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La Repubblica Democratica Tedesca aveva un'economia pianificata simile a quella dell'Unione Sovietica e degli altri membri del Comecon. Lo stato fissava gli obiettivi di produzione e i prezzi delle merci oltre che ad allocare le risorse, agendo secondo dei piani comprensivi. I mezzi di produzione erano gestiti esclusivamente dallo stato.
La RDT aveva standard di vita superiori ai paesi del blocco orientale e della stessa Unione Sovietica, inoltre aveva delle agevolazioni fiscali e tariffarie esclusive con il mercato tedesco occidentale.[1]
Ciascuna potenza occupante assunse il pieno controllo sulle rispettive zone a partire dal giugno del 1945. Gli Alleati seguirono una politica comune incentrata sulla denazificazione del territorio per un futuro stato tedesco democratico.
Ben presto, le aree occidentali e sovietiche presero vie diverse dal punto di vista economico: nel 1946, la zona sovietica aveva un Total factor productivity inferiore; l'industrializzazione durante la guerra aveva contribuito soprattutto all'economia orientale dove vi furono meno danni rispetto all'occidente.[2] Già nel 1948, tuttavia, le aree occidentali erano diventate più prospere.[2]
Vi erano numerose ragioni dietro all'arretratezza della Germania orientale. Mentre ingenti somme di denaro venivano versate nelle casse della Germania Ovest, principalmente dagli Stati Uniti, l'Unione Sovietica non solo non aveva finanziato l'economia della sua zona d'occupazione ma aveva usato i soldi per pagare i costi di riparazione e di occupazione. Il prezzo delle riparazioni dirette e indirette pagate dalla Germania dell'Est è stato di 14 miliardi $ tra il 1946 e il 1953 con il cambio del 1938.[3]
Le industrie belliche e non che erano di proprietà dello stato e dei gerarchi nazisti, furono confiscate e hanno costituito approssimativamente il 60% dell'intera produzione nella zona sovietica. Le fabbriche pesanti (il 20% della produzione totale) furono sfruttate dall'URSS per le riparazioni e vennero create le aziende congiunte sovietiche (in tedesco: Sowjetische Aktiengesellschaften - SAG). Le rimanenti proprietà industriali confiscate furono nazionalizzate, lasciando il 40% della produzione in mano ai privati.[4] Le riparazioni svantaggiavano la RDT nella competizione economica con la controparte occidentale.
Mentre lo smantellamento della capacità industriale ebbe un impatto significativo, il fattore più importante per comprendere l'iniziale divergenza economica è da ritrovarsi nella separazione della RDT dal mercato tedesco occidentale.[2] L'economia della RDT era principalmente dominata dall'industria di consumo, e dipendeva dalle materie prime e dai beni intermedi disponibili solo in occidente. La Germania dell'Est non aveva nessun giacimento di carbone e poteva essere soddisfatta solo la metà della richiesta interna di carburante.[2] Nel 1943 l'est produceva lo 0,5% di coke, l'1,6% di ferro e il 6,9% di acciaio nella Germania postbellica.[2] Dopo la guerra, il commercio tra l'est e l'ovest diminuì del 35%.[2]
Il commercio al dettaglio venne monopolizzato dallo stato tramite le Konsum e le Handelsorganisation, dotate entrambe di speciali preferenze. Il 2 gennaio 1949, fu lanciato un piano economico biennale che mirava ad un incremento dell'81% del livello produttivo del 1939, e aumentare dal 12% al 15% salari tagliando del 30% i costi di produzione. Il piano prevedeva anche un incremento delle razioni quotidiane di cibo da 1 500 a 2 000 calorie.
Si stima che nel 1949 il 100% dei trasporti, tra il 90 e il 100% delle industrie chimiche e il 93% delle aziende di carburanti fossero sotto il controllo sovietico. Alla fine del 1950, la Germania dell'Est aveva pagato 3,7 miliardi $ dei 10 miliardi richiesti dall'URSS per le riparazione. Dopo la morte di Stalin e i moti operai del 1953, l'URSS restituì le aziende precedentemente confiscate al governo della Germania dell'Est.
Nel maggio 1949, il ministro degli esteri sovietico Andrej Vyšinskij affermò che la produzione nella zona di occupazione sovietica aveva raggiunto nel marzo dello stesso anno il 96,6% in più del 1936 e che il budget della zona aveva un surplus di 1 miliardo di marchi orientali, nonostante un taglio del 30% delle tasse.
