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sovrano dell'Impero partico (r. 37-2 a.C.) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Fraate IV, riportato anche nella versione Frahad IV (in partico 𐭐𐭓𐭇𐭕, Frahāt) (... – 2 a.C.), fu re dei Parti dal 37 al 2 a.C..
Fraate IV Arsace XIV | |
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Raffigurazione di Fraate IV su una moneta | |
Re dei Parti | |
In carica | 37 - 2 a.C. |
Predecessore | Orode II |
Successore | Fraate V e Musa |
Morte | 2 a.C. |
Dinastia | Arsacidi |
Padre | Orode II |
Consorte | Olennieire, Cleopatra, Baseirta, Bistheibanaps, Musa |
Figli | Vonone I, Fraate, Seraspande, Rodaspe, Karen, Fraate V, |
Religione | zoroastrismo |
Figlio e successore di Orode II (regnante dal 57 al 37 a.C.), salì al trono dopo la morte di suo fratello Pacoro I. Fraate IV uccise presto tutti i suoi fratelli e, forse, anche suo padre. Le sue politiche si rivelarono particolarmente restrittive nei confronti degli armeni e anche di alcuni nobili, non ultimo l'influente Monaese, che chiesero asilo al triumviro romano Marco Antonio, malgrado poco dopo ci fu una riconciliazione con Fraate IV.
Il sovrano subì le campagne partiche di Marco Antonio avviate nel 36 a.C., con il romano che marciò attraverso l'Armenia attraverso la Media Atropatene; la controffensiva di Fraate IV si rivelò un disastro, considerando che oltre alla sua sconfitta perse la maggior parte del suo esercito. Antonio, credendosi tradito da Artavaside II, re d'Armenia, invase il suo dominio nel 34 a.C., lo fece prigioniero e concluse un trattato con Artavasde I, re di Media Atropatene. Quando scoppiò la guerra con Ottaviano, Antonio non riuscì a preservare quanto conquistato perché impegnato altrove; Fraate IV riprese dunque possesso della Media Atropatene e nominò Artaxias, figlio di Artavaside II, re d'Armenia.
Più o meno nello stesso periodo, il trono di Fraate IV fu usurpato da Tiridate II, ma il legittimo sovrano riuscì rapidamente a ristabilire il suo governo con l'aiuto di Sciti nomadi. Tiridate fuggì presso i romani, portando con sé uno dei figli di Fraate IV. Nelle trattative poste in essere nel 20 a.C., Fraate IV organizzò il rilascio del figlio rapito. In cambio, i romani ricevettero gli stendardi legionari perduti durante la battaglia di Carre nel 53 a.C., così come ogni prigioniero di guerra sopravvissuto. I Parti consideravano questo scambio come un piccolo prezzo da pagare per poter tornare ad accogliere il principe.
Insieme a quest'ultimo, Ottaviano (nel frattempo divenuto noto come Augusto) inviò a Fraate IV una schiava italica di nome Musa, che divenne presto regina e una delle concubine preferite di Fraate IV, dando alla luce Fraatace (Fraate V). Al fine di assicurare il trono per suo figlio, Musa convinse Fraate IV a mandare i suoi quattro figli primogeniti (Vonone, Fraate, Seraspande e Rodaspe) a Roma, al fine di prevenire conflitti sulla sua successione. Nel 2 a.C., Musa fece avvelenare Fraate IV e divenne assieme a Fraate V co-reggente dell'impero.
