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minerale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'eliotropio, o elitropia (in latino, heliotropium; in greco, ἡλιοτρόπιον[1]), è una forma di calcedonio[2] (che è una miscela criptocristallina di quarzo e del suo polimorfo monoclino mogánite). Il "classico" eliotropio è calcedonio verde scuro con macchie rosso-arancio dovute a inclusioni di ossido di ferro o diaspro. A volte, le inclusioni sono di colore giallo (actinolite), nel qual caso al minerale viene dato l'antico nome di plasma[3].
Eliotropio | |
---|---|
Formula chimica | SiO2 (silice) |
Proprietà cristallografiche | |
Sistema cristallino | trigonale |
Si invita a seguire lo schema di Modello di voce – Minerale |
Le inclusioni rosse dovrebbero assomigliare a macchie di sangue, per questo viene erroneamente chiamato anche diaspro sanguigno e, in inglese, bloodstone.
Il nome eliotropio (dal greco ήλιος helios, sole e τρέπειν trepein, girare) deriva da varie antiche nozioni circa il modo in cui il minerale riflette la luce; queste sono descritte, per esempio, da Plinio il Vecchio (Naturalis historia XXXVII.165).
L'eliotropio è l'oggetto di una delle novelle del Decameron di Boccaccio (Calandrino e l'elitropia/Calandrino lapidato, ottava giornata, novella terza), con il nome di elitropia; è la pietra legata al segno zodiacale dell'Ariete[senza fonte].
I giacimenti principali sono in India; si trova anche in Brasile, Cina, Australia e negli Stati Uniti d'America. Nell'isola di Rum, in Scozia, c'è un affioramento di "diaspro sanguigno".
Come pietra preziosa verde, si attribuiva all'elitropia la virtù di guarire le morsicature dei serpenti[4] e anche di rendere invisibile chi la portava indosso[5][6]. Ne parla Boccaccio, nella Novella di Calandrino e l'elitropia (VIII, 3), nel Decameron:
«pietra di troppa gran virtù, perciocché qualunque la porta sopra di sé non è da alcun'altra persona veduto.»
Dante ne parla nel XXIV canto dell'Inferno:
«Tra questa cruda, e tristissima copia / Correvan genti nude, e spaventate, / Senza sperar pertugio, o elitropia.»
Il commentatore Francesco da Buti[7]
spiega:
«Elitropia; questa è una pietra, che, secondoché dice il lapidario, vale contr'a' veleni.»
Sempre incentrata sul leggendario potere di rendere invisibili chi la portava, esisteva un'altra tradizione che considerava l'elitropia come erba: esiste infatti anche la pianta dell'Heliotropium.
Francesco Sacchetti oscilla tra le due interpretazioni magiche,[8]
«Elitropia è cara margherita, la qual si cria in Cipri, e in Affrica ec...»
ma dopo dice:
«Op. div. 93. E chi l'ha addosso coll'erba elitropia, non è veduto da altrui.»
Anche Franco Sacchetti riporta, oltre il valore di pietra quello di vegetale:[9][10]
«Elitropia, diciamo anche a quell'Erba, il cui fiore sempre si volge inverso 'l sole; onde è detta anche Girasole; ed è anche chiamata Clizia. Lat. heliotropium. Gr. ἡλιοτρόπιον.»
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