La riforma agraria (Bodenreform) espropriava tutte le terre possedute dai nazisti e dai criminali di guerra e generalmente proprietà superiori a un 1 km². Alcune delle 500 proprietà degli Junker furono convertite in fattorie collettive del popolo (in tedesco Landwirtschaftliche Produktionsgenossenschaft - LPG), e più di 30 000 km² furono distribuiti tra più di 500 000 contadini, braccianti e rifugiati.[4] Le compensazioni venivano pagate solo agli antinazisti. Nel settembre del 1947 l'amministrazione militare sovietica annunciava la conclusione della riforma agraria nella zona di occupazione, per un totale di 12 355 proprietà e 6 000 000 acri (24 000 km²) nazionalizzati e ridistribuiti a 119 000 famiglie di contadini senza terra, 83 000 famiglie di rifugiati e altre 300 000 di altre categorie. Furono create le fattorie di stato rinominate Volkseigenes Gut ("Proprietà del popolo").
Il III Congresso del Partito Socialista Unificato di Germania (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands - SED) si riunì a luglio del 1950 ed enfatizzò il progresso industriale, settore in cui era impiegato il 40% dei lavoratori. Fu nazionalizzato successivamente con la creazione delle "Imprese del Popolo" (in tedesco: Volkseigene Betriebe - VEB). Queste aziende incorporavano il 75% della produzione industriale. Il primo piano quinquennale (1951–55) introdusse la pianificazione centralizzata di stato, fissando alte quote di produzione per l'industria pesante e una maggior richiesta di produttività dei lavoratori. Le pressioni imposte dal piano portarono all'esodo di cittadini verso la Germania dell'Ovest.[4] La seconda conferenza del SED (di minore importanza rispetto al congresso) venne organizzata dal 9 al 12 luglio del 1952, alla quale parteciparono 1 565 delegati, 494 delegati ospiti e più di 2 500 ospiti da tutta la RDT e da altri paesi del mondo. Durante la conferenza venne elaborata la nuova politica economica della "costruzione pianificata del socialismo", per rafforzare il settore statale dell'economia. Gli obiettivi successivi furono l'implementazione dei principi di pianificazione uniforme del socialismo e il sistematico impiego di riforme economiche socialiste.
Nel 1953, un'industria su sette aveva delocalizzato la produzione a est.[5] Intanto, Iosif Stalin morì nel marzo dello stesso anno e due mesi dopo, il SED, con la speranza di migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, annunciò il "Nuovo corso", basato sulla politica economica avviata da Georgij Malenkov nell'Unione Sovietica. La riforma di Malenkov, che aspirava a migliorare la qualità della vita, portò a maggiori investimenti nell'industria leggera sovietica e nel commercio, aumentando la disponibilità dei beni di consumo. Il SED, oltre a spostare gli obiettivi di produzione dall'industria pesante a quella di consumo, aveva avviato un programma per alleviare i disagi economici tramite una riduzione delle tasse e delle quote di consegna, l'emissione di prestiti statali per le attività private e un incremento dell'allocazione dei materiali di produzione.[4]
Nonostante il Nuovo corso avesse aumentato la disponibilità dei beni di consumo, non aveva ancora ridotto le alte quote di produzione e quando aumentarono nel 1953, suscitarono dei moti operai con scioperi e manifestazioni nei più importanti centri industriali del paese. La Volkspolizei e l'Armata Rossa sedarono le rivolte, uccidendo più di 100 persone.
Quando venne portato alla Volkskammer il bilancio del 1953, il tema centrale rimaneva ancora lo sfruttamento economico da parte dell'Unione Sovietica, la legge prevedeva spese da 34,688 miliardi di marchi (un aumento del 10% rispetto ai 31,730 miliardi del bilancio del 1952) e soprattutto altri finanziamenti per rafforzare l'economia e la difesa.
