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principessa d'Inghilterra e Scozia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Elisabetta Stuart (St. James's Palace, 28 dicembre 1635 – Castello di Carisbrooke, 8 settembre 1650) era la seconda figlia del re Carlo I d'Inghilterra e di Enrichetta Maria di Borbone-Francia.
Dall'età di sei anni fino alla morte prematura all'età di 14 anni, visse come prigioniera del Parlamento durante la guerra civile inglese. Il suo resoconto scritto del suo ultimo incontro con il padre alla vigilia della di lui esecuzione e delle sue ultime parole ai figli è stato pubblicato in numerose storie della guerra e biografie di Carlo I[1].
Elisabetta nacque il 28 dicembre 1635 a St. James's Palace e venne lì battezzata il 2 gennaio successivo da William Laud, arcivescovo di Canterbury. Nel 1636 Maria de' Medici, nonna materna della principessa, tentò di fidanzarla con il figlio del Principe d'Orange, il futuro Statolder Guglielmo II d'Orange, ma, nonostante l'opinione personale di Carlo I fosse che il matrimonio di una principessa d'Inghilterra con un principe d'Orange fosse troppo al di sotto del suo grado, le difficoltà politiche e finanziarie del re lo costrinsero a cedere, scegliendo però la sorella di Elisabetta, Maria, la principessa reale, per questa unione.
Allo scoppio della guerra civile inglese nel 1642, Elisabetta, assieme al fratello Enrico, duca di Gloucester, venne posta sotto la custodia del Parlamento. Philip Herbert, IV conte di Pembroke, venne nominato tutore dei bambini. Quando il Parlamento decise di togliere ad Elisabetta la sua corte, la principessa dodicenne scrisse una lettera di appello contro questa decisione nel 1648:
«My Lords, I account myself very miserable that I must have my servants taken from me and strangers put to me. You promised me that you would have a care for me; and I hope you will show it in preventing so great a grief as this would be to me. I pray my lords consider of it, and give me cause to thank you, and to rest. Your loving friend, Elizabeth.»
«My Lords, mi riterrei davvero infelice se debbo avere i miei servitori mandati via e degli estranei prendere il loro posto presso di me. Voi mi avete promesso di prendervi cura di me, e io spero che lo dimostrerete prevenendo un dolore grande come questo sarebbe per me. Prego i miei Lord di considerare questo, e di darmi motivo di ringraziarli e di stare tranquilla. La vostra amica, Elisabetta.»
La Camera dei Lord si mostrò comprensiva verso questa richiesta e condannò la Camera dei Comuni per essersi indebitamente intromessa nell'organizzazione della corte, e la decisione venne ritirata. Tuttavia, i Comuni pretesero che i principi reali venissero educati nella fede protestante e che fosse loro proibito di unirsi al resto della corte a Oxford, il che li rese virtualmente prigionieri a St. James's Palace. Il giovane duca di Gloucester venne persino, a un certo momento, dopo la sconfitta del padre, considerato come possibile re in un sistema di monarchia costituzionale.
Nel 1643, quando aveva sette anni, Elisabetta si ruppe una gamba e venne trasferita a Chelsea assieme al fratello Enrico. Là ricevette un'educazione dalla celebre studiosa Bathsua Makin fino al 1644, grazie alla quale sapeva leggere e scrivere in ebraico, greco, italiano, latino e francese. Molti eminenti studiosi le dedicarono le loro opere, impressionati dal suo gusto per le letture devote.
Dopo che la tutela dei figli più giovani del re venne affidata ad Algernon Percy, X conte di Northumberland, nel 1642, il loro fratello, il principe Giacomo, duca di York e futuro Giacomo II, venne a trovarli, ma, a quanto sembra, gli fu consigliato di scappare dalla stessa Elisabetta, preoccupata di saperlo troppo vicino ai nemici del re. Finalmente, nel 1647, Elisabetta, il duca di York e il duca di Gloucester furono autorizzati a viaggiare fino a Maidenhead per incontrare il re e passare con lui due giorni. Dopo che il re fu costretto a trasferirsi a Hampton Court Palace, venne a far visita ai figli, posti sotto la tutela di Northumberland, a Syon House, ma ben presto ciò non fu più possibile perché il re scappò al castello di Carisbrooke, nell'isola di Wight; apparentemente fu sempre Elisabetta, allora di dieci anni, ad aiutare il duca di York a scappare un'altra volta, travestendolo da donna. Le circostanze difficili in cui crebbe contribuirono a fortificare il carattere della principessa: quando aveva undici anni, l'ambasciatore francese la descrisse come molto bella e dotata di "grazia, dignità, intelligenza e sensibilità" che le permettevano di giudicare le diverse persone che incontrava e di capire diversi punti di vista[1]. Ma alla forza di carattere si contrapponeva una salute molto precaria: un esame dei suoi resti svolto in epoca vittoriana rivelò che la principessa soffriva di rachitismo, che le causava deformità alla schiena e alle spalle, ginocchio valgo e metatarso varo, che sicuramente le rendevano il camminare molto difficile[2].
