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ambito sociale dei gatti nell'impero egiziano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
I gatti (Felis catus), noti nell'antico Egitto con il termine Mau[2], erano considerati sacri nella società egizia. Una recente comparazione del DNA delle razze viventi ha permesso di stabilire che i primi gatti furono addomesticati a partire dal gatto selvatico africano (Felis lybica), circa 10 000 anni fa, nella zona della Mezzaluna Fertile[3][4]. Millenni dopo, un tratto caratteristico fondamentale della religione delle popolazioni della valle del Nilo divenne proprio la venerazione degli animali[5], fra cui i gatti[6]. Apprezzato per la sua abilità nel cacciare roditori nocivi quali i topi e i ratti, alcuni insetti e nell'uccidere serpenti quali i cobra, il gatto domestico divenne presso gli Egizi un simbolo di grazia e benevolenza nei confronti dell'uomo[7].
«Tu sei il Grande Gatto, il vendicatore degli dei e il giudice delle parole, colui che presiede i capi sovrani e governa il grande Cerchio; tu sei davvero il Grande Gatto.»
La dea Mafdet, deificazione della giustizia e della pena capitale, era rappresentata con testa di leonessa[8], mentre Sekhmet, sempre leonessa, era la temutissima dea della guerra, della violenza e delle epidemie[9]. In antitesi a queste, la dea-gatta Bast (poi nota come Bastet), inizialmente divinità guerriera al pari di Sekhmet, andò gradualmente perdendo i connotati di aggressività per divenire una figura protettiva e rassicurante, patrona della fertilità, della maternità e della vita domestica[10][11]. Come espressione di massimo ossequio, dopo la morte i gatti venivano mummificati esattamente come gli uomini[12], e le loro mummie offerte a Bastet[13].
Due tipi diversi di gatto fecero la loro comparsa nell'antico Egitto: il gatto della giungla (Felis chaus) e il gatto selvatico africano (Felis lybica). Quest'ultimo fu gradualmente addomesticato in un lunghissimo lasso di tempo compreso fra Periodo predinastico (IV millennio a.C.)[14] e Medio Regno (XXI - XVII secolo a.C.)[12]. I gatti selvatici si nutrivano spontaneamente dei ratti e degli altri parassiti che infestavano i granai regali; si guadagnarono un posto nei centri abitati uccidendo roditori, serpenti velenosi e altri animali nocivi[12][15]. Nelle rappresentazioni artistiche, non è insolito trovare piccoli gatti posizionati sotto le sedie su cui si trovano delle donne, in riferimento alla fertilità e alla sessualità femminile[12]. Sembra però che i gatti siano diventati animali "da salotto" solamente durante il Nuovo Regno, cioè tra il XVI e l'XI secolo a.C. L'arte figurativa egizia della XVIII dinastia ha lasciato testimonianza, per esempio, della predilezione della Grande sposa reale" Tiy e di sua figlia Sitamon per i gatti[12]: la regina e la principessa compaiono insieme a una gatta e un'oca domestiche (in un curioso dettaglio questi due animali sembrano perfino giocare o litigare)[12]. Sullo schienale del trono della principessa Sitamon, rinvenuto nella tomba (KV46) dei suoi nonni materni Yuya e Tuia, una gatta compare seduta sotto lo scranno dove siede la regina Tiy[16].
Come suggerisce il legame d'iniziale affinità (ma successivamente antitetico) fra Sekhmet e Bastet, nel complesso di credenze dell'antico Egitto esisteva una relazione fra i gatti e i leoni[6]. Benché la maggior parte dei leoni sia stata confinata a sud intorno al Periodo predinastico, e fossero perciò animali abbastanza rari in epoca faraonica, erano tuttavia animali estremamente importanti nell'immaginario iconografico degli egizi. A causa della sua natura aggressiva e maestosa, il leone era simbolo del potere regale[14].
