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filosofo ellenistico di cultura ebraica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Filone di Alessandria, noto anche come Filone giudeo (Alessandria d'Egitto, 20 a.C. circa – 45 d.C. circa[1]), è stato un filosofo ebreo antico naturalizzato romano vissuto in epoca imperiale.
Si impegnò a risolvere i problemi posti dal rapporto tra l'Antico Testamento e la rivelazione in esso contenuta, da un lato, e i risultati dell'indagine filosofica, dall'altro.
Nelle opere di Flavio Giuseppe si possono trovare i pochi dettagli biografici che lo riguardano.
Sebbene i nomi dei suoi genitori non siano noti, Filone proveniva da famiglia nobile, onorata e benestante. A suo padre, o a suo nonno, Gaio Giulio Cesare aveva concesso la cittadinanza romana. Filone aveva due fratelli, l'alabarca Tiberio Giulio Alessandro Maggiore e Lisimaco.
Nel suo trattato De Providentia[2], Filone riferisce che si recava frequentemente in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per offrire sacrifici a Dio. Questo avveniva, con ogni probabilità, nello stesso periodo in cui fu attivo in Galilea e Giudea Gesù di Nazareth.
Coltissimo esponente della potente comunità ebraica di Alessandria, sede della più importante biblioteca del tempo, nel 39 d.C. fece parte della delegazione inviata a Roma presso l'imperatore romano Caligola per protestare contro le vessazioni subite dagli Ebrei per mano di Flacco, governatore della città.
Egli fu forse il primo esegeta che con una certa sistematicità commentò testi biblici, da lui conosciuti verosimilmente nella traduzione in lingua greca, e fu profondo conoscitore dell'Antico Testamento.
La sua originalità consiste nell'aver interpretato la Bibbia secondo la filosofia in particolare platonica – tuttavia sono presenti anche elementi tratti dallo stoicismo, dall'epicureismo e da altre correnti filosofiche ellenistiche. Egli vede nella teoria del demiurgo (esposta da Platone nel suo Timeo), il Dio creatore ebraico.
Il platonismo lo influenza anche per quanto concerne la dottrina dell'esistenza di Dio: Dio è ineffabile e il linguaggio non è uno strumento sufficiente per esprimerne l'essenza.
Affermò che il Dio personale dell'Antico Testamento dovesse prevalere su quello dei filosofi. Fu il primo ad asserire che Dio è ineffabile e innominabile. Egli è massima generalità e semplicità, ma privo di antropomorfismo. Descrisse il Logos come una sostanza spirituale incorporea e come il mediatore della creazione.[3] Fu il primo filosofo a introdurre la parola greca ἔκστασις (estasi)[4], utilizzata per indicare, nelle sue parole, "lo stato d’animo di un uomo ispirato e posseduto da Dio", esemplificato dai profeti.
Filone teorizzò il metodo dell'interpretazione allegorica fondata sulla distinzione tra due significati presenti nel testo: la lettera e lo spirito; lo spirito racchiude il significato più autentico.
I testi mosaici del Pentateuco, contenenti la descrizione della creazione e le fondamentali leggi divine, insieme con gli altri testi accorpati a questi, furono da Filone, accanto al loro significato più immediato e letterale, arricchiti di un significato allegorico. Questo modo di leggere i testi biblici ebbe di lì a breve molta fortuna e costituì il metodo interpretativo principale per la tradizione neoplatonica di area ebraica.
Le opere di Filone improntate a una interpretazione allegorica sono:
Filone scrisse un'opera sistematica concernente Mosè e il decalogo, introdotta dal trattato De opificio mundi, che nelle attuali edizioni precede De allegoriis legum, vol.i (De abrahamo, § 1 [ii. 1], con De præmiis et pœnis, § 1 [ii. 408]). La Creazione, secondo Filone, è il fondamento della legislazione mosaica, che è in completa armonia con la natura (De Opificio Mundi, § 1 [i. 1]). L'esposizione della Legge è suddivisa in due sezioni. Nella prima sezione, vi sono le biografie di uomini quali, Enos, Enoch, Noè, Abramo, Isacco, e Giacobbe, che precedettero le svariate leggi scritte della Torah. Questi furono i Patriarchi, viventi personificazioni della virtù secondo la legge naturale prima ancora che vi fossero leggi scritte.