Quando Carlo I venne arrestato e condannato a morte da Oliver Cromwell e dagli altri giudici nel 1649, Elisabetta scrisse una lunga lettera al Parlamento in cui chiedeva il permesso di raggiungere la sorella Maria nei Paesi Bassi, ma questa richiesta fu respinta fino a quando non si fosse proceduto all'esecuzione. Il 29 gennaio 1649 avvenne l'ultimo incontro tra Elisabetta (13 anni), il duca di Gloucester (8) e il loro padre: Elisabetta ne scrisse un resoconto che venne trovato tra i suoi oggetti personali dopo la sua morte
«He told me he was glad I was come, and although he had not time to say much, yet somewhat he had to say to me which he had not to another, or leave in writing, because he feared their cruelty was such as that they would not have permitted him to write to me.»
«Mi disse che era contento che fossi venuta e, sebbene non avesse tempo di dire molto, pur tuttavia doveva comunicarmi qualcosa che non aveva detto a nessun altro, né lasciato scritto, poiché temeva che la loro crudeltà fosse tale che non gli avrebbero permesso di scrivermi.»
La principessa piangeva così forte che il padre le chiese se sarebbe stata capace di ricordare le parole che le avrebbe detto, ed ella promise che non le avrebbe mai dimenticate e che le avrebbe scritte. Carlo I disse alla figlia di non angosciarsi e torturarsi per lui ("grieve and torment [herself] for him") e le chiese di mantenere la sua fede nella religione protestante. Le ordinò di leggere alcuni libri, tra i quali i Sermoni del vescovo Lancelot Andrewes, il trattato Sulle leggi del governo ecclesiastico di Richard Hooker e lo scritto di William Laud contro il gesuita Fisher (A Relation of the Conference between William Laud and Mr. Fisher the Jesuit), per rafforzarla contro il papismo.
«He bid us tell my mother that his thoughts had never strayed from her, and that his love would be the same to the last. Withal, he commanded me and my brother to be obedient to her; and bid me send his blessing to the rest of my brothers and sisters, with communications to all his friends. Then, taking my brother Gloucester on his knee, he said, 'Sweetheart, now they will cut off thy father's head.' And Gloucester looking very intently upon him, he said again, "Heed, my child, what I say: they will cut off my head and perhaps make thee a king. But mark what I say. Thou must not be a king as long as thy brothers Charles and James do live; for they will cut off your brothers' heads when they can catch them, and cut off thy head too at the last, and therefore I charge you, do not be made a king by them.' At which my brother sighed deeply, and made answer: 'I will be torn in pieces first!' And these words, coming so unexpectedly from so young a child, rejoiced my father exceedingly. And his majesty spoke to him of the welfare of his soul, and to keep his religion, commanding him to fear God, and He would provide for him. Further, he commanded us all to forgive those people, but never to trust them; for they had been most false to him and those that gave them power, and he feared also to their own souls. And he desired me not to grieve for him, for he should die a martyr, and that he doubted not the Lord would settle his throne upon his son, and that we all should be happier than we could have expected to have been if he had lived; with many other things which at present I cannot remember.»
