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sede titolare Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La diocesi di Castro di Sardegna (in latino Dioecesis Castrensis in Sardinia) è una sede soppressa e sede titolare della Chiesa cattolica. L'antico territorio fa oggi parte della diocesi di Ozieri.
Castro di Sardegna Sede vescovile titolare Dioecesis Castrensis in Sardinia Chiesa latina | |
---|---|
Vescovo titolare | sede vacante |
Istituita | 1968 |
Stato | Italia |
Regione | Sardegna |
Diocesi soppressa di Castro di Sardegna | |
Suffraganea di | Torres (Sassari) |
Eretta | XI secolo |
Rito | romano |
Cattedrale | Nostra Signora di Castro |
Soppressa | 1503 |
Dati dall'annuario pontificio | |
Sedi titolari cattoliche | |
La diocesi comprendeva sedici villaggi tuttora esistenti (Alà, Anela, Bantine, Benetutti, Berchidda, Bono, Buddusò, Bultei, Monti, Nule, Oschiri, Osidda, Pattada, Orune, nonché Olefà e Urrà, vale a dire gli attuali Berchiddeddu e Padru), ai quali occorre aggiungere almeno altri dodici centri oggi scomparsi (la stessa Castro, Balanotti, Bunne, Lerno, Lorzia, Orestelli, Usulufè, Usolvisi, Norvara, Otti, Bulteina, Bidducara).
La diocesi aveva sede a Castro (in sardo Crasta), un'antica città della Sardegna oggi scomparsa; di essa resta l'antica cattedrale, la chiesa di Nostra Signora di Castro.
Confinava a nord con la diocesi di Civita, ad est con la diocesi di Galtellì, a sud con la diocesi di Ottana, e ad ovest con le sedi di Bisarcio e di Torres.
Castro (o Castra o Crasta), antico centro e punto di riferimento per l'organizzazione ecclesiastica del Goceano e del Monteacuto, divenne sede episcopale in occasione della riorganizzazione delle Chiese sarde nel corso dell'XI secolo, quando Torres, forse già durante il pontificato di papa Alessandro II (1061-1073), divenne sede metropolitana del giudicato di Torres. Tra le suffraganee di Torres v'erano Ampurias, Bisarcio, Bosa, Ottana, Ploaghe, Sorres e Castro.
Tuttavia le prime menzioni della diocesi risalgono agli inizi del XII secolo, quando un anonimo vescovo di Castro è menzionato in un atto di donazione all'abbazia camaldolese della Santissima Trinità di Saccargia del 1112. Segue il vescovo Adamo, il primo di cui si conosca il nome, che nel 1127 sottoscriveva la cessione in usufrutto della chiesa di San Michele di Plaiano da parte dei canonici di Santa Maria di Pisa a favore dei Vallombrosani. Risalgono alla seconda metà del XII secolo le notizie sul vescovo Atho (o Attone), documentato in più occasioni: nel 1164 donava ai monaci di Camaldoli la chiesa di Santa Maria di Anela; nel 1168 consacrava la chiesa di San Demetrio di Oschiri; nel 1176 sottoscriveva la donazione della chiesa di San Giorgio de Oleastreto all'ospedale San Leonardo di Pisa. Agli inizi del XIII secolo troviamo il vescovo Raimondo, che per motivi di salute non poté partecipare alla crociata; e un anonimo vescovo di Castro che prese parte al concilio lateranense del 1215.
A partire dalla metà del XIV secolo e per tutto il secolo successivo, a causa della povertà della regione, si assistette ad un progressivo spopolamento della diocesi e molti centri abitati vennero abbandonati, tra cui la stessa Castro, i cui abitanti si trasferirono in massa nella vicina Oschiri. In questo periodo la sede episcopale fu trasferita a Bono.
A Bono, nella chiesa parrocchiale di San Michele, venne celebrato nel 1420 un sinodo diocesano, il primo, in tutta la Sardegna, di cui siano pervenuti gli atti[1], in forma parziale in sardo[2], e nella stesura completa in latino. Il sinodo, convocato dal vescovo Leonardo, affrontò diverse tematiche che riguardavano la disciplina del clero, i sacramenti e la vita cristiana, i benefici, la cura d'anime e l'amministrazione parrocchiale, i beni ecclesiastici e il foro ecclesiastico. Tra le disposizioni vi erano l'obbligo per i chierici di recitare il breviario, l'obbligo di suonare le campane in occasione delle visite pastorali del vescovo, il divieto di commercio e del gioco d'azzardo per i sacerdoti, il divieto per i chierici di presentarsi in luoghi sacri armati e con speroni.[3]
La diocesi fu soppressa agli inizi del XVI secolo, in occasione del riordino delle diocesi sarde fortemente voluto dal re Ferdinando II d'Aragona, approvato da papa Alessandro VI, e reso effettivo da papa Giulio II, il quale, con la bolla Aequum reputamus dell'8 dicembre 1503, soppresse le diocesi di Bisarcio e di Castro e le unì a quella di Ottana, la cui sede episcopale fu contestualmente trasferita ad Alghero, sulla costa occidentale dell'isola.[4]
L'ultimo vescovo di Castro fu Antonio de Toro, il quale continuò a conservare il titolo di "vescovo di Castro", come documentano alcuni suoi atti successivi al 1503, fino alla sua morte, avvenuta attorno al 1509.[5] Le disposizioni di papa Giulio II non furono ben accolte nelle diocesi soppresse e solo nel 1543 si ebbe la formale presa di possesso da parte del vescovo di Alghero delle antiche sedi di Castro, di Bisarcio e di Ottana.[6]
Dal 1968 Castro è annoverata tra le sedi vescovili titolari della Chiesa cattolica; la sede è vacante dal 28 maggio 2024.
La presente cronotassi è tratta da: Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna. Dalle origini al Duemila, Città Nuova Editrice, Roma, 1999 - riportata da: G. D. Sotgia, Castro, diocesi medievale sarda: dalle origini all'"iberizzazione" delle istituzioni (secc. X-XVI), p. 127; e da: Enciclopedia della Sardegna, p. 503.
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