Cattedrale di San Pietro (Alessandria)
antica cattedrale di Alessandria, demolita nel 1803 su ordine di Napoleone Bonaparte Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
antica cattedrale di Alessandria, demolita nel 1803 su ordine di Napoleone Bonaparte Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'antica cattedrale di San Pietro in Alessandria fu edificata tra il 1170 e il 1175, si ergeva originariamente nella porzione sud-orientale della Platea Maior, rinominata definitivamente dopo la seconda guerra mondiale in piazza della Libertà. La sua costruzione - iniziata in un'epoca immediatamente successiva all'istituzione urbana, per convenzione fissata il 3 maggio 1168 - segna l'avvio di un processo edilizio e culturale di lunga durata[nota 1]. Attraverso i secoli, la cattedrale ha subito una serie di significative trasformazioni: ampliamenti, rinnovamenti e molteplici adattamenti hanno continuato a modellarne l'aspetto fino alla sua demolizione, avvenuta tra febbraio e luglio del 1803. All'indomani della Battaglia di Marengo, Napoleone ne decretò la fine ordinandone la demolizione[1]. Non fu ritenuta idonea, anzi eccessivamente "ingombrante", nell'ambito della riorganizzazione funzionale urbana della città voluta dall'imperatore francese.
Cattedrale di San Pietro | |
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Prospetto della cattedrale, acquerello su carta, prima metà del XIX secolo | |
Stato | Italia |
Regione | Piemonte |
Località | Alessandria |
Coordinate | 44°54′48.36″N 8°36′58.3″E |
Religione | cattolica di rito romano |
Titolare | Pietro |
Diocesi | Alessandria |
Consacrazione | 1175 |
Fondatore | Rufino Bianchi Guglielmo Brasca |
Architetto | Ruffino Bottino (ampliamenti del XIII secolo) |
Stile architettonico | romanico gotico lombardo |
Inizio costruzione | 1170 |
Completamento | 1175 1292 (ampliamenti del XIII secolo) |
Demolizione | 1803 |
«Anno Milleno centino terqueviceno,
his iunctis octo fuit Alexandria facta,
et fù dalli otto Luoghi divisa in quatro quartieri
cioè Gamondio, Marengho, Roboreto, Bergoglio
et insieme con li elletti di Quargnento, Solario, Villeforis, Uvilij,
li quali tutti sono li otto luoghi,
et così tutti insieme fù stabilito si facesse la Chiesa Cathedrale [...]
et del subito si diede aviso à Sua Santità,
il quale mandò fosse intitolato Santo Pietro»
Nonostante la sua scomparsa fisica, la cattedrale di Alessandria merita un'attenzione speciale sotto il profilo storico e culturale. Ha rappresentato un punto di congiunzione tra gli interessi civici e quelli ecclesiastici, riflettendo la storia plurisecolare della comunità alessandrina. È stata uno dei testimoni principali delle risorse culturali e artistiche di Alessandria, raccontando, attraverso la sua stessa struttura e le sue vicissitudini, la vita e le trasformazioni della città.
Ricostruire l'aspetto e la storia di un monumento ormai perduto non è impresa semplice, soprattutto per quanto riguarda i periodi più remoti, le cui fonti sono spesso incomplete o alterate da leggende e devozioni. L'unico modo per avvicinarsi ad una comprensione dell'aspetto fisico originale della cattedrale è attraverso le iconografie che sono sopravvissute, le testimonianze di viaggiatori o osservatori diretti e le descrizioni dettagliate fornite dalle relazioni delle visite pastorali. Questi documenti, benché limitati, permettono di offrire uno sguardo, seppur parziale, sulla grandezza e l'importanza che la cattedrale un tempo possedeva.
In definitiva, la cattedrale di Alessandria, nonostante la sua assenza nel tessuto urbano contemporaneo, rimane un simbolo potente della storia alessandrina e un luogo di memoria collettiva.
Tra il 700 e l'anno 1000 il territorio che vide nascere la città di Alessandria si presentava ancora scarsamente abitato, con l'eccezione di alcune curtes regiæ che ricalcavano gli insediamenti più antichi: Forum (Villa del Foro), Roboretum (Rovereto), Bergolium (Bergoglio), Marenghum (Marengo) e Gamondium (Gamondio, in seguito Castellazzo).
A questi si aggiungevano centri autonomi come Solerium (Solero), Quargnentum (Quargnento) e Felizzano. La struttura amministrativa e politica dell'epoca non permise un significativo sviluppo culturale e sociale degli abitanti che però mantennero gli scambi commerciali con i vicini centri abitati accrescendo esperienza e ricchezza. i centri abitati citati si formarono e crebbero ulteriormente fino poi a creare quella che verrà fondata e chiamata Alessandria.
È importante sottolineare che, di fatto, Alessandria esisteva già ancor prima della sua fondazione formale. I vari centri abitati dell'agro avevano già avviato numerose relazioni con i territori confinanti: acquisto di terreni, alleanze e accordi[nota 2]. Nello stesso periodo, e forse anche antecedente, vennero anche edificate alcune chiese tra le quali - la più importante - quella di Santa Maria di Castello nel cuore di Roboretum. Già agli albori della sua nascita, Alessandria favorì della strategica posizione alla confluenza tra Tanaro e Bormida.
La città di Alessandria[nota 3] si fondò in un primo momento dall'unione demica di Gamondium, Marenghum e Bergolium. Questo si evince nel testo dei reclami contro Cremona del 1184 dell'imperatore Federico ove indica i promotori e autori della fondazione della nuova città: «de tribus locis, Gamunde vicelicet et Meringin et Burgul». Non è descritto il nome del luogo dell'incontro, anche se pare già indicato con una certa precisione nella specificazione del sito sul Tanaro dove il trasferimento fu più breve: Bergoglio[2]. Ai tre luoghi citati si aggiunsero in seguito Roboretum, Solerium, Forum, Vuilije (Oviglio) e Quargnentum. In questo le popolazioni furono supportate, economicamente, dalla "Superba" e dai comuni della Lega Lombarda in contrasto con il marchesato del Monferrato, principale alleato di Federico Barbarossa.
La città di Alessandria sorse dunque rapidamente, ma in un contesto di generalizzata illegalità[3]: la sua fondazione non era stata né autorizzata né approvata dall'Impero[3]. La città emerse anche in violazione dei diritti del marchese di Monferrato e dei marchesi del Bosco, occupando territori di loro proprietà o possesso senza avere alcun titolo legale per tale occupazione[3]. Anche nei confronti della Chiesa, la situazione di Alessandria era complessa: non poteva costituirsi come un'unica comunità di fedeli sotto la giurisdizione della Sede Apostolica. Era piuttosto un insieme di gruppi civici, ciascuno dei quali manteneva le proprie affiliazioni pievane, parrocchiali e diocesane, a seconda dei luoghi di provenienza dei suoi abitanti[3]. I più delicati, come si vedrà in seguito, sono proprio i problemi di natura ecclesiastica: nell’area alessandrina confluiscono infatti i limiti di cinque diocesi di solida tradizione[4] e sul territorio insistono i diritti e i possessi di importanti enti religiosi.
Fra Giacomo di Acqui nella sua "Chronica Aquensia" afferma[5]: « [...] Causa autem quare Alexandria fuit facta est ista, quia Marchiones Montisferrati gravabant illa loca, quæ se simul posuerunt, quæ sunt Rovetum, Marenchum, Gamondium et Bergolium»[nota 4].
La data ufficiale di fondazione di Alessandria è il 3 maggio 1168, anche se in quel momento la città ha già raggiunto una configurazione topografica, urbanistica e amministrativa definita.
La necessità di costruire la cattedrale non ebbe puramente un significato religioso, ma anche civile, politico e strategico. Un luogo di incontro di popolazioni differenti e di stratificazione di interessi diversi. Come già evidenziato la fondazione della città e la costruzione della cattedrale ebbero vicende contemporanee, l'altra conseguenza dell'una. Partendo dalla fondazione di Alessandria, tra le molte condizioni che accesero il processo sinecistico che diede vita ad Alessandria, si possono ricordare:
Come si evince dagli Atti Municipali dei Fabbricieri della cattedrale[6], l'atto di fondazione della città sancisce anche la volontà di edificare la cattedrale: «et così tutti insieme fu stabilito si facesse la Chiesa Cathedrale». Le prime notizie, dunque, risalgono alla seconda metà del XII secolo, quando fu eretta, tra il 1170 ed il 1175, una prima chiesa[7] dedicata a san Pietro apostolo: «et del subito si diede aviso à Sua Santità, il quale mandò fosse intitolato Santo Pietro».
La città dunque affrontò il bisogno di consolidare la propria struttura amministrativa e religiosa per affermare il suo status di entità politica e territoriale indipendente. Questo corso implicava il riconoscimento da parte di una figura di autorità superiore e l'istituzione di una plebs civitatis organizzata attorno ad una ecclesia major[8], punto cardinale sia spirituale che civico. Il processo di stabilimento dell'autorità ecclesiastica ad Alessandria si svolse in due fasi distinte, fondamentali per la legittimazione e lo sviluppo della città come centro di potere indipendente. La prima fase si concretizzò con l'atto di donazione al papa di un terreno per l'edificazione della cattedrale; la seconda fase fu la creazione della diocesi.
L'atto di donazione della chiesa da parte dei consoli alessandrini è presente nel Liber Crucis della città. Si tratta di una copia del XIII secolo, come evidenzia Francesco Gasparolo nella sua edizione critica del 1889[9], ove segnala che Amizone Butraffo, podestà coevo, ordinò ai notai di ricopiare in un codice tutti i documenti e gli atti importanti della storia del Comune. Tra questi venne ricopiato anche il De ficto dando domino pape[nota 5][10] che verte, appunto, sulla donazione della chiesa, destinata a divenire cattedrale, sulla fedeltà della città al papa e sulla istituzione di una tassa da versare ogni anno il giorno di San Martino.
Nel gennaio dell'anno 1170[nota 6], i consoli della città, Rufino Bianchi e Guglielmo de Bergasce, acquistarono un terreno sul quale costruire la chiesa. I due alessandrini - in rappresentanza delle nuove istituzioni civiche, i consules e il populus - donarono l'area acquistata, una volta giunti alla corte pontificia di Benevento, a papa Alessandro III[11]: «Deo, & Beato Pietro, & vobis prefato D. Papæ Alexandro [...] in perpetuum terram proprii juris nostri, quæ est infra prædictam civitatem quam populus ipsius ad costituendam sibi ecclesiam emit [...]»[nota 7].