Nella seconda sezione vengono discusse in dettaglio le leggi: per primi i dieci comandamenti (il Decalogo), quindi i precetti derivanti da ciascun comandamento. L'opera è suddivisa nei seguenti trattati:
De Vita Contemplativa (su titoli diversi cfr. Schürer, l.c. p. 535). Quest'opera descrive il modus vivendi e le ricorrenze religiose di una comunità di asceti Ebrei, i Terapeuti, che, secondo l'autore, sono diffusi dappertutto ma si incontrano specialmente in ogni casa dell'Egitto. L'autore, comunque si limita a descrivere una colonia di eremiti che vive sulle rive del lago Mareotis in Egitto, dove ognuno vive nella propria dimora. Per sei giorni sono in devota contemplazione, principalmente, della Sacra Scrittura. Al settimo giorno uomini e donne si riuniscono in una sala dove la guida della comunità tiene un sermone consistente in una interpretazione allegorica di un passaggio delle Scritture. Il quindicesimo giorno è occasione di una celebrazione speciale. La cerimonia incomincia con un pasto frugale consistente in pane, vegetali conditi con sale e acqua; durante il pranzo viene commentato un passaggio delle Scritture. Al termine del pasto i membri della comunità a turno cantano diversi tipi di inni religiosi, l'assemblea a sua volta risponde con un ritornello. La cerimonia termina con una rappresentazione corale in ricordo della cerimonia che Mosè e Miriam organizzarono dopo l'attraversamento del Mar Rosso, le voci degli uomini e delle donne unite in armonia si alzano al cielo fino al sorgere del sole. Dopo la preghiera del mattino recitata in comune ognuno torna alla sua dimora per riprendere la contemplazione. Questa è la vita contemplativa (βίος θεωρητικός, bios theōrētikós) condotta da questi Θεραπευταί (therapeutài ovvero "servi di Yhwh").
La Chiesa antica considerava questi Therapeutae come una dissimulazione dei monaci cristiani. Questa posizione ha trovato sostenitori anche in tempi recenti; in particolare è stata ampiamente recepita l'opinione di Lucius secondo cui la comunità monastica del III secolo è stata in quest'opera esaltata sotto spoglie ebraiche ("Die Therapeuten," 1879). Tuttavia il rituale della comunità, complessivamente estraneo alle posteriori tradizioni cristiane, sembrerebbe confutare questa possibilità. In special modo la cerimonia principale, la rappresentazione corale della traversata del Mar Rosso, non pare avere significato così fondativo per i cristiani; né ci sono mai state nella Chiesa cristiana cerimonie notturne celebrate unitamente da uomini e donne. Massebieau (Revue de l'histoire des religions, 1887, xvi. 170 e seg., 284 e seg.), F. C. Conybeare ("Philo About the Contemplative Life," Oxford, 1895), e Wendland (Die Therapeuten, ecc., Leipsig, 1896) attribuiscono l'intera opera a Filone, basando la loro convinzione su motivi linguistici che sembrano abbastanza decisivi. Tuttavia, bisogna sottolineare grandi discordanze fra le concezioni fondamentali dell'autore di De vita contemplativa e quelle di Filone. Quest'ultimo guarda all'affinità intercorrente tra cultura e filosofia greche, l'altro autore è ostile verso la filosofia greca (vedi Siegfried in Protestantische Kirchenzeitung, 1896, No.42). Infatti, questi ripudia una scienza che annoverava fra i suoi seguaci i Pitagorici con i loro misteri, uomini ispirati come Parmenide, Empedocle, Zenone, Cleante, Eraclito, e Platone, pensatori che invece Filone apprezzava (Quod omnis probus, i., ii.; Quis rerum divinarum heres sit, 43; De Providentia, ii. 42, 48, etc.). L'autore di De vita contemplativa considera il simposio come una riprovevole, ordinaria bisboccia. Tale posizione non può essere spiegata come una diatriba stoica; perché in tal caso Filone non sarebbe certo ritornato su questo argomento. Infatti, Filone non si sarebbe mai permesso di interpretare l'eros platonico nel modo volgare in cui viene presentato in De vita contemplativa, 7 (ii. 480), dato che egli ripetutamente usa il mito del Doppio allegoricamente nella sua interpretazione delle Scritture (De opificio mundi, 24; De allegoriis legum, ii. 24). Inoltre, bisogna tener presente che Filone in nessun'altra sua opera menziona queste comunità di asceti allegorizzanti, che certamente avrebbero suscitato il suo interesse se fosse stato a conoscenza della loro esistenza. Tuttavia, è possibile che degli allievi di Filone successivamente abbiano fondato vicino ad Alessandria delle comunità di questo genere che cercarono di realizzare l'ideale del maestro per una vita pura vittoriosa sulle passioni e i sensi; ed è anche possibile che questi allievi siano stati responsabili dello sviluppo unilaterale di certi principi del maestro. Pur desiderando rinunciare ai piaceri del mondo, Filone aderì alla cultura scientifica ellenistica, che invece viene riprovata dall'autore di quest'opera. Benché agognasse a una vita contemplativa e ne lamentasse la mancanza (De specialibus legibus, 1 [ii. 299]) Filone non privò la comunità alessandrina del proprio operato.
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