«Ci pregò di dire a mia madre che i suoi pensieri non si erano mai allontanati da lei, e che il suo amore sarebbe rimasto lo stesso fino alla fine. Inoltre, ordinò a me e a mio fratello di essere obbedienti verso di lei, e mi pregò di portare la sua benedizione agli altri miei fratelli e sorelle, con saluti a tutti i suoi amici. Quindi, prendendo mio fratello Gloucester sulle ginocchia, gli disse: "Tesoro, ora taglieranno la testa di tuo padre". E mentre Gloucester lo guardava fisso, disse ancora: "Ascolta bene, figlio mio, ciò che ti dico: mi taglieranno la testa e forse faranno di te un re. Ma fa' attenzione. Tu non dovrai essere re fin quando i tuoi fratelli Carlo e Giacomo vivono, perché taglieranno la testa anche ai tuoi fratelli se riusciranno a prenderli, e taglieranno la testa anche a te alla fine, e pertanto ti ordino, non farti proclamare re da loro". Al che mio fratello sospirò profondamente, e rispose: "Prima mi farò tagliare a pezzi!". E queste parole, giunte così inaspettatamente da un bambino così piccolo, rallegrarono profondamente mio padre. E Sua Maestà gli parlò [poi] del benessere della sua anima, [gli ordinò] di mantenere la sua fede e di temere Dio, che avrebbe avuto cura di lui. Inoltre, ci ordinò di perdonare quelle persone, ma di non fidarci mai di loro, perché erano state molto false verso di lui e verso quelli che avevano dato loro potere, e ora egli temeva per le loro anime. E desiderava che io non fossi triste per lui, perché egli sarebbe morto da martire, per cui non dubitava che il Signore avesse preparato un trono per il Suo figlio, e tutti noi avremmo dovuto essere molto più felici di quanto ci saremmo potuti aspettare se fosse rimasto in vita, e molte altre cose che al momento non riesco a ricordare.»
[3] Carlo I diede inoltre alla figlia una Bibbia[4]. Dopo l'esecuzione del re, i principi divennero un peso poco gradito: Joceline, Lord Lisle, figlio del conte di Northumberland, presentò di fronte al Parlamento una richiesta per sollevare la sua famiglia dall'incarico di custodire Elisabetta e suo fratello. Il Parlamento, però, rifiutò di concedere ai due bambini di recarsi nei Paesi Bassi e, invece, li pose sotto la tutela di Sir Edward Harrington, ma il figlio di Harrington riuscì a ottenere che se ne occupasse qualcun altro.
La successiva residenza di Elisabetta e del fratello fu Penshurst Place, sotto la tutela di Robert Sidney, I conte di Leicester, e di sua moglie Dorothy. Le istruzioni del Parlamento erano che i bambini non dovessero essere trattati con indulgenza; tuttavia, la contessa di Leicester trattò Elisabetta con grande gentilezza e ricevette in regalo un gioiello dalla collezione personale della principessa, che in seguito fu al centro di una controversia tra la contessa e i commissari del Parlamento incaricati di custodire le proprietà del defunto re.
Nel 1650, il fratello maggiore di Elisabetta, l'ormai de facto Carlo II, si recò in Scozia per essere incoronato re di quel Paese. Elisabetta venne trasferita all'isola di Wight come ostaggio e posta sotto la tutela di Anthony Mildmay, con una pensione di £3000 all'anno. L'allontanamento da Penshurst fu probabilmente la causa della sua morte: la principessa lamentò che la sua salute non le consentiva di muoversi, ma ubbidì ugualmente; prese un raffreddore che ben presto degenerò in polmonite e morì l'8 settembre 1650. Alcuni testimoni riferiscono che venne trovata morta con il capo sulla Bibbia che il padre le aveva dato; tre giorni dopo la morte, arrivò l'autorizzazione del Consiglio di Stato a raggiungere sua sorella Maria nei Paesi Bassi[1]. Elisabetta venne sepolta nella St. Thomas's Church, a Newport, nell'isola di Wight.
Fino al XIX secolo la sua tomba rimase spoglia, ad eccezione delle sue iniziali incise: E[lizabeth] S[tuart]. La regina Vittoria, che fra le sue residenze preferite aveva Osborne House nell'isola di Wight, ordinò che venisse eretto un conveniente monumento in sua memoria. Nel 1856 una statua in marmo bianco, eseguita dallo scultore, Carlo Marochetti, venne posta sulla tomba: raffigurava Elisabetta come una giovane e bella ragazza, con il capo appoggiato sopra la Bibbia aperta sulle parole del Vangelo secondo Matteo: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e vi darò riposo" (Mt, 11, 28). Sopra la scultura vi è una grata, che indica che ella era prigioniera, ma le sbarre sono rotte a simboleggiare che la prigioniera è fuggita verso "una pace più grande"[5]. Un'iscrizione recita: "In memoria della principessa Elisabetta, figlia di re Carlo I, che morì al castello di Carisbrooke l'8 settembre 1650 ed è sepolta nel coro di questa chiesa, questo monumento è eretto quale pegno di rispetto per le sue virtù e di compassione per le sofferenze, da Vittoria R., 1856"[6].
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