L'atto redatto in questa circostanza si articola in quattro sezioni principali:
Di seguito il testo originale in latino della donazione e la sua traduzione:
(LA) «In nomine domini. Anno dominice incarnacionis Millesimo centesimo sexagesimo nono et undecimo pontificatus domini nostri Alexandri tertii summi pontificis et universalis pape, mensi ianuario tercia indicione. Nos Rufinus blancus et Willelmus de bergasce, consules de civitate Alexandrie notum facimus quidem in presencia dominorum bernardi portuensis episcopi Ubaldi tituli sancte crucis, Iohannis tituli sanctorum iohannis et pauli, Ildeprandi tituli basilice duodecim apostolorum, Iohannis tituli sancte anestaxie, Alberti tituli sancti laurencii in lucina, Guillelmi tituli sancti petri a vincula, Bosci tituli sancte potenciane, Petri tituli sancti laurencii in damaso, Iohannis tituli marcii, Teodini tituli sancti vitalis presbiterorum cardinalium et Iacinalii sancte marie in cosmidin, Cencii sancti adriani, Mainfredi sancti georgii, Ugonis sancti eustachii, et Petri sancte marie in aquiro diaconorum cardinalium et subscriptorum testium qui ad hoc rogati venerunt, Petri videlicet Sarazeni senescalchi, Iohannis Ancille Dei seneschalchi, Petri buticularii, Alberti et Albertinelli ostiariorum, ex parte omnium consulum et populi predicte civitatis per fustes offerimus deo et beato petro et vobis prefacto domino nostro pape Alexandro vestrisque catholicis successoribus sancteque romane ecclesie in perpetuum terram scilicet proprii iuris nostri que est infra predictam civitatem quam populus ipsius civitatis ad constituendam ibi ecclesiam emit. Et per eandem investituram volumus terram ipsam omni tempore romane ecclesie iure proprietario pertinere. Preterea de comuni conscilio Consulum et totius populi mandato militum domos et mercatorum et quorum facultas videbitur sufficiens ad boves abendos de singulis domibus tres denarios quidem terre in festo beati Martini exsolvent singulis annis. Ceteri de singulis domibus unus denarius et infra octavas beati Martini solvent ei cui romanus pontifex iusserit. Consules vero qui per tempora ibi constituentur fidelitatem vobis vestrisque successoribus omni occasione et contradicione remota iurabunt. Nos quoque demandato aliorum consulum et populi civitatis vobis fidelitatem fecimus. Et populus quando communiter iurabunt consulibus singulis, scilicet trienniis sicut constitutum est, iurabunt pariter et romano pontifici hoc scriptum quia interfui scripsi. Ego Fulco notarius et scriba sacri beneventiani pallacii. Ego Petrus sarazenus senescalcus Ego Albertinus hostiarius Ego Guiscardus Ego Albertus hostiarius Ego Petrus buticularius Ego Petrus qui dicor ferrarius notarius sacri palatii auctenticum huius instrumenti vidi et legi et ut in illo reperi in hoc scripsi nichil addens vel muttans preter punctum sillabam vel litteram. Ego Willelmus notarius sacri Palatii auctenticum huius instrumenti vidi et legi et subscripsi. Ego Otto notarius sacri Palatii auctenticum huius instrumenti vidi et legi et subscripsi.» |
(IT) «Nel nome del Signore. L’anno dall’incarnazione millecentosettanta[12], undicesimo del pontificato del nostro signore il sommo pontefice e papa universale Alessandro III, nel mese di gennaio, indizione terza. Noi, Rufino Bianchi e Guglielmo di Bergasce, consoli della città di Alessandria - in presenza dei cardinali Bernardo vescovo portuense, Ubaldo del titolo di Santa Croce, Giovanni del titolo dei Santi Giovanni e Paolo, Ildebrando del titolo della Basilica dei dodici apostoli, Giovanni del titolo di Santa Anastasia, Alberto del titolo di San Lorenzo in Lucina, Guglielmo del titolo di San Pietro in Vincoli, Bosco del titolo di Santa Podenziana, Pietro del titolo di San Lorenzo in Damaso, Giovanni del titolo di San Marco, Teodino del titolo di San Vitale, con i diaconi Iacinale di Santa Maria in Cosmedin, Cencio di Sant’Adriano, Mainfredo di San Giorgio, Ugone di Sant’Eustachio, e Pietro di Santa Maria in Aquiro, e con i testimoni sottoscritti che furono chiamati per rogare quest’atto, cioè Pietro Saraceno siniscalco, Giovanni Ancilla Dei siniscalco, Pietro Buticulario, gli ostiari Alberto e Albertinello - da parte dei Consoli e del Popolo della predetta Città, offriamo “per fustes” e in perpetuo a Dio, al Beato Pietro, a Voi nostro signore Papa Alessandro e ai vostri successori e alla Santa Chiesa Romana, il terreno di nostro pieno diritto che si trova entro la predetta Città e che il popolo della stessa ha acquistato per costituirvi una chiesa. Mediante la stessa investitura vogliamo che detta terra permanga di proprietà della Chiesa di Roma per sempre. Inoltre, in base al volere congiuntamente espresso dai Consoli e dal Popolo, [stabiliamo che] i milites, i mercatores e tutti coloro che possiedono bovini, per ogni casa di proprietà, dovranno pagare ogni anno alla festa di San Martino la somma di tre denari per questa terra; gli altri, per ogni casa di proprietà, un denaro, che pagheranno entro l’ottava di San Martino a chi sarà incaricato dal romano pontefice. I Consoli di volta in volta in carica giureranno inoltre fedeltà a voi e ai vostri successori in ogni circostanza e senza alcuna contraddizione. Quanto a noi stessi, dichiariamo la nostra fedeltà in base al mandato degli altri Consoli e del Popolo della Città. E il Popolo, quando i singoli Consoli presteranno il loro giuramento, cioè ogni tre anni come è stabilito, giurerà parimenti al romano pontefice ciò che è stato trascritto qui. Io, Folco, notaio e scriba del sacro palazzo di Benevento, Io, Pietro Saraceno, siniscalco, Io, Albertino, ostiario, Io, Guiscardo, Io, Alberto, ostiario, Io, Pietro, buticolario, Io Pietro, detto Ferrario, notaio del Sacro Palazzo, ho visto e letto l’originale di quest’atto e ciò che in esso ho reperito ho trascritto qui, senza aggiungere, togliere o mutare nulla, né un punto, né una lettera, né una sillaba. Io Guglielmo, notaio del Sacro Palazzo, ho visto, letto e sottoscritto l’originale di questo testo. Io, Ottone, notaio del Sacro Palazzo, ho visto, letto e sottoscritto l’originale di questo testo.» |
(Liber Crucis, pp. 93, 94) |
Con il rapporto privilegiato venutosi a creare con la Santa Sede e con papa Alessandro III, evocando il precedente storico della donazione di Costantino, legittimava - di fatto - l'esistenza del Comune di Alessandria, e ne definiva lo status di signoria feudale sotto l'autorità del pontefice[13]. Con ogni probabilità, la città di Alessandria ebbe inoltre il privilegio della concessione del "Vexillum Beati Petri", lo stendardo con croce bianca in campo rosso, simbolo della protezione papale, che il pontefice concesse personalmente[14].
Su richiesta dell’arcivescovo di Milano, Galdino della Sala, dei consoli di Milano e dei rettori di Lombardia e della Marca, nell'anno 1175, e quindi a chiesa quasi ultimata, il papa conferisce alla città lo ius episcopale[15]: Alessandria diviene diocesi. Come si è scritto, la creazione della diocesi non fu semplice, il territorio della civitas nova e degli octo loci era interessato dalla presenza di cinque diocesi molto antiche e consolidate[4]: Milano, a cui apparteneva Bergoglio; Pavia a cui apparteneva Rovereto; Tortona, a cui appartenevano Gamondio e Marengo; Asti, a cui appartenevano Quargnento, Solero e Oviglio; Acqui, a cui apparteneva Foro. A tutto ciò va aggiunto che san Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, e altri importanti istituti religiosi, vantava diritti e i possessi sul territorio.
Il conferimento dello jus episcopale lo si ha grazie alla scoperta della lettera pontifica conservata nel "Codice 5077" della Österreichische Nationalbibliothek[16]. Il documento fu pubblicato per la prima volta nel 1891 da Anton Chroust e successivamente incluso nei registri papali da Paul Fridolin Kehr nel 1913. Il Codice 5077 è classificato come un formulario, ossia una raccolta di copie di documenti originali trascritti per servire da modello ai funzionari della cancelleria papale durante la redazione di nuovi atti. I documenti nel codice coprono un arco temporale che va dal 1102 al 1416, e la sua compilazione è datata al XV secolo. Nonostante le ricerche, l'originale di tale lettera non è stato trovato nell'Archivio Segreto Vaticano[17].
Papa Alessandro III onora con la dignità pontificale «la chiesa e la città che è stata costituita in onore di San Pietro e per utilità e gloria di tutta la Lombardia». Primo vescovo eletto per la neonata diocesi di Alessandria fu il suddiacono[nota 9] della chiesa romana Arduino (o Ardoardo)[nota 10]. La creazione della diocesi includeva l'assegnazione di diritti episcopali su tutte le chiese e cappelle nei borghi da cui gli abitanti si erano trasferiti per fondare la nuova città. Questi luoghi — Quargnento, Solero, Oviglio, Foro, Bergoglio, Rovereto, Marengo e Gamondio — insieme alle pievi di Masio, Ponto, Cassine e Retorto, delineavano i confini della nuova circoscrizione diocesana. La transizione dell'obbedienza religiosa dei cittadini dai loro precedenti vescovi al nuovo vescovo di Alessandria non fu priva di tensioni, specialmente con la vicina diocesi di Acqui, con la quale i conflitti durarono quasi due secoli. Il documento stabiliva anche l'appartenenza della nuova chiesa locale alla circoscrizione ecclesiastica ambrosiana, sotto l'autorità dell'arcivescovo di Milano, dunque la diocesi di Alessandria è resa suffraganea dell'arcidiocesi di Milano, e lo rimase fino al primo Ottocento.
Successivamente, con il breve De novitate del 30 gennaio 1176[18] Alessandro III si scusa di aver eletto motu proprio il vescovo[nota 11] e dichiara che questo non deve pregiudicare, in futuro, il diritto di nomina che spetta al capitolo della cattedrale.
Di seguito il testo originale in latino e la sua traduzione:
(LA) «Allexander episcopus servus servorum dei dilectis filiis consulibus et universo clero et populo Allexandriæ salutem etc. Sacrosanctæ Romanæ ecclesiæ celesti privilegio sibi collato semper licuit semperque licebit episcopales sedes divisas coniungere et coniunctas pro temporis necessitate dividere et in illis locis, in quibus nunquam episcopatus fuisse noscuntur, exigente et necessitate et utilitate, (f. 76’) episcopos ordinare. Sanctum enim Sardicense concilium statuit non passim episcopum ordinari, nisi aut in civitatibus, que episcopos habuerunt, aut que tam populose sunt, ut episcopum habere mereantur. Inde est, quod cognito vestro desiderio, quod nobis sæpe aperuistis totis affectibus exorantes, ut civitatem vestram pontificali dignitate decoraremus, ne defectum ecclesiasticorum sacramentorum sustineretis, recepta quoque instantissima petitione venerabilis fratris nostri Galdini archiepiscopi Apostolicæ Sedis legati, et consulum Mediolanensium necnon etiam rectorum Lombardiæ et Marchiæ, post habitam multam deliberationem de communi fratrum nostrorum consilio, ecclesiam et civitatem vestram, que in honorem beati Petri et ad profectum et exaltationem totius Lombardiæ edificata est, pontificali dignitate decoramus et dilecto filio Arduino subdiacono nostro, quem utique moribus et sanguine nobilem et litteratum scientia decoratum vobis in episcopum et pastorem concessimus, et successoribus eius ius episcopale in omnibus ecclesiis et cappellis castrorum et villarum, quarum habitatores ad habitandum in civitate vestra venerant, cuiuscumque hactenus fuerint, et nominatim Quernenti, Solor, Burgolii, Uville, Fori, Roboreti, Marengi et Gamundi, quorum habitatores Alexandriam inhabitare tenentur, perpetuo tradimus concedimus et auctoritate apostolica confirmamus. Statuentes, ut cuncti clerici et laici omnium prædictorum locorum ei obœdiant et de decimis et de omni pontificali iure tamquam proprio pastori respondeant; sicut solebant episcopis suis respondere, ita quod laici decimas non debeant ulterius in feodo vel alio titulo possidere. Prohibemus etiam, ne clerici extra Alexandriam, in aliquo supradictorum locorum, donec persecutio Friderici dicti Imperatoris duraverit, missas vel sepulturas, baptismus vel alia divina officia celebrare præsumant. Præterea plebem de Masio, cum omnibus pertinentiis suis, plebem de Ponto cum omnibus capellis et pertinentiis suis, post mortem venerabilis fratris nostri Petri Papiensis Episcopi, plebem de Cassinis cum omnibus capellis et pertinentiis suis et plebem de Porta similiter ecclesie vestre duximus concedendas. Volumus autem, ut predictus electus a venerabili fratri nostro Galdino Mediolanensi Archiepiscopo, Apostolicæ Sedis legato, in diaconum et presbyterum ordinent35et de manu eius munus consecrationis percipiat et tam ipse quam successores ipsius ei et successoribus suis tamquam metropolitanis suis debitam obœdentiam exhibeant et honorem, sicut alii suffraganei Mediolanensis ecclesiæ facere noscuntur. Decernimus ergo, quod nulli omnino hominum liceat prefatam ecclesiam temere perturbare aut eius possessiones auferre aut ablatas retinere minuere aut quibuslibet molestiis fatigare, sed omnia integra (f. 77) et illibata serventur eorum, pro quorum gubernatione ac sustentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura, salva sedis apostolice auctoritate37et Mediolanensis archiepiscopi canonica reverentia. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens contra eam temere venire temptaverit, secundo tertiove commonita nisi reatum suum digna satisfactione correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat reamque se divino iudicio existere et a sanguine dei et domini redemptoris nostri Iesu Christi aliena fiat atque in extremo examine districte ultioni subiaceat. Cunctis autem eidem loco sua iura servantibus sit pax domini nostri Iesu Christi, quatenus hic fructum bone actionis percipiant et apud districtum iudicem premia eterne pacis inveniant. Amen.» |