Nel 1956, durante il XX congresso del Partito Comunista Sovietico, il primo segretario Nikita Chruščëv denunciò lo stalinismo e i crimini commessi dal dittatore: in quel momento, una intelligencija accademica aveva chiesto delle riforme assieme alla leadership del SED, e Wolfgang Harich pubblicò un programma che chiedeva dei cambiamenti radicali nel sistema della RDT. Verso la fine del 1956, Harich e i suoi associati furono espulsi dal SED e messi in prigione.[4]
Un plenum del SED nel luglio del 1956 confermò la leadership di Walter Ulbricht e diede inizio al secondo piano quinquennale (1956–60) con lo slogan "modernizzazione, meccanizzazione e automazione" per enfatizzare il nuovo obiettivo del progresso tecnologico. Al plenum, il regime annunciò le sue intenzioni di sviluppare il settore dell'energia nucleare e nel 1957 venne attivato il primo reattore della RDT. Il governo incrementò le quote di produzione industriale del 55% e ridiede enfasi all'industria pesante.[4]
Il secondo piano quinquennale portò la RDT ad aumentare gli sforzi sulla collettivizzazione agricola e la sua nazionalizzazione, oltre al completamento della statalizzazione del settore industriale. Nel 1958 l'agricoltura era principalmente costituita da 750 000 fattorie private che comprendevano il 70% delle terre coltivabili e da soltanto 6 000 fattorie collettive. Tra il 1958 e il 1959, il SED fissò delle quote per i contadini privati e invio dei gruppi nei villaggi per incoraggiare la collettivizzazione volontaria. Nei mesi di novembre e dicembre del 1959, alcuni contadini sovversivi furono arrestati dalla Stasi.[4]
Una riforma estensiva della gestione economica attuata dal SED nel febbraio del 1958 includeva il trasferimento di numerosi ministri dell'industria nella Commissione di Stato della Pianificazione. Per accelerare la nazionalizzazione dell'industria, il SED offrì agli imprenditori una partnership del 50% con incentivi per trasformare le loro aziende in VEB.[4]
A metà degli anni sessanta, circa l'85% delle terre coltivabili era stata incorporata in più di 19 000 Landwirtschaftliche Produktionsgenossenschaft mentre le fattorie statali possedevano un altro 6%. Nel 1961 il settore socialista produceva il 90% della produzione agricola della RDT.[4] Dato che molti contadini emigrarono a ovest, nel 1961 vi fu anche un brusco calo aggravato anche dalle condizioni climatiche sfavorevoli.[6]
Alla fine del 1960, le imprese private controllavano soltanto il 9% del settore industriale mentre le cooperative di produzione (Produktionsgenossenschaften—PG) avevo assorbito un terzo del settore artigianale tra il 1960 e il 1961, un aumento del 6% rispetto al 1958.[4] L'apertura del nuovo porto di Rostock nel 1960 ridusse la dipendenza della RDT nei confronti del porto di Amburgo.[7]
Tuttavia, il secondo piano quinquennale incontrò delle difficoltà e il governo lo sostituì con un piano di sette anni (1959–65) che mirava al raggiungimento della stessa produzione pro capite della Germania Ovest per la fine del 1961, fissando quote di produzione più alte e chiedendo un aumento dell'85% della produttività. L'emigrazione si intensificò passando da 143 000 persone nel 1959 a 199 000 nel 1960. La maggior parte degli emigranti erano colletti bianchi, e il 50% aveva un'età inferiore ai 25 anni. I lavoratori all'estero erano più di 2,5 milioni tra il 1949 e il 1961.[4]
La crescita industriale annuale iniziò a calare costantemente dopo il 1959. L'Unione Sovietica raccomandò allora al governo tedesco di implementare le riforme ideate dall'economista sovietico Ovsij Liberman, sostenitore del principio di redditività e di altri principi di mercato per le economie socialiste.[4]
Nel 1963 Ulbricht adattò le teorie di Liberman introducendo il Nuovo sistema economico (NES), un programma di riforme per decentralizzare in parte il processo decisionale e per prendere in considerazione i criteri di mercato e prestazioni. Il NES mirava alla creazione di un sistema economico efficiente e a trasformare la Germania dell'Est in un'importante potenza industriale.[4]
Con il NES, l'obiettivo di stabilire il futuro sviluppo economico venne affidato alla pianificazione centrale mentre la decentralizzazione portò ad un parziale trasferimento del potere decisionale dalla Commissione per la pianificazione e dal Consiglio Nazionale Economico alle organizzazioni affiliate all'Associazione delle Aziende del Popolo (Vereinigungen Volkseigener Betriebe - VVB),per promuovere la specializzazione all'interno delle stesse aree produttive. Le autorità della pianificazione centrale fissavano comunque delle quote di produzione, ma ciascuna VVB determinava le proprie finanze interne, l'utilizzo delle tecnologie e l'allocazione della manodopera e delle risorse. Come intermediari, le VVB sintetizzavano le informazioni e le raccomandazioni provenienti dalle VEB. Il NES stipulò che le scelte di produzione dovevano essere fatte in base alla redditività, al fatto che i salari rispecchiavano la produttività ed i prezzi dovevano essere stabiliti in base alla domanda e all'offerta.[4]
