ancora che venissero introdotti in Francia o negli Stati Uniti. Per Hegel, questo sviluppo storico dimostra la realizzazione dell'idea di libertà nella storia del mondo.[104][105]
Riferendosi all'apparente contraddizione fra le posizioni di Hegel riguardo alla schiavitù e al razzismo scientifico, la presidente dell'Associazione Internazionale per lo Studio e la Promozione della Filosofia di Hegel, Dina Emundts, ha dichiarato nel 2020: «Essere razzista e allo stesso tempo chiedere diritti umani per tutti non è una contraddizione in termini. Lo hanno fatto sia Kant sia Hegel».[106]
Più in generale, commentando l'influenza di Hegel, Kant e Voltaire sull'illuminismo europeo e le loro teorie razziste, la giornalista tedesca Alice Hasters scrive nel 2019: «L'Illuminismo dovrebbe essere ricordato come l'epoca della separazione dei poteri e dei diritti umani. Ma come si può nascondere il fatto che questi diritti umani non siano mai stati destinati a tutti? Non è un caso che la colonizzazione e la schiavitù siano aumentate enormemente con lo sviluppo delle teorie illuministe».[107]
Darrell Moellendorf rimarca però una differenza fra le posizioni razziste sostenute da Hegel e il suo sistema filosofico, affermando che le sue teorie sulla Filosofia dello Spirito non conducono necessariamente al razzismo, ma ne lasciano aperta la possibilità: il razzismo di Hegel, nella sua analisi, si spiega non tanto sul piano filosofico quanto con il clima generale di razzismo del XIX secolo.[108]
Secondo Glenn Alexander Magee, il dio di Hegel deve molto alla tradizione dell'ermetismo poiché è privo di autocoscienza e crea il mondo per potersi conoscere nel nome in cui la creatura umana (o angelica) conosce e contempla la sua intima interiorità.[109]
Dopo la morte di Hegel la prima edizione delle sue opere fu pubblicata da "un gruppo di amici dello scomparso":[110]
Questa edizione ignorava completamente i manoscritti inediti giovanili[111] e iniziava con gli scritti del periodo jenese.
L'edizione comunemente utilizzata è quella in 20 volumi a cura di Eva Moldenhauer e Karl Markus Michel, basata sulla precedente:
Una nuova edizione critica, basata su criteri strettamente filologici, è in corso di pubblicazione:
Nel novembre 2022, sono state scoperte migliaia di pagine di appunti inediti relativi alle lezioni tenute a Heidelberg.[112]
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