La prima attestazione di una divinità felina in Egitto risale a una coppa di cristallo, databile al 3100 a.C., decorata con una rappresentazione della dea Mafdet con testa di leonessa. In un primo momento, anche Bastet fu immaginata come una dea leonina, fieramente protettiva e guerriera, come Sekhmet. Diversamente da molte divinità fuse in un'unica entità con l'unione delle Due Terre, Bast e Sekhmet rimasero ancora per molto tempo due personalità ben distinte nel pantheon egizio. Gli egittologi Turner e Bateson stimano che durante la XXII dinastia (945 a.C. - 715 a.C.[17]), l'antica Bast passò dall'essere una dea leonina al venire definitivamente rappresentata come una divinità protettiva e rassicurante dalle sembianze di gatto[10], mentre, viceversa, Sekhmet veniva descritta come particolarmente violenta e temibile[18]. Poiché i gatti domestici tendono ad avere un comportamento mite e protettivo nei confronti del padrone e della sua casa, così gli Egiziani cominciarono a vedere Bastet come una buona madre, spesso raffigurata insieme a cuccioli di gatto[18][19]. Un amuleto di Bastet attorniata da gattini era frequente fra le donne che desideravano una gravidanza: tanti cuccioli quanti figli si sperava di avere.
Il gatto maschio, nello specifico, aveva una funzione determinante sia come ipostasi del sole che come suo difensore: durante la notte, doveva proteggere l'astro dagli attacchi del perfido serpente-demone Apopi[20]. In questo caso, si trattava del Grande Gatto di Eliopoli, trasformazione del dio-sole Ra[21], spesso raffigurato intento a sorvegliare un albero di persea, cioè l'Albero della vita eterna e della conoscenza (Albero "ished"), e ad affrontare il serpente Apopi schiacciandogli la testa con una zampa e accoltellandolo con l'altra[21]. Era sovente rappresentato nelle pitture parietali funebri tratte dal XVII capitolo del Libro dei morti: così compare sulle pareti delle tombe di Sennedjem[22], Nakhtamon[23] e Inherkhau[24] ubicate nella necropoli di Deir el-Medina, presso Tebe. Infatti, un passo del XVII capitolo del Libro dei morti così recita:
«Io sono questo Grande Gatto che si trovava al lago dell'albero "ished" in Eliopoli, quella notte della battaglia in cui fu compiuta la sconfitta dei sebiu, e quel giorno dello sterminio degli avversari del Signore dell'Universo. Cos'è questo? È Ra stesso ed è stato chiamato gatto [in egizio: "Mau"] dal detto di Shu: "Egli è simile ["mau"] a ciò che ha fatto"; e gli è venuto così il suo nome di gatto ["Mau"].»
Siccome i gatti erano considerati sacri a Bastet e onorati di conseguenza, la pratica della mummificazione fu estesa anche ad essi, con un picco nel periodo greco-romano dell'Egitto (IV secolo a.C. - III secolo d.C.)[27]; gli ossequi loro tributati dopo la morte riflettono il rispetto da cui erano circondati in vita quotidiana. Lo storico greco Erodoto scrisse, nelle sue Storie:
«Se scoppia un incendio, capitano ai gatti cose prodigiose; gli Egiziani, posti uno a distanza dall'altro, stanno a custodia dei gatti e non si danno cura di spegnere ciò che brucia; i gatti, insinuandosi e balzando al di là degli uomini, si gettano tra le fiamme. Avvenimenti simili provocano agli Egiziani grandi lutti. Nelle case dove un gatto muore di morte naturale, tutti gli abitanti si radono solo le sopracciglia; ma nelle case dove muore un cane si radono tutto il corpo e la testa. I gatti morti sono portati in locali sacri e là sono sepolti imbalsamati, nella città di Bubastis.»
Lo storico siceliota Diodoro Siculo (90 a.C.-27 a.C.) descrisse un interessante esempio di giustizia sommaria cui andò incontro l'uccisore di un gatto; intorno al 60 a.C., assistette all'uccisione di un gatto egizio da parte di un cittadino romano. Una folla inferocita lo catturò e, nonostante le suppliche del faraone Tolomeo XII, lo uccise.
