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Cariatide
scultura femminile con funzione di sostegno di un architrave o di altri elementi architettonici Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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La cariatide è una scultura utilizzata come colonna (ma anche lesena o parasta), che rappresenta una figura umana femminile.[1] Le figure maschili con la stessa funzione prendono invece il nome di telamone o atlante.[2] Nel caso la figura femminile porti sul capo una cesta è detta anche canèfora.[3]
Storia e funzione
Riepilogo
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Secondo l'architetto romano Vitruvio, che menziona l'etimologia all'inizio del primo libro del trattato De architectura, il nome (karyatis) significava "donna di Karyes", collegando il termine a una tradizione sulla schiavitù delle donne di quella città nel Peloponneso dopo le guerre persiane.[4] In seguito, nell'erudizione antica e moderna, le karyatides sono state riferite anche alle figure della loggia meridionale dell'Eretteo sull'Acropoli di Atene.[4]
La spiegazione vitruviana va però considerata alla luce di realizzazioni precedenti alle guerre greco-persiane: nel VI secolo a.C. il tesoro dei Sifni nel santuario di Apollo a Delfi presentava infatti due korai di facciata in funzione di sostegni al posto delle colonne del pronao (ca. 530-525 a.C.).[5]
In occidente sono attestati esemplari nel teatro dell'antica Iaitas (Monte Jato in Sicilia), dove la letteratura archeologica segnala figure-sostegno femminili tra la decorazione plastica del complesso scenico (menadi e satiri della scena).[6][7][8]
Le celebri figure dell'Eretteo, note tradizionalmente anche come Korai, costituiscono l'esempio classico di cariatidi in età tardo-classica ateniese e furono copiate e reinterpretate in età romana.[4]

Le cariatidi dell'Eretteo vennero in seguito riprese sull'attico dei portici del Foro di Augusto a Roma, in una sequenza alternata a clipei con teste divine, come mostra la ricomposizione museale dei Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali.[9][10][11] Da questo modello derivano, come rilievi d'attico, esemplari nel foro provinciale di Mérida (Augusta Emerita, Lusitania).[12][13][14][15] Copie delle cariatidi di tipo classico furono inoltre impiegate lungo il Canopo di Villa Adriana a Tivoli, dove gli scavi del XX secolo riportarono alla luce serie di statue femminili a sostegno, conservate in parte al museo della Villa e in parte sostituite da copie in situ.[16][17] Le fonti antiche attestano inoltre cariatidi nel primo Pantheon di Agrippa: Plinio il Vecchio ricorda le Caryatides del pantheon tra i membri di sostegno, opere di Diogene di Atene.[18]
Nell'arte romanica la frequente applicazione della figura umana alla decorazione architettonica produsse numerosi esempi di figure-sostegno (atlanti, telamoni e figure femminili) in capitelli e mensole, come evoluzione delle "colonne vestite".[19] In epoca rinascimentale il motivo riemerse, ad esempio, nel ninfeo di Bartolomeo Ammannati per Villa Giulia a Roma, dove le cariatidi sostengono la balconata del cortile monumentale.[20] Tra Seicento e Settecento il tema dei sostegni antropomorfi (cariatidi e telamoni) conobbe grande fortuna, come testimoniano i celebri telamoni della Casa degli Omenoni a Milano.[21]
Il motivo delle cariatidi fu ampiamente riattualizzato anche in età neoclassica, come nella Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano.[22]
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Note
Bibliografia
Voci correlate
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Collegamenti esterni
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