(IT) «Alessandro vescovo, servo dei servi di Dio, saluta i diletti figli consoli e tutto il clero e il popolo di Alessandria. Alla sacrosanta chiesa romana grazie al privilegio celeste a essa conferito è stato e sarà sempre lecito congiungere sedi episcopali divise e dividere sedi congiunte, a seconda delle necessità del momento, e in quei luoghi in cui non vi sono mai stati episcopati crearne, qualora ciò sia richiesto dalla necessità e dall’utilità. Il concilio di Sardi ha stabilito infatti che non si possano creare vescovi se non nelle città in cui vi furono in passato o nelle città che sono diventate tanto popolose da meritare la creazione di un vescovo. Da ciò consegue che, conosciuto il vostro desiderio, spesse volte manifestatoci con accorate suppliche, di onorare la vostra città della dignità apostolica affinché non doveste subire la mancanza di sacramenti ecclesiastici, ricevuta anche l’insistente richiesta del venerabile arcivescovo Galdino, nostro confratello e delegato della santa sede, e dei consoli di Milano e dei rettori della Lombardia e della Marca, dopo lunga riflessione sulla unanime volontà dei nostri confratelli, stabiliamo di onorare la vostra chiesa e la vostra comunità cittadina, costituita in onore di san Pietro e per l’utilità e la gloria di tutta la Lombardia, con la dignità episcopale e al nostro diletto figlio Arduino, nobile per costumi e nascita e colto, che vi abbiamo concesso per vescovo e pastore, e ai suoi successori affidiamo, concediamo e confermiamo per sempre in virtù dell’autorità apostolica il diritto episcopale in tutte le chiese e le cappelle dei castelli e villaggi i cui abitanti si sono trasferiti per abitare nella vostra città [nuova], da chiunque dipendessero in passato, cioè Quargnento, Solero, Bergoglio, Oviglio, Foro, Rovereto, Marengo e Gamondio: gli abitanti di questi luoghi sono tenuti ad avere residenza in Alessandria e tutti i chierici e i laici dei medesimi luoghi obbediranno al vescovo come al loro pastore, nel modo in cui erano soliti fare ai vescovi delle loro precedenti diocesi, così che i laici non debbano più in futuro detenere le decime né in feudo né a diverso titolo. Vietiamo inoltre ai chierici, finché durerà la persecuzione di Federico imperatore, di celebrare messe, sepolture, battesimi e gli uffici divini fuori della città di Alessandria in qualcuno dei luoghi suddetti. Allo stesso modo concediamo alla vostra chiesa le pievi di Masio, con tutte le sue pertinenze, di Ponto con le sue cappelle e pertinenze (dopo la morte del nostro venerabile fratello Pietro, vescovo di Pavia), di Cassine con le sue cappelle, e di Porta. Vogliamo che l’eletto Arduino riceva l’ordinazione a diacono e quella sacerdotale dal nostro venerabile fratello Galdino, arcivescovo di Milano e legato della Sede Apostolica, e dalle mani di questi ottenga anche il dono della consacrazione. Disponiamo inoltre che tanto lui quanto i suoi successori debbano obbedienza e onore ai vescovi metropolitani, così come fanno gli altri suffraganei della chiesa milanese. Stabiliamo infine che a nessuno sia lecito turbare la chiesa di Alessandria nei suoi possessi o sottrarglieli, oppure – qualora le fossero sottratti – trattenerli, ridurli o sottoporli a qualunque molestia; tutti i suoi beni dovranno essere conservati integri a disposizione unicamente per conseguire scopi di governo e sostentamento, fatta salva l’autorità della Sede Apostolica e l’osservanza canonica dovuta all’arcivescovo di Milano. Se in futuro alcun ecclesiastico o laico, a conoscenza di questa nostra decisione, tenterà di opporvisi e, dopo la seconda o terza ammonizione, non avrà dato degna soddisfazione del reato commesso, sia privato di ogni potere ed onore, e venga rimosso dalla comunione col sangue del divino redentore e sottoposto al castigo finale nel giorno del giudizio. Tutti coloro che invece ne rispetteranno i diritti ricevano la pace di nostro Signore Gesù Cristo per poter ottenere il frutto della buona azione e il premio dell’eterna pace presso il Giudice Supremo. Amen.» |
(Codice 5077) |
Dell'edificio romanico originario nulla si sa nulla e nulla è giunto di rappresentazioni iconografiche. Come si scriverà più avanti, si possono notare alcuni particolari che raccontano una storia di interventi sicuramente di rilievo ma che non hanno snaturato totalmente l'origine del costruito.
Nel contesto della storia architettonica della cattedrale, il XIII secolo segna un periodo di significativi interventi strutturali, come evidenziato dalla documentazione storica e dalle modifiche architettoniche dell'edificio. Questa fase di lavori è testimoniata da fonti contemporanee e da interpretazioni storiografiche successive che offrono una visione dettagliata dell'evoluzione della cattedrale.
Nella prima metà del XIII secolo, documenti attestano l'esigenza di interventi rilevanti, come indicato dall'espressione «occasione faciendi tiburium dicta ecclesiæ»[21], per sostenere le quali vi fu un raddoppio dei contributi annuali alla Fabbrica della cattedrale: « [...] ordinamus, quod talia nunc ultimo ordinata, sive donum majoris ecclesiæ Alexandriæ, quæ, & quod fieri, & imponi debet omni anno pro laborerio, & fabrica ipsius ecclesiæ, duplicetur, & duplicari, & duplicata solvi debeat [...] »[nota 15]. Il termine tiburium in quel periodo potrebbe indicare una copertura o, più modernamente, una torretta campanaria sopra la crociera presbiteriale.
Altri interventi, più consistenti, sono stati identificati verso la fine del XIII secolo ad opera del faber et architectus Ruffino Bottino da Casale. I lavori citati furono preceduti, nel triennio 1289-1292, da una fitta corrispondenza e un Breve per la concessione di indulgenze per chi «manus porrexerint adjutrices alla Fabbrica della cattedrale, che fossero in opere, o donazioni, o legati[22].
A testimonianza di questi ultimi e più corposi lavori in cattedrale, si ha notizia grazie anche ad un’epigrafe commemorativa incisa su una lastra e posta all'interno dell'edificio[23][24], «Indictione nona Templum majus Civitatis per Magistrum Ruffinum Bottinum Casalensem, ut legitur in inscriptione fornicis, perficitur»[nota 16]:
La lastra commemorativa è oggetto di divergenze interpretative tra Lumelli[23], che la localizza presso l'entrata, e Schiavina[25] - probabilmente più correttamente - nel presbiterio, indicando l'ambiguità dell'intervento di Ruffino Bottino la cui precisa collocazione potrebbe chiarire l'entità del suo contributo[26].
Gli annalisti e storici successivi hanno spesso esagerato il grado di intervento sulla cattedrale, celebrandolo come un significativo ingrandimento o addirittura una ricostruzione, nonostante le indicazioni di mantenimento delle strutture preesistenti. Una perizia dell'architetto Giuseppe Caselli del 28 gennaio 1803[27] analizza la torre civica, iniziata nel 1292 ma rimasta incompiuta per lungo tempo[28][29], stabilendo che essa fosse successiva alla chiesa, collegata esternamente dalla facciata ma claramente posteriore: « [...] L'estremità della Facciata verso mezzanotte vedesi per quanto compare esternamente in costruzione collegata con detta Torre, o Campanile da alto in basso, anzi circondata quasi per intiero la piccola Guglia all'estremità di detta Facciata, dal Pilastrone a angolo di detto Campanile, tra Ponente verso Piazza e mezzodì verso l'interno del Duomo suddetto, deducendosi con ciò essere detto Campanile di posteriore data di detto Duomo, e facciata».[27].
Pietro Casalini fornisce una pianta dettagliata della cattedrale a tre navate, con cappelle e sacrestie aggiunte dopo la fondazione romanica del XII secolo e la ristrutturazione gotica di fine XIII secolo. L'architettura interna evidenzia un sistema di sostegni alternati, stilisticamente desueti per l'epoca, che influenzano la modulazione dello spazio interno con campate maggiori nella navata centrale e minori nelle navate laterali, tutte coperte a crociera(26). La disposizione è interrotta nel presbiterio, insolitamente rettangolare e preceduto da una campata mediana, la presumibile ubicazione del tiburio.
Grazie al suo rilievo, da alcuni segnali costruttivi intellegibili dalle testimonianze scritte, dall'esperienza maturata con lo studio comparato di molti altri manufatti coevi, si evince quindi, come già si è accennato, che da un lato l'opera sia stata sì rimodellata nella sua struttura formale interna, ma dall'altro abbia conservato l'impostazione originaria romanica[7]. L’impianto è basilicale, suddiviso da pilastri alternativamente polistili – i maggiori – del tipo cosiddetto "milanese" e cilindrici, secondo un sistema costruttivo che già nel XIII secolo risultava desueto; i tre absidi tondeggianti in luogo della più "contemporanea" modalità poligonale. In conclusione, questi ed altri aspetti inducono dunque a pensare ad un sostanziale mantenimento dell'ossatura primaria.
Nel contesto architettonico della cattedrale, emerge un'interessante disamina delle strutture che si riflettono nei documenti grafici custoditi presso la Biblioteca Reale di Torino. Questi disegni, due in numero raffigurati qui a fianco, offrono prospettive distintive dell'edificio: una raffigurazione frontale pone in evidenza la facciata principale e la torre civica, mentre l'altra illustra il retro della cattedrale con particolare attenzione alle absidi. Si osserva che le modifiche apportate nel corso dei secoli non solo rispettavano la struttura originale, ma introducevano elementi estetici e funzionali contemporanei.
All'esterno, la facciata mostra un opus mixtum con fasce alternate di cotto e pietra, tipico del periodo e della regione, configurata con un tetto a capanna punteggiato da occhi di illuminazione. Elementi più tardivi, come torrette-pinnacoli e portali archiacuti, si fanno notare, specificamente il portale principale descritto nel disegno summenzionato, documentando la sua costruzione più tarda rispetto all'originale protiro. La modifca del portale è ricordata da un'epigrafe[30]: «Hoc Opus Huius Portæ Perfectum Fuit / Per Inocentium De Petrobono / Tempore M(assarii?) Thomæ Pederanæ / Maioris Ecclesiæ S. Petri De Alexandria / MCCCXXXIIII. Die Sexta Mensis Aprilis»[nota 17].
Nel secondo disegno si notano le porzioni medievali delle absidi, escluse le aggiunte e sopraelevazioni più tarde che si presumono risalire al tardo Cinquecento o all'inizio del Seicento, indicano chiare influenze romaniche piuttosto che gotiche. Questo è evidente nella gestione delle superfici convesse, che sono scandite da sottili lesene. Anche le tipologie di archeggiature presenti sui coronamenti e la configurazione della loggetta superiore dell'abside centrale riflettono questa tendenza, confermando una prevalenza dello stile romanico nelle strutture più antiche dell'edificio.
Questa analisi dettagliata delle caratteristiche architettoniche consente di comprendere meglio le fasi di sviluppo storico e stilistico della cattedrale, arricchendo la narrazione storico-artistica dell'edificio e fornendo un contributo significativo alla comprensione della sua evoluzione.
Le cappelle laterali che si trovano lungo i due fianchi della cattedrale hanno rappresentato un interessante esempio di evoluzione architettonica e artistica legata sia alle dinamiche sociali sia a quelle religiose della città tra il XIV e il XV secolo. Originariamente, queste cappelle non erano disposte con la regolarità che si può osservare nelle rappresentazioni attuali della pianta della cattedrale[nota 18]. La loro costruzione è stata progressiva e spesso rispondente alle esigenze e ai finanziamenti delle più influenti famiglie alessandrine, le quali detenevano il patronato di tali spazi sacri.
Nel XV secolo, la cattedrale di Alessandria vide l'aggiunta di alcune cappelle laterali, che arricchirono il complesso architettonico e spirituale. Tra queste, la cappella di santa Caterina fu eretta nel 1434 dalla famiglia Ghilini, seguita dalla cappella di san Silvestro, fondata nel 1452 da Guglielmo Baschiazza. Questi sviluppi riflettono l'intensa attività di patronato e devozione religiosa del periodo, evidenziando il ruolo centrale della cattedrale nella vita comunitaria e spirituale di Alessandria.
Tra il 1478 e il 1484 fu realizzato, all'interno della cattedrale, il monumento funerario del vescovo Marco Cattaneo de' Capitaneis, vescovo di Alessandria[31]. Questo altorilievo è ancora visibile presso il corridoio di accesso alla sagrestia del nuovo duomo. L'opera è rilevante per la scultura funeraria del periodo e per la sua espressività artistica e devozionale.