Il NES fece emergere una nuova élite di politici e di economisti e nel 1963 Ulbricht annunciò una nuova politica per l'ammissione ai vertici del SED. Ulbricht aprì il Politbüro ed il Comitato centrale ai giovani iscritti che avevano un'educazione migliore rispetto ai predecessori e che avevano acquisito determinate competenze gestionali e tecniche. Come conseguenza di questa nuova politica, l'élite del SED si era diviso in fazioni politiche ed economiche, quest'ultime composte da nuovi tecnocrati. A causa dell'enfasi data alla professionalizzazione dalla politica del quadro del SED dopo il 1963, la composizione dei membri del partito era cambiata: nel 1967 più di 250 000 membri (14%) dei 1,8 milioni di iscritti aveva completato un corso di studi all'università, un politecnico o una scuola di commercio.[4]
L'importanza data dal SED sulle competenze gestionali e tecniche permise alla élite tecnocratica di entrare nei piani alti della burocrazia, inizialmente riservati ai dogmatici politici. I manager delle VVB venivano scelti soprattutto in base alla propria professionalità piuttosto che alla loro conformità all'ideologia. All'interno delle singole imprese, aumentò il numero di posizioni lavorative e impieghi per i cittadini con abilità tecniche. Il SED indirizzò l'educazione sulle scienze applicate e gestionali, rendendola la via per l'avanzamento sociale e dei premi materiali oltre che a migliorare gli standard di vita per tutti i cittadini della RDT. Dal 1964 al 1967, gli stipendi aumentarono come venne incrementata la disponibilità dei prodotti di consumo, inclusi quelli di lusso.[4]
I risultati di questa riforma furono inferiori alle aspettative del partito, dato che la crescita era stata soprattutto spinta dai maggiori investimenti e non dal nuovo sistema di controllo.[8] Di conseguenza, il piano venne modificato a cavallo tra il 1967 e il 1968 con l'aggiunta del "Sistema economico del socialismo". Questa nuova politica introdusse le cosiddette aree determinanti strutturali, ovvero settori strategici che avevano l'accesso preferenziale a fondi e risorse.[8] Tra queste vi erano incluse inizialmente le aziende chimiche, ingegneristiche e di elettronica, ma con le pressioni esercitate dalle imprese sul governo per includere nella lista i più importanti progetti strategici, l'elenco crebbe ulteriormente.[9]
Le partnership industriali combinate furono inizialmente formate per integrare verticalmente le industrie impegnate nella produzione di beni fondamentali. Per accelerare la crescita di determinati settori favoriti, furono ripristinati i sussidi per i costi. Il piano annuale per il 1968 aveva fissato le quote di produzione nei settori determinanti ad un livello superiore del 2,6% rispetto agli altri settori per cercare di stimolare la crescita in quelle aree. Lo stato fissò degli obiettivi ancora più alti per il settore dell'alta tecnologia nel biennio 1969–70. Il fallimento del Sistema Economico del Socialismo venne decretato ufficialmente con la sua dismissione nel 1970.[4]
Intanto verso la fine degli sessanta, venne scoperto il giacimento di gas naturale di Altmark che portò a nuovi commerci con l'estero e soprattutto il maggiore afflusso di valuta straniera verso le casse dello stato.[10]
Nei primi anni settanta iniziò la pianificazione comprensiva a lungo termine, garantendo una linea guida per 15 o 20 anni adatta a collegare in maniera coerente i piani quinquennali.[4]
Il Compito Principale, introdotto da Honecker nel 1971, formulò la politica nazionale per gli anni settanta, enfatizzando nuovamente il marxismo-leninismo e la lotta internazionale di classe. Durante questo periodo, il SED lanciò una massiccia campagna di propaganda per convincere i cittadini ad apprezzare il suo socialismo filo-sovietico e ristabilire l'importanza del "lavoratore". La nuova politica ribadì l'obiettivo del progresso industriale perseguibile però all'interno della pianificazione di stato. Il socialismo di consumo —il nuovo programma introdotto dal Compito Principale—portò a degli sforzi per aumentare l'attenzione sul socialismo considerando i bisogni materiali della classe lavoratrice, rinnovando la politica degli stipendi e concentrandosi di più sulla crescente disponibilità di beni consumabili.
Il regime accelerò la costruzione di nuove abitazioni e le ristrutturazioni di quelle preesistenti ed il 60% dei locali venne assegnato alle famiglie operaie. Gli affitti sussidiati rimanevano molto bassi. Dato che le donne costituivano il 50% della forza lavoro, furono creati nuovi asili per i figli e le madri potevano avere la maternità retribuita da sei mesi a un anno. Oltretutto, le pensioni annuali furono aumentate.
Le ultime piccole e medie imprese private semi indipendenti furono nazionalizzate nel 1972[11] e Honecker con orgoglio informò il nuovo leader sovietico Brežnev del risultato ottenuto nel 1973. In alcuni casi, il proprietario dell'azienda ne sarebbe rimasto comunque il direttore, ricevendo però uno stipendio statale e rinunciando all'efficienza. Questo si dimostrò un passo falso e portò alla mancanza di determinati beni. Le aziende che contribuivano in larga parte all'economia e che avevano un certo grado di iniziativa e risposta al mercato, anche guadagnando della valuta forte, diventarono il soggetto della pianificazione centrale e del controllo statale, nonostante l'economia stagnante. Un esempio di questo è stata la fabbrica di giocattoli della C.M. Breitung di Sonneberg in Turingia rimasta indipendente fino al 1972 quando venne statalizzata e rinominata Plüti.