Frahāt (in greco antico Φραάτης, trasl. Fraates) è la traslitterazione greca del nome partico Frahāt (𐭐𐭓𐭇𐭕), a sua volta derivante dall'antico iranico *Frahāta- ("guadagnato, conquistato").[1] La versione in persiano moderno è Farhād (فرهاد).[2]
Non sono noti né l'anno di nascita né come Fraate trascorse i primi anni della sua vita. Nel 38 a.C., l'erede al trono dei Parti, Pacoro I fu sconfitto e ucciso durante la battaglia del Monte Gindaro combattuta contro le truppe romane. La sua morte provocò una crisi di successione nell'ambito della quale Orode II (regnante dal 57 al 37 a.C.), profondamente afflitto dalla morte del suo figlio prediletto, cedette il trono all'altro figlio Fraate IV.[3] Orode II morì poco dopo, ma la causa del decesso è incerta; secondo Cassio Dione, si lasciò andare completamente dopo aver patito terribilmente per la morte di Pacoro o perì di vecchiaia.[4] Plutarco, tuttavia, afferma che Orode fu assassinato da Fraate IV.[4] Temendo che la sua posizione potesse essere messa in pericolo, Fraate IV giustiziò tutti i suoi fratellastri, ovvero i figli di Orode e della sua moglie commagena Laodice, anche perché la loro discendenza materna aveva un peso specifico maggiore della sua.[5] È probabile che nello stesso contesto trucidò anche Laodice.[6]
Fraate IV allontanò in esilio anche i sostenitori dei suoi fratelli e dei suoi oppositori; uno di loro, Monaese, un nobile dei Parti che si era distinto come comandante militare sotto Orode II, fuggì in Siria, dove si rifugiò presso il triumviro Marco Antonio.[7] Lì Monaese esortò il romano ad attaccare la Partia e gli promise di guidare le truppe e conquistare l'impero senza alcuna difficoltà.[4][8] Antonio concesse a Monaese tre città come testa di ponte, ovvero Larissa, Ierapoli e Arethusa, e gli promise che sarebbe stato nominato sovrano dei Parti.[8][9] Più o meno nello stesso frangente storico, Antonio aveva ripristinato il dominio romano a Gerusalemme e giustiziato il sovrano fantoccio dei Parti Antigono II Asmoneo, a cui successe Erode il Grande,[4] Anche le relazioni tra l'impero partico e l'Armenia avevano risentito del clima creato da Fraate IV, complice la morte di Pacoro I (sposato con una nobildonna armena) e il trattamento riservato dal nuovo sovrano ai suoi fratelli e ad alcuni membri della nobiltà.[10] I Parti presero molto sul serio la defezione di Monaese, ragion per cui Fraate IV lo invitò a far ritorno in patria e riuscì a riconciliarsi.[8]
L'anno successivo, quando Marco Antonio marciò verso Teodosiopoli, Artavaside II d'Armenia disertò e passò dalla parte dei romani inviando ad Antonio truppe aggiuntive. Antonio invase nel corso di una campagna la Media Atropatene, allora governata dall'alleato dei Parti Artavasde I, con l'intenzione di impadronirsi della capitale Praaspa, la cui posizione risulta ad oggi ignota. Tuttavia, Fraate IV tese un'imboscata alla retroguardia di Marco Antonio, distruggendo un enorme ariete destinato all'assedio di Praaspa; dopo questo evento, Artavasde II decise di non fornire più il suo supporto ad Antonio.[11] I Parti inseguirono e aggredirono l'esercito di Marco Antonio mentre fuggiva in Armenia; alla fine, i pochi sopravvissuti riuscirono a trovare rifugio raggiungendo la Siria.[12]
La sconfitta di Marco Antonio, unita a quella riportata da Crasso a Carre nel 53 a.C., sarebbe stata ricordata dai romani per lungo tempo e spesso li spronò a vendicare le disfatte penetrando in Partia nei decenni successivi.[13] Una volta ritornato in Siria, Marco Antonio attirò Artavasde II in una trappola con la promessa di un'alleanza matrimoniale. Fu fatto prigioniero nel 34 a.C., fatto sfilare nel finto trionfo romano di Antonio ad Alessandria d'Egitto e, infine, giustiziato da Cleopatra d'Egitto.[14] Antonio provò a stringere un'alleanza con Artavasde I di Media Atropatene, le cui relazioni con Fraate IV si erano recentemente inasprite. Il progetto si arenò quando Antonio e le sue forze si ritirarono dall'Armenia nel 33 a.C. sfuggendo a un'invasione dei Parti, mentre Ottaviano, rivale di Antonio, attaccò le sue forze a ovest.[14] Secondo Cassio Dione, Fraate IV uccise il re di Commagene Antioco I nel 31 a.C. circa.[15] Dopo il suicidio di Antonio in Egitto, seguito da quello di sua moglie Cleopatra nel 30 a.C., l'alleato dei Parti Artaxias II riprese il trono d'Armenia.[16]