L'avvio del nuovo periodo di interventi sulla cattedrale, coincidente con l'ultimo quarto del XVI secolo, risponde a esigenze di adeguamento ai dettami emessi dal Concilio di Trento e dai successivi Concili Provinciali di Milano, finalizzati al decoro e alla funzionalità degli edifici sacri. Una fase di notevole attività costruttiva si verifica in particolare dopo le indicazioni fornite dalla visita apostolica di Gerolamo Ragazzoni, svolta tra il 22 settembre e il 7 novembre 1576. Mons. Ragazzoni, noto per il suo rigore, intervenne decisamente contro le prassi ritenute obsolete o inappropriatamente trascurate, come evidenziato dalla sua azione risolutiva nei confronti degli altari trascurati e indebitamente collocati, che erano spesso accostati l'uno all'altro o addossati ai pilastri della chiesa, costituendo piccoli focolai di devozione privata e fonti di entrate limitate.
Durante la visita pastorale di Girolamo Gallarati del 1565, vennero censiti fino a trenta di questi altari, mentre molti tra essi furono smantellati nella successiva visita del 1593/1594, condotta da Gerolamo Confalonieri per conto del vescovo Ottavio Paravicini. Il delegato apostolico annotò specificatamente la rimozione degli altari, ordinata dal visitatore apostolico, perché inadeguatamente integrati con le strutture portanti o collocati in posizioni scomode: «Advertendum porro est quod Altaria [...] demolita fuerunt iussu R. mi d.ni Visitatoris Apostolici, quod adhærerent et affixa columnis Ecclesiæ essent, atque alijs locis incomodis»[nota 19].
Le opere di maggiore rilievo iniziarono nel luglio del 1585[32], «Julio mense, templum maximum Alexandriæ, quod jam situ, et vetustate obsoleverat, renovari cœptum est»[nota 20], all'inizio dell'episcopato del futuro cardinale Parravicini, e si estesero per almeno un paio di anni[33], «Eodem anno templum maximum D. Petri Alexandriæ prius cariosum, et obsolescens ob vetustatem, in illud, quod specitur, specimen, et concinnitatem [reficitur (?)], impensa partim fabricæ ipsius templi, partim Octavii Episcopi, et partim Canonicorum Collegii. Fanum D. Josephi, quod jam pridem cœptum fuerat, pecuniæ egestate imperfectum hactenus mansit, Octavius Episcopus ex aliquot ipsius templi censibus absolvendum curavit.»[nota 21]. Anche Ghilini fornisce una testimonianza dei lavori di quegli anni: «Si fece quest'anno un abbellimento necessario al Duomo di Alessandria: poiché essendo per sua antichità divenuto nero, s'imbiancò, e dipinse conforme à questi giorni nostri si vede.»[34]. Tali lavori risultarono sostanzialmente completati nel 1591, come Parravicini stesso riportò nella sua relazione durante la visita ad limina[35]: «Cathedralem squalidam, et omnino inornatam reperij, quam decentissimam reddidi, pavimentum construxi, universam intus renovatam pingere jeci, fenestras omnes vitreas in modernam formam redegi, luminosam reddidi, capellas omnes restitui»[nota 22].
Nel corso del primo trentennio del XVII secolo, la comunità e il vescovo unirono le loro forze per finanziare il completamento della Torre civica, attigua alla facciata della cattedrale. Come indicato nella sezione di riferimento di questa voce, i lavori, interrotti per trecento anni circa, furono ripresi nel 1608. Per quanto concerte l'architettura interna della chiesa, si registrano altri interventi significativi nel corso dello stesso periodo. Tra questi, spicca sicuramente la ricostruzione interna della cappella della Madonna della Salve, completata intorno al 1649 come descritto nella sezione dedicata.
Verso la fine del secolo, l'attenzione si spostò verso le sagrestie. In particolare, nel 1679 fu costruita la sagrestia di san Giuseppe, che venne decorata due anni dopo dall'estro dello stuccatore Gian Maria Aliprandi e dal pittore Pietro Bianchi, entrambi originari di Como[36].. Successivamente, intorno al 1695, fu ricostruita in una forma più raffinata la nuova sagrestia situata sul lato settentrionale, in sostituzione di una preesistente struttura demolita per l'occasione: «Fu demolita e rifatta in forma migliore la sagrestia antica e aggiungiamo anche fornita de' suoi banchi ad uso de' capitolari [...] »[37]. C'erano anche piani per una terza sagrestia che sarebbe dovuta sorgere vicino alla cappella di san Liborio, sul lato sud-orientale della chiesa[38]. Tuttavia, questi progetti furono abbandonati a causa delle numerose opposizioni[39][40][41], nonostante i costi fossero coperti dall'ingente lascito del vescovo Alberto Mugiasca[42].
Con i fondi del medesimo lascito, furono finanziati altri lavori significativi, tra cui la ricostruzione dell'altare maggiore. Quest'opera, realizzata in marmo bianco con finissimi intarsi policromi, si conserva, nonostante alcune alterazioni. Nel 1810 l'altare venne collocato nella cappella dell'Immacolata Concezione della nuova Catedrale e le alterazioni sono state dovute alla minore larghezza della cappella rispetto allo spazio del presbiterio dell'antica cattedrale[43]. La consacrazione avvenne nel 1695, come emerge dalla visita pastorale di mons. Giuseppe Tomaso de Rossi: «Visitavit Altare Majus, quod est totum marmoreum, ejusque mensam, seu aram consecratam a n.q. Ill.mo et R.mo DD. Carolo Octaviano Guasco Episcopo Alexandrino die 31 Octobris, ut ex lapide infixo a parte posteriori dicti Altaris versus Chorum sequentem referente Inscriptionem: Hoc Altare Majus consecratum fuit / ab Ill.mo et R.mo D.D. Carolo Octaviano / Guasco Episcopo hujus Civitatis / die 31. 8bris 1695.»[44]. Furono inoltre rinnovati gli stalli lignei del coro, che in precedenza erano stati descritti come «fracta, & male composita»[45][46], testimoniando un continuo impegno nella cura e nel restauro della chiesa.
Nell'ultimo secolo del suo sviluppo, la cattedrale testimoniò un'intensa attività di arricchimento artistico, sostenuta economicamente dalle varie Compagnie costituite nelle singole cappelle. Queste imprese decorative iniziano con l'importante ciclo pittorico realizzato nella cappella di san Giuseppe nel 1713 e nella cappella di sant'Andrea nel 1723. Entrambe le opere furono frutto della collaborazione tra il bolognese Gian Antonio Gioannini, che si occupò delle quadrature, e l'astigiano Gian Carlo Aliberti, responsabile per le figure. Proseguendo, nel 1724, la cappella della Salve fu abbellita da affreschi, ancora una volta opera di Gioannini per le quadrature, mentre per le figure fu chiamato Giuseppe Bianchis, originario di Como[47][48]. Non meno rilevanti furono gli interventi decorativi per eventi speciali, come i due "cartelloni" realizzati in occasione della solennità di san Pietro nel 1769. Questi furono dipinti da Angelo Maria Perucchetti di Como e Francesco Siliprandi di Parma per gli aspetti architettonici e da Felice Andrietti di Alessandria per le figure[49].
Un'altra notevole aggiunta furono le "macchine", strutture di grande impatto scenografico. Ad esempio, nel 1780, fu commissionato ai fratelli Galliari la realizzazione di un gruppo di tele destinate all'apparato del Santo Sepolcro[50]. L'apparato del Sepolcro aveva suscitato consensi entusiastici: «Sappiamo che stranieri illustri da lontano partirono a bello studio, non trattenuti dai disagi della stagione, per fruire un momento le delizie di questo elegante sfoggio di classica scenografia uscita dal pernello dei fratelli Galliari.»[51]. Oltre a queste manifestazioni di splendore, la cattedrale fu oggetto di continui lavori di manutenzione. Le spese di fabbriceria indicano che tali interventi erano sia accurati sia frequenti[52][53][54], interessando le strutture, i tetti, i pavimenti, così come gli arredi marmorei e lignei. La necessità di tali interventi era evidente data l'età avanzata dell'edificio, come emerge da una perizia effettuata dal capo mastro Domenico Caselli il 17 ottobre 1751: « [...] ho visitato detta Chiesa Catedrale si e ritrovatto che il muro della faciatta strapiomba in fori verso la piazza quale si vede due spacature ne muri lateralli della navatta magiore di mezo è marcitta ne primi Archi verso detta faciatta non ostante che tempo fa li ano posto due chiavi che prendono dal muro di detta faciatta sino al primo pilastrone delle due prime Archatte, ma nella di mezo continua di presente marcire con dette spacature [...]»[55]. In risposta a queste problematiche, si procedette con solerzia ad irrobustire le murature mediante l'uso di tiranti, a sostituire le parti mobili o a rimuovere quelle irrimediabilmente deteriorate, come i due leoni stilofori sulla facciata, ultimi residui del protiro medievale, rimossi nel 1790.
Nonostante gli sforzi impiegati nella sua conservazione e abbellimento, il destino della cattedrale fu presto segnato in maniera irreversibile, con cambiamenti profondi dettati dalle vicissitudini storiche e dalle decisioni arbitrarie degli uomini.
L'antica cattedrale resistette fino agli inizi dell'Ottocento, fino a quando, in pieno regime francese e all'indomani della Battaglia di Marengo, Napoleone ne decretò la fine ordinandone la demolizione. Non fu ritenuta idonea, anzi ingombrante, nell'ambito della riorganizzazione funzionale urbana della città voluta dall'imperatore francese.
Fu comunque palese da tempo che la cattedrale di Alessandria fosse destinata alla demolizione, ben prima che il decreto ne sancisse formalmente la fine. Questa sensazione era alimentata da voci contraddittorie, come riportato da un agente della Casa Ferrari il 4 novembre 1802 al marchese Evasio Luigi, confinato nella sua villa nel feudo di Castelnuovo Bormida: «Qui non si sentono Novità. Solo si disse, che s'atterrava il Duomo, ed il Corpo di guardia per ingrandire la piazza, ed avere una Strada dritta, che tendesse ai Bastioni della Cittadella Vecchia, dove si sarebbe continuata in detto sito la Strada sino alla Bormida, ed in diritura del Stradone che va a Marengo. Da molti si dice già decretato a Parigi, ma da altri si dice: Balle»[56].
Il decreto fu infine promulgato il 18 novembre 1802[nota 23] e spedito da Parigi al Prefetto del Dipartimento di Marengo dal ministro delle Finanze il 1º dicembre 1802[nota 24]. Due articoli scarni quanto perentori di un documento sottoscritto da Napoleone[57], segnarono il destino ultimo della cattedrale:
Per quanto riguarda le reazioni locali di fronte ad un così drastico provvedimento, i documenti ufficiali non riportano dichiarazioni. Nonostante l'assenza di prove esplicite di collusione tra gli amministratori dell'epoca, emergono chiari segnali di apatia e conformità, probabilmente influenzati dal servilismo e dall'ideologia prevalente. Una testimonianza privata dell'agente di Casa Ferrari, datata 30 dicembre 1802, ci suggerisce che non vi fu alcuno sforzo significativo per cercare e coordinare una soluzione alternativa che potesse mitigare l'impatto sulla città: «Falsa è la nuova sparsa in Cassine che il nostro Duomo sia già chiuso, anzi si spera, che si farà ancora la festa dell'Epifania. Non v'è però da sperare che venghi sospesa l'esecuzione del Decreto, perché non trovasi alcuno, che voglia impegnarsi a tale riguardo essendo grande l'impegno affine venghi atterrato, e almeno reso inservibile»[56].
Per comprendere le reazioni dell'Amministrazione in merito, è sufficiente richiamare il contenuto della delibera approvata durante la seduta del Consiglio Municipale del 28 dicembre 1802[nota 27], in cui furono nominati i "deputati" incaricati di discutere la questione con il Prefetto: « [...] in ordine al Decreto emanato per l'atterramento del Duomo, considerando, che è questa un'opera, che reca spiacere alla Popolazione di questo Comune, o perché trattasi di fabbrica costrutta sul gusto antico bensì, ma maestosa, o perché li medesimi prediligono questo Tempio a preferenza degli altri, ovvero perché tal sagro Edificio non che il suolo, sul cui è eretto sarebbe proprio del Comune in parte, ed in parte di alcuni Particolari, risolve il Consiglio di deputare, come deputa li Cittadini Consiglieri, [...], acciò [...] si rechino tosto dal Cittadino Prefetto per prendere seco lui quelle intelligenze, e concerti, che stimeranno vantaggiosi al bene del Comune, e di questo Pubblico, conferendo a' tal Deputati le facoltà necessarie, ed opportune, previa protesta, che fa d'essere sommesso all'esecuzione della Legge, e di qualsivoglia Decreto delle Autorità Costituite»[58].