L'aumento globale dei prezzi di consumo negli anni settanta colpì anche la RDT, sebbene in ritardo data la politica dei prezzi del Comecon.[12] A causa del consumo intenso di caffè, le importazioni di questo prodotto erano importanti per il mercato tedesco: un aumento massiccio dei prezzi del caffè nel biennio 76-77 portò al quadruplicarsi della somma di valuta forte necessaria per importarlo, portando ad un evento noto come la crisi del caffè che causò seri problemi finanziari alla RDT da sempre senza abbastanza valuta forte per comprare dall'Ovest. Di conseguenza, nell'estate del 1977 il Politbüro ritirò gran parte dei marchi costosi di caffè, limitandone l'uso nei ristoranti e eliminando le forniture negli uffici pubblici nelle aziende statali; in aggiunto venne introdotta una nuova disprezzata miscela, la Mischkaffee o Kaffee-Mix, costituita per il 51% da caffè e per il 49% da una serie di additivi tra cui cicoria, segale e barbabietole da zucchero. Il nuovo caffè venne disprezzato per il suo sapore peggiore. La crisi finì dopo il 1978 quando i prezzi mondiali del caffè cominciarono a scendere, e nella RDT aumentò la fornitura tramite un accordo con il Vietnam.
Il crescente debito estero della RDT divenne una causa di instabilità: dopo che la Polonia andò in bancarotta, l'occidente impose un boicottaggio finanziarono ai paesi del blocco orientale, inclusa la Germania Est.[13] La vendita di petrolio grezzo sovietico, precedentemente una risorsa importante di valuta forte, divenne meno proficua a causa dei cambiamenti nel mercato mondiale.[13] Un lungo periodo di scarsi finanziamenti nella ricerca e nella produzione di consumo, rese meno competitivi i prodotti della RDT sul mercato occidentale, lasciando il paese sempre più legato all'Unione Sovietica.[13]
Il rapporto debito/PIL raggiunse il 20% nel 1989, un livello comunque gestibile ma in gran parte dato dalla capacità della RDT di esportare abbastanza beni in occidente per guadagnare la valuta forte necessaria per pagare i debiti.[14] Nell'ottobre 1989, un documento preparato dal Politbüro (il Schürer-Papier, dall'autore principale) proiettò il bisogno di aumentare l'esportazione del surplus da 2 miliardi di marchi nel 1990 a più di 11 miliardi nel 1995 per stabilizzare i livelli del debito, ma avrebbe avuto successo soltanto con degli sforzi incredibili a causa dell'instabilità politica.
La maggior parte del debito è stato formato dai tentativi della RDT di risolvere i problemi dei debiti internazionale importando componenti, tecnologie e materie primi e allo stesso tempo mantenendo gli standard di vita tramite l'importazione di beni di consumo. La RDT era infatti competitiva a livello internazionale in settori come l'ingegneria meccanica e le tecnologie di stampa.
Un fattore significativo è stato anche quello dell'eliminazione di una fonte sicura di moneta forte attraverso la rivendita all'estero del petrolio sovietico, che fino al 1981 era disponibile a prezzi minori sul mercato mondiale; la conseguente perdita di guadagno in valuta forte produsse un evidente fase di stallo nel miglioramento delle condizioni di vita.
La caduta del muro di Berlino nel 1989 peggiorò la situazione economica con il trasferimento di massa verso l'ovest dei lavoratori e le difficoltà delle aziende statali di reperire materiale. Il collasso dell'autorità centrale della pianificazione portò ad un crollo nella produzione, con carestie che portarono ad un aumento dell'emigrazione.[15]
Il primo luglio 1990, il paese entrò nell'unione monetaria ed economica con la Germania ovest, seguita dalla dissoluzione politica della Repubblica Democratica Tedesca il 3 ottobre 1990 e l'ufficiale riunificazione tedesca.[16]
I periodi successivi alla riunificazione videro un iniziale collasso economico quando la produzione industriale crollò ed aumentò il tasso di disoccupazione.[17] Nei primi anni novanta, i kombinat passarono sotto il controllo della Treuhandanstalt, un'agenzia federale tedesca responsabile della privatizzazione delle aziende appartenenti all'ex governo della RDT.[18] Tuttavia, l'interesse per l'economia della Germania orientale era abbastanza scarso poiché le compagnie tedesche occidentali non sentivano il bisogno di un eccesso di capacità produttiva per rifornire i nuovi stati federali.[17] Un terzo delle imprese venne liquidato e ciò assieme alle sospensioni delle restanti attività, portò ad un taglio del 60% dei posti di lavoro.[17]
Il settore agricolo dell'economia tedesca orientale aveva un ruolo diverso nel sistema, sebbene fosse stato integrato completamente. Ad eccezione di piccoli appezzamenti privati, era interamente collettivizzata e le fattorie collettive erano formalmente dotate di autonomia, anche se erano ugualmente subordinate al Consiglio dei Ministri attraverso il Ministero dell'Agricoltura, delle Foreste e dell'Alimentazione. Un complesso sistema di relazioni connetteva le fattorie con altre cooperative e le relative industrie per la lavorazione dei prodotti. Nel primo luglio 1954, vi erano 4 974 fattorie collettive con 147 000 membri che coltivavano il 15,7% delle terre coltivabili.
