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termine collettivo che indica le divinità della religione induista Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Deva (devanāgarī देव, sanscrito vedico devá) è un termine sanscrito che come aggettivo indica ciò che è divino o celeste, mentre come sostantivo maschile indica la divinità o un dio[1]. Raramente[2] può indicare un demonio malvagio. La parola è affine al latino divus, variante di deus "dio", da cui deriva l'aggettivo divinus "divino".
Il termine deva (colui o ciò che "emana luce"), origina dal sostantivo maschile sanscrito dív (nominativo dyaus; "brillare", "emettere luce", "splendore", "giorno", "cielo"; dív nel sanscrito più tardo acquisisce anche genere femminile) e indica il dio, la divinità.
Così la raccolta di inni più antica dei Veda, il Ṛgveda (XX-XV secolo a.C.):
«devānāṃ bhadrā sumatirṛjūyatāṃ devānāṃ rātirabhi noni vartatām devānāṃ sakhyamupa sedimā vayaṃ devā na āyuḥ pra tirantu jīvase»
«Coloro che seguono la retta via ottengono il favore propizio degli Dei; noi abbiamo cercato l'amicizia degli Dei, che gli Dei ci facciano quindi attraversare tutta la nostra esistenza affinché possiamo vivere»
Da notare che nei primi inni dei Veda un altro termine comune per indicare le divinità è asura:
«hiraṇyasto asuraḥ sunītaḥ sumṛḍīkaḥ svavavāṃ yātv arvāṅ apasedhan rakṣaso yātudhānān asthād devaḥ pratidoṣam gṛṇānaḥ»
«Asura dalle mani d'oro, dalla corretta guida, colui che è misericordioso, che aiuta, vieni verso di noi. Respingendo i demoni e gli stregoni, emergi dal buio Deva da tutti invocato.»
Così con il termine asura vengono indicati nel Ṛgveda varie deità tra cui: Savitṛ (I, 35, 10), Varuṇa (I, 24, 14), Rudra (II, 1, 6), Indra (I, 174,1), Agni (V, 12, 1) e Soma (IX, 72,1).
Tradizionalmente vengono elencate in trentatré (trayastrimsas) le divinità vediche, questo perché nel Ṛgveda tale numero viene spesso citato senza però elencare tali divinità.
Nei successivi commentari in prosa denominati Brāhmaṇa (intorno al X secolo a.C.) questi deva vengono suddivisi in:
Gli Āditya sono i figli della dea Aditī (lett. "infinito") e sono connessi alle divinità della luce e alla regalità. Quando vengono citati nel numero di sette si intende indicare il Sole (Savitṛ, anche Savitar o Sūrya), la Luna e i cinque pianeti allora conosciuti.
Gli Āditya esplicitamente elencati come tali nei Veda sono sei:
Ma nei successivi Brāhmaṇa diverranno dodici, aggiungendo i seguenti sei Āditya a quelli "vedici":
È la divinità più menzionata nei Veda. Dio del tuono, della pioggia, dei fenomeni celesti e della guerra, non è elencato tra gli Āditya anche se una volta viene indicato come tale ( Ṛgveda, VIII, 52,7). Viene a volte indicato anche come asura. Con il vajra (la folgore), ha ucciso il serpente (o drago) cosmico Vṛtra.
È la divinità collegata al sacrificio vedico (Yajña) e rappresenta il fuoco sacrificale.
Indica la bevanda sacrificale, la pianta da cui si estrae, ma anche un Dio. In quanto tale possiede spesso l'epiteto di "re".
È indicato come Āditya nei Brāhmaṇa ma non negli inni vedici dove viene menzionato solo marginalmente, come compagno di Indra nella lotta contro Vṛtra. Acquisirà notevole importanza nell'Induismo.
È l'aspetto distruttivo di Agni, terribile dio guerriero urlante (Rudra in sanscrito conserva il duplice significato di "rosso" o "colui che grida"). Nell'Induismo verrà identificato con Śiva.