Nonostante esistesse, come è documentato, una certa resistenza all'annuncio della prossima demolizione, questa era espressa principalmente dalla popolazione locale, la quale, ferita nel suo orgoglio civico, si trovava sostanzialmente esclusa, nonostante le proclamate intenzioni di "égalité", dalle decisioni delle élite al potere. Indizi di questo dissenso sono evidenziati dai dispacci inviati dal gran giudice e ministro della Giustizia Claude Régnier[59] e dall'amministratore generale della 27ª divisione militare Louis Charbonnier[60], provenienti rispettivamente da Parigi e da Torino, datati 23 gennaio 1803[nota 28]. Questi messaggi, indirizzati al prefetto di Marengo e al vescovo di Alessandria, avevano lo scopo di approvare le azioni intraprese per «calmare», «far cessare», e «alleviare il rincrescimento del popolo».
Nel frattempo, il consiglio municipale, riunitosi il 2 gennaio 1803[nota 29], aveva approvato[61], sentendosi obbligato a «de manifester son attachement à la Republique», la «démolition decretée». Durante quella sessione, furono finalmente divulgate le motivazioni, che avrebbero dovuto permettere ad Alessandria di adottare il pesante ruolo attribuitole come "bastione avanzato della nazione"; un destino che, in buona fine, fu eluso dagli imprevedibili sviluppi storici: «Considerando il Consiglio Municipale che dovendo cedere al voto del Popolo per la sussistenza della Cattedrale alla Publica causa, e difesa essendosi dai Consoli determinato, che questo Comune formi un Baloardo invincibile alla difesa dell'intera Nazione e della Republica, e resa Piazza di difesa di prima linea, affronti e resista ad ogni nemico insulto, per cui rendendosi indispensabile una Piazza d'Armi interna, ampia e capace non solo dell'ordinario Pressidio, ma eziandio della maggior Truppa, che in circostanze di Guerra o d'assedio può venire isolata, aquartierata od accampata in questa nostra Città, a cui non può suplire l'attuale circuito della Piazza suscetibile di un ristretto Corpo di 5 in 7 milla uomini, e non già quale le circostanze di Guerra o di difesa potrebbe rendere urgente, e necessaria, essere perciò dovere del Consiglio Municipale di manifestare il di lui attaccamento alla Republica con pronta somministrazione al decretato abbattimento». Questa decisione, in realtà, non era inattesa, perché pienamente coerente con i possibili piani napoleonici di trasformare il nucleo urbano di Alessandria in una fortezza-satellite della progettata città di Marengo: utopia imperialistica, certo, ma che avrebbe trovato una sua realizzazione, almeno teorica, nelle previsioni del commissario Rivaud, che immaginava per essa una pianta ottagonale con una vasta piazza centrale, otto vie porticate radiali, circuiti concentrici di collegamento, piazze minori, porte, e persino — con i consueti cedimenti retorici — la nomenclatura delle vie della città[62].
Durante la stessa seduta del consiglio municipale, si decise di richiedere un indennizzo per la perdita della struttura della cattedrale e del suo terreno, ritenuti di «assoluta privativa, spettanza e possesso» del Comune, conformemente all'articolo VIII, titolo IV della Legge del 10 luglio 1791[63]. Fu pertanto stabilito che «che all'abbattimento del Duomo debba precedere il Giudizio di Perito d'Uffizio, con intervento di chi faccia le parti del Comune, e della Fabrica, sul valore del sito e fabrica della Cattedrale, abitazione, e siti annessi connessi, e dipendenti, comprensivamente anche al sito della Piazza detta di S. Giuseppe di ragione della stessa Cattedrale, acciò resti legittimamente acertato il valore di detta fabrica, e fissi l'indennità dovuta al Comune». Il perito designato per questo compito fu Pietro Casalini, di Lugano, presente alla seduta in qualità di membro del consiglio e «architecte de la Commune», che si incaricò di eseguire un'accurata misurazione delle strutture del duomo per calcolarne la stima necessaria.
Durante lo stesso incontro, il consiglio municipale avanzò la richiesta di «una pronta surrogazione d'altro locale per l'esercizio del Publico Culto», indicando la chiesa di sant'Alessandro dei padri Barnabiti come sede temporanea della cattedrale e proponendo di destinare un altro sito «ampio e capace per la costruzione d'altra Cattedrale proporzionata alla cospicuità, e decoro della Sede vescovile, della Popolazione e del Dipartimento»[64]. Tra le pretese iniziali della Municipalità figurava «eglise du Couvent des Cordeliers» la chiesa di san Francesco dei padri minori Conventuali, com'è documentato da una lettera del 27 gennaio 1803[nota 30] dell'Administrateur de l'enregistrement es des domaines Bochet al cittadino Mouton, Inspecteur, Directeur par interim[57]. In seguito, nella seduta straordinaria del consiglio municipale del 23 febbraio 1803[nota 31], si era deciso altrimenti, optando per la chiesa conventuale di san Marco, già dei padri Predicatori: «Sur la proposition à deliberer si l'on demanderait le local de St. Marc proposé par Mr. l'Eveque, ou plutôr l'autre de l'Eglise es Couvent des cidevant Carmes Chaussés egalement supprimé, s'étant passé au scrutin secres par votes [...] il en est resulté que l'Eglise, et Quartier de St. Marc a été choisie à la majorité [...]».
In quella occasione, veniva anche notato che, con la demolizione della torre civica, il Comune si sarebbe trovato «ad esser sprovisto del solo Orologgio publico esistente», rendendo così «indispensabile ed urgente l'erezione di una Torre d'Orologio publico alto sonante da cui prende regola e norma la publica economia, e disciplina, ed ordine». Di conseguenza, fu deliberato «provedere al dissegno, e Calcolo della spesa per la costruzione d'una Torre da erigersi sulla Piazza nel sito da concertarsi col Comandante del Genio per la formazione di un publico Orologio»[65].
Si ritiene che il progetto originale sia stato abbandonato per ragioni ignote. È documentato, invece, che l'architetto Giuseppe Caselli avanzò una proposta alternativa, come emerge da un elenco di lavori redatto il 7 ottobre 1803[nota 32]: «Da detto giorno 9 sino li 27 Piovoso [29 gennaio-16 febbraio] nella formazione del Dissegno e calcolo dell'ammontare della spesa di una Torre per detto Orologgio, prospettante sull'angolo del Palazzo di detta Majrie [...] Vacati 10». È giunto anche un preventivo per un progetto, ideato da Casalini e sottoposto il 20 febbraio 1803[nota 33], che proponeva anche in questo caso il trasferimento dei quadranti su una nuova torre da costruire sull'angolo del palazzo municipale[57]: «Le moyen le plus promte, et le moins coûteux pour placer l'horologe, qui existe sur la Tour à côté de la Cathedrale de celte Commune, qu'on detruit, est de former sur l'angle du Palais de celte même Commune corrispondan à la Place une élévation en forme de Tour suivant l'ordre infe rieur de la Façade du même Palais, parsqù en même temps, qu'on place là l'horologe, on procure une plus grande commodité à la Commme, la quelle n'a que deux Sales, et on lui augmente le Local de deux Chambres, qui lui seront très utiles. La depense sera de la somme cy dessous [...] 24702 Fr.»[nota 34].
Infine, per evitare dispersioni, occultamenti, furti e atti vandalici verificatisi durante la recente chiusura dei conventi, soppressi nel settembre dell'anno precedente, vennero nominati due consiglieri incaricati di redigere l'«Inventario da farsi de' mobili, effetti, ed arredi della Cattedrale, trasporti e loro immagazinamenti [...] e sorveglianza». Il 5 gennaio[nota 35], alla presenza dei testimoni designati, fu dunque redatta una copia fedele del documento: «Copia dell'Inventario degli effetti, mobili e arredi appartenenti a questa Cattedrale, ricevuta da Rattazzi, segretario dell'Ufficio di Pace»[66].
In occasione dell'Epifania del 1803, il vescovo Vincenzo Maria Mossi aveva regolarmente officiato il solenne pontificale festivo. Tuttavia, durante i vespri, venne ufficialmente notificato al capitolo dei canonici l'ordine di chiusura della cattedrale, eseguito il 7 gennaio successivo alle 9 del mattino dal comitato di polizia[67]. L'impellenza di concludere l'episodio rapidamente, senza eccessiva pubblicità per evitare di aggravare gli animi già turbati — come menzionato, afflitti dai regrets — colse tutti di sorpresa. La nuova chiesa di sant'Alessandro, designata come sede provvisoria, si presentava spoglia e profanata, priva dell'altare maggiore, sostituito da un albero della libertà eretto dai giacobini. In attesa di interventi urgenti per la pulizia e la decorazione che consentissero di restituirla al culto, la vicina chiesa conventuale della santissima Annunziata, precedentemente delle Agostiniane, accolse inizialmente il simulacro miracoloso della Beata Vergine della Salve, trasferito quasi in segreto a mezzanotte, senza cerimonie né illuminazioni. Il giorno seguente, di buon mattino, la stessa chiesa ricevette il santissimo Sacramento, portato processionalmente dai canonici accompagnati da un nutrito gruppo di fedeli e torce accese. Il 17 febbraio, il duomo temporaneo fu finalmente riaperto, ed un solenne corteo — dalla chiesa dell'Annunziata — composto da sacerdoti e canonici in abito corale, ricollocò il Santissimo Sacramento e le veneratissime reliquie della vera Croce e della sacra Spina nella sede rinnovata. Considerata da molti come una soluzione temporanea a causa delle sue dimensioni ridotte e spazi angusti, la chiesa di Sant'Alessandro non era vista come una sistemazione adeguata. Tuttavia, inizialmente, il prefetto Campana sembrava avere un'opinione diversa, come emerge dalle sue comunicazioni[57] con il Ministro delle Finanze il 20 febbraio 1803[68]: «Parmi les Eglises Nationales fermées toutes celles qui avoient quelque consistence ont été destinés au service de la guerre; Je pense donc qu'il faut laisser la Cathédrale où je l'ai établie provisoirement au Couvent des Barnabites, quoique ce local soir un peu petit, il est cependent assez décent et il demande moins de réparations que tous les autres; Il n'a point été destiné au service de la guerre, er la portion principale du Couvent est vendue. Il ne reste que quelques chambres propres à la Sacristie, Choeur, dépôr et au logement des Chanoines dignitaires»[nota 36].
Le informazioni relative alle varie fasi della demolizione sono dettagliate nella "Cronaca sull’atterramento del vecchio duomo di Alessandria eseguito nel 1803; scritta da Luigi Giulini di Giuseppe Calzolajo"[nota 37]. Questo documento risulta essere l'unica narrazione dettagliata conosciuta e rimasta inedita per lungo tempo[69].
L'operazione fu affidata agli artificieri del genio sotto la guida del cittadino Grac, e al «cittadino Giuseppe Caselli architetto», nella particolare funzione di «perito nominato relativamente a cotale demolizione». La demolizione della cattedrale, già svuotata di tutti i suoi arredi mobili, iniziò il 31 gennaio 1803 con la collocazione di tre mine lungo la parete posteriore della cappella di san Giuseppe. Nei giorni successivi, le cariche esplosive furono sistemate in punti strategici delle murature per indurre il crollo. Nonostante alcune delle mine fallissero nell'intento, e nonostante le robuste strutture medievali talvolta resistessero agli attacchi, l'uso continuato di esplosivi, corde, picconi e barre di ferro portò al collasso completo il 1º marzo dello stesso anno, lasciando un ammasso informe di rovine.
Successivamente, i manovali intervennero per categorizzare i materiali ancora utilizzabili da quelli irrimediabilmente danneggiati, separando i mattoni recuperabili dai residui di malte secolari e salvando le travi di legno e le ferramenta. I detriti vennero trasportati via con centinaia di carri, destinati a essere riutilizzati nei terrapieni delle fortificazioni, in blocchi di pietra per il ponte sul Bormida e in lastre calcaree per i pavimenti di magazzini e quartieri militari[70].