Il primo gennaio 1954, il governo sovietico prese il controllo di 33 imprese della RDT tra cui le industrie chimiche Leuna e Buna, mentre la Germania orientale divenne proprietaria di tutte le imprese nel suo territorio.
Al di sotto dei ministeri vi erano i Kombinate, aziende concepite per sostituire le Associazioni delle Imprese Statali (le grandi organizzazioni amministrative che precedentemente servivano per mettere in comunicazione i ministeri con le singole aziende). I Kombinate furono creati dalla fusione di varie industrie in grandi enti verso la fine degli anni settanta, in base alle interrelazioni tra le loro attività produttive.[4]
I Kombinate includevano compagnie di ricerca che lo stato incorporò nelle sue strutture per concentrarsi meglio sullo sviluppo e velocizzare l'applicazione dei risultati nel campo produttivo. Un singolo gruppo di management dirigeva l'intero processo produttivo di ciascun Kombinat, dallo studio iniziale fino alla vendita. La riforma economica tentò anche di incoraggiare dei legami più stretti tra i Kombinate e le aziende per il mercato estero subordinando quest'ultime sia al Ministero del Commercio Estero che ai Kombinate. Lo scopo della riforma dei Kombinate era quello di raggiungere un maggior grado di efficienza e razionalità concentrando l'autorità nelle mani di una leadership intermedia. La gestione Kombinat portò anche ad un significativo input per il processo di pianificazione centrale.[4]
Agli inizi degli anni ottanta, l'istituzione dei Kombinate sia per le aziende centrali che distrettuali fu essenzialmente completata. In particolare dal 1982 al 1984, il governo stabilì varie regolamentazioni e leggi per definire precisamente i parametri di questi enti, tendendo a rinforzare il ruolo primario della pianificazione centrale e a limitare l'autonomia dei Kombinate, all'epoca maggiore rispetto a quanto pianificato. All'inizio del 1986, erano attivi 132 Kombinate a gestione centrale con una media di 25 000 impiegati ciascuna, mentre quelli a direzione distrettuale erano 93 con una media di 2 000 lavoratori ciascuna.[4]
Alla base dell'intera struttura economica vi erano le unità produttive: sebbene differissero per ruolo e dimensioni, il governo gradualmente ridusse il loro numero ed aumentò le loro dimensioni. Il numero delle imprese industriali nel 1985 era leggermente superiore di un quinto rispetto al 1960. La loro indipendenza diminuì in modo significativo quando i Kombinate divennero completamente operative.[4]
La principale forza direttrice dell'economia e di ogni aspetto della società, era il Partito Socialista Unificato di Germania, che esercitava formalmente la sua leadership durante i congressi del partito, quando accettava i rapporti del segretario generale e adottava in seguito la bozza del seguente piano quinquennale.[4]
Ancora più importante era la supervisione del Politbüro, che monitorava e dirigeva il processo economico in corso, limitandosi però solo a questioni generali o importanti, dato che doveva affrontare anche molti altri aspetti dello stato.[4]
Al capo dell'apparato statale vi era il Consiglio dei ministri, l'organo esecutivo della SED che supervisionava e coordinava le attività di tutti gli enti economici, giocando anche un ruolo diretto e specifico in casi importanti.[4]
La Commissione di stato per la pianificazione, spesso chiamata "Staff generale economico del Consiglio dei ministri", suggeriva al consiglio eventuali strategie economiche alternative, traducendo gli obiettivi generali imposti dal Consiglio in direttive pianificatrici e gli obiettivi generali del consiglio per ciascun ministero, oltre che a coordinare i piani a corto, medio e lungo raggio e a mediare i disaccordi interministeriali.[4]
I singoli ministeri avevano la maggior responsabilità nella direzione precisa dei differenti settori dell'economia, essendo competenti all'interno delle loro separate sfere per la pianificazione, l'allocazione delle risorse, lo sviluppo, l'implementazione delle innovazioni e in generale per il raggiungimento degli obiettivi previsti dai loro singoli piani.[4]
Oltre alla struttura base del settore industriale, dal Consiglio dei ministri e dalla Commissione per la pianificazione si dirama a un'ulteriore gerarchia di organi di governo costituita da sub-unità a livello territoriale. Le commissioni ed i consigli economici regionali, subordinate alla Commissione di Stato e al Consiglio dei ministri, si estendevano al livello locale e si occupavano del piazzamento ideale o proprio dell'industria, la protezione ambientale e delle abitazioni.[4]