Benché il culto dei gatti fosse già sentito all'inizio del Nuovo Regno (ca. 1550 a.C.), salì alla ribalta durante il regno di Sheshonq I (943 a.C. - 922 a.C.[29]), il faraone che rese Bubasti, (originariamente Par-Bastet, l'attuale Zagazig) centro del culto di Bastet, nella parte orientale del delta del Nilo[30], una città importante[31]. In quel momento, Bastet divenne una divinità immensamente popolare, patrona della fertilità e della maternità, connessa agli aspetti positivi dei raggi del sole - contrariamente a Sekhmet, che incarnava il potere distruttivo del calore solare[32]. Entrambe erano però identificate l'Occhio di Ra, una nel suo aspetto mite e protettivo, l'altra in quello violento[33]. Il culto dei gatti ebbe un largo seguito: ogni anno, migliaia di pellegrini si recavano a Bubasti. Bubastis, che letteralmente significa Casa di Bast, divenne anche un altro nome per indicare Bastet (o Bast)[31]. Al centro della città, in una depressione del terreno, si trovava il grande santuario della dea-gatta; la città sorse intorno al tempio per arginare i danni causati dalle piene del Nilo. Erodoto, che visitò la città intorno al 450 a.C., scrisse:
«A parte l'ingresso, per il resto è un'isola. Dal Nilo partono due canali che non comunicano tra di loro, ma ciascuno si estende fino all'ingresso del santuario; uno scorre intorno al santuario da una parte, uno dall'altra; entrambi sono larghi cento piedi ed ombrosi d'alberi. I propilei sono alti dieci orge e ornati con figure di sei cubiti, degne di menzione; poiché il santuario è al centro della città, quando si gira intorno, esso dall'alto si può vedere da ogni parte: è visibile perché il livello della città è stato sollevato con terrazzamenti mentre il santuario non si è mosso, rimanendo così come fu costruito in origine. Gli corre tutto intorno un muro scolpito con figure. Dentro c'è un bosco di alberi grandissimi che cresce intorno a un grande tempio; nel tempio c'è la statua di culto; su ogni lato la lunghezza e la larghezza del santuario sono di uno stadio. Di fronte all'ingresso c'è una strada lastricata in pietra, lunga al massimo tre stadi: attraverso il mercato la strada si dirige a oriente ed è larga circa quattro pletri: da una parte e dall'altra della strada crescono alberi, alti fino al cielo: la strada porta al santuario di Hermes.»
La descrizione di Erodoto, così come vari testi egizi, mostrano che il tempio era circondato dall'acqua per tre lati su quattro, formando un lago noto come isheru, non dissimile da quello prospiciente il tempio della dea-madre Mut a Karnak[35]. Tali bacini artificiali erano tipici di complessi templari dedicati a dee-leonesse, ritenute (anche con variazioni) figlie di Raː Bastet, Mut, Tefnut, Hathor e Sekhmet[35]. Un mito narrava di una leonessa caduta nel lago del tempio, per poi uscirne tramutata in mite gatta e accolta nel santuario[35].
Sempre secondo Erodoto, a Bubasti si svolgevano anche dei festeggiamenti periodici in onore della dea, comprendenti processioni di barche sacre e riti orgiastici e dove è stata rinvenuta una necropoli di gatti sacri mummificati, con relativo tempio[18]. La città attirò anche un grande numero di mercanti di ogni genere, mentre gli artigiani producevano migliaia di statue e amuleti raffiguranti Bastet o gatti, anche in bronzo, da vendere ai devoti. Erano molto comuni gli amuleti di gatte attorniate da cuccioli, popolari fra le donne che speravano di avere figli.
Quando morivano, i gatti delle persone più abbienti avevano diritto a una sepoltura relativamente solenne e onorevole. Ne sono un esempio le onoranze funebri che il principe ereditario Thutmose, primogenito di Amenofi III e della già citata regina Tiy, dispose per la propria gatta Myt, sepolta nella necropoli di Menfi in un piccolo sarcofago di pietra, oggi al Museo del Cairo[36][37]. Le iscrizioni geroglifiche che lo decorano descrivono la trasformazione della gatta in "un'Osiride", come si credeva avvenisse a tutte le persone defunte; riportano inoltre ciò che la dea Iside avrebbe esclamato accogliendo la gatta Myt nell'aldilà:
«Io stendo le mie braccia dietro di te per proteggerti.[38]»
Su una parete del sarcofago la gatta è ritratta con un fiocco al collo. Al suo interno, oltre alla mummia dell'animale, fu rinvenuta addirittura una statuetta ushabti (destinata a prendere magicamente vita e aiutare la gatta nelle faccende quotidiane nel mondo dei morti)[36].
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