Il 20 luglio, si iniziò la demolizione della Torre Civica, dopo aver opportunamente rimosso orologi(15) e campane. È da notare che il castello di orologi era considerato «le meilleur, et le plus magnifique Horloge d'Italie, qui avait six [?] cadrans marquant les heures, et les mouvements des astres [...] ]»[57]; e ancora: «La tour de l'horloge attenante à la Cathédrale a été jaite cent ans après; on y a placé dernierement le plus beau et le meilleur horloge d'Italie [...] ]»[57]. Successivamente, il 19 gennaio 1804, fu la volta dell'antico corpo di guardia adiacente. In circa un anno, la municipalità dimostrò il suo «attaccamento alla Repubblica», realizzando la tanto agognata piazza d'armi centrale, ampia e rettificata. Tuttavia, il costo di tali interventi non si limitò alla perdita di un edificio emblematico, depositario dell'intera storia civica e religiosa di Alessandria, ma comportò anche un danno irrimediabile al tessuto urbano. Il carattere medievale originale, con la sua trama irregolare di spazi interconnessi e le prospettive variabili e forzate, venne irrevocabilmente alterato, lasciando una cicatrice che nessun intervento successivo avrebbe potuto sanare. È pertinente menzionare, in conclusione, l'opinione espressa, forse non priva di una certo trasporto di parte, da Girolamo Ghilini nei suoi "Annali": « [...] in questo sito si vede à nostri giorni la Piazza grande tanto bella, e proporzionata, che in tutta la Lombardia non ve n'è una simile a questa»[71].
Nell'arco del XVIII secolo si possono riscontrare alcune descrizioni della cattedrale di San Pietro che possono aiutare alla comprensione delle aree circostanti e degli spazi interni. Un interessante manoscritto del 1775[72], redatto dal canonico casalese Giuseppe De Conti, racconta il suo punto di vista durante un viaggio da Casale a Roma[nota 38]: «Fra gl’edifici sagri (Alessandria) può primo vantarsi della sua Cattedrale isolata, vasta a trè navi, con esterni in semigottico gusto alternati di mattonelle e pietre con sobrii portichetti, e gallerie. Alla porta maggiore prospiciente sulla Piazza tiene un peristilio barbaro di rimarco. Nell’interno fà pompa della Cappella di S. Giuseppe, ben frescata sulle volte, e con un’icona in tela nell’altare di qualche considerazione. V’è anche la Cappella della Salve bene abbellita di marmi, pitture, dorature. L’architetto di questo tempio fu nel 1300 mastro Bottino di Casal S.t. Evasio, come sta scolpito in una lapide, riportata dal Ghilini storico di questa città. La Piazza maggiore, che tiene davanti è spaziosa di forma quadrilunga quasi regolare».
Molto importanti, per la descrizione degli edifici religiosi, sono le visite pastorali diocesane dei vescovi. Una, del vescovo Giuseppe Tomaso de Rossi del 22 giugno 1760[73], presenta le strutture interne nei verbali della sua visita: «Visitavit Corpus dictæ Ecclesiæ Cathedralis, quod constat tribus Alis, quarum media est major, reliquæ duæ laterales sunt minores. In Capite majoris attollitur altissima Testudo alluminata finestris, et fulcitur duobus [...] ibus Presbyterii, ac duabus Columnis; subtus dictam Testudinem efformantur quatuor magni arcus, et in medio illius qui est in prospectu fulgent Insignia præfacti DD. Episcopi in tela picta espressa, et hinc inde illa præfatæ Ill.me Civitatis expressa pariter ut supra. Sequuntur hinc inde pariter in dicta Ala tres alii magni Arcus, in eorum singuli includentes duos alios minores, qui sustentantur a sex columnis comprehensis supra relatis. Hæc ala major, quemadmodum et prædictæ laterales, est opere fornicato constructa [...]»[nota 39].
Alessandria fu una delle prime tappe che Donatien-Alphonse-François de Sade scelse durante il Voyage d’Italie, dopo la fuga precipitosa dalla Francia. Si fermò a dormire la notte del 26 luglio 1775 e descrisse così la piazza e la chiesa: « [...] La piazza è lunga, ma mal costruita. Vi si stava costruendo, quando la visitai, un edificio abbastanza piacevole, ma che da solo non l’abbelliva mai. La cattedrale, di tipo gotico e senza alcun ornamento esteriore, prende da sola quasi un intero lato della piazza e nasconde un municipio discreto, situato su una specie di prolungamento dietro alla piazza.»[74].
Con la fondazione della città di Alessandria, e la contestuale edificazione della cattedrale, nasce anche la Platea Maior[nota 40]. Con la civitas nova il baricentro si sposta da borgo Rovereto alla Platea Maior, posizionata strategicamente nel cuore del nuovo costruito urbano. La piazza si afferma come fulcro centrale rivestendo da subito un ruolo epicentrico del comune. Qui sorsero, formando un complesso direzionale coeso con la cattedrale, il Palatium Vetus, che ospitava gli organi del potere comunale, e il Palatium Novum, sede del municipio. Nel contesto medievale, la Platea Maior non era quindi soltanto uno spazio pubblico, ma il cuore pulsante della vita civica, amministrativa e religiosa di Alessandria; i suoi edifici erano anche luoghi di incontro per i cittadini, dove si svolgevano assemblee e discussioni pubbliche.
Come evidenziato nel Codex Statutorum Magnifice Communitatis Atque Diœcæsis Alexandrinæ[20], la "piazza maggiore" riveste un'importanza fondamentale nella storia urbanistica della città. Questo documento, pur nella sua versione stampata del 1547[nota 41], ci offre una visione dettagliata delle funzioni sociali, commerciali e religiose della piazza nel corso dei secoli.
La piazza era un'importante area commerciale, ospitando mercati settimanali e fiere annuali. Il mercato del pesce, delle erbe e dei frutti si teneva sotto i portici della cattedrale, una struttura che, come in altre città medievali[nota 42], fungeva da polo di attrazione per le attività mercantili. Durante le fiere, la piazza si trasformava radicalmente, accogliendo tende e banchi di mercanti provenienti da altre città, il che richiedeva una complessa organizzazione logistica, come evidenziato dalla descrizione delle levatæ e dei ponti che facilitavano il transito e l'accesso agli spazi di mercato inframezzati dal reticolo delle bealere[nota 43].
Oltre ai suoi portici, che come si è visto dimostrano l'interconnessione tra sfera religiosa e commerciale, la cattedrale svolgeva anche un ruolo cruciale nella vita politica della città, ospitando riunioni del consiglio comunale e la torre, con il campanile alla sommità, fungeva da archivio per i documenti municipali.
Del 1845 è una breve pubblicazione delle "Memorie di Pietro Civalieri scritte nel 1845 circa"[75] in cui descrive la piazza e le parti esterne alla cattedrale: « [...] Cosicché lo spazio di facciata al Duomo chiamavasi piazza del Duomo, e quello di fianco piazza di San Giuseppe, ove giocavasi al pallone; e dietro al Duomo eravi anche piazza e v'erano le case dei Ghilini e quelle de' Merlani. [...] Appoggiato al campanile era un arco sotto la cui apertura passavasi per andare intorno al Duomo, e sull'attuale via deJ]e Scuole, e dall'altro lato contro una casuccia con tre portichetti, che serviva da corpo di guardia centrale. [...] L'antica piazza era lunga trabucchi 41 da mezzodì a settentrione. Dal corpo di guardia che era laterale al Duomo, quasi parallelo alla via Ravanal, sino a Porta Trionfale, cioè al Palazzo del Governo, larga trabucchi 20; e dall'angolo della via Crosa al muro del Duomo trabucchi 18; e nel suo complesso di superficie moggia 2,4,8. L'attuale piazza da mezzodì a settentrione trabucchi 42 (il trabucco di più dell'antica è acquistato dal sedime del palazzo del governo, a cui abolivansi li portici). Dall'angolo della Crosa al Palazzo Reale trabucchi 47, con la superficie di moggia 5,7.».
Ancora dalle "Memorie di Pietro Civalieri"[75] in cui descrive la facciata: « [...] Aveva la facciata verso ponente e l'altar maggiore ad oriente, come tutte le antiche chiese, e ad essa venne verso settentrione appoggiato il famoso campanile, il quale consisteva in un corpo di fabbrica quadrato e vasto, che superava nell'altezza la facciata della chiesa, la quale sorgeva nel mezzo, piramidale secondo l'antico stile tedesco, volgarmente chiamato gotico. [...] La facciata della cattedrale era orizzontalmente rigata a strisce rosse e bianche ]e quali si alternavano. Sulle due guglie eransi collocati il gallo e l'angelo trasportati da Casale nell'occasione del sacco dato a quella città nel 1215. [...]».
La torre civica e campanile rappresenta un esempio significativo delle vicende storiche che hanno caratterizzato le strutture cittadine nel corso dei secoli. Nonostante non sia probabilmente mai stato completato nella sua interezza[76], torre e campanile hanno avuto un ruolo centrale nella vita religiosa e sociale di Alessandria fino alla sua demolizione all'inizio del XIX secolo. Questa struttura era destinata a svolgere una doppia funzione: servire da archivio per il Comune e da campanile per la chiesa. I collegamenti tra la torre e la cattedrale erano garantiti da una scala a chiocciola costruita all'interno delle mura.
Durante il XV secolo, il Comune di Alessandria - detentore di specifici diritti sulla gestione del campanile, diritti spesso fonte di conflitto con l'autorità ecclesiastica, come nel caso della lite sostenuta dal vescovo Deodato Scaglia[76] - si impegnò a garantire il mantenimento e il completamento della struttura. Fu così che venne stabilito un dazio aggiuntivo con lo scopo esplicito di finanziare la costruzione del campanile, situato nella piazza principale vicino alla maggiore chiesa della città, come citato nei documenti del tempo: "ad opus campanillis construendi super plathea mayori et prope Ecclesiam majorem dicte ciuitatis."[76]. Tuttavia, la necessità di costruire il ponte sul Tanaro divenne presto prioritaria e i fondi raccolti furono dirottati verso quell'opera, rallentando i lavori sul campanile[nota 44]. Nel 1488, il 25 gennaio, Gian Galeazzo Maria Sforza ratifica una deliberazione del Comune[76]: «quod interea et donec (pons tanagri) coopertus furit in suspenso remaneat fabrica et constructio campanilis»[nota 45].
Il campanile rimase incompleto fino al XVII secolo quando, nel corso del primo trentennio del secolo, fu deciso di utilizzare un credito che la città vantava nei confronti di Bernardo Guasco per finanziare la realizzazione di pilastri e la copertura del campanile, sotto la direzione di Guido Antonio Lanzavecchia, uno dei "fabricieri" dell'epoca. Si stabilì che il denaro dovesse essere speso entro il mese di novembre dello stesso anno, con l'obbligo per Lanzavecchia di restituire i fondi se l'opera non fosse stata completata entro i termini stabiliti[77].
I lavori, interrotti per trecento anni a causa di guerre e altre calamità, furono dunque ripresi nel 1608, «La Città di Alessandria ripiglio alli diecisette di Settembre con grandissima allegrezza la fabrica del Campanile della sua Chiesa Cathedrale, che dal anno MCCXCI fu cominciata [...] ]»[78]; e portati a termine nel 1629. In quell'anno, la struttura, ormai completata, fu dotata di campane, come si evince da un ordine di pagamento del 3 agosto 1628 di 100 ducatoni, «per far il Coperto al Campanile»[79]. Sappiamo anche che le campane furono poste il 13 dicembre 1629 grazie alla testimoniznaza lasciata da Girolamo Ghilini: « [...] Fu anche memorabile quest'anno, poiché essendosi finito di coprire la Torre, o sia Campanile del Duomo di Alessandria, vi furono poste alli tredici di Decembre le Campane.»[80].
Il campanile subì ulteriori avversità, in particolare relative alle sue campane. Nel 1745, ad esempio, le campane furono rimosse e il Governatore propose alla città di riscattarle, specificamente quelle dell'orologio e dell'allarme incendi. Questa soluzione, tuttavia, fu di breve durata: le truppe francesi, durante la loro campagna di spoliazione dei campanili italiani, ordinò che le campane fossero nuovamente tolte e inviate alla zecca nazionale[77].
La torre civica/campanile, pur non essendo sopravvissuta ai cambiamenti politici e alle vicissitudini storiche, rimane un simbolo della resilienza e dell'identità culturale di Alessandria, testimoniando le molteplici sfide affrontate dalla comunità nel corso dei secoli.
Così Pietro Civalieri descrive il campanile nelle sue "Memorie"[75]: « [...] e ad essa (la facciata, ndr) venne verso settentrione appoggiato il famoso campanile, il quale consisteva in un corpo di fabbrica quadrato e vasto, che superava nell'altezza la facciata della chiesa, [...] Sulla facciata del campanile v'erano tutti li quadranti orali che sono ora sul palazzo civico (Palazzo del Municipio, ndr) e sulla porta del medesimo eravi il monumento che la tradizione vuole fosse eretto a Gagliaudo, il quale atterrandosi il Duomo fu conservato in un magazzeno e nel 1814 posto suU'angolo dell'attuale Cattedrale. [...]».
