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la facoltà mentale nelle filosofie orientali Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Mana o Manas (in devanāgarī मनस्) è un termine sanscrito ricorrente nella filosofia indiana e nel buddismo, che indica la mente o la facoltà di pensare e di conoscere, ma per la sua complessità risulta strettamente collegato con l'intelletto (buddhi), la memoria subconscia (chitta), il senso dell'io nello stato di veglia (ahamkara).[1]
La sua funzione principale sarebbe quella di recepire le informazioni provenienti dal mondo esterno,[2] ma anche di collegare la coscienza suprema di natura metafisica (Atma) con la dimensione materiale.[1]
In occidente il termine è stato ripreso dalla letteratura teosofica per indicare il piano mentale tra i sette livelli di esistenza complessivi concepiti in quest'ambito esoterico, nonché il corpo mentale, che da questo piano prende forma, tra i vari involucri sottili di cui si ritiene composto l'essere umano.[3]
«Sappi che l'Atman è il padrone del Carro, che è il corpo, sappi che il Buddhi è l'auriga, e il Manas le redini.»
Nell'induismo il termine è utilizzato sin dai tempi dei Veda.[5] Successivamente nelle Upanishad viene descritto in maniera più concreta e accurata dal punto di vista filosofico, come attività del pensiero rivolta alle esperienze empiriche.[5]
Viene inoltre trattato in particolare nello Yoga Sūtra di Patañjali, dove designa la mente.[5] Nella filosofia samkhya è uno dei tre costituenti, insieme a buddhi e ahamkara, del senso interno, cioè dell'antaḥkaraṇa, avendo la funzione di percepire sia gli oggetti esterni, sia le sensazioni interne, come il piacere e il dolore.[6]
Le dottrine Vedanta talvolta aggiungono citta (o chitta) a questi tre costituenti, parlando di una quadrupla struttura interna (antahkarana catustaya),[7] descrivendo manas come l'organo decisionale, legato ai cinque sensi, la cui sede fisica è il brahmarandhra, nel cervello.[8] L'antaḥkaraṇa risulterebbe così composto:[9]
Anche nel buddismo il manas (o mano)[11] designa la mente, ritenuta la facoltà caratteristica dell'essere umano con i suoi pensieri e le sue emozioni. È considerato un sesto senso oltre ai cinque comunemente accettati: come questi percepiscono gli oggetti sensibili, così esso percepisce gli oggetti mentali.[11]
Come componente del citta, il manas svolge la rilevante funzione di «messaggero delle condizioni fenomeniche»,[12] interagendo con i fenomeni stessi secondo la teoria della coproduzione condizionata (pratītyasamutpāda),[11] oltre ad essere, se unito con buddhi, la «sede» del risveglio di prajña (saggezza o discernimento).[13]
Nella moderna teosofia, e nella cultura esoterica dell'occidente in generale, si rileva come la radice etimologica del sanscrito manas (man-) sia la medesima del latino mens («mente»),[14] o dell'inglese mind.[15] Questa radice si ritrova inoltre nelle parole usate per designare l'essere umano stesso, in particolare nell'inglese man, a indicare come le qualità del mentale-manas siano quelle che connotano maggiormente la natura dell'uomo, il cui autentico significato sarebbe quello di «pensatore».[16][17]
Tra gli altri, Guénon sostiene appunto che il manas o «senso interno», a cui è inerente l'autocoscienza (ahaṃkāra), è nella tradizione indù una caratteristica dell'individualità umana che la differenzia dagli altri esseri del mondo vivente.[18] Nella teosofia il manas, sede della facoltà del pensiero, terzo organo sottile tra i sette involucri umani a partire dal più alto (e quinto dal più basso), è anche il principio della dualità,[19] che fa percepire il mondo secondo un'ottica dialettica di contrapposizione rispetto al sè; risulta inoltre diviso esso stesso tra un mentale superiore ed uno inferiore.[19]
Dal punto di vista cosmologico, infatti, il Manas è anche un piano di esistenza, che come gli altri sei è ritenuto composto di ulteriori sette sotto-livelli, e di questi i primi tre costituiscono il mondo causale,[17] dove dimorano cioè gli archetipi o le essenze che sono le vere cause delle manifestazioni della natura.[20] Conosciuto come Devachan,[21] il luogo beato dove dimorano i Deva, ossia i principi della realtà concepiti come spiriti viventi, corrisponde al Devaloka induista,[22] e nella filosofia occidentale al mondo delle idee di Platone,[23] in cui sostano a lungo le anime dei defunti prima di reincarnarsi sulla Terra.[24]
Su questo piano manasico superiore si forma il manas propriamente detto dell'uomo,[9] altrimenti denominato «corpo causale»,[26] o nella Dottrina Segreta della Blavatsky «anima-umana», che insieme a buddhi e all'atma compone l'Ego immortale dell'essere umano.[9]
Nell'antroposofia di Rudolf Steiner corrisponde al «Sé spirituale»,[27] come risultato della trasformazione operata dall'Io sul corpo astrale attraverso il dominio su di questo.[28]
I successivi quattro sotto-piani costituiscono invece il piano mentale inferiore, da cui prende forma a sua volta il corpo mentale inferiore dell'umano,[9] chiamato dalla Blavatsky Kāma-Rupa o «anima-animale»,[29] cioè il primo nucleo della sua personalità psico-fisica, incarnata e mortale, dove nascono le tendenze egoistiche del desiderio (kama).[19]
Il collegamento del mentale inferiore col mentale superiore (o causale) prende il nome di «antahkarana»:[30] è questo un organo particolarmente delicato perché soggetto a instabilità, e determina il passaggio, nelle più alte dimensioni,[25] di pensieri e impressioni personali generate nei corpi più bassi che periscono dopo la morte corporea.[31] Esso di fatto è lo strumento con cui la triade Atman-Buddhi-Manas, cioè il vero Ego immortale umano, si collega alla personalità fisica, e attraverso questa opera nel mondo.[32] L'indebolimento di questo mediatore comporterebbe una deficienza intellettiva anche nelle forme corporee più perfette.[33]
Se i pensieri del manas superiore sono espressione del cuore, assimilabili alla luce diretta del Sole, quello inferiore ne è solo un riflesso automatico, tipico del cervello, assimilabile alla luce lunare.[19]
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