Dopo la sconfitta di Antonio e di Cleopatra nella battaglia di Azio nel 31 a.C., Ottaviano consolidò il suo potere politico e nel 27 a.C. fu nominato Augusto dal senato romano, diventando così il primo imperatore.[17] In quegli anni, Tiridate II di Partia rovesciò brevemente Fraate IV, che fu in grado di riprendere possesso del trono in tempi brevi con l'aiuto dei nomadi sciti.[18] Tiridate fuggì dai romani, portando con sé uno dei figli di Fraate IV. Nelle trattative condotte nel 20 a.C., il sovrano organizzò il rilascio del figlio rapito; in cambio, i romani ricevettero gli stendardi legionari perduti a Carre nel 53 a.C., così come tutti i prigionieri di guerra sopravvissuti.[19] I Parti consideravano questo scambio come un prezzo irrisorio da pagare per poter tornare a riaccogliere il principe.[20] Augusto salutò il ritorno degli stendardi come una vittoria politica sulla Partia; questa propaganda venne celebrata con il conio di nuove monete, con la costruzione di un nuovo tempio che potesse ospitare gli stendardi, il Foro di Augusto, e raffigurando la scena del pettorale sulla sua statua di Augusto di Prima Porta.[21]
Assieme al principe, Augusto inviò a Fraate IV una schiava italica di nome Musa, che divenne rapidamente regina e una delle favorite di Fraate IV, dando alla luce Fraatace (Fraate V).[22] Emma Strugnell ha ipotizzato che Augusto potrebbe aver inviato Musa nel tentativo di ottenere informazioni o influenzare il re dei Parti a vantaggio dei romani.[23] Aggiunge inoltre che «Augusto potrebbe aver forse pensato di scagliare un'invasione punitiva contro la Partia, con il probabile scopo di convertirla in una provincia romana».[24] Secondo le pergamene di Avroman, Fraate IV aveva già almeno altre quattro regine a quel tempo: Olennieire, Cleopatra, Baseirta e Bistheibanaps.[25]
Cercando di garantire il trono per suo figlio, nel 9/10 a.C. Musa convinse Fraate IV a mandare i suoi quattro figli primogeniti (Vonone, Fraate, Seraspande e Rodaspe) a Roma per evitare conflitti relativi alla successione.[26] Ancora una volta, Augusto sfruttò l'evento a titolo propagandistico per ribadire la sottomissione della Partia a Roma, annoverandolo come un grande risultato nel suo Res Gestae Divi Augusti.[27] Nel 2 a.C., Musa fece avvelenare l'anziano Fraate IV e divenne co-reggente dell'impero al fianco di Fraate V.[28]
Sotto Fraate IV e suo padre, la produzione di monete raggiunse il suo apice, con l'unico sovrano dei Parti che raggiunse numeri simili che fu Mitridate II (r. 124-88 a.C.).[29] Fraate IV mantenne perlopiù lo stesso stile di conio partico adoperato dal suo genitore.[30] Gli studiosi di numismatica sottolineano come la parte anteriore delle sue monete lo ritrae con i capelli e la barba corti, oltre a baffi ben visibili.[30] Secondo lo storico moderno Vesta Sarkhosh Curtis, il ritratto assomiglia molto alla statua di Shami, scoperta nel Monti Bakhtiari nell'Iran sudoccidentale e attualmente conservata nel museo nazionale dell'Iran a Teheran.[31] Sul retro è presente un uccello rapace, la cui testa è associata alla khvarenah, cioè alla gloria regale.[32] Il volatile, forse la raffigurazione artistica ornitologica della divinità Verethragna, tiene in mano un diadema, una corona o un anello.[32]
Il rovescio raffigura un arciere seduto che indossa un copricapo morbido (bašlyk) e seduto su un trono. Curtis nota la sua stretta somiglianza con i troni dei monarchi achemenidi raffigurati sui rilievi rupestri di Persepoli.[33] Un'altra parte posteriore delle sue monete, tuttavia, raffigura una scena d'investitura, con Orode che riceve uno scettro dalla dea greca Tiche.[30][31] In epoca partica, gli iranici adoperavano l'iconografia ellenistica per ritrarre le loro figure divine, ragion per cui la scena dell'investitura può essere associata alla khvarenah, con Tiche che andrebbe ricondotta ad Anahita o ad Ashi.[34] Il titolo di Fraate IV riportato sulla sua moneta era: «[moneta] del re dei re, Arsace, giusto, benefattore, illustre, filelleno».[35]
Fraate IV ebbe le seguenti mogli:[36]
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