La ricostruzione dell'interno è una speculazione basata sulle fonti e su quanto esiste ed è stato traslato nella nuova cattedrale o in altre chiese.
Tra il 1478 e il 1484, come già scritto, fu eretto il monumento funerario di Marco Cattaneo de' Capitaneis, vescovo di Alessandria[31]: «Die primo mensis martii Marcus de Capitaneis Alexandrinus Episcopus obiit, humaturque in Cathedrali Ecclesia, in cujus honore extat epigramma super marmoreum tumulum ejusdem incisum, ubi legitur: [segue il testo dell'epitaffio in distici elegiaci]»[nota 46]. Anche gli annalisti Schiavina[81] e Ghilini[82], raccontano del sepolcro di mons. de' Capitaneis: «Tumulatum ejus corpus fuit in sacello maximo templi, quod Cathedrale appellatur, marmoreo sepulcro, non ignobilis structuræ, in cujus fronte hæc carmina legitur: [...] ]»[nota 47]; «Fù il suo corpo con bella funebre pompa sepellito in un'Avello di marmo con bellissima scoltura fabricato nella Capella maggiore del Duomo di questa Città, sopra di cui si vede la sua statua eccellentemente scolpita con l'Inscrizione in versi del tenore infrascritto spiegata: [...] ]».
Questo maestoso altorilievo funerario - che si può ancora ammirare, sebbene leggermente deteriorato - è posizionato sulla parete di fondo del corridoio di accesso alla sagrestia del nuovo duomo di Alessandria[83]. L'opera rappresenta un esemplare significativo della scultura funeraria del periodo e riflette l'arte e la devozione religiosa del tempo. L'identità dell'artista, un maestro lombardo pagato con una quietanza per 100 ducati d'oro, rimane oggetto di speculazioni e dibattiti tra gli studiosi. Scrive il marchese Carlo Guasco nel 1781[nota 48]: «Questo marmoreo sepolcro fu dissegnato, ed eseguito per il prezzo di 100 ducati d'Oro, dall'Ingegnere di Milano Maestro Boniforte Solario, come si comprende dall'Istromento di quittanza per la sudetta somma, pagatagli sotto il dì 7 di maggio 1484 da Lorenzo de Fileto Pontremolese, Capellano per l'addietro del vescovo defunto»[84]. Alla medesima fonte attinge Chenna nel 1785, che però riporta altrimenti il nome dello scultore, ascrivendo la realizzazione del sarcofago ad un certo "Pier Antonio de Solerio"[85]. Accogliendo la versione del Chenna, Diego Sant'Ambrogio ha identificato lo scultore con Pietro Antonio Solari, architetto e scultore sforzesco largamente attivo nella Milano della seconda metà del XV secolo[86].
Si riporta l'epitaffio citato più sopra:
Il crocifisso, maestoso per le sue dimensioni superiori ai due metri e per il peso di circa 130 kg, rappresenta un esemplare significativo dell'iconografia cristiana del Christus Triumphans. Appesa all'arco trionfale del duomo di Casale la scultura, caratterizzata da una minuziosa lavorazione, fu originariamente trafugata nel 1403 dalla cattedrale di Alessandria, insieme alle reliquie di Sant'Evasio, dal capitano di ventura Facino Cane[87]. Queste ultime erano state sottratte precedentemente nel 1216 da una coalizione composta da astigiani, alessandrini e vercellesi.
Il crocifisso si distingue per la monumentalità della figura di Cristo, la quale emerge vigorosamente dalla croce. Gli occhi, spalancati e privi di iride o pupilla, potrebbero essere stati originariamente completati da pigmenti ora perduti. Le caratteristiche somatiche, come il naso rettilineo e la bocca serrata, non trasmettono emozioni ma una solenne gravità, sottolineata dalla posizione eretta e frontale del corpo. La figura mostra braccia leggermente piegate e mani aperte con dita dettagliatamente scolpite.
Il crocifisso è rivestito in una lamina d'argento di spessore inferiore al millimetro, ad eccezione del perizoma e della corona, realizzati in lamine di rame più spesse. Il dettaglio della corona, arricchita da elementi traforati e ornata con castoni di vetro e cristalli di rocca, alcuni dei quali perduti, conferisce un ulteriore livello di dettaglio artistico alla scultura. La croce in legno di noce, dipinta con un impasto pigmentato, è adornata da lamine di rame con incastonati gemme di diversa fattura, arricchendo visivamente l'opera.
Il testo sulla croce, «HICEST . IE/HSVS . NAZ/A . RENVS . RE/XIVDE . ORVM», inciso in lamina di rame e circondato da una cornice dipinta, evidenzia l'importanza religiosa e storica dell'opera. Questo elemento, insieme ai tratti dorati su vernice scura, richiama le tecniche artistiche renane e mosane del XII secolo[88].
Il trasferimento del crocifisso dalla cattedrale di Alessandria, una tappa significativa nella sua storia, fornisce elementi essenziali per la sua datazione. Come già scritto, secondo le fonti storiche la cattedrale sarebbe stata costruita nei primi anni settanta del XII secolo e proclamata sede vescovile nel 1175. Da un punto di vista stilistico, la croce, che si presume fosse parte dell'originale dotazione liturgica della cattedrale, riflette le caratteristiche dell'arte locale alessandrina di quel periodo[87]. L'analisi stilistica del crocifisso e i confronti con opere simili, come la croce della badessa Raingarda nella basilica di San Michele Maggiore di Pavia e il crocifisso ottoniano nel duomo di Vercelli avvalora ulteriormente questa ipotesi e arricchisce la comprensione del contesto culturale e artistico in cui l'opera è stata creata. La tecnica di lamine sbalzate applicate su un'anima lignea, unica tra i confronti citati, rappresenta un esemplare eccezionale di fusione tra oreficeria, scultura e intaglio.
Il titolo originale Madonna dello Spasimo venne modificato in Madonna della Salve dopo il 24 aprile 1489: in questa data un evento significativo segnò la storia della cattedrale e della città tutta: gli storici alessandrini riferiscono che il in quella data, durante le celebrazioni in cattedrale dedicate a San Giorgio, la statua della Vergine sudò prodigiosamente e tutti i fedeli che si rivolsero a lei ricevettero le grazie richieste. L'ex Segretario di Stato della Santa Sede Tarcisio Bertone, in occasione delle celebrazioni del 26 aprile 2009, ricorda nella sua omelia: la storia religiosa e civile di Alessandria è intessuta di testimonianze di scambio di affetto e di comprensione tra la Madonna della Salve ed i suoi figli alessandrini. Ricordiamo come nei pericoli di guerre o pestilenze, siccità o inondazioni, il popolo devoto, ma anche le autorità civili, si riunivano per implorare la potente intercessione della Madre e, dopo lo scampato pericolo, innalzavano solenne rendimento di grazie per i favori ricevuti, arricchendo simbolicamente la sua icona di pregi ed onorificenze[89].
Madonna della Salve, e anticamente Madonna dello spasimo, è uno degli appellativi con cui la Chiesa cattolica venera Maria madre di Gesù. È patrona della diocesi di Alessandria[90]. La rappresentazione iconografica è resa in forma di scultura in legno di pioppo che, nella religione cattolica, raffigura Maria sorretta da Giovanni ai piedi della croce[90].
Il fenomeno miracolo del 1489, descritto nell'approfondimento qui a lato, portò alla ristrutturazione di un'altra cappella sullo lato nord della chiesa, precedentemente abbattuta per far posto alla nuova sagrestia, al fine di accogliere il venerato simulacro[91][92][93]. Per la sua decorazione, il maestro Martino de' Verzoni fu incaricato dei lavori producendo un lavoro in marmo per l'altare dedicato alla Beata Maria Vergine, come indicato dalla quietanza del 21 agosto 1490, che ne attestava la realizzazione[94]: «qui fabricavit ornamentum, & opus marmoreum ad altare Beatæ Mariæ Virginis in ecclesia majori»[nota 50]. Il Ghilini descrive la situazione in questo modo: «Era tanta la moltitudine delle persone, che à questa santa Statua concorrevano, che gli Alessandrini fecero fabricar' un Altare, e sopra di esso la collocarono, come in un luogo più onorevole, & opportuno»[95].
Nel contesto delle ristrutturazioni avvenute nel XVI secolo, fu anche trasferito il simulacro della Madonna della Salve nella cappella dedicata alla Purificazione e a san Perpetuo, ricavata nell'absidiola settentrionale nel 1592 come descritto dal Ghilini: « [...] di poi, alli ventiquattro di Aprile, giorno di San Giorgio Martire, fù nel Duomo di questa Città dal suo primiero luogo trasportata la miracolosa statua di Maria Vergine a l'Altare di San Perpetuo nell'istessa Capella a quel Santo dedicata [...]»[96][97].
Nel XVII secolo avvenne una ulteriore ricostruzione interna della cappella della Madonna della Salve, completata intorno al 1649. In quell'occasione, la cappella fu probabilmente sopraelevata per includere una galleria dove furono conservate le reliquie altamente venerabili della Vera Croce e della Sacra Spina, precedentemente situate in una cappella vicina dedicata a san Giovanni Nepomuceno: « [...] diremo, che alli quattordici dell'istesso mese di Settembre, giorno dell'Esaltazione della Santissima Croce, fu levata la Cassa, dove stà il pezzo della sudetta Croce, insieme con la Spina, e l'altre Sante Reliquie, dalla Capella comunemente chiamata della Croce, nel Duomo di Alessandria, e si collocò sotto la volta della Capella ivi contigua della Salve, doppo esser'ella stata riedificata, e di vaghi ornamenti abbellita, come si vede al presente.»[98][99][100].
I lavori alla grande cappella di san Giuseppe, situata oltre l'ingresso della navata meridionale, si conclusero dopo il 1594[101], segnando il completamento di un intenso ciclo di rinnovamento funzionale e miglioramento estetico dell'interno della cattedrale durante la seconda metà del XVI secolo.
Dalle "Memorie di Pietro Civalieri"[75] in cui descrive la cappella di san Giuseppe: « [...] A lato della chiesa verso mezzodì erasi posteriormente costrutta una vasta cappella dedicata a San Giuseppe con le elargizioni dell'antica famiglia Sacchi ora estinta. [...] Sulla facciata della Cappella di San Giuseppe eranvi dipinti gli stemmi gentilizi di San Pio V e di Pio VI Braschi. [...]».
Contrariamente a quanto comunemente si crede, l'iscrizione originariamente apposta non è quella rimasta nel tempo. In realtà, sono state realizzate due iscrizioni distinte nel corso dei secoli[102]. La prima iscrizione, storicamente documentata dagli annalisti, rimase in loco per circa centocinquat'anni. Tuttavia divenne sbiadita e quasi illeggibile a causa degli agenti atmosferici e del deterioramento naturale. Nel 1739, specificamente il 9 marzo, fu presa una decisione importante dalla Provvisione, l'organo amministrativo incaricato della cura dei beni della città, che nominò Gerolamo Melazzo per il compito di rinnovare l'iscrizione. L'incarico comprendeva anche il rinfresco dello stemma che, unitamente all'iscrizione, era situata sul muro della cappella rivolta verso la platea maior. Questo rinnovamento fu intrapreso con lo scopo di «rinovare e tener sempre viva la grata memoria di sì gran santo, di detta città patrizio e protettore».
Il ripristino venne elogiato come un «lodevole parto di virtuoso ingegno e degna opera di pubblico applauso». Il testo dell'iscrizione è un tributo formale e solenne a pontefice alessandrino, riconosciuto per il suo contributo spirituale e morale alla comunità e alla cristianità tutta. Di seguito il testo integrale della nuova iscrizione[103]:
La disposizione irregolare originaria delle cappelle è indicativa delle varie fasi di costruzione e dei diversi interventi di rifacimento ai quali sono state soggette nel corso dei secoli. Questa progressiva stratificazione architettonica riflette le modifiche stilistiche e le scelte estetiche del tempo, ed è anche testimone delle dinamiche di potere e delle relazioni tra le famiglie aristocratiche della città e la struttura ecclesiastica. Ogni cappella, infatti, era spesso finanziata e decorata secondo le possibilità e i desideri di una specifica famiglia, che in cambio otteneva il diritto di patronato, un simbolo di prestigio e di influenza all'interno della comunità.