Il fatto che la RDT avesse avuto un'economia pianificata, non significava che un singolo piano comprensivo sarebbe stato alla base di tutta l'attività economica. Un'intricata rete di piani con diversi gradi di specificità, comprensività e durata, era sempre attiva; nessuno o tutti di questi piani potevano essere modificati durante il continuo processo di monitoraggio delle prestazioni oppure in circostanze nuove e impreviste. Il sistema di piani risultava essere molto complesso e mantenuto la consistenza interna tra i vari piani era un'impresa molto difficile.[4]
I piani a breve termine erano i più importanti sia per la produzione sia per l'allocazione delle risorse, duravano un solo anno e influivano sull'intera economia. Gli obiettivi principali fissati al livello centrale erano il tasso di crescita dell'economia, il volume e la struttura del prodotto interno e i suoi utilizzi, l'impiego di materie prime e del lavoro, la loro distribuzione sul territorio e il volume delle importazioni ed esportazioni. A partire con il piano del 1981, lo stato aggiunse l'assestamento del rapporto tra l'uso delle materie prime sul valore e la quantità dell'output per promuovere l'impiego efficiente delle risorse scarseggianti.[4]
I piani quinquennali utilizzavano gli stessi indicatori ma con una minore specificità. Sebbene il piano quinquennale fosse subito convertito in legge, veniva vista come una serie di linee guida piuttosto che un insieme di direttive. Veniva tipicamente pubblicato molti mesi dopo l'inizio del periodo quinquennale in cui sarebbe stato valido e dopo l'abolizione del primo piano annuale. Nonostante fosse più generale, il piano quinquennale era abbastanza specifico per integrare i piani annuali in un periodo di tempo più lungo garantendo la continuità.[4]
Nella prima fase della pianificazione, gli obiettivi centrali venivano divisi e assegnati alle appropriate unità subordinate, dove venivano discussi a ciascun livello; dopo che i fornitori e gli acquirenti completavano le negoziazioni, le parti separate venivano riaggregate nella bozza dei piani. All'ultimo stadio, che seguiva l'approvazione del pacchetto totale dalla Commissione della pianificazione e dal Consiglio dei ministri, il piano concluso veniva ridiviso tra i ministeri e le responsabilità rilevanti venivano distribuite ulteriormente alle unità di produzione.[4]
Il piano di produzione era integrato da altri meccanismi che controllavano le forniture e stabilivano la contabilità. Uno di questi meccanismi era il Sistema dei bilanci materiali che stanziava le risorse, gli strumenti e i beni di consumo agendo come un razionamento e assicurando quindi l'accesso ai prodotti di base da parte di ogni elemento dell'economia per soddisfare le richieste. Dato che molti dei beni prodotti erano coperti da questo sistema di controllo, le unità produttive avevano difficoltà ad ottenere i pezzi necessari al di sopra dei loro livelli allocati.[4]
Un altro meccanismo di controllo era l'assegnazione dei prezzi di tutti i prodotti e servizi, valori che servivano da base per il calcolo delle spese e dei ricavi. Le aziende avevano ogni incentivo per utilizzare quei prezzi come linee guida per le scelte, rendendo così possibile la conclusione del piano e il guadagno di fondi extra per l'impresa. Questi bonus non erano stanziati indistintamente per la produzione lorda ma venivano assegnati per tali realizzazioni come nuove innovazioni o la riduzione dei costi di lavoro.[4]
Il sistema funzionava bene soltanto quando le sue parti erano costituite da individui i cui valori coincidevano o erano complementari con quelli del regime. Questa condizione era ottenuta tramite le forze integrative degli organi del partito i cui membri occupavano le posizioni più importanti della struttura economica della RDT. Vennero fatti ulteriori sforzi anche per promuovere un comune senso di scopo attraverso la partecipazione di masse di quasi tutti gli operai e contadini nelle discussioni organizzate sulla pianificazione economica, gli obiettivi e il rendimento. Un giornale tedesco orientale scriveva per esempio che durante la discussione preliminare del piano annuale del 1986, avevano aderito più di 2,2 milioni di impiegati di varie imprese e brigate di lavoro del paese che contribuirono con 735 377 suggerimenti e commenti. Le decisioni finali, tuttavia, spettavano sempre ai vertici dello stato.[4]
