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opera teatrale in lingua piemontese Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Gelindo è un testo teatrale popolare in lingua piemontese, di tradizioni secolari. Fino ad almeno la seconda guerra mondiale, è stato, nel suo genere, il più presente e conosciuto in Piemonte.
Gelindo | |
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Sacra rappresentazione in due atti | |
Autore | Tradizione orale |
Lingue originali | |
Genere | Teatro dialettale |
Fonti letterarie | Natale |
Ambientazione | Monferrato, Betlemme |
Composto nel | XVII secolo |
Personaggi | |
Gelindo, il pastore padrone di casa Alinda, moglie di Gelindo Narciso, figlio di Gelindo Aurelia, figlia di Gelindo Maffeo, anziano garzone della casa di Gelindo Tirsi, giovane garzone della casa di Gelindo Medoro, vicino di casa di Gelindo Maria Giuseppe Popolane, massaie, pettegole Erode, il protagonista della Strage degli innocenti Sommo Sacerdote, consigliere di re Erode I Magi, i Re Magi della Bibbia Soldati, soldati romani oppure appartenenti al re Erode | |
Si tratta di una sacra rappresentazione (divòta comedia) in lingua piemontese (per metà sacra e per metà comica), da rappresentarsi nel periodo natalizio, che narra la "Favola del pastore Gelindo". L'origine del Gelindo è sicuramente da ricercarsi nel Monferrato e gli studiosi concordano nel porre la sua prima scrittura nel XVII secolo. La sua tradizione orale è nettamente apparentata al teatro medievale di tutta l'area franco piemontese, ai Misteri (in francese Mystères[1]) e ai presepi viventi di francescana memoria, diventati in seguito drammi sacri con forte presenza di elementi profani.
Del Gelindo parlarono nel 1894 Costantino Nigra e Delfino Orsi, nel loro libro[2] dedicato alle sacre rappresentazioni della Natività (differenti dal Gelindo), ancora ben vive nel Canavese del XIX secolo.[3] Nel 1896 lo studioso Rodolfo Renier pubblicò un saggio filologico dedicato a questo personaggio, accompagnato dal testo della sacra rappresentazione[4] ottenuto confrontando due versioni popolari (una alessandrina, l'altra monferrina) del 1839 e del 1842.[5] Nel 2001, al Gelindo fu dedicato un ampio saggio da parte dello studioso Roberto Leydi, con un importante intervento di Umberto Eco.[6]
Gelindo è un pastore, un uomo semplice, burbero, un po' testone, ma dal cuore d'oro, con un agnello disposto intorno al collo e legato davanti sul petto nelle quattro zampe, che per obbedire al censimento dell'imperatore lascia la sua casa in Monferrato e, per quella magia che avviene solo nelle favole, si ritrova dalle parti di Betlemme. Lì incontrerà Giuseppe e Maria, li aiuterà a trovare la grotta ove alloggiare, e sarà lui il primo a visitare il Bambino Gesù. Nella trama del Gelindo assistiamo a scene contadinesche che possono sembrare ingenue, ma che raccolgono in sé tutta la meraviglia riconoscente delle anime semplici. Gelindo e la sua famiglia trattano la Madonna e San Giuseppe senza soggezione, usando espressioni semplici e genuine, e davanti al Bambino Gesù si comportano esattamente come con uno dei loro bambini.
La presenza del Gelindo ha lasciato traccia anche nei proverbi e nei modi di dire piemontesi. Nella storia, Gelindo vorrebbe partire ma non riesce a farlo o perché dimentica sempre qualcosa, oppure torna indietro perché non si fida della moglie e vuole darle ogni volta un'ulteriore raccomandazione (e ciò accade più e più volte). Da ciò deriva il modo di dire “Gelindo ritorna” , indirizzato a chi tenta di fare qualcosa ma ogni volta torna sui suoi passi senza concluderlo.
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