Il patrocinio di queste cappelle permetteva alle famiglie nobili di Alessandria di lasciare un segno tangibile del loro legame con la chiesa e di esercitare un'influenza sia culturale che spirituale sulla popolazione. Attraverso le commissioni artistiche, che spesso includevano opere di notevoli artisti del tempo, le famiglie nobili contribuivano sia al decoro della cattedrale sia alla promozione delle arti e della cultura religiosa. La documentazione storica e le fonti dell'epoca, pur frammentarie, permettono di tracciare la storia di alcuni di questi spazi, fornendo dettagli su date di costruzione e su interventi specifici di rifacimento. Tuttavia, molte informazioni restano ancora da chiarire, offrendo ampio spazio per ulteriori ricerche e studi.
La cappella di santa Caterina, situata lungo il lato settentrionale della chiesa, rappresenta un esempio significativo del patrimonio architettonico e artistico religioso del XV secolo all'interno della cattedrale. Essa fu eretta nel 1434 da membri della famiglia Ghilini, come indicato nel testamento di Giacomo Ghilini (*? †1434), dei signori di signori di Marengo e Sezzè[104], che cita esplicitamente il suo impegno e quello di suo cugino D. Christofforo Ghiglinum (*? †1439) nella fondazione di tale cappella all'interno della maggiore chiesa di san Pietro in Alessandria. Il contenuto del testamento recita[105]: «Item legavit Capellæ Sanctæ Catarinæ [...] nu per fundatæ in Ecclesia Sancti Petri Ecclesiæ majoris Alexandriæ per ipsum Testatorem et D. Christofforum Ghiglinum.»[nota 51]. Giacomo Ghilini venne poi seppellitto nella cappella di santa Caterina, e Girolamo Ghilini ne fornisce evidenza nei suoi "Annali":«Verso il fine del mese di Settembre, questa Patria fece perdita di Giacomo Ghilino [...]; ed al di lui corpo fu data sepoltura nella sua Capella sotto il titolo di Santa Cattarina nel Duomo di questa Città.»[106].
Pochi decenni dopo, il 6 giugno 1452, Guglielmo Baschiazza fondò una seconda cappella dedicata a san Silvestro. Questa cappella era collocata tra quella di santa Caterina e l'andito situato dietro alla Torre, arricchendo ulteriormente il complesso ecclesiastico[107].
Sicuramente queste cappelle non sono solo state dei semplici elementi architettonici, sono anche state dei testimoni storici e culturali che avrebbero offerto spunti significativi di comprensione del tessuto sociale e storico alessandrino in epoca medievale e rinascimentale.
La valutazione della cattedrale, commissionata come già scritto all'architetto Pietro Casalini in seguito alla riunione del consiglio municipale del 2 gennaio 1803[nota 29], era stata precedentemente conosciuta solo tramite una trascrizione poco convincente pubblicata da tempo[108]. In seguito è stato possibile recuperare l'originale autografo in francese, e la sua traduzione italiana, entrambi realizzate personalmente dall'architetto[57].
Il valore della stima non risiede tanto nei criteri di valutazione impiegati, che possono essere considerati in alcuni casi discutibili, né nella quantificazione del valore, fissato approssimativamente in 326.000 franchi. Questa cifra rappresentava la base su cui la municipalità avrebbe potuto richiedere un indennizzo al Governo per la demolizione della cattedrale, parte in denaro e parte in beni immobili. Di particolare interesse è invece l'allegato grafico, una dettagliata tavola di rilievo, riportata in questa voce più sotto, che include la pianta e il profilo trasversale dell'edificio, offrendo una visione "scientifica" della struttura, precedentemente nota solo attraverso uno schizzo di pianta rudimentale ed incompleto, un disegno a matita e penna[109].
La tavola di rilievo[57] - conservata in due versioni molto collimanti tranne che per le dimensioni (rispettivamente, 52×35,5 e 47,1x40,6 cm.), una a penna e l'altra ad acquerello - è relativa al «Plan, et élévation de la Cathedrale d'Alexandrie d'aprés la mesure qui en a été jaite par ordre du Citoyen Crac S. Directeur des Fortifications de la part du Genie, qui a été chargé de la démolition, et par l'Architecte Casalini délégué par la Commune proprietaire de la dite Cathedrale pour servir de base aux demandes, et prétentions de la dite Commune en remboursement: Le tout ensuite de l'invitation du Prefet du Departement»[nota 52].
Il rilievo risultò il frutto di una collaborazione, come attestato dalle firme di Casalini e di Grac, «Directeur des Fortifications», al piede della tavola. Tuttavia, quest'ultimo optò per non firmare la perizia, ritenendo che alcune parti della stima fossero al di fuori delle sue competenze professionali. Questo dettaglio emerge da una relazione inviata dal Prefetto del Dipartimento di Marengo, Campana, al Ministro delle Finanze a Parigi, datata 24 febbraio 1803[nota 53]. Nel documento si elencano i supporti utilizzati dalla municipalità per richiedere l'indennizzo[57], tra cui «2.do le dévis estimatif de la Cathédrale. 3º. Son plan et son élévation géométriquement déssinés. Ce déssein est signé par l'architecte de la Commune, et le Directeur des fortifications qui se sont concertés pour cela, mais ce dernier n'a pas voulu signer le dévis estimatif, vû que par le déssein on peut calculer la quantité des matériaux provenant de la démolition, et que le dévis de ce qu'on a pû dépenser pour bâtir et orner l'église est étranger à ses fonctions»[nota 54].
Per quanto riguarda la perizia di Casalini, non esiste una data precisa nelle diverse versioni note, anche se si sa che fu presentata al consiglio in una sessione straordinaria il 23 febbraio 1803[nota 55][110]. In questi documenti, la data del giorno in cui fu compilata rimane non specificata, mentre il disegno, ovviamente realizzato precedentemente, è datato 15 gennaio 1803[nota 56].
Di seguito il testo integrale dell'estimo, in italiano:
«In esecuzione della commissione appoggiatami da questo Consiglio Municipale relativamente alla lettera del Cittadino Campana Prefetto del Dipartimento di Marengo in data delli 5 Nevoso, di dare cioè l'estimo alla Fabbrica della Cattedrale di questo Comune, di cui ne venne con Decreto del primo Console in data delli 27 Brumajo ordinata la demolizione, mi sono a tal'ogetto reccato sul luogo, e presene le opportune dimensioni ne ho formato la Pianta regolare con il Taglio trasversale affine d'avere sott'occhio l'ogetto nella sua realtà; E dalle predette dimensioni, non meno che dall'attenta disamina di tutte le parti componenti la detta Cattedrale mi è risultato quanto segue. In due classi si può distinguere il valore della Cattedrale in assoluto cioè, ed in relativo. Per valore assoluto intendo il valore della materia con cui fu detta Cattedrale costrutta, non già considerata la quantità, che fu necessaria per la sua costruzione; mentre è indubitato, che nella demolizione molti materiali si frantumano, e si rendono di niun servizio, come resta di niun'uso la calce, che fu impiegata. Per valore relativo intendo tutte quelle parti della Fabbrica, che li servono d'ornamento, e che costarono forse somme egreggie, ma che per essere variato il genio architettonico, hanno perduto del loro valore, ed il loro maggiore prezzo si è l'antichità. Per valore relativo si possono intendere anche li Stucchi, e le Pitture, le quali conservono il loro valore, e preggio fintanto che sussistono nel dato sito; ma non sono d'alcun valore diversamente, perché non possono trasportarsi. La Cattedrale pertanto occupa sulla Piazza uno spazio di ottanta tavole superficiali, a cui se si unisce lo spazio della Piazza di S. Giuseppe, che resta di privativa ragione della Comune, risulta d'una Giornata, e più di terreno[nota 57]. Da antichi Documenti rilevasi, che l'acquisto di tale sito, il quale era occupato da Fabbriche, costò più di quaranta milla lire. La forma della detta Cattedrale è a tre Navate, ed il corpo della Chiesa è diviso, e sostenuto da sei Colonne, e sei Pillastroni d'ordine Gottico[111]. Tanto il zoccolo, quanto le Basi, e Capitelli sono di pietra, lavorati questi ultimi con fogliami, e figure già in parte corrosi, e consonti dalla vetustà. A destra di dette Navate vi sono quattro Capelle[nota 58], ed a sinistra tre[nota 59]; A destra poi della Facciata, la quale è rivestita sino quasi alla metà di sua altezza di pietre, trovasi la vasta, e ricca Capella di S. Giuseppe, le di cui pitture del celebre Pozzi sono d'un preggio incalcolabile[nota 60]. Ed a sinistra della medesima Facciata esiste il Campanile, ossia Torre su cui vedesi un singolare Orologgio a cinque quadranti; e finalmente a fianco del Presbitero, e Coro vi sono quattro altre Capelle[nota 61]. | |
Calcolata la quantità de' muri, e volti, che compongono la detta Cattedrale, considerando le fondamenta d'una conveniente profondità risulta essere non meno di cinque mille trabucchi di Piemonte, quali computati in ragione di franchi quaranta, prezzo, che in qualonque tempo possasi essere costrutta la predetta Cattedrale, non sarà mai costato meno, formano la somma di duecentomille franchi, dico | 200000 fr. |
Il coperto è quasi tutto con legnami di rovere, ed è in quantità di trabucchi superficiali quattrocentocinquanta, quale calcolato in ragione di franchi quarantotto cadun trabucco, rileva | 21600 fr. |
Per le pietre da taglio, che servono di rivestimento ai muri si calcolano per lo meno ventimilla franchi | 20000 fr. |
Li ornati delle Porte della Facciata, de' Capitelli delle Colonne, e pilastri, e di quelli esterni del Coro[nota 62], e Capelle laterali pure di pietra, avranno certamente costato grandiose somme, e si calcolano per approssimazione | 15000 fr. |
Alle sovradescritte somme si possono abbondantemente aggiongere altre settanta milla franchi per il valore delle Pitture, de' Stucchi, e della superficie del suolo, dico | 70000 fr. |
Cosicché il valore totale della predetta Cattedrale, ossia la somma, che può avere costato, anche sul supposto che nella sua esecuzione siansi procurate tutte le economie possibili, non è minore di | 326600 fr. |
Quest'è quanto ho l'onore di rassegnare al Consiglio Municipale in evacuo dell'appoggiatami commissione, e mi sono in fede sottoscritto Alessandria, li ... Piovoso anno 11 Segnato: Casalini.» | |
(Pietro Casalini /I, pp. 131-133) |
Pietro Casalini, Rilievo della Cattedrale di San Pietro, disegno a penna acquerellato, cm. 47,1 x 40,6 (Scala di 19 Toises = 16,3 cm.), 15 gennaio 1803[112]. L'arredo, e la disposizione dei banchi del periodo quaresimale, sono stati ricavati dalle relazioni delle Visite Pastorali della metà del XVIII secolo.
1. Presbiterio
2. Cappella della BMV della Salve
3 Altare di San Francesco Saverio
4 Cappella dei Santi Cristoforfo e Giuliano[nota 63]
5 Cappella di Santa Caterina[nota 64]
6 Cappella della "Madonna dell'Uscetto"
7 Andito del Crocifisso
8 Cappella di San Giuseppe[nota 65]
9 Sagrestia particolare di San Giuseppe
10 Stanza dei Seminaristi
11 Cappella della Santissima Annunziata[nota 66]
12 Cappella dei Santi San Carlo e Agostino[nota 67]
13 Cappella del Santissimo Crocifisso[nota 68]
14 Cappella dei Santi San Carlo e Ambrogio[nota 69]
15 Altare di San Liborio
16 Cappella di Sant'Andrea[nota 70]
17 Sagrestia Capitolare
18 Torre civica e campanile
19 Corte rustica
20 Cimitero
⊛ statue, busti, lapidi
│ raffigurazioni pittoriche
─ raffigurazioni pittoriche e crocifisso
A. Altare maggiore, 1695[nota 71]
B. Callisto Piazza, San Pietro in Cattedra, Pala d'altare, 1546
C. Rilievo sepolcrale, 1484.
D. Altare della BMV della Salve, XVIII sec.[nota 72]
E. Filippo Parodi, Tre busti di vescovi alessandrini, XVII sec.[nota 73]
F. Ignoto, San Giovanni Nepomuceno, tela, XVIII sec.[nota 74]
G. Ignoto, Martirio di Santa Caterina, Pala d'altare perduta, ?
H. Ignoto, Madonna dell'Uscetto[nota 75], olio su tavola, XIV sec.
I. Due tele, probabilmente di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo
J. Crocifisso ligneo, fine XV sec.[nota 76]
K. Fonte battesimale, perduto
L. Filippo Parodi, Busto di Giacomo Filippo Sacchi[nota 77], XVII sec.
M. Filippo Parodi, San Giuseppe, statua marmorea, 1703[nota 78]
N. Giovan Carlo Aliberti?, Sant'Andrea, olio su tela, perduto
O. Pulpito ligneo, perduto
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