Nell'economia della RDT, il privato ricopriva un ruolo piccolo ma non proprio insignificante: nel 1985 circa il 2,8% della produzione nazionale netta proveniva da aziende private. Il settore privato includeva contadini non statali e giardinieri, artigiani indipendenti, grossisti, rivenditori, e liberi professionisti (artisti, scrittori, ecc.), ma nonostante fossero autonomi venivano regolamentati in modo rigido. Nel 1985, per la prima volta dopo molti anni, il numero dei lavoratori individuali nel privato era leggermente aumentato e, secondo le statistiche della RDT, erano attive nello stesso anno circa 176 800 imprenditori privati, un aumento di 500 unità dal 1984. Determinate attività private erano abbastanza importanti per il sistema e il SED stesso incoraggiava, per esempio, l'iniziativa privata per contribuire allo sviluppo dei servizi di consumo.[4]
Assieme ai lavoratori autonomi impiegati a tempo pieno, vi erano altri cittadini ingaggiati nelle attività private in società pubbliche ed l'esempio più noto e significativo era quello delle famiglie nelle collettività agricole dove coltivavano anche appezzamenti privati (che potevano essere grandi 5 000 m²). Il loro contributo era significativo: secondo le fonti ufficiali, nel 1985 le fattorie private possedevano circa l'8,2% dei maiali, il 14,7% delle pecore, il 32.8% dei cavalli e il 30% delle galline nel paese. I professionisti come gli artisti commerciali e i dottori lavoravano anche in privato nel loro tempo libero, divenendo soggetti a tasse separate e altre regolamentazioni. Il loro impatto sull'economia era tuttavia ininfluente.[4]
Molto più difficile da valutare, a causa della sua natura informale e non pubblica, era l'importanza di quella parte del settore privato nota come la "seconda economia". Il termine usato include tutte le attività economiche che avvenivano di nascosto dietro il controllo e la sorveglianza dello stato, data la loro informalità e illegalità. Questo fenomeno ha ricevuto l'attenzione degli economisti occidentali, molti dei quali sono convinti che abbia una certa importanza nelle economie pianificate. Nella metà degli anni ottanta, tuttavia, era difficile ottenere delle prove e molto spesso queste tendevano ad essere per la maggior parte degli aneddoti.[4]
Queste irregolarità non apparivano come un maggior problema economico, tuttavia, la stampa tedesca orientale riportava casi di attività all'interno di una "seconda economia" illegale che coinvolgevano "crimini contro la proprietà socialista" e altre attività che erano "in conflitto e contraddizione con gli interessi e le richieste della società", come un articolo descriveva la situazione.[4]
Un esempio di attività economica informale era quella di piccoli privati che fornivano beni e servizi in cambio di denaro, molto spesso ingaggiati per lavori occasionali: una donna anziana, per esempio, avrebbe potuto pagare un ragazzo del quartiere per trasportare del carbone fino al suo appartamento, oppure si poteva assumere una conoscenza per aggiustare un orologio, mettere a punto un'automobile o riparare il bagno. Queste tipologie di lavori possono trovarsi in qualsiasi società, e date le carenze del settore terziario della RDT, avrebbero potuto essere più necessarie qui che in occidente. Dato che venivano considerate innocue, non erano soggette a nessun interesse del governo.[4]
Un'altra attività diffusa molto problematica se non distruttiva era la pratica di offrire una somma di denaro oltre al prezzo di vendita alle persone che vendevano beni molto richiesti, oppure dando qualcosa di speciale come un pagamento parziale per i prodotti con poche scorte, i cosiddetti Bückware (beni venduti "sotto banco"). Queste attività potevano limitarsi soltanto nel dare a qualcuno una Trinkgeld (mancia), ma potevano spingersi a dare anche delle Schmiergeld (tangenti) o a delle Beziehungen (relazioni speciali).[4]
Le opinioni all'interno della RDT variavano in base a quanto fossero significative ma data la quantità di moneta in circolazione e le frequenti carenze di prodotti di lusso e di beni di consumo durevoli, la maggior parte delle persone erano occasionalmente tentate a dare una "bustarella", soprattutto per ottenere oggetti come ricambi per auto e mobili.[4]
I dati utilizzati per il confronto sono tratti dal CIA World Factbook del 1990:[19]
Germania Est | Germania Ovest | |
Popolazione (migliaia) | 16 307 | 62 168 |
PIL (miliardi $)[20] | 159,5 | 945,7 |
PIL pro capite ($) | 9 679 | 15 300 |
Bilancio ricavi (miliardi $) | 123,5 | 539 |
Bilancio spese (miliardi $) | 123,2 | 563 |
Germania Est | Germania Ovest | |
1945-60 | 6,2 | 10,9 |
1950-60 | 6,7 | 8,0 |
1960-70 | 2,7 | 4,4 |
1970-80 | 2,6 | 2,8 |
1980-89 | 0,3 | 1,9 |
Totale 1950-89 | 3,1 | 4,3 |
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