È un Indra 'minore'. Uccisore anche lui di Vṛtra. Nei Brāhmaṇa è considerato il fuoco sacrificale che si nasconde per evitare il suo feroce dovere e quindi è collegato ad Agni.
Gli Aśvin (possessori di cavalli), o secondo una denominazione più antica Nāsatya, sono due deva gemelli e guerrieri montati sul carro con cui trasportano Sūryā.
Compagni di Indra e figli di Pṛśni, da alcuni studiosi identificati con gli undici Rudra. Guerrieri sul carro, aiutano Indra contro il serpente Vṛtra.
Il deva del vento. Per questo legato al respiro e successivamente collegato al prāṇa, il respiro della vita.
Protettore delle strade e quindi della transumanza delle vacche (ricchezza primaria nella società vedica e quindi puṣ ovvero 'prospero'). In quanto tale protettore anche del cammino del Sole e quindi divinità solare.
Jan C. Heesterman[4] ha riassunto i diversi approcci che gli studiosi hanno offerto negli ultimi cento anni al tema della "mitologia" vedica. Da Abel Henri Joseph Bergaigne (1838-1888) a Hermann Oldenberg (1854 -1920) a George Dumézil (1898-1986) a Franciscus Bernardus Jacobus Kuiper (1907-2003). Le interpretazioni sul tema variano da un indirizzo 'naturalistico' (lettura di fenomeni atmosferici, ad es. Bergaigne), da un indirizzo 'ritualistico' (necessità cultuali, ad es. Bergaigne che lo incrocia con quello 'naturalistico'), da un indirizzo 'sociologico' (ideologie sociali, ad es. Dumézil), fino ad un indirizzo puramente 'cosmogonico' (spiegazione della genesi del cosmo, ad es. Kuiper).
Tuttavia, riprendendo Kuiper, Heesterman nota che se la genesi del cosmo si fonda sulla distruzione dell'unità primordiale con l'impresa di Indra, riportata ad esempio nel Ṛgveda[5].
«ahannahiṃ parvate śiśriyāṇaṃ tvaṣṭāsmai vajraṃ svaryaṃ tatakṣa vāśrā iva dhenavaḥ syandamānā añjaḥ samudramava jaghmurāpaḥ vṛṣāyamāṇo.avṛṇīta somaṃ trikadrukeṣvapibat sutasya āsāyakaṃ maghavādatta vajramahannenaṃ prathamajāmahīnām yadindrāhan prathamajāmahīnāmān māyināmamināḥ prota māyāḥ āt sūryaṃ janayan dyāmuṣāsaṃ tādītnāśatruṃ na kilā vivitse»
«Uccise il serpente che giaceva sulla montagna, Tvaṣṭṛ gli aveva foggiato il vajra (fulmine) risonante- come le vacche che muggendo fuggono fuori dal recinto, così le acque scesero rapidamente verso il mare. Eccitato prese il soma bevendone il succo nelle coppe di triplice legno. Il generoso prese il vajra, l'arma che si lancia, è colpì il primo tra i serpenti. Quando tu. Indra, uccidesti il primo tra i serpenti annientasti anche gli inganni dei mentitori, generando il sole, il cielo, l'aurora. Nessuno più ti resistette.»
E la conseguente separazione tra gli asura, legati alla stato primordiale, sconfitti e detronizzati, dai deva. Tale descrizione del conflitto e della separazione si può chiaramente riscontrare, tuttavia, solo nei Brāhmaṇa che nei Veda:
«Il linguaggio metaforico degli inni, in ogni caso, con la sua tendenza a raggruppare diversi significati e immagini in un'unica strofa e a lasciare invece inespressi l'idea o il concetto unificanti, rende particolarmente difficile individuare e definire qualunque concetto unificante»
È quindi con i Brāhmaṇa che l'India antica si avvia a mettere ordine non solo nei rituali ma nei racconti fondanti gli stessi.
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